Sono rientrata ieri sera dalla Bulgaria con qualche considerazione e conferma in più su un sistema capitalistico – produttivo  e di sviluppo che non regge più e che è ormai finito, sugli italiani all’estero, sulla Bulgaria come ponte di vita, pensiero e culture diverse che pare però sia destinato a sparire sommerso dalle varie sigle di Mac Donald e dintorni, sui segni di una economia socialista, sposata ad un giusto pensiero nazionalista orgoglioso della propria identità, rimasti sul territorio, ed a mille altre riflessioni che affollano la mia mente, e che vorrei trasmettervi. La prima è questa: il sistema capitalistico di sviluppo è ormai finito.

Non necessita aver studiato economia alla Bocconi, non serve andare in Bulgaria o nella periferia di qualche grande città anche italiana od in altri stati esteri, per capire che un sistema che si sostiene sul produrre continuativamente e sulle fabbriche non regge più. Il dato che emerge sempre più, qui come là, è la povertà di ampie fasce di popolazione. Sono quei forse ora più di 5 milioni di poveri della penisola italica, ed i molti di altre terre anche europee, che gridano al mondo dell’industria che non possono comperare nulla o ben poco, che non possono ‘fare turismo’, a decretarne la fine, mentre la terra dei padri, quella che Dio ci ha dato in custodia si sta trasformando in una immensa discarica, nel cimitero dell’iperproduzione che presuppone sempre un iperutilizzo di fonti energetiche, finalizzata allo spreco più che alla vita dignitosa di tutti.

Si continua ancora, secondo me, a muoversi in una logica di prodotto interno lordo come indicatore di benessere, mentre detto indicatore si stacca sempre più dalla realtà, proiettandosi in un mondo virtuale, in quel mondo della finanza che non tiene conto di persone e pianeta, che vive di vita propria, invece che di contatto con la realtà. Fra 10 anni, penso, il crollo del sistema capitalistico sarà sotto gli occhi di tutti. Perché il produrre, sia in modalità di monopolio che di competizione, presuppone che vi sia chi compra, ma se qui come là la popolazione povera aumenta, non vi sono acquirenti sufficienti, e, per reggere ed avere guadagno, una azienda deve scegliere due vie, attualmente praticatissime: diminuire i costi di produzione ed aumentare i prezzi. La prima via pesa, spesso, sul personale che lavora sempre più, in certi casi in una situazione da regime quasi schiavistico per tempi, orari, modalità, con reintroduzione del cottimo e del cronometraggio, con mancato rispetto dei tempi di riposo, con l’utilizzo di contratti a termine e voucher, con lo sfruttamento indiscriminato del fisico dei giovani ed abbandono dei vecchi. E la mia mente va ai ‘riders’ di Vienna con zaino in spalla, ed alle ciclabili urbane trasformate in piste di lavoro pesante non si sa quanto retribuito. Ma i ‘riders’ non esistono solo nella cattolicissima Austria, esistono anche in Italia, ove però, da poco, sono più tutelati, e ringrazio Luigi Di Maio, i sindacati e coloro che si sono mossi in tal senso.

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L’ aumento dei prezzi è politica antica ed è sotto gli occhi di tutti, e più i poveri aumentano, più non possono comperare se i prezzi crescono, in Italia come in Bulgaria, e via dicendo. Inoltre l’iperproduzione implica di cercare nuovi mercati. Ed ecco affacciarsi in Europa, che già da sola non regge, le richieste Usa e Canadese di ‘libero scambio’ in sintesi di permettere l’invasione di prodotti esteri sui mercati italiani, mentre gli Usa proteggono i loro mercati con la reintroduzione dei dazi. (Cfr. nel merito il mio: Che risvolti avrà il TTIP: accordo commerciale di libero scambio UE-USA sulle nostre vite e quelle dei nostri figli e nipoti? Chiediamocelo”, in: www.nonsolocarnia.info).

