Il 5 giugno 2019 compariva su “Il Piccolo” di Trieste un articolo intitolato: “Il Comune di Trieste sceglie piazza della Borsa per la statua dedicata a D’Annunzio” di Giovanni Tomasin in cui si annunciava la costruzione di una statua in bronzo dedicata a Gabriele D’ Annunzio che lo mostra seduto su di una panchina a leggere un libro, della non certo modica cifra di 20.000 euro, da collocarsi nella notissima piazza della Borsa, quasi che il Vate avesse avuto a che fare con gli affari italiani, cosa anche credibile ma non certo per farli andare a buon fine, visto quanto lo Stato Italiano potrebbe aver speso solo per cacciare lui ed i suoi quattro da Fiume, abusivamente occupata.  Infatti quest’ anno cade proprio il centenario della trasgressione fiumana, che non vorremmo ora essere benedetta da qualche servitore dello stato, della Regione, e degli Enti locali.
Immediatamente gli animi si surriscaldavano e si creava un fronte a favore dell’iniziativa ed uno contro.

L’11 giugno 2019 sempre Il Piccolo pubblicava un articolo di Fabio Dorigo intitolato: “Scatta la petizione popolare contro la statua di D’Annunzio a Trieste”, in cui si leggeva che l’ipotesi della statua, di cui già esistevano due copie in altre città, aveva sollevato un nugolo di proteste, ed era stata aperta una sottoscrizione per il ‘no’ che aveva raggiunto, in quella data, già 1100 firme. “Il Vate non c’entra con la città” era frase che circolava tra gli oppositori al monumento, mentre non pochi ricordavano le frasi contro gli slavi di Gabriele D’ Annunzio. (https://ilpiccolo.gelocal.it/trieste/cronaca/2019/06/11/news/scatta-la-petizione-popolare-contro-la-statua-di-d-annunzio-1.33561420).

Il 16 giugno 2019 compariva, sul Messaggero Veneto un articolo intitolato: “D’Annunzio cacciato da Trieste, quella statua è un autogol” di Andrea Zannini, docente di storia dell’Università di Udine, in cui egli, dopo aver sottolineato che «Ci si accapiglia a Trieste per la statua a D’ Annunzio», senza però precisarne i motivi, continuava dicendo che, a suo avviso «con buona pace di chi ritiene che le ideologie non esistano più, non c’è in realtà da stupirsi che qualsiasi cosa che ha che fare con la storia del Novecento finisca in polemica» confondendo, secondo me, la critica ad alcune posizioni politiche ed analisi storiche con la polemica. Quindi passava ad esaltare le opere letterarie di D’Annunzio, la cui figura, però, non è solo collegata ai suoi scritti ma anche alla sua azione politica, come per esempio l’occupazione di Fiume, ed al suo sapersi costruire una immagine pubblica. Relativamente al legame tra Trieste e D’ Annunzio, il docente dell’Università udinese riconosceva che detto legame non pareva presente nei testi letterari del ‘vate’, ma non si poteva dimenticare il suo impegno per portare l’Italia verso la prima guerra mondiale che aveva ‘redento’ Trieste, e quindi meritava una statua in città. Ora che il professor Zannini scambi per un valore la prima guerra mondiale, con il suo corredo di migliaia di morti fra i militari ed altrettante migliaia di morti fra i civili, mi pare un po’eccessivo, e lo scrivo senza se e senza ma. Inoltre il Zannini si spinge ancora più in là e scrive, relativamente alla statua, che forse si sarebbe potuto porre la stessa  «sulle Rive a guardare verso quella Pola su cui compì i raid aerei o verso la baia di Buccari teatro della proverbiale ‘beffa’».  E qui sono io a sgranare gli occhi, leggendo simili affermazioni, ma concordo con Zannini quando dice che D’Annunzio è conosciuto per i suoi raid e per la beffa di Buccari, ma decontestualizzati dagli scenari in cui avvennero, più che per le sue poesie, che invero possono, anche a mio avviso, ormai interessare pochi amatori od essere propinate a qualche più o meno annoiato studente delle superiori.

Ciò non toglie che a qualcuno possano piacere: mi ricordo infatti che mio zio Umberto Plozzer, quando ero bambina, mi recitava spesso “La pioggia nel pineto” che egli riteneva molto bella, ma mi ricordo pure che, quando chiedevo ai miei genitori od ai miei nonni chi fosse Gabriele D’Annunzio, il suo autore, le bocche restavano cucite, dato che non lo ritenevano, temo, un’espressione di pubbliche virtù e di specchiata moralità. 

