Anche quest’ anno siamo giunti al grande appuntamento con Legambiente Fvg, che evidenzia buone pratiche che rispettano l’ambiente e pratiche che, per la nota associazione ambientalista, non sono davvero da sostenere. E vediamo a chi, questa volta, sono state attribuite le bandiere verdi e nere. Ed a questa riga di presentazione, aggiungo che io, vi garantisco, ho letto queste schede con interesse e curiosità. Laura Matelda Puppini.

«BANDIERE VERDI.

Bandiera Verde al Comune di Pinzano per gli interventi di manutenzione e ripristino del paesaggio.  

Per chi, da tempo, è convinto che la vera e prioritaria “grande opera” di cui ha bisogno il  nostro Paese sia la cura e la manutenzione del territorio, ogni iniziativa, per quanto  piccola, avviata o realizzata in questo campo rappresenta un fatto positivo, non solo per l’utilità dell’intervento in sé, ma per la possibilità di venire imitata e per far comprendere a tutti quello che di positivo si potrebbe ottenere estendendola su larga scala. Questo è ancora più vero dopo un periodo, come quello appena trascorso, in cui ognuno è stato chiamato “a fare la sua parte”.

Il caso che vogliamo segnalare è quello realizzato a Pinzano al Tagliamento, ai piedi delle Prealpi, dove la sinergia tra l’Amministrazione Comunale, il volontariato e l’imprenditoria locale legata a produzioni di qualità ha permesso di recuperare il paesaggio tradizionale e di valorizzare alcuni siti di interesse storico.
Il “Modello Pinzano” – se così possiamo chiamarlo – costituisce un esempio di economia auto-sostenibile, un progetto di valorizzazione territoriale e paesaggistica, attuato nelle località di Col Pion, Colle del Castello di Pinzano, Parco del mulino di Borgo Ampiano e nella confluenza tra i corsi d’acqua Arzino e Tagliamento: tutte aree attraversate dal percorso CAI 822, che si estende per 9 km attorno al paese di Pinzano.

Il progetto, pensato dal vicesindaco Emiliano De Biasio e dall’architetto Andrea Bernava, è suddiviso in tre fasi differenti, ossia: conversione a prato, mantenimento e restauro paesaggistico. La prima fase è stata attuata grazie al contributo dei numerosi volontari, che hanno dedicato il loro tempo libero alla bonifica delle aree sopracitate dalla vegetazione aliena, che rendeva difficile apprezzare strutture storiche come il Sacrario Germanico presente sul Col Pion.
Per la seconda fase ci si è avvalsi, invece, della collaborazione dell’azienda agricola locale “Capramica”, la quale provvede allo sfalcio meccanico nelle aree pianeggianti, come il parco del mulino di Borgo Ampiano, ricavando il fieno per foraggiare le capre. Nelle aree collinari, infine, è stata adottata una soluzione più originale ed economica, sono infatti le capre stesse a provvedere al mantenimento della condizione di prato. Dopo essere state monitorate per un consistente periodo di tempo, necessario a capire il loro fabbisogno, sono ora lasciate pascolare tutto l’anno sia nel Colle del Castello sia nel Col Pion, prevenendo la comparsa di nuova vegetazione.
La collaborazione sociale tra pubblico e privato affiora anche nella terza fase del progetto: la valorizzazione del paesaggio in un’ottica di “agopuntura extraurbana” è stata effettuata grazie al contributo di un laboratorio di micro-progettazione, costituito da volontari di tutte le età, che hanno utilizzato dei bancali di scarto per la costruzione di panchine, poi installate in posizioni strategiche, per permettere di godere appieno della vista che si ha dai colli di Pinzano.

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Bandiera Verde al Consorzio delle Valli e Dolomiti Friulane per la costruzione di un modello cooperativo che, coinvolgendo realtà produttive, istituzioni locali e residenti, cerca di coniugare valore economico e sociale con il rispetto dell’ambiente.

