Guardando distrattamente fra i vecchi libri di “casa Plozzer” la casa della mia infanzia e gioventù, casa di gente colta, curiosa, amante della storia locale, imparentata in un modo o nell’altro con preti, socialisti, italianissimi e carabinieri, ho trovato questo libretto che mi ha incuriosito.
Per la verità esso è un saggio, forse già pubblicato in precedenza,  scritto da Bartolomeo Cecchetti, che si intitola: La Carnia. Studi storico-economici, edito in Venezia, nel 1873, presso la tipografia Grimaldo.
Mi sono messa a leggerlo, e, mentre andavo avanti con la lettura, i miei occhi incontravano la storia degli scavi di Zuglio che non conoscevo, e che mi affascinavano. Ma vediamo, per sommi capi, cosa narra Bartolomeo Cecchetti.

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Correva l’anno 1808, e Francesco Maria Richieri, vice Prefetto di Tolmezzo, il 24 agosto scriveva una lunga relazione sugli scavi in Zuglio, condotti dal Signor Commissario di guerra Siauve, con spese proprie e sollecitudine.

Non si riteneva che esistesse, ove si pensava, una vera e propria Basilica, per la «poca grossezza delle muraglie». «Si sono scoperti muri d’un’ala intiera di questa Basilica, o piuttosto d’una galleria e gran vestibolo, che sporgeva in fuori dinanzi a questo edificio immenso, che non bisogna confondere con un tempio, essendo probabile che la basilica di Zuglio fosse uno di quegli edifizii dove i magistrati rendevano giustizia a cielo chiuso, laddove nel foro tenevano le loro sessioni a cielo scoperto. La lunghezza del vestibolo dissotterrato a Zuglio, ed il cui muro esteriore era fiancheggiato da dei pilastri, è di 40 metri e 13 centimetri esternamente, internamente di 38 metri e 51 centimetri: la larghezza interna è di 7 metri ed 85 centimetri». (B. Cecchetti, nota 1 p.132).

Il terreno, sotto cui furono trovati i resti della cosiddetta ‘basilica’, si elevava di due metri e mezzo sopra il pavimento interno dell’antico edificio, formato da lastricato durissimo. Richieri ipotizzava che la sopraelevazione fosse stata causata sia dell’ammasso di terra provocato dalla caduta dell’edificio, sia dalla confluenza in loco, di più torrenti, che discendevano dai soprastanti burroni, trascinando seco materiali.

Egli, inoltre, scriveva di aver visto coi suoi occhi, nella ‘casa comunale’ di Zuglio, mattoni romani, pezzi di marmo di diverse qualità, pezzi di bronzo di varie forme, di cui alcuni sembravano appartenere a degli scudi dorati, altri a degli abiti di statue, ed ancora verghe e foglie d’acanto, ornamenti in bronzo che parevano esser stati di abbellimento a qualche statua. (Ivi, p.133).  Infatti nei pressi della ‘basilica’ erano stati trovati alcuni ‘bucranii’, (crani di bue) utilizzati nei fregi dell’ordine dorico, un piccolo prefericolo (bacinella metallica usata per i sacrifici) di forma elegante, una coppa ed altri ornamenti che, come il prefericolo, erano applicati ad una piccola ara. (Ivi, nota 2 ,p. 133). Ed ancora si erano reperiti: il dito di una statua di donna in grandezza naturale, pure in bronzo, vasi di terra cotta, come per esempio anfore, un mulino a braccia «con tutti i suoi ferramenti», la base di un grande vaso in pietra d’Istria, due enormi artigli di leone, nello stesso materiale, medaglie consunte, di cui una di Antonino Pio, dei pezzi di cemento a terrazzo ad intonacature di muro interno, dipinte in giallo e cinabro, e diversi altri oggetti. (Ivi, nota 2, p. 133 e  pp. 133-134).

