Ho letto con vero interesse il volume di Vincenzo Compagnone e Paolo Medeossi “Droga in Friuli”, Grillo ed., 1978, che riporta pure uno spaccato della società udinese con i suoi limiti: in particolare il non voler vedere, la sua passività e quel pensiero da destra sonnolenta e retrò che pare l’abbia sempre caratterizzata e che permane.

«Tra le tante notizie allarmanti di questo tremendo inizio 1978 – scrivevano gli autori – i giornali nazionali sembrano dedicarsi con particolare assiduità alla droga. (…). Sembra che appena adesso, in Italia, si stia scoprendo questa piaga […]», [1] sbarcata anche ad Udine e provincia nel silenzio generale.
«Il drogato fa notizia solo quando muore dopo l’ennesima dose di eroina, si evira in preda alle allucinazioni, rapina e uccide per procurarsi il denaro per la droga» [2], – continuavano Compagnoni e Medeossi.  Eppure a quei tempi, più di 40 anni fa, si notava in Friuli un’escalation nell’uso di stupefacenti, fino all’epilogo finale: il primo morto ufficialmente per droga che apriva il sipario su un mondo ed un problema sino ad allora celati.

La notte del 18 gennaio 1975, un giovane, Moreno Venturini, di 19 anni, mentre partecipava con altri ad un droga party in una abitazione privata in via Cicogna ad Udine, moriva per overdose di morfina [3]. E questa morte improvvisa portava alla luce due centrali dello spaccio: una sita nel capoluogo della provincia friulana e l’altra nei paraggi, a Feletto Umberto.
Ma, sempre secondo Compagnone e Medeossi, «Il caso Venturini rimase sostanzialmente fine a sé stesso e non riuscì ad emergere nei suoi veri contorni, che erano quelli della punta di un iceberg che stava mettendo le basi sempre più solide, allargandosi a dismisura sul sempre fertile terreno dell’insensibilità e della colpevole acquiescenza» [4].

Quindi il processo per la morte di Moreno. Ma quando questo terminò, finì anche la curiosità morbosa suscitata dall’improvviso apparire, sulla scena friulana, del ‘mostro’ droga [5]. Del resto in questo Friuli sonnacchioso, apparentemente timorato di Dio, questo nuovo peccato, che rompeva una immagine di perbenismo cittadino, doveva venir ben presto rimosso, per non disturbare una immagine, un’apparenza, quella che non vedeva neppure i fedifraghi, cattolicissimi, celati e tollerati, eppure pare molteplici, come molti violenti fra le mura domestiche.

E questa sparizione dall’attenzione pubblica, assieme al minimizzare il fenomeno droga, non furono certo aspetti favorevoli per affrontarlo.
Ma forse allora era come ora, penso fra me e me, quando molti non si accorgono del silenzio che circonda i temi principali per la nostra terra: il futuro per la montagna, affrontato spesso  solo in convegni di buoni propositi; il degrado ambientale; i danni causati dalle acque svendute e da una politica di rapina territoriale ed al tempo stesso di spopolamento; l’alcool che scorre a fiumi, nuova e vecchia droga legalizzata ora solo per i maggiorenni; la corrosione dei rapporti sociali indipendentemente dal covid;  la politica che non dialoga più ma è autoreferenziale; la Carnia e il Friuli ancora terre di corrieri della droga, di consumo e spaccio.

E per quanto riguarda la droga, tutto si ferma all’articolo su una o l’altra ottima azione dei carabinieri, da ringraziare per il loro impegno, o sull’iniziativa discutibile di un sindaco [6], senza che nessuno approfondisca realmente il problema, che viaggia su un binario parallelo a quello del disagio.
Ma forse Udine, ‘La bella annoiata” come la definisce Gianni Barbacetto [7] ed il suo circondario sono ancora legati, sostanzialmente, ad una mentalità di destra intrisa da cattolicesimo in negativo, che condanna e non aiuta, al mito del “Salt, onest lavoradôr”, che si trova solo sulla carta, alla prassi di “platâ dut il negatîv” per ben apparire, rimandando, quasi sine die, l’affrontare i problemi reali. E come dimenticare che proprio giovani maggiorenni di Udine e San Daniele, nel 2020, avevano inneggiato apertamente allo stupro [8]?