A completare il quadro, leggo che la Cina vorrebbe costruire grosse vie di comunicazione verso l’Europa per inondare dei suoi prodotti la stessa: ma nessuno ha pensato per venderli a chi. Siamo sommersi da patinata, si fa per dire, che ci mostra immagini di propaganda sia europea che di altri stati, nascondendo povertà, disagio, periferie, alterando realtà e quadri. Siamo sommersi da immagini, da cementificazioni, dalle cosiddette ‘logiche di mercato’ che impongono e si impongono, al di fuori di qualsiasi etica.  

E credetemi, questo mio pensiero non è pensiero marxista, perché il marxismo, nato nell’ Ottocento, guarda alla fabbrica, come fa ancora una sinistra incapace, nel 2018, di analizzare la realtà e proiettarsi nel futuro. Esso nasce, semplicemente, dall’aver visto, dall’aver udito, dall’aver parlato, dall’aver viaggiato, dall’aver cercato di riflettere, dall’avere in mente il dettato delle grandi religioni ed il dividere il pane cristiano piuttosto che l’arraffare moderno.

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Basta ascoltare una non certo laureata rumena per capire la realtà: “Prima avevamo uno stipendio dignitoso per vivere ma ben poco da acquistare, ora abbiamo tante cose da acquistare ma non abbiamo i soldi per farlo”. Io credetemi, questa donna, dignitosa ed esplicita, la assumerei alla ‘Bocconi’ solo per citare una prestigiosa università di studi economici italiana, come docente.

E così, mentre prima l’uomo lavorava anche duro per mantenere la famiglia, ora sono le donne che spesso lasciano tutto per andare a lavorare lontano, distruggendo famiglia e sogni. Ma come dice bene Ciro Nigris: «È facile dire restiamo […], ma … la poesia è poesia, e lo stomaco è stomaco». (Ciro Nigris, il comandante carnico garibaldino ‘Marco’. Resistenza, Costituzione attualità. Intervista del 2001: parte seconda, in: www.nonsolocarnia.info).
E allora: «via, via, via! Sono sciamati, è sciamata una quantità enorme di ragazzi e di non ragazzi». (Ivi).

Allora emigrarono in prevalenza i maschi, poi le famiglie intere, quindi, ora, in alcuni casi iniziano ad emigrare le donne. E in Italia come in Bulgaria come altrove emigrano laureati, mentre la scuola che raggiunse in Urss e dintorni alti livelli, pare essersi sopita e tendere a fini ben minori, funzionali a quella ‘economia della finanza’ che non regge né può più reggere, dimenticando conoscenze approfondite e pensiero, e, in Italia, scambiando un manager aziendale come Marchionne che, da che narrava Landini e si legge, ben poco amava i diritti sindacali dei lavoratori, per un pozzo di conoscenza e scienza, per un uomo degno di una laurea ad honorem in ingegneria meccanica, francamente non si sa perché, mentre il solo suo non investire nel futuro cioè nell’auto elettrica potrebbe dar da pensare. (Marco Ianes, Auto elettriche, Marchionne e la cecità degli imprenditori italiani, in: Il Fatto Quotidiano, 22 ottobre 2017).

Ed ancora sempre da Ciro Nigris: «I bisogni essenziali della salute, il pensiero dei figli (cosa farà mio figlio?) queste erano le preoccupazioni. Tu fai l’operaio e vai a batter pietre, e vivi in qualche modo, ma tuo figlio, che prospettive avrà? Sono problemi grossi, sapete, e siete tutti figli e potete capire … Ed era veramente una cosa angosciante, e c’era tanta miseria». (Ciro Nigris, il comandante carnico garibaldino ‘Marco’. Resistenza, Costituzione, op. cit.). Ora siamo qui come là nella stessa situazione, mentre il cosiddetto ‘ miracolo economico’ vissuto o sperato appartiene ad un mondo ormai lontano.

 «Ho fatto tanti sacrifici per far studiare mio figlio – ci narrava un signore anziano in Bulgaria – ho lavorato duro per dargli un futuro migliore del mio, da contadino, ma poi, una volta laureato, se ne è andato per poter guadagnare di più al Nord dell’Europa e torna talvolta a trovarci, e ci ha pagato i biglietti aerei per andare a vedere dove vive, ma io e mia moglie abbiamo paura di volare».