Il Consorzio delle Valli e Dolomiti Friulane nasce nel 2017, come risultato del dibattito sviluppatosi all’interno del “Forum dei Beni Comuni e dell’Economia Solidale del FVG”.
Questa realtà oggi conta sull’adesione di ben 25 aziende agricole, zootecniche e forestali, distribuite nella montagna pordenonese dalla Val Cellina alla Val d’Arzino.
Gli obiettivi a cui il Consorzio mira e sui quali ha iniziato ad agire sono diversi. In primo luogo esso si propone di intraprendere un processo di salvaguardia delle poche realtà che ancora resistono in contesto montano, sviluppando la consapevolezza del ruolo strategico che, per quanto piccole, esse rivestono, non solo dal punto di vista produttivo ma anche da quello dei servizi che possono offrire alla comunità di riferimento.
Come conseguenza di questo convincimento vengono, da un lato, lo sforzo di promuovere la cooperazione tra aziende e filiere per la costituzione di un distretto rurale di economia solidale in area montana e, dall’altro, la volontà di collaborare con le comunità per la definizione di un nuovo patto comunitario che unisca residenti storici e nuovi abitanti, con un’attenzione particolare alle persone svantaggiate.

Uno dei primi passi è stata, così, la ricerca di nuovi mercati, sensibili alla valorizzazione di prodotti di qualità, realizzati in un contesto sostenibile sotto il profilo sia ambientale che sociale. Particolare attenzione è stata data poi alla formazione, all’inclusione (agricoltura sociale) e alla cura del territorio e del paesaggio.
All’interno del Consorzio opera un organismo di consulenza e formazione, che permette all’ente di qualificarsi anche come polo capace di fornire assistenza tecnica. Inoltre la collaborazione con l’Ambito Distrettuale ha consentito di sviluppare azioni di inclusione socio-lavorativa a favore di persone svantaggiate e di migranti ed altre azioni di supporto ritenute utili allo sviluppo di un sistema di welfare unitario (one welfare), che metta in relazione uomo, animale, ambiente.
Per quanto riguarda il mantenimento del mosaico paesistico va ricordata l’attività di un gregge di circa un centinaio di capi che in estate mantiene vivo il pascolo di Malga Rest (Tramonti di sopra), mentre nel periodo autunnale e primaverile pascola a quote più basse, in aree non adatte allo sfalcio meccanico. Tramite questo pascolamento permanente è possibile preservare a prato-pascolo tutte quelle piccole superfici che stanno via via scomparendo a causa di un progressivo imboschimento.

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Bandiera Verde a: Rete di imprese “FriulDane” per le buone pratiche di gestione territoriale e forestale delle aree interne.

La rete FriûlDane nasce nel dicembre 2016, aggregando otto imprese friulane della filiera bosco-legno con il preciso scopo di utilizzare, realizzare, promuovere e valorizzare prodotti importanti in abete bianco.
Da subito vengono riunite aziende che operano in tutti i diversi segmenti (boscaioli, segherie di prima e seconda lavorazione, commercializzazione e promozione, servizi tecnologici ed amministrativi di supporto) e si ottiene la condivisione del progetto da parte di alcuni Comuni proprietari di boschi (Ampezzo, Forni di Sopra, Forni di Sotto, Paularo, Ravascletto e Sauris). La Rete si propone di lavorare e immettere sul mercato prodotti ad altissima sostenibilità ambientale operando sulla certificazione del legname e degli aderenti secondo lo schema PEFC, sulle caratteristiche fisico-meccaniche specifiche dell’abete friulano, sulla conoscenza e controllo, ai fini della loro riduzione, delle emissioni climalteranti dei cicli standard di produzione. La certezza della provenienza del materiale (trasparenza verso il cliente) viene assicurata da uno specifico logo e da un Regolamento interno che ne stabilisce e controlla sia l’uso che le transazioni ai fini della tracciabilità dei materiali. Dal 2017 la Rete aderisce al Forum Internazionale Weisstanne, associazione europea di sostegno e promozione dell’abete bianco con sede in Germania e allargata ad Austria, Svizzera e Francia.