Ma torniamo a Compagnone e Medeossi. Essi sostengono, nel loro volume, a riprova di quanto ho scritto sopra, che nella realtà anche ben prima del 1978 vi erano segni palesi che la droga era sbarcata in Friuli, per esempio a Pordenone, che si trova vicino alla base militare di Aviano. E nel 1975 esisteva già il centro di cura per drogati sito in via Monte Grappa, mentre molti tossicomani dichiaravano che il 1973 era stato l’anno in cui la droga era sbarcata in Friuli, portando con sé il fenomeno dei consumatori che si trasformavano in spacciatori per potersi comperare le dosi successive [9]. Non solo: anche quindicenni iniziavano ad avvicinarsi alla droga «con una semplicità sconcertante: quasi per il fatto di moda o di costume, per non essere da meno degli amici» [10], pensando così di essere magari maggiormente accettati.

Ma, continuano i due giornalisti, dietro quella scelta c’erano personalità segnate da un malessere sociale, da disgregazione familiare, da difficoltà di inserimento nel mondo esterno [11].

Droga e terremoto.

Chi ha scritto ultimamente dei sismi del 1976, a quarant’ anni da quegli eventi che dilaniarono il Friuli, che furono un’esperienza straziante per la gente e che distrussero paesi interi, famiglie comunità e vita, si è spesso limitato ad esaltazione più o meno dovuta dell’opera dei Sindaci del terremoto, dimenticando molti altri particolari, e tra questi l’arrivo in zona di grossi quantitativi di droga, per meglio sopportare, per dimenticare, per perdersi in paradisi artificiali … trasformando una tragedia in un business per qualcuno.

Infatti così scrivono Compagnone e Medeossi nel loro coraggioso volumetto: «Il terremoto del maggio 1976, oltre a paralizzare quell’abbozzo di attività informativa che finalmente incominciava a nascere sul problema droga, […], provocò un altro fenomeno […]. Da altre regioni, ed in modo particolare dalla Lombardia, alcuni centri che si occupavano di riabilitazione dei tossicomani ebbero l’infelice idea di inviare nelle zone disastrate, come volontari, alcuni giovani affidati alle loro cure» [12]. Forse per questo motivo forse no, «nei mesi successivi al sisma, si sviluppò […] un grosso movimento di stupefacenti che investiva per la prima volta in modo massiccio anche la provincia» [13].

Infatti sino ad allora vi era stata solo una diffusione sporadica della droga, legata a luoghi noti, per esempio alcune discoteche [14]. Ma poi, dopo quel terribile 1976, la droga esplose come fenomeno in particolare nella Bassa Friulana e nel territorio che andava da Grado a Monfalcone, e, se, per caso o per fortuna, nel 1977 nessuno perse la vita a causa dell’uso di stupefacenti, molti furono salvati per il rotto di una cuffia, dopo esser stati trovati a bucarsi in un gabinetto pubblico od in un angolo buio.

E come non ricordare, facendo un inciso ed un salto ai tempi moderni, la ragazza trovata morta in un bagno della stazione ferroviaria di Udine, nel dicembre 2018 [15]? Anche in questo caso gli articoli sul fatto si sprecarono, ma nessuno pensò ad approfondire il perché ad Udine girasse droga, vivendo la morte di Alice come un fatto isolato, come un fatto singolo e personale. Ma è proprio così, quando i carabinieri continuano ad arrestare e segnalare giovani e meno giovani dall’ Ampezzano ingiù per spaccio di droga, che implica anche il consumo [16]?

E ci sarebbe da chiedersi se anche ora droga e marginalità non vadano a nozze.

Ma per ritornare Ai primi anni ’70, in quel periodo la droga dilagò anche nei luoghi di villeggiatura, da Lignano a Forni di Sopra, mentre in Italia prendeva piede un po’ dovunque. A questo punto lo Stato intervenne con la legge 22 dicembre 1975, che istituiva pure centri di recupero per tossicodipendenti sul territorio nazionale. Ma in Friuli si giunse davvero in ritardo alla loro realizzazione, scrivono Compagnone e Medeossi [17], facendo magari ipotizzare a qualcuno che «il problema non fosse stato tenuto nella giusta considerazione» [18].

