Vorrei parlare, in questo articolo, di Giacca, ma anche dell’intervista a lui fatta nel 1993. Per inciso, vorrei premettere che io non so perché il P.C.I. avrebbe dovuto prendere un padovano triestinizzato a guidare tutti i Gap udinesi, quando aveva persone preparate e locali. Forse perché neppure il Friuli conosceva lui?  Ma come avrebbero potuto seguirlo tutti i gappisti friulani se era piombato lì da altre esperienze? E c’ è da chiedersi anche se ai Gap servisse organizzarsi in una Divisione di cui non si trova traccia documentaria, e questo se lo chiese anche Lizzero. E poi quei documenti …. Boh, non lo so, non so che dire. Inoltre ad un intervistatore o l’altro Giacca, già anziano, potrebbe aver raccontato solo quello che ricordava come lo aveva elaborato nel tempo, o dicendo solo quello che andava emergendo ai processi. Perché una caratteristica dei gappisti era quella di agire nell’ombra, diciamo così, senza mai fare nomi e cognomi o descrivere situazioni. Ed i gruppetti dovevano muoversi celermente.

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Inoltre le interviste sul periodo resistenziale sono state utilizzate in vario modo, per esempio per inserire su di un canovaccio predisposto parti delle stesse, come accaduto, secondo me, nel volume di Roberto Covaz intitolato “Gorizia al tempo della guerra” Edizioni Biblioteca dell’Immagine, 2010, dove sembra che l’intervista a Silvano Poletto funga da sostegno a teorie generali dell’autore/intervistatore, grazie anche alla scrittura scorrevole che integra teoria personale a parti di quanto detto dal partigiano Benvenuto, senza capire più cosa gli sia stato chiesto e cosa abbia risposto. Ma se a voi non pare così, scrivetemelo.

Anche nel caso delle due interviste a Giacca che ho trovato pubblicate in rete (1), la trascrizione, se non di alcune righe nel caso di quella del 1993, non è integrale, è riassunta con o senza estrapolazione di parti, e nel caso della prima di cui ora parlerò, lo stesso intervistatore, Mario Bruno Bellato, ci dice di aver parlato con Giacca 4 o 5 ore, ma poi ha sintetizzato il tutto in un dodici facciate che dicono davvero poco. (2). Per inciso l’equazione Giacca/Marino è qui posta in premessa, ma nelle due interviste reperite Toffanin non dice mai di essersi chiamato Marino né mai lo smentisce, dice solo di aver comandato tutti i Gap, e secondo lui anche quelli Monfalconesi, ma non pare dalla documentazione letta, altrimenti, sottintendendo che fosse Marino, avrebbe firmato le relazioni delle loro azioni, che non hanno nessuna indicazione finale. Inoltre nell’ intervista del 1993 fatta da Bellato, Giacca dice pure di aver fatto il colpo alle carceri e via dicendo. Ma quando Giacca viene intervistato in questi due casi, è già anziano, forse si sente importante e vuol mettersi in mostra, forse fra una intervista e l’altra si è costruito una immagine di sé stesso che continua a vendere tranquillamente sfruttando anche quanto viene detto ai processi.

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 Inoltre il risultato di ogni intervista dipende anche da cosa chiede l’intervistatore e da chi è. Eclatante è il caso di Bruno Cacitti che, quando don Aldo Moretti negli anni ‘70 voleva intervistarlo, memore credo della crisi di Pielungo, della storia di Livio, essendo egli del battaglione osovano Carnia ed avendone subito le vicissitudini, di quanto fatto all’epoca da don Ascanio De Luca e del dopoguerra, concesse una intervista le cui risposte aveva scritto prima e concordato con la figlia Clara che viveva con lui, e cercò di evitare l’incontro diretto con il prete, che gli avrebbe portato ansia e nuove preoccupazioni. Detta intervista è diversa da quella che dette a me, che conosceva benissimo, che chiamava ‘bambina’ potendo essere sua figlia, che risultò viva, sofferta, emotiva e con riscontri sui fatti narrati. E so di don Moretti e di cosa fece Bruno perché me lo narrò Clara, detta ‘Reginute’.

