Qualcuno pensa: ma perché la Puppini non scrive ora qualcosa sulla sanità? Mi sembra di aver già scritto molto, ma cercherò di riproporre alcune riflessioni e di entrare nel merito di quello che ha riportato la stampa locale.

Il primo problema è il taglio dei finanziamenti che rende pure meno attrattivo il sistema pubblico, farraginoso burocraticamente, con tempi di attesa infiniti (6 mesi ad Udine per una visita maxillo-facciale) il che significa che, senza priorità da parte del medico di base, per magari confermare o smentire una diagnosi uno deve attendere sei mesi, se vuole utilizzare il servizio sanitario pubblico. E questo è solo un esempio.  

Inoltre. zac, zac, zac, zac, taglia qui e taglia là, senza analisi delle ricadute, e con l’unico obiettivo di far cassa, il sistema socio sanitario anche in Fvg è quasi esploso, ha fatto quasi pum, ha fatto quasi crack, ed è invero difficile risolvere ora il problema di come farlo funzionare, almeno secondo me, mentre i paganti volgono al privato che però ha anche i suoi limiti e le sue pecche: per esempio non investe in costosissime sale operatorie e soluzioni chirurgiche, per le quali invita ad andare verso il pubblico. Non solo, pare che non fornisca neppure tutte le strumentazioni: anche un semplice catetere ad uno specialista. E specialisti del privato e del pubblico devono comunicare, mentre talvolta pare siano in conflitto di interessi.

Il problema dell’attrattività di un sistema azienda per il pagante.

Il problema dell’attrattività del ssn per i paganti, veniva già da me segnalato nei miei: “Sanità: sul linguaggio della politica che parla a se stessa e ed il problema dei tempi d’attesa per le prestazioni sanitarie, esistendo una norma statale”; “Sanità: fra diritti messi in gioco e responsabilità non sempre chiare”; “Senza paraocchi. Sulla personalistic- dirigistica riforma della sanità regionale”; Considerazioni sul bilancio consuntivo dell’Aas3 per il 2017; tutti pubblicati su: www.nonsolocarnia.info. Così come strutturati, i ssn e ssr, con particolare riferimento a quello della Regione Fvg perché vi abito, sono troppo poco snelli per uno che deve comunque pagare: solo per fare una analisi un lavoratore o un anziano, e via dicendo dovrebbe recarsi dal medico di base, convincerlo della necessità di un esame di laboratorio, che può essere una banale rilevazione del colesterolo o dei trigliceridi, prendere la prescrizione se gli va bene, andare a fare l’esame magari pagando di più e ricevere la risposta due o tre giorni dopo, senza potersi mai, ora come ora, rivolgere al laboratorio per un chiarimento, per una domanda. Nulla di nulla, in un mondo in cui la fiducia assoluta non esiste più, e si ha sempre più bisogno di conferme e certezze. Quindi dovrebbe portare la risposta al medico di base, magari facendo attese di ore, sperando che quel giorno sia in servizio. Ma questi potrebbe dire di attendere per avere altro riscontro e via dicendo, in una trafila infinita e devastante. E magari il paziente è in infezione.

Pertanto un pagante preferisce avere un laboratorio anche se piccolo di riferimento, avere l’esito di alcune analisi banali il pomeriggio, e spedirle al proprio medico, che può anche individuare in uno specialista piuttosto che nel medico di base, vista la patologia principale, e risolvere il problema fisico o l’approccio allo stesso al più presto senza dover poi risolvere quello dello stress situazionale insieme a quello fisico. Inoltre il ‘corri qui e là’ implicano perdita di tempo, fatica fisica, stress, demotivazione verso il ssn e il ssr. Se questi ultimi permettessero il fare un emocromo od un esame urine senza ricetta medica e con risposta pronta, ci guadagnerebbero ed aumenterebbero attrattività per i paganti, che possono scegliere a chi rivolgersi.

