Non volevo più scrivere una riga su Francesco De Pinedo, ma dopo la lettera della sig.ra Maria Croatto al Messaggero Veneto, pubblicata il 23 luglio 2015, e dopo aver letto l’interessantissima e documentata biografia di Ovidio Ferrante, intitolata: Francesco De Pinedo. In volo su tre oceani. Mursia ed., 2005, che consiglio vivamente a chi volesse approfondire l’argomento, mi sento quasi costretta a farlo.

Sembra che il mio compito sia quello di regalare nuovamente alla storia esperienze e personaggi dimenticati e cancellati dal regime fascista e/o dal dopoguerra: Vittorio Cella ed i pionieri delle Carniche, Romano Marchetti nella complessità del suo pensiero, Romano Zoffo, il comandante osovano Livio, operai comunisti o socialisti che credettero in un miglioramento delle condizioni di vita per tutti, partigiani osovani e garibaldini carnici, vecchi comunisti, come Vittorio Pezzetta, le donne che lottarono, qui, contro i tedeschi.

Ed ora tocca a Francesco De Pinedo, fattomi conoscere da Romano Marchetti, che da giovanissimo ne seguiva, entusiasta, le gesta, ed il cui spessore è ben rappresentato nel testo scritto da Ovidio Ferrante, ufficiale dell’aeronautica Militare e direttore del Museo Storico dell’Aeronautica di Vigna di Valle, nonché cultore di studi e ricerche sulla storia dell’aviazione.

Così egli introduce Francesco De Pinedo: «Personaggio simbolo di un’epoca, pilota di idrovolanti senza eguali nella storia del volo, trasvolatore di continenti e di oceani, Francesco De Pinedo è rimasto a lungo confinato nel limbo di una “damnatio memoriae” imputabile più ad una disattenzione mirata degli uomini che all’inesorabile fluire del tempo. Sulla sua vita e sulle sue imprese è stato scritto molto poco e senza mai fare cenno agli eventi che, a partire dal 1929, dettero una drammatica svolta alla sua esistenza. Da qui l’esigenza di colmare una lacuna nella storia dell’aeronautica […]». (Ovidio Ferrante, op. cit., p. 1).

Chi era Francesco De Pinedo.

Nato in una famiglia nobile di origini spagnole e legata alla marina, giunta a Napoli a seguito dei Borboni, Francesco De Pinedo, Franz per gli amici, nato nella città partenopea il 16 febbraio 1890, fu educato alla disciplina ed alla dedizione allo studio, fino a vedersi negata, persino, l’esperienza della bicicletta, nuovo mezzo che molto lo attirava, o del violino. Egli considerò sempre l’eleganza nel vestire e la prestanza fisica aspetti a cui dare particolare attenzione; a scuola e durante la vita militare non accettò di esser superato da chi fosse meno preparato di lui o, peggio con peggio, da chi si avvaleva di raccomandazioni “spintarelle” ed aiuti di vario genere.
Bravo pittore, si diplomò presso il liceo classico brillantemente, e, durante l’ultimo anno, frequentò, pure, liberi corsi di diritto coloniale, di lingua  giapponese e di lingua inglese, di politica commerciale presso l’Istituto Orientale di Napoli. Si dedicò, inoltre, al canottaggio, alla vela ed al nuoto.

Grazie all’eccellente preparazione scolastica ed alla prestanza fisica, vinse il concorso per l’ammissione, come allievo, all’Accademia Navale di Livorno, che frequentò con senso di disciplina ed ottimi risultati, fino a diventare ufficiale di marina. (Ivi, pp. 1 -18). Dopo il primo anno di Accademia firmò l’arruolamento volontario come marinaio per sei anni, nel corso degli stessi partecipò a tre crociere che gli fecero conoscere il mondo e l’oceano, lo abituarono a scrivere il diario di bordo giornaliero, gli permisero, per caso, di ammirare, in America, Wright in volo.

Partecipò, quindi, ad alcune azioni nella guerra di Libia, anche come comandante di un gruppo di fanti marinai, ed alla prima guerra mondiale come ufficiale di marina, con utilizzo in diversi compiti. Nel 1917 chiese di essere ammesso alla scuola di volo di Taranto, che si stava riorganizzando, con il desiderio di diventare aviatore di marina. (Ivi, pp. 19-31).
Già durate la frequenza del corso di pilotaggio dimostrò le sue doti particolari come pilota, che mise in luce ed affinò, pure, nelle successive azioni di guerra alla guida di idrovolanti, azioni che gli valsero tre medaglie d’argento al Valor Militare. La perizia tecnica acquisita e personale, la serenità ma anche freddezza con cui sapeva superare difficoltà anche impreviste, furono aspetti che permisero la riuscita delle sue imprese aeree. Infatti egli fu il primo italiano ad attraversare, con idrovolante, tre oceani, e se ciò gli portò, in un primo momento gloria, poi invece fu causa, forse, di invidia.