Inoltre alcuni intervistatori sono andati a chiedere a partigiani cose che non avrebbero potuto sapere o perché erano semplici soldati o perché non era andata come pensava l’intervistatore, che pareva solo cercare conferma di quanto riteneva esser accaduto. E così ci furono coloro che andarono a chiedere su slavi, sloveni e confini a destra e manca, a persone che non sapevano nulla ma avevano semplicemente partecipato attivamente alla lotta di liberazione con il risultato che essi dissero quel che sapevano e cioè quanto appreso da letture del dopoguerra, discutendo con amici, dalla stampa locale, da discorsi o scritti politicamente connotati post-resistenziali o da quell’ alluvione di memoriali,  precisazioni, analisi, autobiografie sulla resistenza friulana a cui si riferisce, in prefazione alle sue memorie, Romano Marchetti.

Ma ritorniamo alle interviste a Giacca, in particolare a quella firmata da Mario Bruno Bellato la cui sintesi è stata sottoscritta per veridicità di quanto riportato da: Davide Saccomano di Orgnano, garibaldino, e da Filippo Defend dell’A.P.O. di San Vito al Tagliamento, che è, poi, quella durata 4 o 5 ore e sintetizzata in 12 foglietti che dicono più sull’ intervistatore che su quanto narrato dall’intervistato. Leggere per credere.  

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 In detta intervista, Bellato sostiene a priori che Giacca sia Marino, e neppure glielo chiede, dando pure lustro a Toffanin, che pare quasi introvabile ed avvolto dal mistero mentre tutti sanno dove si trova e dirà che era stato anche in tv.  Da storica ed intervistatrice devo dire che l’intervista lascia molto a desiderare, e che è incentrata pure sulla visione del comunismo e dell’Urss del Toffanin (3), argomenti che nulla hanno a che fare con Porzûs.

Inoltre a me pare invero discutibile che Mario Bruno Bellato, su cui nulla ho trovato in rete e che non conosco, abbia scritto che Giacca è apparso a lui sì come un uomo «complesso e poliedrico» ma anche come una persona «coerente e fedele al suo mondo-al suo credo come […] un cane fedele al suo capo-padrone» e che il Toffanin poteva pure venir ricondotto all’ immagine «”felpata, sorniona, sgusciante e imprevedibile” di un felino». In precedenza l’intervistatore si era soffermato sulla «cadenza composta e sommessa del suo eloquio, sempre piano e lineare, a fil di voce, le pause frequenti»; e che persisteva a sostenere le “sue” certezze, anche quando veniva interrotto o provocato dal suo interlocutore, e pure quando lanciava accuse ed invettive. (4).

Ora tolto il fatto che Toffanin aveva all’epoca dell’intervista non trent’ anni ma 82, e la vecchiaia è di per sé stessa l’età della lentezza, presumibilmente i comunisti, i comandanti partigiani, i gappisti, negli ‘interrogatori’ sapevano come destreggiarsi, almeno finché riuscivano a farlo, pur potendo essere veloci e sicuri in azione. E poi che è andato a fare il Bellato e per conto di chi? Una analisi psicologica del soggetto per giungere alla conclusione che poi tanto rozzo il Toffanin non era, tanto che avrebbe potuto comandare tutti i Gap; che a lui Giacca pareva una persona determinata, come dico io dovevano essere tutti i gappisti, e che era un diligente esecutore di ordini, cosa tutta da dimostrare, dato che Vanni in “Abbiamo lottato insieme”, Del Bianco ed., 1966, che ben conosceva il Toffanin ed aveva avuto a che fare con lui ai tempi del suo aggregarsi alla Natisone era di parere opposto? (5).