Ma vi è un piccolo problema, in Fvg: che ormai Serracchiani e Telesca hanno puntato tutto sul grande laboratorio udinese, che, come una sanguisuga, ha succhiato tutti i piccoli laboratori circostanti, modificando comunicazione e tempi di risposta, da che so. In alcuni stati europei si è capito che utilizzare un servizio ‘piccolo, agile, fruibile’ è più efficace che servirsi di uno grande ed accentrato, bastava vedere l’organizzazione sanitaria in Normandia che si reggeva su di un trasporto taxi, collegato alla municipalità, che trasportava i pazienti da piccole località e fattorie verso il polo intermedio ospedaliero ed ambulatoriale e su piccoli punti di primo intervento e soccorso.  Ma noi siamo stati affascinati da Illy, e dal rincorrere soluzioni mai testate prima di essere applicate, e dal sogno, miseramente naufragato, del grande ospedale udinese, per un territorio vastissimo.  

Per il paziente un medico non vale l’altro.

Nel contorto sistema sanitario nazionale, il paziente dovrebbe fidarsi di ciò che dice il primo specialista laureato in medicina, bravissimo magari in altri casi, ma a lui sconosciuto, che si trova davanti, per poi scoprire, come accaduto a me e sulla mia pelle, che stava facendo una cappella madornale, firmata e siglata. Questi errori medici accadono però anche perché uno specialista non conosce la persona che si trova davanti; la comunicazione scritta del collega può essere incompleta, senza anamnesi e via dicendo; e lo specialista si trova a lavorare in una situazione in cui non gli viene neppure dato il tempo psicologico di passare da un caso all’altro. Inoltre uno specialista può fidarsi di quanto scritto da un collega e già errato e seguirne le orme, può non desiderare inimicarsi qualcuno scrivendo una diagnosi corretta, fino a giungere a non voler operare per non chiarire una diagnosi, il che è aberrante, e suona come una potenziale condanna a morte per il paziente stesso. (Cfr. “Chirurgo si rifiuta di operare un paziente che aveva denunciato un collega”. A riferire la vicenda è Amami, Associazione medici accusati ingiustamente, che commenta: “In questo clima da caccia alle streghe, alimentato da campagne pubblicitarie che incitano a citare i medici in giudizio, i colleghi iniziano a rifiutare interventi di pazienti ‘a rischio-denuncia’” in: http://www.quotidianosanita.it/lavoro-e-professioni/articolo.php?articolo_id=6937), mentre il paziente, nella trafila: raggiungere la sede della visita, che in Fvg contempla di andare dai monti al mare muovendosi magari su autostrade intasatissime di mezzi pesanti rigorosamente con targa straniera; adattarsi al nuovo ambiente; fare la fila per pagare anticipatamente capendo nuove dinamiche tra segreterie, uffici, spazi in cui recarsi e via dicendo, ha già esaurito le sue forze, e può presentarsi in una situazione di stanchezza e deconcentrazione alla visita, rispondere a caso o in alcuni casi permettere che risponda un parente per lui, il che è pessima abitudine; può non capire cosa il nuovo soggetto medico chiede, per mancata conoscenza dello stesso, ed analogo gap può accadere al medico; può essere timido nel parlare di alcuni problemi con una persona nuova, e si può facilmente generare un ‘casino’ comunicativo che pesa sulla visita stessa e sul referto. Bisogna dimenticare i fascicoli sanitari portatori, per i politici, della verità – penso fra me e me – perché non funziona così nella vita, perché ciò presupporrebbe che nessun medico scrivesse qualcosa di errato o non comprensibile nel merito di un paziente, e che tutti i pazienti fossero uguali fisicamente e psichicamente, insomma che si sia dei robot, ed il medico un meccanico che cura sulla base di una scheda tecnica.

Non da ultimo, il freddo distacco, fino quasi all’indifferenza del medico, che prevede il negare qualsiasi coinvolgimento emotivo nella cura, pesa sulla stessa, e porta il paziente ad utilizzare lo stesso schema comunicativo in risposta, unito ad atteggiamenti di difesa da uno che può vivere come un “pesce lesso”. Ma così non si può andare avanti. Bisogna ritornare al vecchio concetto di curare, che ha come accezione anche l’avere cura e per il soggetto ammalato il sentirsi curato.