Le transvolate oceaniche.

Comunque torniamo alle sue imprese aeree. Nel 1923, con il grado di capitano di corvetta, entrò a far parte dell’appena costituita arma aeronautica; il 23 febbraio 1924 fu nominato capo di stato maggiore del comando generale dell’aeronautica, ed il 10 marzo Promosso tenente colonnello. La rapida carriera, che lo portava ai vertici dell’arma, non lo distolse da un’intensa attività di volo. In quello stesso anno De Pinedo effettuò le crociere Brindisi – Istanbul-Brindisi e Sesto Calende-Olanda-Roma.
Nel 1925 compì la grande trasvolata dall’Italia all’Australia con ritorno attraverso il Giappone a bordo in un idrovolante Savoia-Marchetti S 16 ter, da lui battezzato “Gennariello”. Il raid ebbe inizio il 20 aprile a Sesto Calende e terminò il 7 novembre, dopo che furono coperti 55.000 km di volo. Due giorni dopo la conclusione di questa impresa Francesco De Pinedo fu promosso colonnello; fu inoltre insignito della croce di cavaliere dell’Ordine militare di Savoia.

Nel 1927 compì la sua più celebre impresa, effettuando con il secondo pilota C. Del Prete e il motorista Vitale Zacchetti la trasvolata dall’Europa alle due Americhe e ritorno. L’impresa iniziò il 13 febbraio dall’idroscalo di Elmas (Cagliari) e si concluse ad Ostia (Roma) il 16 giugno, dopo 43.820 km di volo per complessive 279 ore e 40 minuti, e moltissimi contrattempi. (Giuseppe Sircana, Francesco De Pinedo, in: http://www.treccani.it/enciclopedia/francesco-de-pinedo_%28Dizionario_Biografico%29/). Questo secondo volo fu voluto e seguito anche dal Governo Italiano, che intervenne un paio di volte per modificare la rotta ed abbreviare i tempi per il rientro, desiderando sfruttarlo a fini propagandistici per il regime.
Sia la prima impresa che la doppia trasvolata dell’Atlantico, furono seguite con entusiasmo dalla stampa italiana ed estera e portarono migliaia di ammiratori nei porti e nelle città dei continenti toccati.

Nella seconda impresa De Pinedo volò, per primo, sopra la foresta amazzonica, e riuscì, grazie all’aiuto di una persona che ivi viveva, ad ammarare su di un fiume ai suoi margini; pilotò per un tratto senza vedere nulla ed utilizzando solo la bussola per orientarsi; incontrò spesso problemi meteorologici imprevisti, fra cui tempeste e bonaccia; collaudò l’aereo, notandone anche i limiti; visse per ore e giorni fra “mare e cielo” come intitola Ferrante il capitolo dedicato alle due imprese.
Nel frattempo, in Italia, si seguiva con trepidazione le sue gesta: i giornalisti non sapevano ad un certo punto più che facesse, non c’era una comunicazione radio perfetta, e men che meno esistevano comunicati ansa, non c’erano satelliti a informare e spiare. Ed anche a livello geografico le transvolate di De Pinedo portarono nuove informazioni ed arricchirono di nuove conoscenze, verificate in loco.
Il rientro di De Pinedo in Italia fu un trionfo di folla e per il regime. Era il 1927, da lì a due anni Francesco De Pinedo avrebbe dovuto lasciare l’Italia. I fatti si susseguirono a ritmo serrato, ed ebbero come protagonisti: Francesco De Pinedo, Italo Balbo e con lui personaggi che tramarono nell’ombra, forse dell’Aeronautica, “invidiosi e farabutti” come lo stesso De Pinedo lì definì, (Ivi, p. 165), e prepararono alla crociera del decennale, l’impresa coreografica, che avrebbe dato lustro a Balbo, cancellando l’eroe delle trasvolate oceaniche, “The Lord of distances”. Italo Balbo, però, prima di far in modo, assieme ad altri, che De Pinedo uscisse dalla scena, aveva bisogno di far strutturare l’arma dal generale napoletano, che organizzò e guidò la prima crociera, che organizzò ma non comandò la seconda, ove iniziò ad esser emarginato, fino ad accuse infondate, ed alle sue forzate dimissioni “volontarie”. 

Il generale De Pinedo.