Si erano ritrovati, però, anche resti di costruzioni con caratteristiche non romane ma lombarde, e pure: oggetti e chiodi in ferro di diversa dimensione, travi bruciate, masse di piombo fuso, pezzi di muraglie dipinte a fresco risalenti al medio evo,  cubi di mosaico in pietra d’Istria e mattoni, un muro di costruzione romana grosso circa tre metri e mezzo, alcuni frammenti di iscrizioni attribuibili all’era di Augusto imperatore, in uno dei quali si menzionava la presenza, in Zuglio di un ‘edile’, cioè di un magistrato, che rappresentava, forse, la cittadinanza, o forse addetto al tempio. (Ivi, pp. 134-135).

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Per coprire le spese per futuri scavi, il Vice Prefetto di Tolmezzo aveva aperto una sottoscrizione a cui molte autorità civili del Dipartimento, e non solo, avevano aderito. Ma essa era stata sospesa, come di fatto gli scavi, perché il Commissario di guerra Siauve non poteva seguire personalmente l’attività archeologica, ed in modo continuativo, trovandosi lontano. Sottolineava, però, come egli avesse, durante il suo soggiorno in Friuli, raccolto elementi sufficienti per «istabilir la nostra opinione sull’antica e vera situazione del Forum Julii». (nota 2, pp. 133-134).

In una lettera, indirizzata al commendator Teodoro Somenzari, ed oggetto di stampa a Verona, presso la tipografia Maroni, nel 1912, citata da Giuseppe Girardi nella sua, Storia della Fisica, a p. 164, Siauve descriveva, in particolare, una lapide, che lo aveva colpito, la cui iscrizione, completata, si poteva presentare così:

«Herculi Sancto – Sacrum – M. Ogius L.F. Para.
Praef. Collegi – Fabr. et dendr. – signum cum base marm. De suo – imperio posuit – L.D.D.D.

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Correva l’anno 1811, ed il governo austriaco, tanto vituperato, fece eseguire, a proprie spese, in Zuglio, (sorto, pare, inizialmente come municipio romano, per tener a freno l’intera Carnia), ulteriori scavi archeologici, nel sito detto ‘La Basilica’, sotto la direzione di Giuseppe Grassi e del sacerdote Giuseppe Riolini.
Nel 1819 si ritornò a scavare, e si trovarono «parecchie anticaglie per gran parte di bronzo, ed un bell’idoletto, nel luogo detto ‘gli stretti della Bueda’, alle radici del monte di San Pietro. (Ivi, pp. 61-62).

Nel 1819-20, negli atti del Governo austriaco, si trovano già alcuni elenchi di oggetti reperiti a Zuglio grazie agli scavi, od acquistati. In particolare veniva segnalato un inventario del canonico Michele co. Della Torre e Valvassina, che, nel 1820, risultava essere direttore degli scavi voluti dagli Asburgo. (Ivi, nota 3 p. 61).

Nel 1919, sempre secondo Bartolomeo Cecchetti, erano state trovate pure 52 monete, di cui 50 in rame, e due d’argento, tra le quali si potevano notare: alcune dei triunviri monetali, una «bellissima, di Massimiano Erculeo», la più antica di Flavio Vespasiano, risalente al 69 dopo Cristo, altre di C. Luperco ed Adriano. Quest’ultima, sempre secondo il Cecchetti, portava la scritta: « Sacra moneta Aug. et Caes.». (Ivi, p.62 e nota 1, p. 62).
Inoltre si erano reperite: corniole, patere, mascheroni, frammenti di statue.
Furono trovati conii di acciaio: uno di Augusto con attorno alla testa la scritta «CAESAR DIVI. F. COS.II e nel rovescio COL.IVL.KAR.; altri di Tiberio, con la sua testa a destra e l’ iscrizione: «Ti. Caesar Divi Aug. F. Augustus imp. VII p.m.», e di Nerone giovane. (Ivi, p. 63).

Si erano poi recuperate alcune iscrizioni, su pietra e bronzo, i cui originali, però, all’epoca dello scritto del Cecchetti, erano spariti, probabilmente a causa del riutilizzo dei materiali a livello locale.