Per questo è preferibile che un solo medico specialista, di cui il paziente ha fiducia, segua l’evolversi di una patologia nel tempo, dimenticando i difensivi protocolli regionali di diagnosi e cura tanto amati da Telesca e c.. Infatti il mettere in mano ad un medico la propria salute implica di per se stesso un rapporto personale ed un ‘lasciarsi andare’ alle sue cure, magari discutendone con lui, che non può essere di tutti gli specialisti rispetto a quella persona, o di un sistema, a causa di aspetti psicologi che incidono sui rapporti personali in ambito sociale. E se ora giornali e mass media si riempiono sempre più di psicologismo da gossip, parallelamente politici e sanitari dimenticano le basi e gli insegnamenti della psicologia sociale e gli assiomi della comunicazione come descritti dalla scuola di Palo Alto, ad iniziare da Gregory Bateson (Cfr. AA.VV., “Pragmatica della comunicazione umana, Astrolabio ed. , 1978), secondo i quali  non esiste interazione umana senza comunicazione.  

Già accade che i mezzi di informazione di massa ed i social network, non più i medici di fiducia e che conoscono i loro pazienti, “parlino” alle persone di patologie e di cure non sempre in modo informato, ma pure in modo controllato dal mercato ed a fini propagandistici, e con questa comunicazione “liquida” si rischia di non capire più nulla e di spendere di più. E questi problemi non si risolvono certo definanziando il sistema sanitario, ma migliorando le sue performances, sostenendo il sistema di emergenza/urgenza che non può avere call center accentrato e farraginoso, puntando a migliorare il rapporto comunicativo medico paziente che è carente, oltre che le condizioni di vita. E non si possono avere in sei mesi, come da gennaio e luglio 2018, 469 morti sul lavoro, non si possono avere ponti che crollano, persone che abitano sotto i ponti (cfr. coloro che vivevano nelle case sotto il viadotto Polcevera), cittadini che periscono, come accaduto in Veneto anni fa, per esondazioni da cattivo imbrigliamento delle acque o per inquinamento, e via dicendo.  

Inoltre meno sistema di sanità pubblica c’è, più la salute dei cittadini potrebbe andare in mano a erogatori di forme alternative di diagnosi e cure, che promettono, ma non si sa quanto ottengano, e mi riferisco ad erboristi, omeopatici, e via dicendo, senza voler togliere valore alla loro scienza, ma che ritengo talora travalichino il limite del consentito se non laureati in medicina. Mi ricordo un giorno che lessi, sconcertata, un avviso che diceva che un prodotto erboristico aiutava ad aumentare le igm, che più alte sarebbero state, meno infezioni si avrebbe avuto! E non è l’unica scemenza che ho letto od udito. (Cfr. anche Laura Matelda Puppini, Sanità, salute, sistema sanitario nazionale e regionale tra proclami politici, innovazioni discutibili e marketing, in www.nonsolocarnia.info).

La politica aziendale sanitaria non può conformarsi agli schemi di chi ‘vende gorgonzola’.

I politici quando vogliono guadagnare o semplicemente contenere le spese, hanno due vie, come ho già scritto: «diminuire i costi di produzione ed aumentare i prezzi». (Laura Matelda Puppini, riflessioni sul capitalismo viaggiando in Bulgaria e vivendo in italia, in: www.nonsolocarnia.info). La prima via pesa sul personale che lavora sempre più, in certi casi in una situazione da regime quasi schiavistico per tempi, orari, modalità, il secondo pesa sul consumatore, ma dato che la fascia dei poveri aumenta, è prevedibile che gli utenti, se si tratta di un servizio, tendano a utilizzarlo sempre meno oppure che esso, se organizzato in forma aziendale, non riesca a coprire le spese. Ma il concetto di ‘servizio pubblico’ in economia meriterebbe un articolo a parte, e ben sapevano i politici del dopoguerra che esso non poteva essere fonte di lucro.  Le aas non possono autofinanziarsi, altrimenti sono aziende pubbliche privatizzate di fatto e nella metodologia, e o esiste un ssn ed un ssr che dettano norme e regole e controllano, o siamo al ‘fai da te’ dei manager, come si trattasse appunto, non di reggere una azienda pubblica, ma una fabbrica di gorgonzola o salumi, che se non ce la fa delocalizza, accentra o chiude.  

