Ricevo da Daniele Oian, e, con il suo permesso, pubblico. Si tratta di quanta autonomia potrebbero avere le regioni a Statuto Speciale, con la riforma Boschi – Renzi. Credo che bisogni fare chiarezza sull’argomento. Laura Matelda Puppini.

« La modifica del Titolo V.

Alcune considerazioni.

–  La revisione del titolo V° della Costituzione comporta due modifiche sostanziali: la scomparsa delle province (già peraltro ridefinite dalla legge Del Rio del 2014) e il ri-accentramento nelle mani del governo della gran parte delle competenze che la riforma del 2001 assegnava alle Regioni.
Viene soppressa la competenza concorrente tra stato e regioni, cresce, rispetto alla Costituzione vigente, l’elenco delle materie di competenza esclusiva dello stato, “riportando alla potestà del governo materie quali: la tutela dei beni culturali, l’ordinamento delle professioni, il governo del territorio, la produzione e distribuzione dell’energia, le infrastrutture strategiche di interesse nazionale (porti, aeroporti) e le grandi reti di trasporto e di navigazione…” (l’articolo 117 mette in fila 21 grandi capitoli) tutto il potere urbanistico spetterà allo stato, l’assistenza sociale spetterà allo stato, la tutela del paesaggio spetterà allo stato, tutta l’ecologia, la tutela ecologica, spetterà allo stato, saranno di competenza esclusiva dello stato. Vi è una inversione radicale, si modifica alla radice quello che è il disegno regionalistico. Le modifiche riaccentratrici riducono di fatto l’autonomia dei territori e delle regioni a statuto ordinario.

E in ogni caso, solo per le regioni a statuto ordinario, l’art. 117 della riforma precisa che comunque lo stato, su proposta del governo, può esercitare la CLAUSOLA DI SUPREMAZIA STATALE in quanto “può intervenire in materie non riservate alla legislazione esclusiva quando lo richieda la tutela dell’unità giuridica o economica della Repubblica, ovvero la tutela dell’interesse nazionale”.

Quindi con la “clausola di supremazia” il governo, per salvaguardare l’interesse nazionale se è davvero in gioco l’unità giuridica ed economica del paese, potrà intervenire in qualunque materia di competenza delle Regioni, passando sulla testa delle popolazioni locali nella gestione del territorio, sotto l’etichetta di opere di interesse nazionale o simili.

Sarà infatti il Presidente del Consiglio e il suo Governo, quali che essi siano oggi e domani, a decidere dove ad esempio fare o meglio: imporre, un inceneritore o un aeroporto: senza possibilità di appello. È nei fatti: il “combinato disposto” modifiche costituzionali all’art. V – filosofia brutale dello Sblocca Italia, ovvero:”mani libere per il cemento e bavaglio alle comunità locali”. Per ricordare il motto dello Sblocca Italia è lo stesso della Legge Obiettivo di Berlusconi, cioè: «Padroni in casa propria». Dove il “Padrone” è il governo. “Un motto dalla genealogia dirigistica che ben riassume l’idea di poter disporre del territorio come padroni.”

Un trattamento speciale viene invece riservato dalla riforma alle 5 regioni a statuto speciale alcune di queste sono fra le più chiacchierate, in quanto rientrano spesso nelle cronache giudiziarie per fatti che riguardano direttamente o indirettamente le loro amministrazioni. “Questa riforma riprende le disparità regionali attraverso una norma che dice che tutte le disposizioni in materia di regioni, non relative alla composizione del Senato, non si applicano alle regioni speciali ed alle province autonome di Trento e Bolzano. Si applicheranno quando si modificheranno i loro statuti, cosa che si farà con leggi istituzionali apposite “sulla base di intese con le medesime regioni e province autonome”. Ma questo implica che al Parlamento non basti una legge di revisione costituzionale per modificare lo statuto siciliano, ma deve chiedere prima il permesso alla Sicilia, e così alla Sardegna e via dicendo. Risulta molto improbabile che le regioni interessate accettino diminuzioni di poteri. E anche la clusola di supremazia non si applicherebbe alle Regioni a statuto speciale. Ma ha senso tutto ciò? Se c’è un interesse nazionale, se è davvero in gioco l’unità giuridica ed economica del paese, perché questa disparità?” Tuttavia l’ex Presidente della Corte Costituzionale Valerio Onida, in conferenza a Udine nei giorni scorsi (ottobre 2016) ha testualmente affermato che “se la davvero riforma dovesse passare, prima o poi, anche le regioni Speciali dovranno adattarsi al nuovo regime regionale”.
Infatti le regioni a statuto speciale e le province autonome di TN e BZ dovranno comunque rivedere, seppur d’intesa con il governo, i loro statuti. Senza però specificare tempi, modalità, contenuti, tutti rimandati a seguenti decisioni prese di comune accordo.