Quello della Rete FriûlDane è un progetto pilota di filiera “efficiente”, a basso impatto ambientale e con ridotte emissioni di CO2 (anche con l’utilizzo degli scarti di produzione a scopi energetici). Esso è particolarmente importante in quanto: punta a stabilizzare l’occupazione nelle imprese aderenti, assicurando un costante e sufficiente rifornimento di materiale da lavorare in un momento in cui gran parte del tondo prende la via dei mercati esteri (Austria in primis); valorizza una essenza ritenuta, erroneamente, secondaria in quanto a qualità tecnologica e prestazionale, evidenziando quanto, in molti usi, sia pari, se non migliore, dell’abete rosso; rafforza la presenza sul mercato delle imprese locali, sviluppando rapporti di solidarietà territoriale ed attuando i principi dell’economia circolare; consente la realizzazione di prodotti innovativi sia per gli aspetti strettamente tecnologici (ad esempio: resistenza alle intemperie; capacità di mantenere il proprio colore naturale, igroscopicità, compattezza), che per gli aspetti di processo (l’abbattimento, durante la sospensione del periodo vegetativo e durante la fase lunare corretta, avvia un processo di stagionatura naturale e permette di esboscare tronchi già in parte stagionati in loco, ottenendo poi in segheria tagli di eccellente qualità, stabilità e durata temporale).

Tradizione ed Innovazione: questo è in sintesi il cuore della nuova iniziativa. Tradizione come recupero di una cultura boschiva piena di saperi e di magisteri antichi. Innovazione come utilizzo di attrezzature e soluzioni tecnologiche atte a garantire maggior sicurezza sui luoghi di lavoro, capacità di proporre al mercato prodotti in legno massiccio, integrale, massello e lamellare, attenzione al processo produttivo.
​A seguito della Tempesta Vaia, FriulDane ha promosso un’azione solidale, mettendo in vendita dei “taglieri” ricavati da abeti bianchi caduti e destinando una parte del ricavato a favore del Comune friulano più colpito. Oltre 16.000 pezzi venduti e oltre 80 mc di tronchi di abete bianco recuperati sono un successo davvero inatteso.

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Bandiera Verde al Comune di Tramonti di Sotto per un progetto di “rinascita” contro la marginalizzazione.

Nel Parco delle Dolomiti Friulane, In una delle valli più lontane dal capoluogo provinciale, dove uno storico abbandono è testimoniato dalla presenza di veri e propri paesi fantasma, la comunità locale dimostra di voler reagire. A Tramonti di Sotto, ad esempio, l’Amministrazione Comunale, con la partecipazione del volontariato, ha deciso di percorrere una strada nuova per la sua rinascita, puntando sull’arte e sulla rigenerazione urbana. La sinergia tra Amministrazione e associazioni si è esplicata nella realizzazione di alcune interessanti iniziative che hanno permesso di rilanciare una località che rischiava di essere dimenticata. Tra queste spiccano “Art in Val”, “Fest in Val” e l’adesione del Comune, come partner, al progetto europeo “STREAM”.

Il festival “Art in Val”si è svolto nel luglio 2017, fondendo arte ed espressioni artistiche in una sorta di museo a cielo aperto. Numerosi sono stati i workshop organizzati durante le giornate di svolgimento, in modo da dare spazio a tutte le forme di espressione artistica. “Fest in Val” è un evento che si svolge nel periodo di agosto con un tema conduttore che cambia ogni anno. Nel 2017, ad esempio, il filo rosso era l’artigianato come arte da preservare e conoscere. Nel 2018 protagonisti dell’evento sono stati i canti e i balli tradizionali accompagnati da laboratori artistici ed escursioni nella valle, proprio per far conoscere, a chi non vive nelle zone limitrofe, la bellezza incontaminata della natura tramontina.