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Poi il Bellato riporta un suo volo mentale pindarico parlando pure di azione a Porzûs, per inciso avvenuta a Topli Uorh (anche Topli Uorch o Topli Uork) e Bosco Romagno come di un “annientamento totale” con successiva eliminazione fisica del Giacca, senza prova alcuna, fantasticando, dicendo che il Toffanin era praticamente, secondo lui, solo un esecutore, non l’unico mostro perché «I veri mostri, invece, sono altrove, tra le persone “leggendarie”». (6). Ergo, io ne deduco che l’ intervistatore  avesse già deciso a priori che Giacca non fece l’azione di sua sponte ma che gli fu ordinato di farla da qualche comunista leggendario. Ma bravo il nostro! Coma intervistatore però è meglio che cambi mestiere. E non chiede neppure nulla su quanto avvenne a Porzûs, tanto che ad un certo punto lo stesso Toffanin dice ai tre presenti, (Bellato più i testimoni): «Ma no volé saver come go fato a Porzûs?» (7) che potrebbe suonare anche come un: “Ma cosa siete venuti a fare?”

E bisogna sottolineare pure che Giacca informa i tre presentatisi a casa sua senza preavviso ed al tempo stesso senza conoscerlo, che egli parlerà anche con loro, che forse pensavano, ma questo lo dico io, di essere i primi ad averlo scovato, perché «Ze stai in tanti qua de mi, compagni giornalisti, ze vero; studiosi storici; so sta anche in television: mi conto sempre come fasso con voi». (8). Quindi se Bellato e c. pensavano di fare una sorpresa, si trovarono invece davanti ad una persona che aveva già elaborato cosa narrare e, forse, quale immagine di sé stesso vendere. Ma lasciando perdere queste quisquiglie, e riportando in un testo futuro cosa dice Toffanin rispetto a Porzûs in questa intervista, confrontandolo con quanto narra nella seconda, Giacca, dice a Bellato di esser stato mandato ad Udine, dopo l’8 settembre 1943, ma che non conosceva il Friuli, e che avrebbe preferito andare a fare il gappista a Padova, che era la sua città, dove aveva tanti parenti che avrebbero potuto dargli da mangiare e nasconderlo o in Istria, dove aveva già combattuto. Ed in questa prima fase si fermò in zona Godia ed Orsaria. «No me piaseva andarghe. (a Udine Ndr.) Ma se il partito decide, se la Cellula decide, toca obedir». (9).

Quindi l’arresto a Godia e la successiva scarcerazione, ma egli non sa se si siano stati pagati “centomila franchi” per liberarlo, sa solo di esser stato incarcerato e poi liberato. (10).

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Successivamente Ostelio Modesti Franco, segretario della Federazione friulana del P.C.I., lo aveva proposto al comando di tutti i Gap friulani, che prima erano comandati da Maxs, a cui era subentrato grazie all’ approvazione di Luigi Longo, ma dubito di questa affermazione, perché I Gap erano autonomi e quelli romani mica chiedevano il permesso a Longo per decidere cariche! Toffanin dice pure che operava agli ordini di Franco cioè di Modesti, e di Alfio Tambosso Ultra, a cui doveva ubbidire per tutte le cose importanti. Ma «gero anche autonomo per certe robe. Ogni tato se copava do – tre fassisti qua, do -tre fassisti là». (11).  Ma nella seconda intervista dice chiaramente che riteneva Bolla e gli osovani di Topli Uorh dei fascisti.

Ma poi: se era il capo dei Gap, perché doveva ubbidire agli ordini di Franco e Ultra? Io temo o che Giacca magari narrasse solo quello che era noto ai processi ma sulla cui attendibilità si poteva avere qualche dubbio, o che le domande siano state poste per avvalorare le sentenze già emesse ai processi, o che delle 5 ore di intervista si sia preso solo quello che era concorde con le tesi processuali. Ma se qualcuno ha altra ipotesi ben venga.

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Inoltre forse, ai tempi dei processi e poi, temo vi sia stato chi confuse l’azione alle carceri con quella a Topli Uorh, pensando che la riunione ad Orsaria avesse avuto come oggetto principalmente quest’ ultima invece che, come pare ovvio, la prima per la sua importanza, condotta dai gappisti guidati da Romano il Mancino.