Ora che cosa è accaduto e sta accadendo in sanità? Che si taglia il personale e si vorrebbe utilizzare quello presente in mansioni non di competenza; la sanità pubblica ricorre, in settori delicati come quello dell’emergenza urgenza, al privato non si sa con che competenza (crf., per esempio, I motociclisti privati che fanno servizio aziendale per il pronto soccorso nell’ass1 triestina), e che mancano medici che non per nulla hanno un lungo iter universitario, anche se sempre meno collegato al praticantato, e se erro correggetemi. Servono medici, e rischiamo che andando avanti così, la confusione sia completa, che nessuno faccia bene il suo lavoro o che alcuni pensino di poter far tutto, e si giunga al caos con aumento della mortalità, delle problematiche, del ricorso a vie legali e via dicendo, peggio che nella fabbrica di gorgonzola, con tutto il rispetto per la stessa.

La possibile cinesizzazione del ssn e ssr è sotto gli occhi di tutti, mentre pare che in Fvg uno dei pochi problemi per i dirigenti aziendali sia quello far scortare le guardie mediche dall’Ana, che poi magari presenterà il conto, senza invitare le dottoresse ad indossare almeno sempre il camice. Nel merito di questi problemi, vi invito pure a leggere il mio: “Perché no all’ ANA in sanità. Problemi e perplessità” ed in particolare: “Sanità: sui risparmi e sulle competenze. Verso la “cinesizzazione” del lavoro nel ssn”? ambedue in. www.nonsolocarnia.info. Infine la violenza è propria di questa società e non solo dell’ambiente medico e si vince con l’educazione, non scortando tutti, non adottando la politica degli sceriffi. E le visite mediche non contemplano terzi inclusi.

Inoltre se lo sfruttamento dei lavoratori e la precarizzazione del lavoro, ormai ben poco tutelato, sono da disapprovare completamente in una fabbrica di gorgonzola, non sono neppure pensabili in un sistema sanitario ove è in gioco la salute della popolazione. Inoltre se si aumentano i ticket sulle prestazioni, chi se ne va è il pagante, mentre il ssn e ssr non possono aver come obiettivo il ‘far cassa’, per loro stessa natura. Inoltre lo Stato italiano può tagliare ben altro che la sanità od i senatori, per esempio i vitalizi, i troppi burocrati e via dicendo; e non bisogna dimenticare che è riuscito a farci dilapidare il tesoretto accumulato dai nostri genitori, ha perduto miliardi in pessime politiche, mancati controlli, un atteggiamento da ‘tre scimmiette’, clientele varie e via dicendo.

Il ssr Fvg ha bisogno di medici, non di bloccare concorsi.

Purtroppo leggo due cose che mi turbano sulla stampa locale. La prima è una notizia boomerang, di cui nessuno ha calcolato le conseguenze sull’utenza e sull’intero sistema sanitario nazionale e regionale: lo stop alle assunzioni di medici da parte delle aziende socio sanitarie del Fvg con bilancio in rosso, praticamente tutte, perché Burlo ed Aviano sono casi a sé, per tipologia di utenza, con una storia a parte, e quindi non sono aziende sanitarie vere e proprie. In compenso avremo infermieri, perché il concorsone c’è già stato, e spero non vengano messi a fare i medici ope legis regionale, o che non siano la scusa per far passare quel sistema demenziale che voleva i reparti anche di urgenza in mano loro, con medici trottola. Perché altrimenti potrei davvero pensare che siamo caduti dalla padella nelle brace, o meglio che la distruzione del sistema sanitario regionale, iniziato quasi appena creato, e a cui colpi di macete sono stati inferti da Renzi, Lorenzin, Gutgeld, e qui da Serracchini e Telesca,  continui inesorabile verso la sua fine, data anche dalla perdita di utenti per alcuni settori, fino a passare alle assicurazioni private che costano almeno 1000 euro all’anno e che neppure io posso permettermi, tolto il fatto che potrebbero non rimborsare per i soliti eh mah … Chi ha buoni avvocati può tutto contro chi non se ne può pagare alcuno e comunque va incontro ad un procedimento non snello e farraginoso, in questo mondo che non ha giustizia sociale né più personale.