L’adesione come partner al progetto “STREAM” è sicuramente l’idea più ambiziosa e di spessore operata dalla piccola località. Scopo di tale iniziativa è la rigenerazione urbana dei paesi di montagna mettendone in risalto le potenzialità culturali ed artistiche nell’ottica di renderle appetibili come mete turistiche. Questo proposito viene attuato promuovendo residenze per artisti nella zona, recuperando spazi ed edifici pubblici, organizzando inoltre dei workshop aperti a tutti su tecniche di pittura oltre all’esposizione di opere artistiche.

L’ultima iniziativa intrapresa dall’Amministrazione, con la stretta collaborazione dei cittadini, vede la costituzione di una “comunità di progetto”, ovvero una modalità nuova e singolare in cui l’intero universo locale viene chiamato a progettare il proprio futuro. Il particolare clima di condivisione ha favorito già l’insediamento di nuovi cittadini che, in alcuni casi, hanno avviato nuove attività nel territorio del comune; ne è un esempio l’apertura, in un edificio di proprietà pubblica, di un negozio di alimentari di cui la valle era sprovvista.

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BANDIERE NERE.

 Bandiera Nera all’Amministrazione Comunale di Pontebba per il sostegno dato ad un progetto privato di sfruttamento idroelettrico del fiume Fella.

Chi sperava che la diffusa “protesta dei pesci d’acqua dolce” andata in scena lo scorso 25 gennaio e la “seria riflessione” indotta dal lungo periodo seguito alla pandemia avessero portato ad un cambiamento e ad una maggiore attenzione per le problematiche ambientali, a partire dal settore idroelettrico, forse si illudeva. Se prendiamo ad esempio quello che sta accadendo in Friuli V.G. in queste settimane verrebbe da dire che tutto è rimasto “come prima” o, addirittura, continua “peggio di prima”. L’assalto alle risorse non ancora derivate, prosegue, infatti, sia sui piccoli corsi d’acqua alpini – come il rio Siera, in Val Pesarina, che nasce nelle vicinanze dell’omonimo passo, a circa 1600 m. slm – sia sul fondovalle, come nel caso del Fella, un fiume celebrato, soprattutto un tempo, per il colore delle sue acque.

Questo, che è il principale affluente del Tagliamento, ha, alla confluenza, una portata superiore a quella del ricevente, privato, dall’inizio degli anni Sessanta, di quanto serve ad alimentare il Lago di Verzegnis e la Centrale idroelettrica di Somplago. Del grande piano di sfruttamento del bacino montano del Tagliamento, predisposto dai tecnici della SADE e attuato in una prima fase per la Carnia Occidentale e poi per la Carnia Centrale, al momento della nazionalizzazione dell’energia elettrica restava ancora sulla carta solo la parte relativa alla Carnia Orientale e al Canal del Ferro. L’emozione seguita al disastro del Vajont convinse l’ENEL a soprassedere per qualche anno, evitando di creare, come titolò il geologo Lucio Zanier nel suo libro, altri “misfatti”. Nel 1975, però, il progetto della Centrale di Amaro, che prevedeva la creazione di un bacino artificiale sul versante settentrionale del monte Amariana alimentato dalle acque del Fella, del Chiarsò e di numerosi rii minori, fu ripreso nuovamente in mano e venne presentato ufficialmente. Dopo una nuova “pausa”, dovuta allo “sconquasso” dei terremoti del 1976, per tutta la metà degli anni Ottanta il progetto, caldeggiato dal Presidente della Regione Biasutti, fu al centro dell’attenzione di amministratori e abitanti della montagna, suscitando dibattiti, divisioni e nette prese di posizione.

Due, in particolare, furono i momenti decisivi di questa battaglia: la clamorosa protesta organizzata dai circoli culturali, dalle segreterie carniche dei partiti politici e dalle associazioni dei pescatori sportivi a Trieste, il 29 gennaio del 1983, in occasione della conferenza regionale sull’Energia, e la votazione, dall’esito imprevisto, con cui anche l’Assemblea della Comunità Montana della Val Canale-Canal del Ferro, seguendo l’esempio di quella della Carnia e di molti Comuni, espresse il 29 novembre 1986 un parere contrario nei confronti dell’opera. Se abbiamo ricordato questi precedenti e la storica decisione presa proprio a Pontebba è perché oggi, in località San Rocco, nello stesso punto in cui la SADE e l’ENEL avevano previsto la captazione del Fella, una ditta privata (la Società Idroelettrica Fella srl) intende realizzare una nuova centrale.