Riassumo qui dal volume di Ovidio Ferrante, cosa accadde a Francesco De Pinedo dal 1928 al 1933, anno della sua morte.
Già dal 1927-28 «Balbo, che nutriva amicizia e stima per De Pinedo, forse cominciò […] a provare un larvato timore che, in un futuro non lontano, questi potesse diventare un pericoloso concorrente al vertice della Regia Aeronautica. Lo inquietava anche una certa assiduità con cui frequentava la famiglia reale […]». (Ovidio Ferrante, op. cit., p. 122).
Spenti i riflettori sul volo transoceanico del luglio 1927, Francesco De Pinedo fu impegnato in un lungo tour che lo portò in giro per la penisola, sia per partecipare a cerimonie in suo onore, sia per visitare informalmente basi ed insediamenti aeronautici.
Nel dicembre 1928 fu nominato generale e sostituì il generale Ercole Capuzzo al comando della Terza Zona Aerea Territoriale.
In questa sua nuova veste, De Pinedo cercò di snellire, per quanto in suo potere, i tortuosi canali burocratici che rallentavano l’attività operativa dei reparti; regolamentò il potere decisionale e cercò di obbligare alle osservazioni da porre per via gerarchica e sottoscritte, non anonime e da far pervenire per vie secondarie in alto loco, come era in uso; utilizzò la visita improvvisa ai reparti per verificarne l’efficienza, punendo quando si trattasse, in particolare, di negligenze ed indiscipline nel volo, pretese dagli ufficiali subalterni correttezza nell’abito e non familiarità in pubblico, e forse, in questo suo essere veramente un generale, si inimicò più di qualche persona di un ambiente ove i sussurri pare superassero le grida, e non potevano non giungere alle orecchie dell’allora sottosegretario dell’Aeronautica, il quadrunviro Italo Balbo. (Ivi, p. 124).
Quest’ ultimo aveva un’idea diversa quella di De Pinedo sull’aviazione, che doveva esser accentrata nelle mani dei militari e non contemplare aviazioni civili e commerciali come corpi scissi, riteneva il tempo dei voli individuali terminato, e viveva Francesco De Pinedo, Amedeo Mecozzi, Alessandro Guidoni ed Umberto Nobile come personaggi molto difficili da gestire e da far piegare ai suoi ordini, tanto che li definì i «quattro chiodi della mia Croce». (Ivi, p. 125 e p. 135).

Quelle due Crociere di massa sul Mediterraneo studiate, organizzate predisposte, da Francesco De Pinedo.

Per mostrare le forza e la compattezza dell’aviazione italiana, Italo Balbo preannunciò la realizzazione della “Crociera del Mediterraneo Occidentale” che sarebbe stata portata a termine da più decine di idrovolanti a tappe, coprendo il tragitto da Orbetello, in Sardegna, alla Spagna.
Italo Balbo affidò a Francesco De Pinedo lo studio, la pianificazione, l’organizzazione dell’impresa, in ogni suo minimo dettaglio, compresa la preparazione degli equipaggi, e quindi lo pose al comando della brigata in fase esecutiva, non potendolo fare di persona, perché privo, ancora, di grado militare adeguato e di sufficiente esperienza.  (Ivi, p. 127).
Il successo dell’impresa fu attribuito sia ad Italo Balbo sia a Francesco De Pinedo, ma da quel momento le sorti dell’aviatore napoletano presero altro corso.
Non si sa in modo preciso cosa causò la frattura fra Balbo e De Pinedo, forse il timore, da parte del primo e di altri, che il secondo potesse assumere velocemente posizioni ancora maggiori di potere, o forse vi contribuì quella “stagione dei veleni” che allora attraversò la Regia Aeronautica. Certo è che l’individualismo di De Pinedo non piaceva a Balbo, ma è anche certo che Francesco De Pinedo non poteva nemmeno pensare lontanamente di avversare Italo Balbo, il quadrunviro che Mussolini viveva come suo secondo, e quindi con un fortissimo potere politico, e che aveva chi gli riferiva ogni pettegolezzo da corridoio. (Ivi, pp.130-131). E De Pinedo rimase certamente male per la sua nomina a Capo di Stato maggiore facente funzioni, e non effettivo, e per il diniego di Balbo a permettergli un nuovo volo solitario sulle Americhe, finanziato coi i fondi donatigli per un secondo idrovolante dagli italo Americani. Ma «non mancarono […] “sussurri e grida” sapientemente alimentati dall’imbattibile “capacità di intrigo della burocrazia romana”». (Ivi, p. 132).

Intanto Balbo comunicava a De Pinedo, ignaro di cosa lo avrebbe atteso nel futuro, il suo desiderio di compiere una seconda Crociera di massa nel Mediterraneo, che volgesse ad Oriente, e toccasse nazioni che gravitavano nell’orbita dell’industria aeronautica italiana, e lo investiva della progettazione e della buona riuscita dell’evento. (Ivi, p. 133). Mentre egli preparava, con la solita sua precisione, questa nuova crociera nei minimi particolari, fu nominato “generale di divisione aerea a scelta assoluta”, e ciò gli creò, nell’ ambiente, ulteriori nemici.
E mentre si preparavano le ultime fasi del volo, qualcuno suggerì a Balbo, vedendo un certo suo raffreddamento verso De Pinedo, che per far volare uno stormo di aerei bastava porre al comando un colonnello, senza disturbare un generale. E fu l’inizio della fine per Francesco De Pinedo.