La sanità si regge sui medici, che sono già ridotti all’osso, con i migliori e i non migliori che se ne vanno dal sistema pubblico per mille motivi; figurarsi se si stressano a fare giorno e notte in corsia ed ad operare poi, perché mancano colleghi! E mi spiego meglio. Non sono io che dico che fare una operazione chirurgica è stressate per chi la esegue, è noto. Se poi la stessa persona deve visitare pazienti in ambulatorio, magari una quindicina o più, senza conteggiare la possibile carenza di colleghi, deve fare il giro in reparto, deve esser reperibile la notte e via dicendo, se schiatta è normale. Ma nessuno vuole una sanità dove i medici schiattino. Pertanto prego Fedriga e Riccardi di ripensare alle loro ultime trovate, leggibili su: Elena Del Giudice, Stop a tutte le assunzioni per le Aziende in perdita, in. Messaggero Veneto, 9 ottobre 2018, da cui si sa che è giunta una lettera alle Aas del Fvg che prevede lo stop alle assunzioni di nuovo personale, da quello oos ai medici. Ma per i medici e gli infermieri vi è già il blocco del turn over, che ha penalizzato la sanità pubblica. «Mancano complessivamente 14 mila medici negli ospedali italiani, di cui 4 mila anestesisti. E anche 60 mila infermieri. Sul banco degli imputati c’ è soprattutto il blocco del turn over ma anche disorganizzazione e riduzione dei finanziamenti alla sanità. D’ estate, poi, è il dramma» – si legge su: http://m.dagospia.com/negli-ospedali-italiani-mancano-14mila-medici-e-60mila-infermieri-con-le-ferie-estive-salta-il-178253. Detto questo, in Fvg il problema pare sottolineare anche un aspetto politico non di poco conto. Infatti quale controllo può esercitare la direzione salute sulla spesa nelle singole aas? Infatti se è vero che una sanità senza medici non regge, è altresì vero che una direzione regionale salute ha il diritto di sapere perché un direttore generale aziendale intende assumere personale e  per quali esigenze, ma in particolare il perché di alcune scelte economiche, cioè dovrebbe sapere anche perché una azienda intenda acquistare dei macchinari e per che cosa, e dovrebbe sapere pure se ci siano sufficienti garze, disinfettanti, carta igienica, bisturi efficaci ecc. ecc. cioè materiali di prima necessità in ogni ospedale. Rallentare i concorsi o toglierli è la via peggiore per sanare un bilancio in sanità, secondo me, e non si coprono certo così buchi da 10 milioni di euro.

Ma d’altro canto mi pare logico che la Regione che mette i soldi voglia verificare la necessità delle spese, ma non solo per il personale. La Regione non è una mamma che regala i soldi al figlio.

Comunque siamo ancora ad un discorso di verifica dell’esistente e di programmazione e valutazione che mancano nel concreto, e che nei cinque anni precedenti non abbiamo visto, mentre siamo stati riempiti di bla bla bla e rivoluzioni epocali che hanno portato ad un disastro annunciato. A ciò si aggiunga che, purtroppo si sa, in generale, che la sanità ha rapporti di diverso tipo con il marketing, è influenzabile da parti di potentati ed elettorati, è difficilmente gestibile, e che alla prova dei fatti ognuno si arroca nel suo orticello. (Cfr. Laura Matelda Puppini, Sanità e salute, op. cit.).  Inoltre se il sociale ti regala un macchinario che poi non ammortizzi, non indispensabile, e che ti costa per mantenerlo ed utilizzarlo, senza risultati apprezzabili, che fai? E se te lo chiede con insistenza, e quando giunge, magari dopo mesi, la situazione è cambiata?

Inoltre è noto che vi possono essere possibili pressioni ecc. ecc., che certo non guardano agli interessi dei cittadini, in una sanità in Italia da sempre fortemente politicizzata, ed ingerenze sull’esercizio della medicina ecc. del Vaticano che è Stato a sé, non secondo governo italiano.

L’importanza della territorialità dei servizi socio- sanitari, in un sistema a rete.  

Credo che nessuno neghi, almeno tra i pazienti, che il sistema sanitario nazionale e regionale debba essere per tutti, da tutti fruibile, da tutti facilmente raggiungibile.