Certo, si tratta di un’opera meno impattante rispetto ai grandi impianti del passato, ma guidata dalla stessa logica. Essa allontanerebbe definitivamente l’obiettivo di qualità ecologica previsto dalla direttiva acque, che per il Fella dovrebbe passare dall’attuale “sufficiente” a “buono” entro il 2027. È perciò grave che l’Amministrazione Comunale, abbagliata dalla possibilità di ottenere qualche introito, non solo abbia emanato decreti di esproprio nei confronti del Consorzio dei beni delle Comunioni Familiari di San Leopoldo, subito contestati, ma non abbia esitato a schierarsi in sede di TAR a sostegno della ditta proponente.

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Bandiera Nera alla Direzione Centrale Risorse Forestali della Regione FVG per i progetti di nuove strade forestali spesso ingiustificate e pesantemente  impattanti.

Le strade forestali costituiscono indubbiamente un’infrastruttura indispensabile per poter assicurare un moderno utilizzo del patrimonio boschivo. Le immagini girate da Dante Spinotti alla fine degli anni Settanta, in occasione della realizzazione del filmato “La Carnia Tace”, sono oggi solo un documento struggente e restano una testimonianza di quella che era la dura vita dei boscaioli in passato. La vicinanza ad una viabilità adeguata non è però una condizione sufficiente per poter operare, come dovrebbe capire anche chi non perde occasione per lamentarsi che il bosco sta ormai “chiudendo i paesi”.Come avevamo già evidenziato – citando i professori Livio Poldini e Michele Gortani – in occasione della motivazione di una bandiera nera assegnata nel 2017 sempre in questo campo, è dunque fondamentale tenere conto dei luoghi in cui ci si trova ad intervenire. Il versante meridionale delle Alpi Carniche, con il suo clima particolare, la sua morfologia e per le caratteristiche dei suoli, è molto diverso da quello delle valli della Drava e del Gail e i suoi boschi, ai quali si assegna anche una indispensabile funzione di difesa idrogeologica, richiedono tecniche più complesse e hanno conseguentemente costi di utilizzo più elevati.

Per questi motivi chi decide o autorizza la realizzazione di strade forestali con l’impiego di considerevoli risorse pubbliche dovrebbe essere particolarmente attento all’analisi dei costi e dei benefici. La costruzione di queste opere non deve infatti compromettere la stabilità dei versanti; può comportare notevoli e continue spese per la manutenzione, delle quali si deve tenere conto; può essere al servizio di ambiti da cui si può estrarre poca quantità di legname o essenze di scarso valore; può, infine, sovrapporsi o interferire con una rete di mulattiere e sentieri esistenti e rischia così di banalizzare l’ambiente naturale ed il paesaggio di luoghi che hanno un grande interesse dal punto di vista turistico. Le decisioni che vengono prese anche in questo settore, dunque, dovrebbero essere equilibrate e non sottostare alle pressioni particolari di chi può ricavarne un vantaggio.

Negli ultimi tempi, forse a causa della necessità di utilizzare risorse già stanziate o del ritardo accumulato nella predisposizione e nell’analisi dei progetti, sembra che agli organismi regionali sia venuto a mancare questo necessario “equilibrio”. Citiamo alcuni casi che riguardano opere già approvate, o addirittura appaltate o ancora in corso di esame: la strada forestale che dovrebbe collegare il rifugio Chiampizzulon (in Comune di Rigolato) con Malga Tuglia, per innestarsi con un tracciato proveniente da Cima Sappada, attraversando boschi di larice ed ambiti di rara bellezza. Il “raccordo” tra il rifugio Marinelli (il più alto della regione) e la strada proveniente da Casera Plotta. L’opera – da decenni ripetutamente e motivatamente bocciata dalla Regione – si sovrapporrebbe all’esistente mulattiera (segnavia CAI n. 148), aprendo la strada al transito di moto, quad e fuoristrada. Sempre in questa zona sono state proposte: una “variante” alla strada che sale verso Casera Val di Collina (per la quale è già stata finanziata la sistemazione di alcuni tratti danneggiati) che creerebbe un “doppione” a poche decine di metri di distanza; un tracciato di scarsissima utilità, lungo circa 2 km che collegherebbe le Casere Val di Collina e Collina Grande; l’allargamento della carreggiata esistente nei pressi di Casera Collina Grande e un nuovo tratto di 1 km sui pascoli per Casera Plotta. Infine, sul versante settentrionale del Monte Amariana è prevista una strada forestale fortemente voluta dal Comune di Amaro.