Infine Zannini ricorda come, a Fiume, il periodo di dittatura del D’Annunzio fu caratterizzato non solo dal culto del capo indiscusso, cioè del D’ Annunzio stesso, ma anche dal libero amore in ogni forma, dall’arditismo e dal sindacalismo rivoluzionario, dal suffragio universale, dal divorzio e dalla cocaina, per i suoi seguaci italianissimi.  Ma si dimentica di dire che D’Annunzio, quale “Comandante della città di Fiume”, aveva applicato ivi il codice militare contro chiunque professasse sentimenti ostili all’Italia, il che significava che chiunque, in particolare slavo, poteva esser incarcerato od ucciso per un nonnulla, e che, dando l’assalto a Fiume, D’ Annunzio aveva compiuto una «spettacolare azione di brigantaggio internazionale», come precisa giustamente Denis Mack Smith a p. 390 del suo “Storia d’Italia”.

Il 17 giugno 2019, Gigi Bettoli pubblicava su www.storiastoriepn.it, un articolo intitolato “Dimenticare D’Annunzio?”, in cui così si esprimeva nel merito dell’ipotesi di costruire una statua a D’Annunzio a Trieste: «Non condivido l’iniziativa di Resistenza Storica, […] Una cosa sono le iniziative della destra nazionalista triestina, che ci ha abituato ad ogni enormità riguardo al delicato, discutibile e mobile confine orientale d’Italia. Altra cosa è l’impresa fiumana del 1919; altra cosa ancora è fare un monumento a D’Annunzio, che ha vari motivi per suscitare antipatie (ad iniziare dall’estetica). Ma non credo, al di là della scarsa simpatia intellettuale, sia intelligente ed utile lasciare D’Annunzio e Fiume ai fascisti ed ai nazionalisti, visto che – soprattutto a Fiume – c’è stato anche molto altro», come per esempio la libertà dei costumi, e invitava alla lettura del volume di Claudia Salaris “Alla festa della rivoluzione. Artisti e libertari con D’Annunzio a Fiume” (Gigi Bettoli, op. cit.).

A quale iniziativa di Resistenza storica si riferiva Gigi Bettoli? Non è molto chiaro dall’articolo ma il 19 giugno 2019 radio Capodistria riportava un pezzo di Stefano Lusa e Barbara Costamagna intitolato: “La statua a D’Annunzio? Una chiara operazione politica altro che omaggio al poeta” che riferiva di un incontro promosso da Claudia Cernigoi e da Resistenza storica, tenutosi a Trieste per «analizzare l’iniziativa del Comune e cercare di capire come organizzare una protesta organica. Per la Cernigoi, infatti, quella della statua a D’Annunzio è una chiara operazione politica che vuole ricordare una figura che, esulando dalla sua opera letteraria, per i suoi tratti biografici e caratteriali può “piacere solo ai fascisti” e che con la sua impresa fiumana rappresenta posizioni razziste ed imperialiste, che furono espresse con “un atto di pirateria”. (https://www.rtvslo.si/capodistria/radio-capodistria/notizie/friuli-venezia-giulia/la-statua-a-d-annunzio-una-chiara-operazione-politica-altro-che-omaggio-al-poeta/492506). In quel contesto, Piero Purich sosteneva che D’Annunzio era stato «un uomo molto bravo a gestire la sua immagine sui media dell’epoca», ma era stato anche un “trapoler” che aveva collaborato a mandare a morire migliaia di italiani con i suoi appelli alla guerra; mentre alcuni del pubblico avevano ricordato che anche i suoi scritti nulla avevano a che fare con Trieste. (Ivi).

Ma anch’ io non solo ho aderito alla petizione lanciata su change.org contro la costruzione della statua, solo la cui posa pare potrebbe costare 20.000,00 euro, ma avevo motivato il mio no in due commenti all’ articolo di Gigi Bettoli citato, che qui ripropongo.