Disposizioni relative all’autonomia decisionale regionale  dalla legge Renzi – Boschi, che modifica la Costituzione, sottoposta a referendum  

Nelle Disposizioni Transitorie della deforma Renzi-Boschi articolo 39, comma 13 si legge: «13. Le disposizioni di cui al capo IV della presente legge costituzionale non si applicano alle Regioni a statuto speciale e alle Province autonome di Trento e di Bolzano fino alla revisione dei rispettivi statuti sulla base di intese con le medesime Regioni e Province autonome. A decorrere dalla data di entrata in vigore della presente legge costituzionale, e sino alla revisione dei predetti statuti speciali, alle Regioni a statuto speciale e alle Province autonome si applicano le disposizioni di cui all’articolo 116, terzo comma, ad esclusione di quelle che si riferiscono alle materie di cui all’articolo 117, terzo comma, della Costituzione, nel testo vigente fino alla data di entrata in vigore della presente legge costituzionale e resta ferma la disciplina vigente prevista dai medesimi statuti e dalle relative norme di attuazione ai fini di quanto previsto dall’articolo 120 della Costituzione; a seguito della suddetta revisione, alle medesime Regioni a statuto speciale e Province autonome si applicano le disposizioni di cui all’articolo 116, terzo comma, della Costituzione, come modificato dalla presente legge costituzionale.»

All’ articolo 116, terzo comma, si legge:
«Ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia, concernenti le materie di cui all’articolo 117, secondo comma, lettere l), limitatamente all’organizzazione della giustizia di pace, m), limitatamente alle disposizioni generali e comuni per le politiche sociali, n), o), limitatamente alle politiche attive del lavoro e all’istruzione e formazione professionale, q), limitatamente al commercio con l’estero, s) e u), limitatamente al governo del territorio, possono essere attribuite ad altre Regioni con legge dello Stato, anche su richiesta delle stesse, sentiti gli enti locali, nel rispetto dei princìpi di cui all’articolo 119, purché la Regione sia in condizione di equilibrio tra le entrate e le spese del proprio bilancio. La legge è approvata da entrambe le Camere, sulla base di intesa tralo Stato e la Regione interessata».

All’articolo 117, terzo comma, si legge:
«Su proposta del Governo, la legge dello Stato può intervenire in materie non riservate alla legislazione esclusiva quando lo richieda la tutela dell’unità giuridica o economica della Repubblica, ovvero la tutela dell’interesse nazionale.” Una volta raggiunta l’intesa, su base paritaria, fra Regioni/Province autonome e governo, “ad approvarla dovrà essere il Parlamento, e in particolare quel Senato delle autonomie in cui saranno maggioranza schiacciante i rappresentanti delle Regioni Ordinarie, non certo teneri rispetto ai maggiori poteri delle Speciali, vissuti come privilegi. Ogni senatore potrà proporre emendamenti all’intesa, che la maggioranza potrà approvare a suo piacimento».

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Allora, riassumendo …

Svariate funzioni in capo alle regioni ordinarie saranno riaccentrate, sono fatte salve le 5 regioni speciali e le province autonome. Alle quali non sarà applicata la clausola di supremazia statale. Tuttavia queste regioni/province autonome dovranno d’intesa comune con il governo, rivedere i loro statuti, si presume adeguandoli ai cambiamenti costituzionali apportati dalla riforma. Gli statuti modificati dovranno poi essere votati, ma potranno prima essere ulteriormente modificati da emendamenti dalle Camere. In una specie di lotta territoriale/partitica al ribasso ci si aspetta che al Senato i sindaci-senatori e i consiglieri Regionali-senatori delle regioni a statuto ordinario IMPALLININO (salvo ordini di partito contrari) gli statuti delle regioni speciali, seppur già riveduti e corretti assieme al governo. Ne deriverà un ulteriore probabile addomesticamento a scopo livellatore degli statuti esaminati.

INSOMMA, le regioni speciali rischiano seriamente la perdita di specialità nei due passaggi (governo prima e parlamento poi) per cui se si vuol parlare di “regioni-stati” (http://www.libertaegiustizia.it/2016/10/25/cinque-superstati-le-regioni-speciali/),  ci si affretti, se passa la riforma, sarà verosimilmente per poco. Se invece come ci auguriamo vince il NO e la riforma non passa, non ci saranno MAI regioni-stati.