Però in questa intervista Giacca dice che ha fatto tutto lui, anche l’azione alle carceri di Udine, (12) facendo sospettare o un pessimo riassunto di quanto registrato, o una sua megalomania, o una sua presa in giro. «No, no, go fato tutto mi, anche le carceri» – sostiene. (12).

Inoltre alla domanda se i GAP fossero organizzati in Divisione, Giacca risponde che c’erano 3 Brigate GAP, formata da gappisti «tuti giovani, forti e coragiosi», 4 Brigate SAP i cui componenti erano più giovani dei gappisti ed anche più bravi e decisi, soprattutto in azioni di spionaggio e controspionaggio, poi vi era la Brigata Montes che occupava il ruolo dell’intendenza. Ma non dice il nome della Brigate, che secondo il documento datato 4/12/1944 (13) era una sola ed un’altra era ancora in via di realizzazione, e cita solo la Montes, che era una intendenza sul terreno (14). Sempre che, ovviamente, abbia proprio detto così. Oppure ha chiamato Brigate i Battaglioni, sull’onda di ricordi non precisissimi.

Queste forze operative, secondo Giacca, componevano una Divisione autonoma che si poteva paragonare, secondo lui, alla «Divisione de la Guardia come ne l’Armata Rossa proprio». In tal senso è chiaro che questa sovrastruttura mai realizzata se non nella visione utopica di Giacca o di qualcun altro, non poteva aver nulla a che fare con la “Natisone”. E non dimentichiamo che Francesco Guccini nella sua canzone “Il vecchio e il bambino“ ricorda che: «I vecchi subiscono le ingiurie degli anni, non sanno distinguere il vero dai sogni». Sarà accaduto così anche a Mario Toffanin, che aveva, all’epoca dell’intervista, ormai 82 anni? Inoltre da lui non solo erano già giunti, come già riportato, molti compagni, giornalisti, studiosi ad intervistarlo, ma, secondo Mario Bruno Bellato, su ‘Famiglia Cristiana’, ‘Corriere della Sera’, ‘Panorama’, (15), insomma aveva già ricevuto molta visibilità e pare quasi una star, però nel ruolo del cattivo o del mero esecutore passivo, che forse voleva smentire per far valere una immagine positiva della sua attività gappista, che in parte lo era sicuramente stata. Da qui: “Go fato tutto mi” e gli ordini sono ordini, come aveva precedentemente sottolineato. 

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 Infine emblematico a me appare questo pezzo di intervista tesa a far rifiutare al Toffanin quanto scritto da Giovanni Padoan Vanni nel suo “Abbiamo lottato insieme” su di lui ed i suoi, magari volendo pure fargli negare quanto riportato sulla dipendenza del gruppo di Giacca dalla Divisione Natisone.

 «Facciamo veder bene il libro di Vanni “Abbiamo lottato insieme”. Lo conosce e sostiene di averlo letto. Ma ha letto cosa dice del Comandante Giacca? Guarda e attende un po’ ansioso le domande: – Qui è scritto che Giacca si presenta con il suo battaglione in disordine ed indisciplinato, fazzoletti rossi come scialli, fino alle ginocchia, stelle rosse sul berretto come piovre, stelle rosse dappertutto sulla divisa e sui fucili …. Raccontando una serie di incredibili storie…». (16). Ma l’intervistatore riassume parti diverse. Infatti il gruppo gappista di Giacca, secondo quanto scritto da Giovanni Padoan Vanni, non portava fazzoletti rossi e stelle rosse anche sulle armi all’arrivo al Comando della Natisone ai primi di agosto, ma quando il gruppo era già stato inserito nella Natisone – Brigata Picelli, in occasione di una visita di supervisione e controllo del battaglione da parte del Comando Divisionale, svolta dal Padoan stesso.

A riprova riporto la parte relativa all’arrivo di Giacca ed a quella dei fazzoletti rossi sul libro di Vanni: «Ai primi di agosto venne in zona un battaglione chiamato GAP, comandato dal compagno Giacca, Mario Toffanin. In realtà si trattava, più che di un battaglione, di un gruppo di uomini abbastanza numeroso ma senza nessun ordine e disciplina. Prima di stabilirsi, Giacca venne al comando di divisione dove raccontò un gran numero di incredibili storie». (17).