Il 18 giugno 2019, così scrivevo: «Caro Gigi, non mi pare che la discussa figura di Gabriele D’ Annunzio debba venir ricordata con un monumento né a Trieste nè in altro luogo. (…). E spero si sappia che D’ Annunzio non è assolutamente figura da proporre ai giovani come esempio.
Gabriele Di Annunzio condusse una vita lussuosa e dissoluta, prediligendo, tra l’altro, più i salotti alla moda che le aule universitarie, e sperperando quanto lasciatogli in eredità dal padre adottivo. Amò molte donne di alto rango, fu condannato per adulterio, diffuse il mito del maschio amante perfetto, e sposò una giovane nobile, con matrimonio riparatore, pare anche per il suo patrimonio, ma fu sempre osteggiato dal suocero. Fuggì a Parigi non potendo pagare i debiti, pure di gioco, accumulati in Italia. Fu salvato dai debiti contratti anche in Francia da Luigi Albertini direttore del Corriere della Sera che lo inviò come corrispondente del quotidiano milanese sul fronte francese nel 1914. In questa veste incominciò a sostenere l’entrata in guerra dell’Italia, a fianco della Francia, voluta da Salandra e Sonnino. (Si dice che per questo motivo venne tolto il sequestro dai suoi beni e risultarono pagati i debiti). Rientrò quindi in Patria, ove capeggiò schiere di interventisti che picchiavano ed impedivano, pure, gli incontri e le manifestazioni dei neutralisti. Tale fu il suo incitamento alla guerra che il 141º e il 142º reggimento della brigata Catanzaro, ricevuto l’ordine di tornare sul Carso, nel luglio 1917, si ammutinarono al grido “abbasso la guerra, morte a D’Annunzio, viva la pace”. Partecipò con azioni anche propagandistiche ed auto celebrative alla prima guerra mondiale e quindi occupò arbitrariamente, con un gruppo di 2600 “legionari” al suo servizio Fiume, in collegamento con Mussolini, facendo le prove generali dello stato fascista. Fu cacciato da Fiume dallo stesso esercito italiano il 24 dicembre 1920. Poi la sua figura pubblica scemò, ebbe da Mussolini un titolo nobiliare, e fece ben poco parlare di sé fino alla morte. Resta nota la sua produzione letteraria. Dal punto di vista sessuale pareva più un depravato che una persona normale. Basta leggere Gabriele D’ Annunzio e il sesso, in http://www.studioiannetti.it/it/scheda-articoli.php?id=104.
A Fiume promosse una società libertina, mentre in Italia si moriva di fame, e la descrizione di cosa fecero i suoi non è certo esaltante. Si legga almeno, sull’impresa fiumana, quanto scrive Denis Mack Smith, nel suo: Breve storia d’ Italia, Laterza ed., prima ed. italiana 2000, sesta ed. 2011, e quanto scrivono Luigi Salvatorelli e Giovanni Mira nel primo capitolo del loro: “Storia d’ Italia nel periodo fascista”, Einaudi ed., prima ed. 1956, seconda edizione 1964. Ricordiamo le poesie ed i testi di D’ Annunzio, ma dimentichiamo D’ Annunzio, per carità, anche se pare sia stato amico di De Pinedo. Sua è l’assurda espressione: “vittoria mutilata”. Quindi approvo l’iniziativa di Resistenza Storica. Laura Matelda Puppini» (http://www.storiastoriepn.it/dimenticare-dannunzio/).

A questo facevo seguire, dopo la risposta di Gigi, un altro commento, datato sempre 18 giugno 2019 in cui scrivevo: «Vuoi dire che D’Annunzio merita una statua perché nel 1900 passò “dai banchi della destra a quelli dell’estrema sinistra repubblicana-radicale-socialista, stregato dall’ostruzionismo contro le leggi liberticide del governo del re Umberto I e del generale Pelloux”? Beh, non credo che per un avanti indré di questo tipo, per poi sposare l’interventismo da propagare con la violenza, uno si meriti una statua perché altrimenti dovremmo farne una a Mussolini, socialista prima, duce poi. Se poi anche Vittorio Vidali passò da ardito filo Dannunziano a fervente comunista, prova a chiedere a Trieste se gli farebbero per questo una statua! Per quanto riguarda la libertà dei costumi, lo sponsorizzare lo sport anche per le donne italiche, e certa libertà sessuale per l’uomo, furono aspetti che caratterizzarono anche il primo fascismo, come il futurismo in pittura, fotografia, ed arte. Ma questi aspetti valevano solo per pochi ricchi, liberi dalla chiesa, e l’immagine dell’italiano seduttore sempre pronto ad infilarlo, donna consenziente o meno, per dimostrare la propria prestanza, fu uno degli aspetti che maggiormente caratterizzò certo pensiero non credo proprio di sinistra. Se poi il far quel che si vuole in casa propria merita un monumento, credo che Berlusconi meriterebbe un mausoleo». (Ivi).