I primi centri per la cura dei drogati ad Udine.

I primi centri per tossicodipendenti ad Udine e Trieste, furono due in tutto, e furono centri periferici che «avrebbero dovuto venir dopo». Il primo di Udine, quello sito in via Monte Grappa, era legato all’ospedale Santa Maria della Misericordia, ed attuò in prevalenza una funzione di smistamento verso il nosocomio di drogati eroinomani in crisi di astinenza [19].
Ma Compagnone e Medeossi sottolineano pure che, quando necessitava il ricovero di un giovane tossicodipendente, non era difficile notare «una certa diffidenza e, quindi, una non completa collaborazione e disponibilità […] nel personale medico e non medico delle divisioni di medicina generale», in particolare in certe situazioni [20].

Ma credo anche ora che in questo Friuli destro- berlusconian -renziano, uno si possa chiedere se non esista in vari ambienti, e forse anche in quello sanitario anche se non così evidente, qualche pregiudizio, qualche ‘stigma sociale’ verso alcune persone accomunate da qualche aspetto, per esempio l’essere obesi.

E proprio il pregiudizio in ambito sanitario verso chi è grasso è già stato documentato in letteratura. «Rispetto all’ambiente sanitario, i professionisti della salute sono indicati tra le principali fonti di stigma (Puhl e Brownell 2006): la ricerca ha identificato, infatti, atteggiamenti negativi in medici, infermiere, dietiste, studenti di medicina e negli stessi professionisti che lavorano nel campo dell’obesità (Puhle Heuer 2009) e dei disturbi del comportamento alimentare (Puhl et al. 2014)» [21].

Ma anche lo stigma in personale sanitario verso i malati mentali trova un suo riscontro pure in tempi recenti.  «Le persone con disturbi mentali gravi hanno un ridotto accesso ai servizi sanitari e ai programmi di prevenzione e ricevono spesso cure più scadenti degli altri cittadini. Queste disuguaglianze, spesso legate allo stigma che accompagna la malattia mentale, sovrapponendosi ai possibili fattori di rischio derivanti da stili di vita non sani sono causa di maggiore morbilità e mortalità», – si legge su:” Lo stigma nei confronti delle persone con disturbi mentali gravi: implicazioni per la tutela della salute fisica e per il sistema sanitario” [22].

E se allora accadeva che qualcuno potesse tirare un sospiro di sollievo nel liberarsi del paziente scomodo e ‘diverso’, talvolta ci si potrebbe domandare se, in modo meno palese, non possa succedere ancora. Ora si fa un gran parlare della violenza in sanità, tanto da chiamare a rinforzo l’Ana, ed il fenomeno certamente esiste, ma nessuno si è mai chiesto se, magari, in sanità, anche qualche paziente non sia stato trattato come minimo discutibilmente.
E che dire poi, della possibilità che un anziano venga lasciato fuori da una terapia intensiva, come accaduto anche recentemente, perché la politica ha tagliato la sanità, e che qualche medico lo abbia anche trovato giusto?

Non solo: Compagnone e Medeossi sottolineano pure come l’uscita del tossicomane dall’ospedale, sia che fosse stato regolarmente dimesso sia che fosse scappato, veniva accolta con un sospiro di sollievo. Ed il paziente allora non veniva avviato in qualche modo alla riabilitazione ed al reinserimento sociale, e quindi il tossicomane si ritrovava nuovamente abbandonato a sé stesso ed ai suoi problemi, finendo spesso e nuovamente con una siringa ed un laccio emostatico in mano [23].

Ma ritorniamo al centro per tossicomani di Udine, istituito in base alla legge del 1975 e sito in via Monte Grappa. Esso contemplava 7 operatori, ma sorse già monco, a causa della rinuncia all’ incarico di un tossicologo e di un’assistente sociale [24].  E di fatto lavorava a tempo pieno solo l’assistente sanitaria, perché il restante personale era presente unicamente per due ore al giorno per tre giorni a settimana [25]. Ed ora siamo forse meglio? In Italia sono stati creati i Sert, che dovrebbero seguire alcolizzati e drogati, che sono tipiche istituzioni collegate al territorio, come i Csm ed i consultori, in via di semi- estinzione. Per esempio il Sert di Gemona del Friuli è stato posto all’interno dell’ospedale, come si evince dall’ indirizzo, ed è aperto a ore: il pomeriggio del lunedì per due ore dalle 13.30 alle 15.30, martedì al mattino 4 ore … e via dicendo, con settimana corta, ovviamente. Inoltre, prima del covid, che ha fermato tante vite, si era nuovamente sentito parlare di ridimensionamento dei Csm e di posti letto per i ‘pazzi’ in ospedale, facendo rivoltare Basaglia nella tomba [26]. E si sa che i Csm spesso deficiano di personale.