Anche il cugino di mia madre, Mario Pillinini di Cavazzo Carnico, andato a cercar fortuna in Canada nei primi anni ’50, sistematosi egregiamente dopo una vita di lavoro iniziato con la raccolta delle mele e quindi passato alla fabbrica, moglie calabrese incontrata a Toronto, 3 figli sistemati, aveva pagato un lungo viaggio ai genitori perché potessero andare a vedere dove la loro stirpe si era accasata e si sarebbe riprodotta. Ci andarono, con un coraggio da leoni, e poi ritornarono. Ora la loro casa a Cavazzo Carnico, dopo la loro morte, è stata venduta, e per fortuna, perché se non riesci a vendere una casa con il proprietario oltre oceano ma anche meno lontano, rischia di deteriorarsi. Ci sono tante case in Bulgaria che, essendo i padroni emigrati, hanno il tetto sfondato, i muri rovinati, e via dicendo, e così si vedono fabbriche e capannoni abbandonati, al degrado, almeno in zone centrali che furono prima agricole, ma questa non è solo realtà della Bulgaria.

Un patrimonio edilizio lasciato a se stesso e non utilizzato pesa anche sull’Italia, insieme a capannoni dismessi, ed alla pessima abitudine di creare discariche dovunque, di infrangere qui la legge, fregandosene. E penso tristemente a ‘Tarvisio Boscoverde’ ove l’immane struttura, costata credo moltissimo e recentissima, appariva ieri, e mi dicono non solo ieri, vuota, con l’ascensore non funzionante, il ristorante chiuso, ed un futuro di degrado già scritto se non si pensa a come utilizzarla, mentre l’unica cosa ‘piena’ era il parcheggio gratuito, anche con macchine senza targa, polverose ed abbandonate. Ma perché in Fvg si fa senza pensare? – mi chiedo. Credetemi: ieri la recentissima stazione di ‘Tarvisio Boscoverde’ appariva come una cattedrale nel deserto, che faceva quasi paura, vuota, totalmente vuota, mentre se digitate il suo nome su internet appare come la settima meraviglia del mondo. E la Calabria si spopola, come la Carnia, vittime ambedue di pessime politiche, poco attente alle persone ed alle comunità. Le comunità non si costruiscono sulla carta a posteriori, rifletto fra me e me, non sapendo neppure con chi e con quanti.

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Una signora che è nata ed abita lungo il Danubio, ai confini con la Romania e non lontano da Vidin,  mi narra che sta andando a trovare i suoi figli, ambedue spostatisi a Sofia, che attrae i giovani che lasciano la loro terra. Ormai lassù lei ed il marito sono da soli, ed è lei che si sposta, talvolta, a vedere pure dei nipoti. E per fortuna che le discutibilissime ferrovie bulgare costano poco, perché altrimenti non potrebbe fare neppure tutti quei chilometri per andarli a trovare. Non sono ricchi, anche se hanno lavorato una vita. E tristemente penso a Trenitalia ed ai costi proibitivi delle Frecce.  Si è programmato tutto come se tutti avessero soldi, ma non è così.

E le aree poste marginalmente alle grandi città, in molta parte d’Europa, continuano a spopolarsi, mentre le periferie di queste ultime si vanno ingigantendo, senza che comunità alcuna possa essere creata, con popolazione diversissima e spesso in condizioni di vita di marginalità e disagio. La storia di Bhopal fa ancora paura. Vi è sull’ immane tragedia di allora un bel romanzo di Dominique Lapierre e Javier Moro, che fa riflettere e che tutti dovrebbero leggere: “Mezzanotte e cinque a Bhopal”, che narra l’abbandono della campagna per raggiungere il lavoro e la fabbrica in città da parte di due giovani sposi … Essi si trasferiscono a Bhopal, ed il loro destino è segnato.  

Ma su migranti e periferie appaiono pure interessanti le riflessioni di Benoît Brevillé in: “Disagio della sinistra sull’immigrazione”, in: Le monde diplomatique, aprile 2017, da me citate nel mio: “Immigrati e residenti: un problema da affrontare in un’ottica globale”, in: www.nonsolocarnia.info).