Ma mi paiono pure significative, per un ‘No’ deciso al monumento dedicato a D’ Annunzio, le parole da lui pronunciate, incitanti alla violenza di piazza, nel suo famoso discorso del 13 maggio 1915 a Roma: «Se considerato è come crimine l’incitare alla violenza i cittadini, io mi vanterò di questo crimine, io lo prenderò sopra me solo. Se invece di allarmi io potessi armi gettare ai risoluti, non esiterei: né mi parrebbe di averne rimordimento. (…). Questo vuol fare di noi il mestatore di Dronero, intruglio osceno […]. Questo vuol fare di noi quell’altro ansimante leccatore di sudici piedi prussiani, che abita qui presso; contro il quale la lapidazione e l’arsione, subito deliberate e attuate, sarebbero assai lieve castigo. Questo vuol fare di noi la loro seguace canaglia. Questo non faranno. Voi me ne siete mallevadori, o Romani I più maneschi di voi saranno della città e della salute pubblica benemeritissimi. Formatevi in drappelli, formatevi in pattuglie civiche; e fate la ronda, ponetevi alla posta, per pigliarli, per catturarli». (Gabriele D’Annunzio, Per la grande Italia, Milano,1920, citato in: http://www.cifo.eu/wp-content/uploads/2016/05/ArringaDAnnunzio.pdf).
Ditemi se l’autore di queste parole merita un monumento da uomo assorto con un libro in mano!

Inoltre leggiamo almeno cosa dice il sito del Senato della Repubblica italiana su Gabriele D’ Annunzio: «La biografia di Gabriele D’Annunzio, nato a Pescara nel 1863, è probabilmente una delle più conosciute tra quelle degli scrittori italiani: una gran parte dei numerosi aneddoti, racconti, episodi ha origine dallo stesso autore, come pezzi di una vera e propria “costruzione” del personaggio, mai celata, in verità. Il suo ingresso nei salotti letterari di Roma ne è esempio lampante», non solo ma nell’ imminenza dell’uscita di una sua opera, simulò la sua morte per attirare l’attenzione si di sé, facendo «un uso spregiudicato dei media a disposizione per “amplificare” la sua vita, le sue opere letterarie e le sue “imprese”, creando il mito del poeta-Vate». (https://www.senato.it/3182?newsletter_item=1673&newsletter_numero=156).

Il 27 giugno 2019 Francesco Cecchini pubblicava sul sito http://www.ancorafischiailvento.org un articolo intitolato: “Trieste e Gabriele D’Annunzio”, dedicato al problema della statua.
Con vero stupore venivo così a sapere da Francesco che, nel mese di maggio 2019, sul lungo lago di Gardone Riviera era stata inaugurata una statua in bronzo di Gabriele D’Annunzio, in versione solitario studioso, in posa mentre sta leggendo, dello scultore bergamasco Alessandro Verdi, mentre un’altra praticamente identica, se ho ben compreso, già si trova al Vittoriale.

A questo punto uno umanamente si chiede in primo luogo come mai il Comune di Trieste intenda spendere migliaia di euro per porre una copia della statua al Vate che legge, esistendo già due copie della stessa, di identico autore, poste in altro luogo dell’italico suolo.

Inoltre venivo a conoscenza del fatto che alla petizione su change.org, avviata da Alessandro De Vecchi, si era contrapposta una a favore della statua a D’ Annunzio promossa da Isabella Rauti (Fratelli d’Italia), figlia del noto e fascista Pino Rauti, prima segretario del Msi-Dn, poi uomo che, contro la svolta ‘moderata’ di Gianfranco Fini, aveva dato vita al Ms-Fiamma tricolore e, nel 2004, al Movimento idea sociale (Mis). (Ivi e http://www.rivistapaginauno.it/pino-rauti.php).