Una di dette iscrizioni, su bronzo, potè esser completata e compresa, dal dott. Giovanni Battista Labus, grazie alla similarità con due fra quelle custodite al museo di Chiaromonti, in Roma. Successivamente il reperimento di una iscrizione identica ed intera, in Zuglio, (conservata poi presso il museo di Cividale), confermò quanto presupposto dal dott. Labus. (Ivi, p. 62).

Vi era, poi, un’ iscrizione che riguardava la presenza di un mercato (macellum) e da questa si poteva supporre che, in Zuglio, vi fosse stata una piazza ove esso si teneva, e che detto mercato, non più in vigore, fosse stato ripristinato grazie a Falerio Faleriano, con l’approvazione dell’imperatore Marco Aurelio Alessandro. (Ivi, p. 63).

Un’altra iscrizione venne trasferita, sempre secondo Cecchetti, sotto un arco del chiostro dell’Abbazia di San Gallo in Moggio. Secondo l’Asquini detta scritta era relativa ad un intrecciatore di corbe, cioè di grandi ceste con manici, ed egli sottolineava come i mosacensi (abitanti di Moggio, da Moosach) si dedicassero a quest’arte, il che, però, portava ad avere dei dubbi sulla provenienza ‘julocarnica’ della stessa. (Ivi, p. 64 e nota 1 p. 64).

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Francesco Maria Richieri, vice prefetto di Tolmezzo, in una lettera al comm. Teodoro Somenzari, prefetto del Dipartimento di Passariano, datata 26 dicembre 1811, accenna essersi trovati a Zuglio, nei primi scavi, pure alcuni tubi di piombo per acquedotti. «Forse servivano a condurre le acque di Avosacco (un miglio da Zuglio) a certo fabbricato creduto una basilica, ma che era veramente un bagno pubblico» – scrive Cecchetti, senza che si capisca se si tratti di vere e proprie terme.
Ed ancora: una iscrizione recava tracce di una fonte dedicata da Sesto Erbonio, decurione della colonia carnica, alle ninfe augustee, un’altra ricordava un duumviro procuratore dell’imperatore Claudio, che aveva funzione di intendente del tesoro imperiale, e giudice degli aspetti fiscali. (Ivi, p. 64).

Quintiliano Ermacora riferiva, precedentemente, che provenivano da Zuglio e dai villaggi vicini: «Formia (Formeaso), Secia (Sezza), Arta, Nuaria (Nojariis) e Suttrio (Sutrio) altre iscrizioni, di cui una veniva trasferita in Venezia, una posta in un angolo della parrocchiale tolmezzina, a destra, uscendo dalla porta maggiore, mentre altre erano rimaste a Zuglio, fra le quali una all’epoca  ancora visibile nella chiesa dedicata a San Leonardo. (Ivi, p. 65).

Ed ancora: «Si rinvennero anche, colà, frammenti di mosaici, oggetti di marmo, ferro, vetro e bronzo, mescolati ai residui di piombo fuso, d’ossa d’uomini e d’animali, di ceneri e di carboni, il che fece supporre che Zuglio fosse stato incendiato.
Altre anticaglie raccolte nel quartiere di San Pietro, greche e romane, conservano il dott. Gortani di Arta, il dott. Riccardo Milesi, farmacista di Paluzza, e quasi ogni parroco di quei villaggi. Monete e reliquie il cui pregio è quasi affatto locale».  – precisava il Cecchetti. (Ivi, p. 66).
«Dieci monete greche antiche, trovate in Tolmezzo, serba il dott. Gortani, insieme a Romane di Augusto (30 av. Cristo – 14 di Cr.), di Claudio, Vespasiano, Tito, Trajano, Antonino Pio, Marco Aurelio, Aless. Severo, Probo, Diocleziano, e degl’Imperatori greci Eraclio, Costantino II, Costante e Gallieno.
Si trovarono monete di Giordano III a Formeaso, di Probo a Suttrio, di Costanzo a Piano». (nota 1 p. 66).