Inoltre gli spazi del centro in via Monte Grappa erano davvero angusti, ed erano formati da una stanza per la segreteria, una per i colloqui individuali, una per le riunioni, ma, secondo Compagnone e Medeossi, ebbe almeno la virtù di non essersi mai trasformato, come accaduto in altre parti di Italia, in un mero distributore di droghe legali, cioè di metadone [27].

I due autori di “Droga in Friuli”, dopo aver narrato del centro creato ad Udine in base alla norma nazionale, passano a parlare dell’esperienza del centro solidarietà giovani di don Davide Larice [28], allora trentenne sacerdote, nato ad Ovaro nel 1940.

Il modo in cui il giovane sacerdote venne in contatto con il mondo della droga è davvero singolare. Egli era allora giovane cappellano presso la parrocchia di Ampezzo, in Carnia. Mentre svolgeva il suo compito sacerdotale, venne a sapere che un giovane del luogo, recatosi a Colonia in Germania, aveva scritto alla madre: «Io mi drogo». La madre, scioccata, aveva rifiutato il figlio, che però era pure in rapporto epistolare con don Larice. Il prete cercò di convincere la donna a scrivere al figlio, ma lei non voleva. Allora don Larice preparò la lettera e la invitò a firmarla: “Tua mamma”.  Così il ragazzo, convinto dell’amore materno, tornò a casa e, dopo sei lunghi e difficilissimi mesi, riuscì ad uscire dalla dipendenza. Quindi si sposò e andò con la famiglia a vivere all’estero [29].

Successivamente don Larice partì, accompagnato da alcuni giovani, per un viaggio attraverso l’Europa, con sacco a pelo e senza comodità alcuna, per sperimentare, per conoscere, per far conoscere le traversie della vita. Infine ritornò ad Udine, la “bella annoiata”, «una città pulita, cattolica, buona, che però nasconde nel sottobosco una malavita paragonabile, una volta fatte le dovute proporzioni, a quella delle grandi città italiane» [30], anche se allora non si parlava ancora di “mafia a nord- est” [31].

Ed infine creava, nel 1973, un suo centro di solidarietà, il primo, in un’ala abbandonata del Convento dei Padri Cappuccini di Via Ronchi ad Udine, che, pur essendo una soluzione disagevole e precaria, accoglieva una dozzina di giovani, tutti con situazioni di disagio esistenziale, ai quali, con l’aiuto di alcuni volontari, cercò di offrire temporanea ospitalità, tentando di riallacciare i loro rapporti con la famiglia e di inserirli nel mondo del lavoro e nella scuola. Questa fu allora l’unica struttura udinese che si configurò come un ‘ambiente protetto’ per la rieducazione dei drogati. Infatti mancavano, non solo in Friuli, ambienti, indirizzi, programmi per un’azione efficace e duratura di disintossicazione e reinserimento per i giovani che si erano portati ai margini della società a causa dell’uso di stupefacenti.

Per capire i drogati – diceva allora don Davide – si deve pagare di persona, fare l’esperienza di stare loro vicino nei momenti difficili. Ma anche la storia di aiuto al prossimo di don Larice fu intessuta di incomprensioni pure con la chiesa, poi rientrate [32]. Nel 1975 veniva creata, in via Zuglio, l’Associazione Centro Solidarietà Giovani, che cercava pure di sensibilizzare le persone sul problema droga attraverso un’azione culturale. Successivamente veniva creato il centro di prima accoglienza e così via, sino a quanto realizzato negli anni dal 1987 al 2000 ed oltre [33].