Quindi il desiderio di non voler esser inquadrato nella Divisione ma l’ordine di farlo sotto la ‘Picelli’ se voleva restare nella zona libera, come del resto accaduto alla Natisone quando voleva operare con il IX Corpo e ricevere dallo stesso aiuto. Successivamente, dopo l’entrata del gruppo nella Natisone vi è il resoconto della visita fatta da Vanni agli uomini di Giacca non trovando Giacca, abituati, da gappisti, a decidere in proprio del bottino delle loro azioni e a operare militarmente in autonomia, cosa impossibile a farsi se si era inquadrati in un Battaglione divisionale.

Infatti poco dopo l’inserimento del gruppo del Toffanin nella Natisone, accadde che il nuovo battaglione fece da solo una azione che aveva avuto come risultato un grosso bottino che voleva tenere tutto per sé. Ma invece avrebbero dovuto consegnarlo all’ intendenza Divisionale che avrebbe provveduto a distribuirlo secondo le esigenze comuni dando in cambio un premio al Battaglione che lo aveva recuperato. Infine, vista la mala parata, «si decise a consegnare il materiale non senza brontolare contro questa sopraffazione di tipo borghese». (18). A seguito di questi fatti, il Comando della Natisone decise di fare una ispezione presso il battaglione di Giacca, per vedere «come si comportavano questi partigiani nella vita quotidiana» e fu incaricato per questo Vanni. (19).

Ma questo accade circa dopo 15 giorni dal permesso al gruppo di restare in Zona Libera del Friuli Orientale sotto la Picelli, e avvenne nella sede del nuovo battaglione che si trovava in un gruppo di case locate a due o trecento metri da Faedis. (20).

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Non essendo presente, al momento della visita del superiore, il Toffanin che conosceva Vanni, egli si qualificò entrando nell’alloggio che sapeva essere quello del comando, ma nessuno si mosse per mettersi sull’attenti e tutti continuarono a fare i fatti propri. Allora Vanni si avvicinò, trattenendo l’ira, al Vice – Comandante che, per inciso, era Vittorio Iuri, Marco, e, prendendolo per il colletto, gli disse di alzarsi e mettersi immediatamente sull’attenti di fronte al suo Commissario di Divisione. Iuri, visto l’atteggiamento risoluto di Vanni obbedì, si alzò e si mise sull’attenti. Quindi Vanni gli ordinò di far uscire tutti coloro che non facevano parte del Comando del gruppo. Uscirono tutti ma restò lì seduta una giovane donna. Vanni allora chiese se facesse parte del comando ma gli fu risposto che era “la compagna del comandante Giacca”. Da qui l’osservazione di un Vanni non certo benevolo: «Si tratta da pascià il comandante Giacca. Da voi, si vede, c’è l’usanza che il comandante abbia l’amante con sé». (21). Infatti il regolamento della Divisione Natisone vietava rapporti intimi fra uomo e donna, perché l’obiettivo era solo combattere e non avere “distraenti” come del resto nelle Forze Armate e men che meno donne incinte. E la Natisone aveva anche un gruppo femminile e guai se si fossero create situazioni di promiscuità. E lo sapeva bene un giovane partigiano, che aveva ingravidato la sua fidanzata consenziente, partigiana della Divisione, e che rischiò di essere per questo messo al muro, ma infine il collegio giudicante decise di chiamare il prete e farli sposare, prevalendo il buonsenso. E fu un bene perché il giovane morì poi in azione ma rimase un bimbo che portava il suo cognome. (22).