Secondo Cecchetti, comunque, bisognava, in altri casi, far attenzione che non si trattasse di oggetti relativi a Cividale, essendovi stata, per un periodo, una certa confusione. (Ivi, p. 66).

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Con una lettera datata 26 luglio 1871, Giovanni Gortani informava il Cecchetti di ulteriori nuovi scavi in Zuglio.
Nel corso di uno sterro, diceva, fatto per erigere una casa privata, in vicinanza di un ponte, sopra una riva del fiume But, sul margine della campagna, erano stati rinvenuti, alla profondità di circa 70, 80 centimetri, un salizzo (una pavimentazione sassosa) in cemento fragilissimo; una chiavica, «nel mezzo in muratura», coperta da lastre ed ingombra di terra, larga circa 20 centimetri; qualche osso e qualche pezzo di carbone; quindi si era trovata una seconda pavimentazione più consistente, sovrapposta ad un letto di ciottoli conficcati in uno strato di sabbia, e posta sopra una massa di ceneri alta, nel mezzo, circa due dita.
Al di sotto di questo secondo salizzo, si trovava una seconda piccola chiavica, e, su un lato, un’altra ancor più grande, entrambe composte da lastre. Quella di dimensioni maggiori era chiusa in un involucro di cemento, a mattone pesto e pozzana.
L’interno superiore era formato da sassi e terriccio, «evidente trasporto d’opera umana» (Ivi, p. 69), sotto, invece, si trovava ghiaia ‘vergine’ di fiume.
Ma qui veniva l’interessante. Nei cementi delle due chiaviche maggiori, si reperivano «anse, bocche, e pareti di anfore infrante», in sintesi cocci delle stesse;  sopra il letto di ceneri, invece, si trovava una mensola che pareva meno antica, poi più nulla. Da ciò, il Gortani derivava che quelli erano resti romani di una casa incendiata, «come lo fu forse l’intiero villaggio, dove fra ruderi spesseggiano ovunque i carboni». (Ivi, pp. 69-70).

Francesco Maria Ricchieri, già nel 1808, però, vista la scarsità dei reperti romani in Julium Carnicum, e la presenza di vestigia lombarde, riteneva che lo stesso fosse stato bruciato al tempo del sacco di Aquileia da parte di Attila, e quindi ricostruito più tardi. (Ivi, p. 135).

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Comunque già nel 1782, Niccolò Grassi, parroco di Cercivento e canonico della Collegiata di San Pietro, nel suo: “Notizie storiche della Provincia della Carnia”, scriveva che Zuglio era stata un insediamento romano, descriveva alcune lapidi ivi trovate, poste in ‘casa Morocutti’, e ne dava lettura ed interpretazione. Una di queste, portata poi a Venezia, secondo Quintilano Ermacora rammentava dei restauri ed abbellimenti fatti in due templi: uno, secondo Gian Giuseppe Liruti dedicato a Beleno, l’altro ad Ercole. (Niccolò Grassi, op. cit., pp. 47-52). Sempre secondo il Grassi, si erano trovati in Zuglio molti epitaffi, ma erano stati trasportati o a Tolmezzo o nella Patria del Friuli, in particolare nel castello di Colloredo ed in Udine. (Ivi, p. 57).
Nel 1752 erano stati trovati, sempre  in Zuglio, un’urna cineraria di pietra, grezzamente lavorata, di forma quasi ovale, alta 3 piedi, con un ago di faretra d’oro «lungo ‘una quarta’», e nel suo convesso quattro sigle: «L.AB.L.»;  due idoli in pietra, di cui uno andò rotto e l’altro finì a Venezia; alcune arche sepolcrali, di cui una scolpita in un solo blocco di marmo, e con un segno di croce impresso ai quattro angoli, finita poi a fare da alveo alla fontana di Arta. (Ivi, pp. 58-61).