Pertanto il riferimento territoriale è d’obbligo, mentre il sistema Serracchiani Telesca Marcolongo non ha fatto altro che rompere i legami tra territorio e strutture territoriali, buttando tutti nel mucchio, anche per amori non certo nascosti per Udine, cosicché ora, con l’ospedale sotto casa a Tolmezzo, magari devi, dal capoluogo carnico, andare per una visita ortopedica a Palmanova, e non riesci a camminare. Questo non solo fa pagare all’utenza il trasporto, perché quello pubblico è quasi inesistente, almeno da Tolmezzo verso San Daniele e Gemona del Friuli, ma anche fa perdere alla stessa tempo prezioso, porta le persone ad usufruire di un servizio in condizione di stress, implica che anziani in condizioni di salute non ottimali si gettino sulla strada al volante per avere la agognata visita, magari da parte del solito ignoto, dopo che hanno pagato per anni la sanità per la vecchiaia.

Inoltre io, se dovessi far quadrare i conti del Santa Maria della Misericordia, intanto farei causa a chi si è reso responsabile di alcuni problemi tecnici nel per me bruttissimo e anti funzionale nuovo ospedale, poi parlerei con il Veneto per unificare alcuni reparti super specialistici come quello dei trapianti di cuore. No da ultimo, chi abita a Tolmezzo deve avere una precedenza nelle visite a Tolmezzo o Gemona, come coloro che abitano ad Udine devono averla per le visite presso il Santa Maria della Misericordia o il polo ambulatoriale di via San Valentino, non dimenticando però che il Santa Maria è polo di riferimento provinciale. Ed invece che protocolli diagnostici, la Regione con i direttori aziendali ecc. ecc. studi dei protocolli operativi che ricolleghino territorio al rispettivo polo ambulatorial – ospedaliero, lasciando perdere i cap. Io vi giuro che non so come faccia a districarsi la popolazione di Moggio, con più medici ad orario per stesso servizio, e neppure come facciano i medici! Torniamo ai medici di base, come ai vecchi tempi, almeno ai medici condotti di paese, e si riveda a livello nazionale il contratto, prima di dire che faranno così e colà. Comunque uno non può avere 4 medici di base, e neppure un medico pazienti seguiti pure da 3 colleghi, perché non si capisce più nulla.

Verso la fusione in tre aziende sanitarie? No grazie.

Tre aziende sanitarie? La politica dai tempi di Renzo Tondo presidente della Regione Fvg ha parlato di unificare in un’unica aas la sanità regionale, ora invece si parla di tre aas, ma non si è mai capito cosa significasse ‘unificare’ nello specifico. Perché se si unifica il personale, esso dovrebbe, in provincia di Udine, girare come una trottola dai monti al mare, il che è deleterio ai fini del lavoro, perché in sanità come a scuola, e possibilmente in fabbrica ed in ufficio, i cambiamenti continui stressano il personale, già stressato, in sanità dai turni ecc. È pessima idea una sanità con personale che muta continuamente luogo di lavoro, che diventa un ‘ambulante’. Pensate ad un chirurgo che ora dovrebbe operare qui ora là, quando gli è indispensabile avere stesso strumentista, stesso locale, stessi macchinari a lui noti ecc. ecc.! Inoltre più si accorpa in un unico grande bilancio una somma di realtà che si sono comportate e si comporteranno come hanno sempre fatto, (non per cattiveria ma per principi psicologici relativi ai tempi di adattamento al mutamento), cioè in modo diversificato, più il bilancio diventerà caotico. E più i bilanci si ampliano, comprendendo tante realtà, più si complicano, più rischiano di diventare una torre di babele dove va a finire che chi parla e prosciuga è il più forte. In sintesi non vorremmo, con questo escamotage, che andasse a finire tutto, in provincia di Udine, con una palla al centro, e la morte degli ospedali periferici. (Cfr. nel merito: “Veneto. Presenti sul territorio 68 ospedali. Per gli standard ospedalieri 10 sarebbero a rischio chiusura. Cosa farà la Regione?” La Regione chiuderà tout court questi 10 ospedali o deciderà di mantenerli, svuotandoli comunque in parte e senza più investire in tecnologia e/o in personale? Nell’uno o nell’altro caso, la strada è ancora lunga, vi sarà comunque un malcontento generale che investirà (ed in parte già interessa) non solo medici e personale infermieristico, ma anche i comuni cittadini destinatari del servizio in questione, in: http://www.quotidianosanita.it/veneto/articolo.php?articolo_id=60758).