Ma non fu tutto facile. Quando don Larice creò il suo centro di solidarietà, si accorse che «la gente bene non voleva guardare in faccia la realtà». «Abbiamo dormito per terra. Molti rifiutarono di aiutarci, anche le suore. Solo una persona caritatevole, alla vigilia di Natale, ci regalò delle lenzuola. Mangiammo una volta sola al giorno per 3 mesi, e a turno. Con me c’erano 20 ragazzi» – racconta don Davide. Ad un certo punto il gruppo cercò di inserirsi frequentando pure il Cineforum ma «quando arrivavamo noi, gli altri si spostavano, cambiando sedie, allontanandosi» [34] – prosegue il sacerdote. Ed egli ebbe dei veri collaboratori che furono coloro che gli stettero vicino e lo sostennero continuativamente, ed erano «medici, avvocati, gente semplice» [35], non certo quelli che venivano a trovare i ragazzi qualche volta, per chiedere loro come si chiamavano e da dove venivano. «Quelli sono soltanto i visitatori di uno zoo» [36] – sosteneva il prete.

Poi vennero i contributi comunali e regionali, le attività si moltiplicarono ed infine don Larice fu premiato, proprio quando stava per lasciare la vita attiva nella sua comunità e stava per ritirarsi a causa dell’età, non senza aver fatto presente alcuni problemi: la nostra società è una società rapace che vuole i giovani in balia di strumenti che li isolano e li rendono facile bersaglio di chi vuole lucrare sulle loro debolezze; coloro che cadono nella trappola della droga sono sempre più giovani; è tornata in auge l’eroina; giungono al centro anche giovani che stanno assumendo metadone, ed il disagio prospera anche tra chi è povero o non ha una famiglia che possa badare a lui.

«Dove sono le altre istituzioni, la politica in primis, che deve favorire i rapporti all’interno della famiglia senza costringere i genitori a orari sregolati, ma anche la scuola e la Chiesa? – sbotta don Larice – Anche la legge alle volte non aiuta: ci sono casi in cui tutela solamente i minori che non possono essere toccati e non dà nessuno strumento agli educatori che devono farli crescere». Invece i giovani hanno bisogno di affetto e riconoscimento anche dei loro limiti» [37].

 Anche l’alcool è una droga.

Le ultime righe del volume di Compagnone e Medeossi “Droga in Friuli”, sono dedicate all’alcool, il cui abuso dilagava già allora in Friuli, ponendolo ai vertici della classifica nazionale. Inoltre proprio il Friuli aveva il triste primato dei morti per cirrosi epatica, quasi sempre dovuta all’uso smodato di bevande alcoliche. E secondo il dott. Peressoni, dell’allora ospedale psichiatrico di Udine, era davvero difficile disintossicare un alcolizzato, perché dopo la cura, invariabilmente, egli torna nel suo ambiente, e spessissimo riprende a bere [38].

Da decenni in Friuli vino ed alcoolici sono corsi a fiumi, ed ora forse la situazione è un po’ migliorata grazie alla legge nazionale n. 48 del 18 aprile 2017, che vieta di vendere e servire alcoolici a chi non ha 18 anni.

Anch’io, quando facevo attività all’isis ‘F. Solari’ di Tolmezzo, ho predisposto, nell’anno scolastico 2005- 2006, assieme al medico Giorgio Ferigo, una piccola dispensa da dare ai ragazzi, dopo aver discusso con loro l’argomento, che si intitola: «Alcol e giovani. Perché, oggi, i ragazzi alzano troppo il gomito?». Essa è leggibile su: https://www.nonsolocarnia.info/, ed i ragazzi l’hanno ricevuta con interesse. Invece a me è parso più difficile affrontare l’argomento con alcuni adulti, anche persone di cultura. Ed un giorno ho sentito dire da un docente che, se bevi al mattino fa male, ma alla sera si può fare. [39].

 E per finire …

E per finire, so che gli autori ebbero anche qualche grana dopo l’uscita del volume, che era solo un’inchiesta, ben documentata, su un fenomeno emergente.

Ho posto su nonsolocarnia queste mie considerazioni seguendo il filo del volumetto, datato, di Compagnone e Medeossi, ma interessante e ricco di spunti anche attuali, per parlare del Friuli odierno, senza voler offendere alcuno, ed attendendo commenti, ma anche per riprendere l’interessante esperienza di don Larice ai suoi albori.