Un ulteriore colpo alle Regioni speciali e sempre sul trend riaccentratore della riforma, viene dalla modifica all’articolo 119: l’autonomia finanziaria delle Regioni deve rispettare «quanto disposto dalla legge dello Stato ai fini del coordinamento della finanza pubblica». Questo vuol dire che non assisteremo più a patti fra Presidenti di regione speciale e Ministri dell’Economia; il governo, sulla compartecipazione delle Regioni speciali al gettito di tasse e tributi, potrà decidere da solo, senza apparente intesa. Andiamo verso la fine delle regioni speciali se “il governo centrale potrà effettivamente svuotare «dal di dentro» qualsiasi autonomia speciale, facendo leva sulla finanza, specie se la Costituzione riformata gli darà il potere di farlo autonomamente (art. 119 riforma) senza neanche bisogno di una intesa formale.”

Un altro rischio di ridurre ulteriormente il ruolo del Senato e quindi delle autonomie regionali, in una posizione marginale è quello sulle proposte di modifica delle Proposte di Legge effettuate dal Senato e già approvate dalla Camera dei Deputati, quest’ultima infatti si pronuncia in via definitiva sulla PdL e sulle eventuali modifiche. In questo caso il Senato risulta avere un ruolo puramente consultivo (Riforma, art.70 “Formazione delle leggi”). Ricordo invece il passaggio dell’articolo 5 della vigente Costituzione che assicura ampie competenze delle autonomie locali: “La Repubblica, una e indivisibile, riconosce e promuove le autonomie locali; attua nei servizi che dipendono dallo Stato il più ampio decentramento amministrativo;…). Il neo-centralismo statale insito nella riforma, è ulteriormente negativo in un contesto di complessiva riduzione degli spazi di partecipazione democratica e di rappresentanza politica. E in ogni caso: “Il dichiarato intento di ridurre il contenzioso fra Stato e Regioni viene contraddetto perché non si è preso atto che le radici del contenzioso medesimo non si trovano nei criteri di ripartizione delle competenze per materia, che non possono mai essere separate con un taglio netto, ma piuttosto nella mancanza di una coerente legislazione statale di attuazione…”

In questo contesto anche le città metropolitane, organiche con comuni e regioni alla nuova composizione della Repubblica, come da riforma Titolo V art.114 art.29, sono 15 non sono assolutamente definite chiaramente, nè sono chiare le risorse di cui possono disporre, e neppure i loro poteri.

Daniele Oian

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A queste interessanti considerazioni, aggiungo alcune mie considerazioni, perchè alcuni aspetti non sono chiari.

Mi chiedo, per esempio, come la salvaguardia della specialità delle 5 Regioni Speciali, che verranno normate in modo diverso da quelle ordinarie, non modifichi l’art. 5 (non il titolo V°- seconda parte) della prima parte della Costituzione, che così recita: «La Repubblica, una e indivisibile, riconosce e promuove le autonomie locali; attua nei servizi che dipendono dallo Stato il più ampio decentramento amministrativo; adegua i principî ed i metodi della sua legislazione alle esigenze dell’autonomia e del decentramento». Ma Renzi Boschi e soci hanno sempre detto che non intendono modificare i primi 12 articoli della Costituzione.

Inoltre mi chiedo come la revisione del titolo V non implichi la modifica anche dell’art. 3 – prima parte – della Costituzione, sempre compreso fra i primi 12 che Renzi, Boschi ecc. dicono di non voler modificare: «Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali». Infatti chi abita nelle regioni ordinarie si potrebbe poi considerare uguale a chi vive nelle regioni speciali?

Infine come potrebbe essere ancora considerato “il popolo” sovrano, come da articolo 1 – prima parte- che così recita: «La sovranità appartiene al popolo, che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione», se chi è sovrano, da ora in poi, pare sarà il Governo?

Per quanto riguarda le grandi opere, esse spesso non implicano una regione sola, ma interessi di più regioni e gruppi economici, e possono attraversare più regioni. Che si farà quando, per esempio, si dovrà decidere per l’autostrada Amaro  – Cadore, dato che il Cadore è in Veneto? Deciderà lo Stato o la Regione Fvg.?

Inoltre basta guardare la rete pubblicata dall’Europa di inserimento dell’elettrodotto Wurmlach – Somplago, per capire che non si sa chi possa decidere nel merito. Sinora è il no dell’ Austria, che io sappia, che impedisce la sua costruzione.

PRIMA DI VOTARE SÌ VI PREGO, INFORMATEVI BENE.  

Laura Matelda Puppini

L’immagine che correda l’articolo,  è tratta solo per questo uso, da: “http://www.sinistraroma9.it/2016/09/03/referendum-sulla-riforma-costituzionale-lanpi-vota-no/.

 

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