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Bandiera Nera al Servizio Idraulica della Regione FVG per gli interventi di “protezione civile” sui corsi d’acqua montani.

 Cos’è un fiume? La lettura di questo bel libro di Monika Vaicenaviciené, in concorso per l’assegnazione del Premio Andersen, sarebbe utile a tutti, ma andrebbe raccomandata, in particolare, a quei politici, funzionari regionali ed ingegneri che hanno progettato, approvato e realizzato i recenti interventi “urgenti” di “protezione civile” sui corsi d’acqua montani della regione.
Ad essere interessato è stato in particolare il bacino del Tagliamento, un fiume studiato ormai da anni da scienziati e università provenienti da mezzo mondo e preso a modello, per le sue caratteristiche, per interventi di rinaturalizzazione di altri corsi d’acqua alpini. Le costose opere di movimentazione e sghiaiamento da poco realizzate, od ancora in corso, come, ad esempio, sul torrente But, hanno come effetto il livellamento della superficie dell’alveo, con la creazione di un canale centrale per lo scorrimento delle acque: tutto l’opposto, cioè, di quei “canali intrecciati”, caratterizzati da diverse velocità di deflusso e fonte di biodiversità, che spettacolari riprese aeree ci hanno fatto ammirare in tanti documentari e trasmissioni televisive.
Gli interventi sono stati eseguiti senza passare il vaglio di uno screening ambientale, senza che venissero predisposti studi e analisi sugli aspetti naturalistici, in assenza anche di una relazione idraulica che mettesse in evidenza lo stato di fatto e la situazione futura.

In sostanza si è banalizzato un fiume, considerandolo semplicemente come un contenitore inclinato in cui scorre un liquido che trasporta e deposita materiali solidi e non come un ecosistema complesso, ricco di habitat e di specie vegetali e animali particolari (come la trota marmorata e lo scazzone), morfologicamente vario, legato alla storia, alla presenza degli insediamenti umani ed elemento fondamentale del paesaggio….
Dubbi, però, solleva anche l’utilità di questi interventi ai fini della sicurezza. Basti pensare che, mentre si provvedeva all’estirpazione di ogni tipo di vegetazione, è stata invece “tollerata” la riproposizione di uno sbarramento trasversale, lungo quasi 400 metri, alto 3 e largo dai 6 ai 10 metri, realizzato anche con l’utilizzo di grossi massi di scogliera, immediatamente a valle delle Terme di Arta, allo scopo di convogliare l’intera portata del But verso un canale che alimenta una centrale idroelettrica. Una specie di diga, che, in occasione della tempesta Vaia, aveva probabilmente contribuito all’innalzamento del livello delle acque ed all’erosione della riva destra, con la distruzione di un tratto della pista ciclabile regionale n. 8 e di alcuni ponti di legno.

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Bandiera Nera alla Parrocchia di Zuglio e Ministero dei Beni Culturali per la mancata tutela del Colle e della Pieve di San Pietro.