Ma il Parroco di Cercivento ricordava che anche ‘ai suoi tempi’ era stata trovata un’arca sepolcrale, con all’ interno ossa umane ed un’armatura, poi finita in casa del Signor Pittoni di Imponzo a far da alveo alla fontana della casa. (Ivi, p. 60). Dette arche furono scoperte nella campagna vicino a Zuglio, ove i lavoratori, ai tempi di Niccolò Grassi, trovavano spesso molte pietre sepolcrali, se spingevano la vanga un po’ a fondo, il che fa pensare ad un luogo di sepoltura. Si erano trovate, poi, tubature in bronzo, che potevano esser servite o per portare acqua in città, o per le pubbliche terme. (Ivi, pp, 60-61).

Sempre circa nella seconda metà del Settecento, era stata scoperta una fontana sotterranea nell’orto attiguo alla casa del signor Venturini, e «Veggonsi in Zuglio al dì d’oggi, pezzi di Mosaiche sculture, frammenti di finissimi marmi, di colonne, di cornici, e di altre finissime cose. Qui si sono trovate medaglie di rame, di bronzo, e d’argento in grande copia coll’impronta di vari Imperatori Romani, ed alcune d’oro», e « Pochi anni or sono , quivi si trovarono pezzi di catenelle d’oro, (e) testoline di bronzo». (Ivi, pp.62-63).

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Nel 1752 era stato reperito un soldo d’oro del peso di mezzo Zecchino, colla effige di Giustiniano, Imperatore d’Oriente, che era stato dato in dono alla Signora Anna Linussio. (Ivi, pp. 60-62), e, probabilmente 5 monete galliche, provenienti da Zuglio, erano finite nel museo privato nel N. H. Marchese Antonio conte di Savorgnan. (Ivi, pp. 62-63).

Ma a proposito di monete, nel 1778 si era trovato un conio di acciaio intero, alto 4 pollici, ed arrecante l’ immagine di Tiberio Cesare, e con la seguente iscrizione: «TI. CAESAR. DIVI AVG. F. AVGVSTVS. IMP. VII. P.M.», il che farebbe supporre che in Zuglio ci fosse una zecca. Detta ipotesi veniva confortata dal reperimento, vicino al conio, di frammenti di crogivoli per forgiare monete. Detto conio finì in dono a Mons. Gian Girolamo Gradenigo, che lo lasciò alla Biblioteca Arcivescovile di Udine, ed era però il secondo trovato, essendo il primo stato scavato anni prima. Quest’ultimo era di dimensioni minori, con l’effige di Cesare ancor giovane, e la scritta CAESAR.DIVI. F. COS. II., (Ivi, pp.63-64) ed è quello citato anche dal Cecchetti.

«Molti altri avvanzi di Romane antichità – conclude il Grassi – si veggono nel nostro Giulio Carnico, e molti altri perirono o divorati dal tempo, o per negligenza degli abitanti altrove trasportati. Tuttavia si vanno ancora dissotterrando segni della sua antica magnificenza, benché, considerato il sito dove era eretta quella città, non potea esser di vasta estensione», trovandosi lungo il fiume But, sopra il quale, ove si incontrano i due canali di Incaroio e di San Pietro vi era un ponte di sasso, quadrato e formato da due archi. (Ivi, p.65).

Julium Carnicum aveva il privilegio di avere la Cittadinanza Romana, con voto nella Tribù Velina. (Ivi, p. 68).
Secondo Niccolò Grassi Julium Carnicum era stato creato non tanto per favorire il commercio, quanto per controllare le montagne impervie, e, probabilmente, una parte dei suoi abitanti provenivano da fuori, seguendo una politica di colonizzazione ad assoggettamento all’impero.

E termino qui queste mie due note su Julium Carnicum, tratte da due testi non certo recenti, invitando chi volesse approfondire, a rintracciarli e leggerli.

Laura Matelda Puppini.

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Quest articolo, come gli altri, è coperto da copyright e può esser citato, non integralmente. L’ immagine che lo correda è ripresa da www.familyfvg.altervista.org, e rappresenta una vetrina del MUSEO DI ZUGLIO, CHE SI INVITA CALDAMENTE A VISITARE, sperando che lo dotino al più presto di una ricostruzione della città e della sua storia visibile a computer. Laura Matelda Puppini

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