Inoltre non solo le migrazioni di persone dall’ Africa e da altri stati pongono problemi, ma anche l’emigrazione nostrana verso altri lidi, impedendo la formazione di comunità che implicano la stanzialità delle popolazioni. Così, stupita perché non lo sapevo, vengo informata, da un anziano bulgaro, che sempre più italiani acquistano terra e case in Bulgaria, proprio in quella parte centrale abbandonata da chi se ne è andato in cerca di fortuna, e vivono benissimo con una pensione, facendo fare ai locali, ‘per un bianco ed un nero’, lavori di ristrutturazione e domestici. E la cosa mi viene confermata da una persona che incontro al rientro, che candidamente mi chiede, a bruciapelo, se io e mio marito siamo andati da soli in Bulgaria a cercare casa e sistemazione definitiva. Gli rispondo di no, sono italiana, voglio vivere qui, nella mia terra.

Pertanto, sulla base di quanto da me qui scritto, che è quello che penso, i dati del pil che si alzano lievemente o si abbassano un po’ ben poco interessano, anzi direi nulla, e mi paiono più uno specchietto per allodole verso cui concentrare l’interesse degli italiani che altro.  Sarei più interessata, lo confesso, a leggere qualche studio serio su chi ci ha condotto ad una catastrofe economica, ma questa è altra storia in parte già scritta da coraggiosi giornalisti di un tempo, ma poi sotterrata. Perché chi ha dilapidato non ha rifuso e non è andato in galera? Molti se lo chiedono, mentre il rispetto delle regole e del territorio continuano ad essere infranti ed il modello del ‘furbetto del quartierino’ pare imporsi come nuovo simbolo sociale che ci porterà alla catastrofe. Senza regole da rispettare, controllori, sistemi punitivi come la galera realmente applicati verso chi infrange le norme, un sistema democratico finisce in cantina, e si profila una società più simile a quella disegnata nei fumetti di Alan Ford che altro. E non a caso detti fumetti vengono considerati di denuncia sociale. (https://it.wikipedia.org/wiki/Alan_Ford).

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Ci sono soluzioni a questo modo di procedere, che quelli privi di un pensiero divergente o interessati a mantenere lo status quo o amanti del quieto vivere non ci indicano? Certamente, basta leggere cosa dicono le grandi religioni nel merito del creato, ascoltare le persone ed investire in ciò che chiedono: pane, lavoro, ambiente pulito, cibo e servizi buoni ed accessibili per tutti. Perché non si può, nell’ambito dei servizi e dei beni necessari per la vita, applicare la logica del profitto, dimenticandosi di calmierare i prezzi degli alimenti e dell’indispensabile; non si può usare denaro pubblico per sostenere il privato, il che non è contemplato neppure dalla teoria liberale; non si può applicare canoni sull’acqua e vendere distese di boschi a stranieri, o lasciare che un lago si alteri per bagnare due piante di mais; non si può trasformare il mondo in una grande azienda per il profitto di pochi, come non si può sbagliare prospettive, riempiendo per esempio, qui come là, le coste di villaggi turistici e di hotels, che sempre meno persone si possono permettere e che possono deturpare il paesaggio ed inquinare il mare.  Eticamente non si può. Ed eticamente non si può vivere non guardando alcuni aspetti e autoconvincendosi all’indifferenza verso l’altro, non si possono usare le guerre per distruggere per poi ricostruire quello che si può ricostruire, o per cercare fonti energetiche funzionali ad una iper produzione di beni inutile alla vita sulla terra. E non si può pensare che si riuscirà a risolvere in extremis ogni problema perchè il surriscaldamento del pianeta è, in Italia come in Bulgaria, sotto gli occhi di tutti, ma non si fa nulla, solo incontri privi di reale seguito. “Il sole picchia, picchia – mi spiegava un addetto in un hotel bulgaro- e poi improvvisamente è inverno». Ma lascio al prossimo articolo, per non dilungarmi troppo, le considerazioni sull’alternativa, sperando che non sia troppo tardi per iniziarla.

Laura Matelda Puppini

L’immagine che correda l’articolo è stata da me scattata al monastero di Rila nella zona ristoro il 120 settembre 2018 e rappresenta il nuovo e l’antico ed uno zaino pronto per esser caricato sulle spalle e partire. Laura Matelda Puppini

 

 

 

 

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