Laura Matelda Puppini

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Note.

[1] Vincenzo Compagnone e Paolo Medeossi, Droga in Friuli”, Grillo ed., 1978, p. 7.

[2] Ibidem.

[3] Ivi, p. 23.

[4] Ivi, p. 24.

[5] Ibidem.

[6] Il riferimento è all’azione promossa in periodo pre – elettorale da Francesco Brollo, da me criticata nel mio: “Droghe, sballo, nichilismo, lotta al narcotraffico ed allo spaccio. Perché no all’iniziativa del sindaco di Tolmezzo”, in: www.nonsolocarnia.info.

[7] Gianni Barbacetto. Udine rivoltata. La bella annoiata si concede a Salvini, in: Il Fatto Quotidiano, 8/3/2018.

[8] Tavolo in discoteca a nome ‘Centro stupri’, sconcerto per l’iniziativa di sette giovani friulani, in ilfriuli.it, 24 giugno 2020. Nell’ articolo si legge che la prenotazione dei tavoli per una festa a Lignano, fatta da giovani di Udine e San Daniele era stata fatta con il nome “centro stupri”, riportata pure sul segnaposto, e su telefriuli si sottolineava anche che i giovani erano giunti nel noto locale indossando magliette con quella dicitura. (Inneggiano allo stupro, la penna di Selvaggia Lucarelli cala su un gruppo di friulani, in: https://www.telefriuli.it/cronaca/). Si noti che i giovani poi si difesero su twitter inneggiando ai lager e alimentando odio razziale. (Centro stupri, perché non basta chiedere scusa, in: https://www.udinetoday.it/cronaca/).

[9] Vincenzo Compagnone e Paolo Medeossi, op. cit., p. 27.

[10] Ibidem.

[11] Ivi, p. 28.

[12] Ibidem.

[13] Ibidem.

[14] Dai miei ricordi anche una discoteca carnica, mi pare proprio negli anni settanta, fu chiusa per un periodo perché era luogo di spaccio e consumo.

[15] Alice, 16enne morta per overdose nei bagni della stazione di Udine: arrestato presunto pusher. In: https://www.fanpage.it/attualita/, 21 dicembre 2018.

[16] Cfr.i vari articoli nel merito per esempio su diversi numeri del Messaggero Veneto del 2019.

[17] Vincenzo Compagnone e Paolo Medeossi, op. cit., p. 33.

[18] Ivi, p. 34.

[19] Ibidem.

[20] Ibidem.

[21] Daniele Di Pauli et al., Atteggiamenti e opinioni nei confronti dell’obesità e delle persone obese negli psicoterapeuti in formazione cognitivo comportamentale, in: Cognitivismo Clinico (2015) 12, 2, 69-77, in: https://www.apc.it/wp-content/uploads/2013/03/01DiPauli15-2P.pdf. Cfr., poi, sempre di Daniele Di Pauli: Pregiudizi nei confronti dell’obesità, in: C:\Users\User\Documents\donne e pregiudizio\Pregiudizi nei confronti dell’obesità – Disturbi del comportamento alimentare.mht. In questo articolo si può leggere che «La letteratura riporta episodi di pregiudizio nei confronti delle persone obese effettuati da medici, infermieri, dietiste, studenti medicina. Questo potrebbe significare un enorme svantaggio per le persone affette da obesità che cercano un trattamento per gestire la loro condizione.
Uno studio su 400 medici ha evidenziato che descrivevano i pazienti obesi come: non collaborativi, aventi scarsa igiene, disonesti, poco intelligenti e poco volenterosi (Klein, D; et al; 1982).
Una ricerca sulle infermiere ha riportato che il 24% provava repulsione nei confronti dei pazienti obesi, mentre il 12% preferiva non avere contatti (Bagley, CR et al; 1989). Altri studi su infermiere hanno confermato che tendono ad avere un’immagine del paziente obeso negativa e poco collaborativa (Hopper, R; Ordgen, J; 1997).
Un altro studio evidenziò che gli studenti di medicina riportavano i seguenti giudizi nei confronti dei soggetti obesi: cattivi, goffi, senza controllo (Blumberg, P; 1980) (Keane, M; 1990). Il dato interessante fu che queste attitudini non si modificarono dopo le otto settimane di giro nei reparti in cui furono a stretto contatto con pazienti affetti da obesità.
Nel 2003 Schwartz studiò le opinioni sui pazienti obesi in medici e ricercatori che si erano recati ad un convegno sull’obesità (Schwartz et al; 2003). Anche questo studio ha trovato la presenza di una generale stigmatizzazione verso le persone obese, in particolare gli intervistati più giovani avevano un maggiore atteggiamento di discriminazione, segnale che indica un progressivo aumento del pregiudizio nei confronti delle persone obese».