Cosa fare per ridurre le spese? Uscire dalla regionalizzazione totale della sanità; organizzare i servizi sul territorio ed in un’ottica territoriale, onde rendere gli stessi attrattivi per chi abita in zona e viciniore; studiare bene il problema degli spostamenti dell’utenza; privilegiare per le visite chi abita vicino all’ospedale di riferimento zonale; spedire al governo ed all’Aifa od ad un contesto pluriregionale il problema dei farmaci ad alto costo e per malattie rare che si potrebbero acquistare con una contrattazione sul prezzo, perché più si acquista meno teoricamente si dovrebbe pagare; studiare, con i vicini veneti, la possibilità di creare un unico polo per trapianti, ed accorpare le specialistiche il più possibile, evitare che ogni direttore generale faccia quel che vuole a livello di copertura di servizi. E si deve mantenere il più scorporato possibile, secondo me, come fa l’aas3, il bilancio della sanità da quello socio- sanitario. Insomma bisogna guardare a sei anni fa. Infine bisogna avere talvolta il coraggio di colpire non solo i cittadini ma anche chi non lavora bene all’interno della sanità ove il personale pare unificato in una specie di casta degli intoccabili, facendo pagare a tutti errori di un paio e togliendo fiducia ai servizi. E non crediate che sia pensiero mio personale.

Inoltre io prenderei soldi dal bilancio regionale da mille altre inutili spese, con variazioni di bilancio, e li investirei in sanità. Così farebbe la buona massaia. Ed invece che in piazze inutili, sceglierei di spendere una parte dei soldi per l’edilizia non popolare per finir di pagare il faraonico ospedale nuovo udinese e le manutenzioni necessarie negli altri. E credo pure che i politici debbano abituarsi a spendere meno e meglio i soldi che non escono direttamente dalle loro tasche, e qui per politici intendo anche i direttori generali delle aas, che dovrebbero calibrare bene, da tecnici, fra il necessario ed il superfluo. Perché questo è compito di un dirigente amministrativo e generale, credo: valutare e programmare su dati il più possibile certi. Non da ultimo, sì ad un sistema, peraltro già esistente, che compenetri pubblico e privato, ma andando a verificare cosa il privato di fatto offre, insomma la sua affidabilità.

Per quanto riguarda i laboratori analisi, potevano restare com’erano, e ora non si sa come fare, in verità; a Tolmezzo si deve potenziare la medicina interna che tutto assomma, e riaprirla a Gemona, e io non ho ancora capito cosa siano i presidi ospedalieri tanto voluti da Telesca e dalla vecchia giunta regionale. E servono medici ed infermieri, non un moltiplicarsi di direttori, dirigenti, amministrativi, ed una burocrazia più snella, perché una aas non è un ente per fare gare d’appalto per lavori di edilizia e via dicendo, che la regione può demandare a suoi altri tecnici già presenti, senza moltiplicare le figure, scindendo campi e compiti.  Infine si deve togliere la centrale unica, che non funziona da nessuna parte e riattivare il 118, che l’Europa non ha mai detto di cancellare, e potenziare i punti di emergenza urgenza. E bisogna ricordare che i sistemi sanitari nazionale e regionale hanno una loro funzione specifica, uno scopo, che nessuno può dimenticare, che non è la loro mera sopravvivenza o il quadrare i loro bilanci senza mantenere la qualitàe l’identità.

Queste sono solo alcune mie considerazioni e vorrei che il Presidente Fedriga ed il dott. Riccardi pensassero bene come riformare, non guardando troppo al Veneto, per non distruggere ancora. Scrivo questo come riflessione personale e senza voler offendere alcuno, se erro correggetemi, e scusatemi se l’articolo è come il solito un po’ lungo.

Laura Matelda Puppini  

L’ immagine che correda l’articolo è tratta sopo per questo uso, da: https://www.ansdipp.it/riforma-sanitaria-lombarda-e-lo-strano-caso-del-gestore-guida-conoscerlo-e-non-temerlo.

 

 

 

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