Quindi Vanni si rivolse a Marco perché le ordinasse di uscire, trattando la donna come ogni militare della Divisione, ma avendo questi risposto che non lo poteva fare, Vanni lo fece da solo le ordinò di mettersi in piedi e salutare il commissario e quindi di uscire e mettersi in fila con gli altri dato che non faceva parte del comando. (23). A questo punto la storia continua con il tentativo di Vanni, tramite il vice – comandante, di disciplinare immediatamente il gruppetto. Ma l’impresa pareva ardua, e ad un certo punto Vanni uscì in aiuto di Iuri, ma si trovò di fronte tre giovanotti armati fino ai denti che lo guardavano con aria poco amichevole. Ma dopo una occhiataccia ferma di Padoan abbassarono gli occhi. Quanto accaduto venne vissuto dal Commissario della Natisone, giustamente, come un gesto di insubordinazione, e replicò dicendo che la Natisone aveva tremila uomini armati pronti a difendere i loro comandanti, ma poi decise solo, qualificandosi come vecchio comunista e facente parte della Federazione di Udine, di chiamarli in adunata. (24).

Gli uomini presenti del gruppo, venticinque su cinquanta, dato che gli altri erano in azione con Giacca, si presentarono alla adunata con Il fazzoletto rosso al collo «che era di dimensioni enormi […] che scendeva giù fino alla cintola e oltre. Sul berretto avevano una stella rossa le cui punte andavano da un orlo all’ altro […]. Ma non solo il berretto, tutta la divisa era letteralmente cosparsa di stelle rosse. (…). Mitra e fucili erano pieni di stelle […]. Stelle, ancora stelle, ovunque stelle di ogni dimensione ma di un solo colore: rosso». (25). Ora, dico io, questa è una divisa da parata, ma è chiaro che i gappisti non la usavano per fare le azioni, e le dimensioni dei fazzoletti forse facevano pensare che avessero recuperato un pezzo di stoffa rossa da cui avevano ricavato stelle e fazzoletti senza troppa cura e senza passare dalle mani di una abile sarta, utilizzando, magari, tutto la pezza, per sottolineare la loro fede comunista. Ma era un abito da parata ad uso interno, ed è chiaro che quando andavano a fare azioni gappiste erano vestiti come tutti, in borghese. E questo dice Giacca a Bellato. (26).  

Ma secondo Vanni gli uomini che Toffanin comandava avevano vent’ anni e qualcuno al massimo 30, erano giovani e rischiavano la vita, ed erano «l’immagine vivente del pensiero di Giacca» che seguivano cecamente, ma erano stati dal loro comandante educati anche a portare rispetto ai vecchi comunisti. Pertanto il loro atteggiamento verso il Commissario della Natisone mutò quando Iuri disse che Vanni era un compagno che si era fatto sette anni di galera sotto il fascismo per attività comunista. (27).

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Ma per ritornare all’ intervista di Bellato, Giacca fa un volo temporale all’epoca dell’uscita di “Abbiamo lottato insieme” e dice di aver visto il libro anche in bozza, dove non si sa, e narra di esser stato raggiunto da Vanni stesso e da Sasso, e che Sasso sapeva benissimo che erano tutte balle quelle cose scritte. Ma siamo certi che sia stato così? (28).

Toffanin tende poi a smentire il fatto che una delle due donne del gruppo fosse la sua compagna e amante, cosa proibitissima nella Garibaldi, e l’indisciplina dei suoi. Dice, poi, che veramente nel suo gruppo c’erano due donne, «una la gera (e fa un nome), l’altra la gera la Maria (e fa un altro nome). La Maria la ze ancora viva, anche se ga perso le gambe. La ze in Friuli. Podè andar a trovarla e domandarghe se la go “taconada”». (29). A parte il fatto che poteva darsi che l’amante di Toffanin non fosse Maria ma l’altra, vi paiono discorsi da verbalizzare? Inoltre più di un comandante partigiano aveva all’epoca una donna che ogni tanto vedeva: eclatanti sono i casi di Terenzio Zoffi, osovano, sposatosi in fretta e furia nel febbraio 1945 da partigiano, del cui matrimonio esiste anche foto, e Mario Lizzero. E non furono i soli. Del resto la precarietà della vita, l’orrore ed il terrore in mezzo ai quali vivevano, aveva portato, contro ogni regola, alcuni comandanti a cercare un conforto fra le braccia di una donna ed a sognare un domani. Ma pare che a Bellato interessi, in questo modo, sconfessare il libro di Vanni che è invece interessantissimo.