[22] Lorenzo Magliano, Antonella Piazza, Lo stigma nei confronti delle persone con disturbi mentali gravi: implicazioni per la tutela della salute fisica e per il sistema sanitario, in: https://www.politichesanitarie.it/archivio/2894/articoli/29182/.

[23] Vincenzo Compagnone e Paolo Medeossi, op. cit., pp. 34-35.

[24] Ivi, p. 35.

[25] Ibidem.

[26] Cfr. https://www.nonsolocarnia.info/gianpaolo-carbonetto-fvg-disagio-mentale-e-sociale-basaglia-smantellato-dalla-regione/.

[27] Vincenzo Comapgnone e Paolo Medeossi, op. cit., p. 36.

[28] Per la vita di don Davide Larice cfr. https://www.assmelograno.org/new/e107_files/downloads/2014_premio_friuladria_a_don_larice.pdf. Nel 2019 a don Davide Larice è stato conferito il sigillo della città di Udine per l’impegno, la dedizione e la passione profusi nell’occuparsi dei giovani più fragili. (https://www.ilfriuli.it/articolo/tendenze/udine-premia-don-davide-larice/13/211733).

[29] Vincenzo Compagnone e Paolo Medeossi, op. cit., p. 44.

[30] Ivi, p. 45.

[31] “Mafia a nord- est” è il titolo di un noto volume di Luana De Francisco, Ugo Dinello, Giampiero Rossi, edito da Rizzoli nel 2015.

[32] Vincenzo Compagnone e Paolo Medeossi, op. cit., p. 43.

[33] https://www.assmelograno.org/new/e107_files/downloads/2014_premio_friuladria_a_don_larice.pdf.

[34] Vincenzo Compagnone e Paolo Medeossi, op. cit., p. 45.

[35] Ibidem.

[36] Ibidem.

[37] Don Larice: «Al Centro solidarietà giovani l’età media degli ospiti si è abbassata», in: Messaggero Veneto, 8/10/2018.

[38] Vincenzo Comapgnone e Paolo Medeossi, op. cit., p. 53.

[39] Il testo della dispensina è stato ripreso anche dal CUFRAD, ente specializzato per la cura degli alcolismo, e da asaps.it..

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Sull’argomento ‘droga’ ricordo anche i miei:

Droghe, sballo, nichilismo, lotta al narcotraffico ed allo spaccio. Perché no all’iniziativa del sindaco di Tolmezzo. in: www.nonsolocarnia.info, 3 ottobre 2018 e

Giovani e nichilismo, da “L’ospite inquietante” di Umberto Galimberti con qualche aggiunta, in: www.nonsolocarnia.info, 20 luglio 2019.

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L’immagine che correda l’articolo è la scannerizzazione della copertina del volume di Compagnone e Medeossi. L.M.P.

https://i0.wp.com/www.nonsolocarnia.info/wordpress/wp-content/uploads/2021/03/droga-in-friuli-535-scaled.jpg?fit=717%2C1024&ssl=1https://i0.wp.com/www.nonsolocarnia.info/wordpress/wp-content/uploads/2021/03/droga-in-friuli-535-scaled.jpg?resize=150%2C150&ssl=1Laura Matelda PuppiniETICA, RELIGIONI, SOCIETÀSTORIAHo letto con vero interesse il volume di Vincenzo Compagnone e Paolo Medeossi “Droga in Friuli”, Grillo ed., 1978, che riporta pure uno spaccato della società udinese con i suoi limiti: in particolare il non voler vedere, la sua passività e quel pensiero da destra sonnolenta e retrò che...INFO DALLA CARNIA E DINTORNI