Ma vi è un altro problema per la statua in questione in triplice copia: il fatto che essa ricorda, pur con qualche variante, “Il pensatore” di Rodin, e credo che nessuno possa affermare che D’Annunzio fu un pensatore, a meno che non si voglia falsificare la realtà del 100%. Fu un agit- prop antigovernativo, un fomentatore di disordini popolari, un “cicero pro domo sua “, un egocentrista al 100%, un cultore del proprio “Io”, un giocatore d’azzardo. Altro che libri, altro che pensatore, a meno che non si voglia ricordare il suo pensiero ossessivo volto all’apparato riproduttivo femminile ed al corpo nudo della donna. Ma forse anche questo faceva parte del gioco a creare una sua immagine. Violenza, sesso, una personalità volta a celebrare sé stesso ed a risolvere i propri guai: ad un soggetto caratterizzato da questi aspetti una destra che ha guardato a Verona alla famiglia vorrebbe dedicare una statua? Ma per cortesia. E cosa dovremmo raccontare ai nostri figli, bambini ed adolescenti, quando ci chiedessero chi è il signore di quella statua? Dovremmo tacere come i miei nonni e genitori?

Ma per ritornare alle diverse prese di posizione, lasciando perdere le tre o quattro individuali che potete anche trovare sull’articolo di Francesco Cecchini già citato, il 29 giugno 2019 compariva, sul sito “La bottega dei barbieri” un articolo intitolato: “No alla statua di D’Annunzio a Trieste”, da cui ho appreso che la sola collocazione del monumento a D’ Annunzio costerebbe 20 mila euro, mentre la spesa complessiva ammonterebbe a ben 382.190,00 (http://www.labottegadelbarbieri.org/no-alla-statua-di-dannunzio-a-trieste/)  il che è una enormità con tutti i problemi che i comuni hanno e tutti i modi più seri di spendere una tale cifra! (La si volga, per esempio, all’ acquisto di un’ambulanza, ed al sostegno al sistema socio assistenziale e sanitario al collasso!). Insomma ci sono mille maniere per spendere produttivamente il denaro di una comunità, invece di spenderlo per una copia di una statua ad una personalità discutibilissima.

Il 3 luglio 2019 sempre Resistenza storica pubblicava un manifesto bilingue intitolato “Manifesto per una Trieste plurale e multiculturale contro il neoirredentismo, sottoscrivibile inviando una email di adesione a  nodannunzioatrieste@virgilio.it; (http://www.iskrae.eu/manifesto-la-statua-dannunzio-trieste/), mentre molto opportunamente Marco Puppini ricordava, nel suo articolo intitolato “Monumenti a D’Annunzio ce ne sono già”, pubblicato il primo luglio 2019 su http://www.storiastoriepn.it/ che: «A Monfalcone abbiamo da quasi sessanta anni, dal 1960, un monumento a D’Annunzio, ai confini con Ronchi “dei Legionari” ma in territorio di Monfalcone. (…). È accompagnato da una scritta che esalta l’impresa di Fiume per i suoi risvolti nazionalistici ed irredentisti, assolutamente non per gli aspetti libertari e trasgressivi. (…). A Gorizia c’è sulla salita che va verso il castello un busto di D’Annunzio con una scritta che ne esalta l’impegno per la causa italiana nella prima guerra mondiale. A Gorizia abbiamo anche un istituto scolastico superiore dedicato a D’Annunzio (l’ITAS D’Annunzio – Fabiani). A Trieste esiste già un largo vialone alberato parimenti dedicato al “vate”». (http://www.storiastoriepn.it/monumenti-a-dannunzio-ce-ne-sono-gia/).

A questo punto lascio ai lettori di questo mio testo se sia savio o davvero cosa poco assennata spendere tantissimi soldi pubblici per questa statua fra l’altro ben poco rappresentativa del personaggio D’ Annunzio, qui vissuto come un filosofo, cosa che mai fu, e che ne altera la reale personalità.

Senza offesa per alcuno, ma per riportare due considerazioni su di una possibile spesa pubblica per onorare un personaggio invero discutibile anche se scrittore, e se vi è qualche inesattezza su dati per cortesia correggetemi. Laura Matelda Puppini

L’immagine che correda l’articolo rappresenta la statua dedicata a Gabriele D’Annunzio che si trova a Gardone Riviera sul lago di Garda, identica a quella che si vorrebbe posta a Trieste in piazza della borsa. (Foto da: https://www.giornaledibrescia.it/garda/un-selfie-con-d-annunzio-ora-%C3%A8-possibile-1.3366315). Laura Matelda Puppini 

 

 

 

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