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Ma continuiamo con Bellato ed la sua intervista. Dalla stessa si viene pure a sapere che Vanni aveva chiesto a tutti i presenti in Zona Libera del Friuli Orientale se volevano passare sotto il Comando militare del IX Corpo, ma Giacca aveva detto di no, e si era distaccato, con il suo gruppo, dalla Natisone. (30).  

Ma il volume di Padoan ci parla anche di Giacca come un uomo dal modo primitivo e selvaggio di condurre la lotta, ma di gran sangue freddo anche se di corte vedute, e che aveva acquistato credito presso i dirigenti comunisti di Udine per la temerarietà delle sue azioni, svolte spesso in pieno giorno. Inoltre sapeva sparare e “sparare bene”. (31).

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L’intervista si chiude, dopo un divagare sulla posizione assunta da Tito nel 1948 rispetto all’ U.R.S.S. e con il racconto di Giacca sul dopoguerra. Egli narra di aver fatto finita la guerra, l’operaio a Brno in Cecoslovacchia, e sostiene che in Slovenia vi erano molti disoccupati e che in Jugoslavia «Ze tronà il nazionalismo: ze tornai i odi di religion e de raza». (32). Ed aveva ragione da vendere, vedendo cosa è accaduto poi.

Quindi, si presume su domanda precisa, Giacca dichiara che Cincinnato Zilli, “il poeta contadino”, era un gappista e «Noi se lo ciamava il Poeta Contadino” perché gera bravo a scriver. Scriveva cozì ben, cozì ben.». (33). Forse, dico io così per dire, fu lui che scrisse i documenti più letterari per Marino, Marco e Valerio? Sulla sua morte Giacca ha sentito solo voci su di un suo dissidio con i fratelli Lizzero, ma la causa è talmente banale, che sicuramente altri uccisero il poeta/contadino che era fortemente anticlericale, secondo Bellato, e la storiella dei Lizzero pare una di quelle del dopoguerra uscite per infangare. Infatti perché Gino Lizzero non avrebbe voluto fare il partigiano perché era stato capitano sotto il R.E. I. ed aveva combattuto in Grecia ed Albania? (34). Mistero. C’ erano tanti che avevano combattuto in particolare nella penisola Jugoslava con Le Forze Armate italiane e poi erano passati alla Resistenza!  Migliaia. E i Lizzero lo sapevano. Ed in questo caso e quando narra dei rapporti personali di Giacca con note figure di comunisti nella Resistenza, la mia impressione è che Bellato sia andato anche a “tirar su puzze”, come si suol dire.   

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Il testo si chiude definitivamente con una nota dell’autore Mario Bruno Bellato di questo tono: «E questo per coloro che non vogliono riconoscere, ancora oggi, “piena” validità alle ricostruzioni degli avvenimenti a mezzo di testimonianze dirette ed atti scritti allegati ai processi di Lucca e Firenze della Magistratura italiana». (35). A parte il fatto che a me non pare così, ma allora Bellato poteva solo ribadire quest’ ultima frase, non serviva andare, secondo me, a trovare Giacca. Comunque anche questo testo dà alcune informazioni e per questo non è da buttare ma da salvare, anche se si poteva fare davvero meglio.

In un prossimo articolo vi ricopierò cosa racconta Giacca qui e là sull’eccidio.

Ho rincominciato a parlare di Toli Uorh, che ha fatto invero perdere troppo tempo a tutti, senza che alcuno prendesse in considerazione le tesi difensive degli imputati, solo a causa dell’uscita del secondo volume del prof. Tommaso Piffer e di quanto riportato dal Messaggero Veneto nel merito a firma di Paolo Strazzolini, Tommaso Piffer, Marco Puppini e Alessandra Kersevan.

Laura Matelda Puppini 

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Note. 