Salendo da Tolmezzo in direzione del confine austriaco non si può non notare la presenza di alcune antiche chiese, che sorgono, isolate, su dei colli ai lati opposti della valle. La più imponente è quella di San Pietro, che sovrasta il paese di Zuglio, la romana Julium Carnicum , già sede vescovile. Sorte in epoca alto medievale, dove in precedenza si trovavano delle torri di avvistamento, queste chiese offrono una vista spettacolare e custodiscono preziose opere d’arte. La Pieve Matrice di San Pietro, in particolare, si fregia di questo appellativo per il ruolo che ha avuto nella diffusione del cristianesimo in Carnia e continua ad ospitare ogni anno, in occasione della Festa dell’Ascensione, una suggestiva cerimonia – il Bacio delle Croci – che testimonia della sua importanza. Centinaia di fedeli (e non solo), provenienti dalle varie località, salgono a piedi fino al prato del Pian della vincule, recando le croci astili delle rispettive chiese, abbellite da nastri colorati e fiori. Qui, prima della Messa, schierate in cerchio, vengono chiamate una alla volta per rendere omaggio con un inchino e un “bacio” alla croce della Pieve di San Pietro.

Quando, una decina di anni fa, un progetto di elettrodotto aereo transfrontaliero, proposto da alcuni industriali friulani, rischiava di minacciare, con tralicci alti oltre cinquanta metri, la bellezza di questi luoghi, Legambiente fu tra i soggetti che, in sede di procedura di VIA, segnalarono con maggior decisione l’assurdità di tale opera e gli ingannevoli rendering fotografici presentati. Per sensibilizzare l’opinione pubblica della regione, vennero anche organizzate delle visite guidate con la presenza di esperti. Così, vinta la battaglia contro l’elettrodotto, quando, a due-tre anni di distanza, siamo ritornati a visitare il colle e la Pieve di San Pietro, siamo rimasti ancora più sorpresi e scandalizzati per tutta una serie di interventi nel frattempo eseguiti direttamente o con l’assenso della Parrocchia di Zuglio.

Oltre alla discutibile asfaltatura della stradina di accesso al Pian della vincule, ci ha colpito la realizzazione lungo la stessa di una appariscente via crucis, costituita da una quindicina di blocchi regolari in cemento di abbagliante colore bianco, ognuno dei quali contiene un’opera in ceramica e delle targhe con l’indicazione dell’artista e una dedica.
Senza voler entrare nel merito della qualità delle opere realizzate e del valore dei loro autori, questo intervento appare decisamente fuori luogo rispetto al contesto. Altrettanto fuori luogo, una volta giunti ai piedi dell’ultimo tratto della salita alla Pieve, sono altre “installazioni”: alcuni tondini in metallo, infissi nel terreno e recanti dei “cuori” con i nomi di coppie di sposi e una specie di “edicola” contenente lavori in stile moderno realizzati da allievi di alcuni istituti scolastici della zona. “Dulcis in fundo”, ormai alla soglia della Pieve di San Pietro, si nota l’“imbrattatura” con vernice rossa dei bordi dei gradini in pietra delle scalinate.
Quest’ultimo sconcertante atto sarebbe motivato dalla necessità di evitare inciampi e cadute ai frequentatori. Non si tratta, dunque, solo di interventi “stonati” o, nel caso della verniciatura della scalinata, al limite del vandalismo, ma di opere prive di una specifica autorizzazione in un sito vincolato dalla Soprintendenza dal 2009. A seguito della pubblicazione sul principale quotidiano locale di un articolo corredato da foto, il Nucleo per la Tutela dei Beni Culturali dei Carabinieri ha aperto di propria iniziativa un’indagine, di cui non si conosce l’esito. Da parte nostra abbiamo provveduto a segnalare il caso alla locale Soprintendenza alle Belle Arti, senza peraltro ottenere risposta. Sarà per colpevole “disattenzione” o sarà questa una conseguenza dei tagli al personale operati in passato dal Ministero?»

Testo pervenutomi, con permesso di pubblicazione, dal Presidente di Legambiente Carnia, Marco Lepre.

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L’immagine che accompagna l’articolo, già da me utilizzata in: nonsolocarnia, è tratta da: https://www.buongiornonatura.it/bandiere-verdi-e-nere-di-legambiente-alpi/, ed è stata da me elaborata. Lmp.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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