  1. Prima intervista: “Resoconto incontro con Mario Toffanin, comandante Brigate Gap Friuli avvenuto in Capodistria (Skoppie) l’11.12.93” firmato da Mario Bruno Bellato e sottoscritto per veridicità di quanto riportato da: Davide Saccomano di Orgnano, garibaldino, e da Filippo Defend dell’A.P.O. di San Vito al Tagliamento. Seconda intervista: “Intervista al Comandante Giacca”, a cura del Collettivo Propaganda di Rivoluzione, Quaderni di rivoluzione, Supplemento a ‘Rivoluzione’ Padova 2005, leggibile online.
  2. Resoconto incontro con Mario Toffanin, op. cit., p 2. Qui il Bellato scrive che il discorso con Mario Toffanin «non si ferma più per 4 o 5 ore». Ma l’intervista è riassunta i 12 pagine che a mio avviso dicono ben poco.Resoconto incontro con Mario Toffanin, op. cit., p 1, e pp. 9 – 10.
  3. Ivi, p. 1.
  4. Vedi quanto riporto nella seconda parte dell’articolo da “Giovanni Padoan, Vanni, Abbiamo lottato insieme, Del Bianco ed. 1966, pp. 114-119.
  5. Resoconto incontro con Mario Toffanin, op. cit., p. 1 e p.2.
  6. Ivi, p. 6, cioè a metà intervista.
  7. Ivi, p. 3.
  8. Ivi, p. 5.
  9. Ivi, p. 6.
  10. Ivi, p. 5.
  11. Ivi, p. 12.
  12. https://www.nonsolocarnia.info/ancora-sui-gap-e-la-prima-brigata-ma-questa-volta-con-documenti-redatti-in-modo-completamente-diverso/.
  13. Cfr. anche Giovanni Padoan, Vanni, op. cit., p. 104.
  14. Resoconto incontro con Mario Toffanin, op. cit., p. 2.
  15. Ivi, p. 8.
  16. Giovanni Padoan, Vanni, op. cit., p. 114.
  17. Ivi, p. 116.
  18. Ibidem. 
  19. Ibidem. 
  20. Ivi, p. 116-117.
  21. Ivi, pp. 160-161.
  22. Ivi, pp. 116- 117.
  23. Ivi, pp. 117- 118.
  24. Ivi, p. 119.
  25. Resoconto incontro con Mario Toffanin, op. cit., p. 8.
  26. Giovanni Padoan, Vanni, op. cit., p. 119.
  27. Resoconto incontro con Mario Toffanin, op. cit., p. 9.
  28. Ibidem. 
  29. Ibidem.
  30. Giovanni Padoan, Vanni, op. cit., p. 118.
  31. Resoconto incontro con Mario Toffanin, op. cit., p. 10.
  32. Ivi, p. 10.
  33. Ibidem.
  34. Ivi, p.12.

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L’Immagine che correda l’articolo è di Riccardo Toffoletti e correda una sua intervista a Mario Toffanin che ritrae pubblicata su Perimmagine numaro inverno 1997/1998. Questa copia è tratta da: https://www.anasangiorgiodinogaro.it/2018/03/23/a-cena-con-la-storia-17/ ma era senza autore e dato alcuno. Grazie a chi mi ha avvertito. Laura Matelda Puppini 

https://i0.wp.com/www.nonsolocarnia.info/wordpress/wp-content/uploads/2025/09/Giacca.jpg?fit=323%2C400&ssl=1https://i0.wp.com/www.nonsolocarnia.info/wordpress/wp-content/uploads/2025/09/Giacca.jpg?resize=150%2C150&ssl=1Laura Matelda PuppiniSTORIAVorrei parlare, in questo articolo, di Giacca, ma anche dell’intervista a lui fatta nel 1993. Per inciso, vorrei premettere che io non so perché il P.C.I. avrebbe dovuto prendere un padovano triestinizzato a guidare tutti i Gap udinesi, quando aveva persone preparate e locali. Forse perché neppure il Friuli...INFO DALLA CARNIA E DINTORNI