Pur potendo fare molte obiezioni a questa idea, partendo dal fatto che non trattavasi di stormo ed in volo normale, Italo Balbo decise di dare il comando dell’impresa al colonnello Aldo Pellegrini, relegando De Pinedo, generale, al ruolo di mero organizzatore e supervisore della crociera.
A ciò si aggiunse un nuovo duro attacco da parte di Balbo stesso, agli aviatori solitari, che passò come “Il discorso delle primedonne” e che fu pronunciato pochi giorni prima della partenza per la seconda crociera di massa. « (…). E’ difficile sottoporre alla normale disciplina di una Forza Armata come l’Aeronautica i grandi campioni che hanno raggiunto un successo personale d’eccezione … la stessa intensa ed universale curiosità popolare, l’interesse che il mondo polarizza intorno ad un solo individuo la facile rivincita della vanità fanno sì che siano difficilmente comandabili, dopo una grande prova, quegli uomini che l’abbiano comandata e vinta: d’ altra parte troppo facilmente si dimentica che per ognuno di questi sforzi, compiuti da valorosi dell’ Arma Aerea, occorre l’opera lunga ed assidua di decine e decine di altri uomini, non meno volonterosi e degni di plauso». (Ivi, p. 135). Il discorso fu letto immediatamente come un attacco velato a Francesco De Pinedo, un voler cancellare la sua grandezza, a fronte della “grandezza della massa”.

Comunque fosse stato, la Crociera Aerea del Mediterraneo Orientale prese il via nel maggio 1928, come previsto, solenni furono anche le accoglienze dei sovietici agli aviatori italiani, ma….molti problemi pratici furono risolti da De Pinedo, anche con presenza e lavoro personale, come d’abitudine per lui.

Ma, nonostante ciò, non vennero rispettate le priorità nei cerimoniali ad Istanbul, Odessa, Atene, ove il generale De Pinedo non fu nemmeno inserito tra le autorità nel galà offerto dall’ambasciata italiana; inspiegabilmente, al rientro il Duce parlò di Crociera da lui stesso ideata e «sapientemente organizzata dai Comandi Superiori» (Ivi, p. 137), e se nella realtà la realizzazione dell’impresa si doveva, per la gran parte a Francesco De Pinedo, il suo nome comparve solo marginalmente sulla stampa dell’epoca «opportunamente indottrinata». (Ivi, p. 138).

Le accuse infondate al generale Francesco De Pinedo e la sua “volontaria” rinuncia ad ogni incarico.

I fatti si susseguirono incalzanti. La macchinazione ai danni di De Pinedo era stata ordita da tempo ma si aspettava, per attuarla, il termine della seconda crociera del Mediterraneo, che era stata segnata da continue incomprensioni, ripicche, screzi tra Balbo e De Pinedo, ormai diventati di pubblico dominio. (Ivi, p. 140).

Siamo nell’ estate del 1929. De Pinedo, che è un nobile, parte per una vacanza con i Principi d’Assia, in Svizzera.
Lì viene improvvisamente raggiunto dal colonnello Gennaro Tedeschini Lalli, che gli porta una lettera urgentissima di Italo Balbo, per cui lo stesso vuole immediata risposta, onde riferirne al Duce.
Italo Blabo chiede improvvisamente conto, a Francesco De Pinedo, di una ingente somma che lo stesso aveva ricevuto dagli italo americani per l’acquisto di un secondo idrovolante Santa Maria, quando il primo era andato a fuoco, poi non utilizzati. La somma è congelata, a nome di Francesco De Pinedo a cui è stata consegnata come dono personale, in una banca, neppure un dollaro è stato utilizzato.
Inoltre l’ambasciatore d’Italia negli States, Giacomo De Martino ed altri, che hanno fatto da intermediari e consegnato la somma, sono al corrente di quanto, ma vedremo che, a precisa domanda, pare che nessuno se ne ricordi più.
Inoltre pare come minimo inverosimile che il Governo italiano non fosse al corrente di detta somma dal momento che era stata consegnata nel corso di un pubblico banchetto, “alla luce del sole”.

«Dal contenuto della lettera- scrive Ovidio Ferrante- si arguisce che Balbo, di certo a conoscenza di com’erano andate le cose, aveva messo insieme pezzi della storia con il preciso intento di addebitare a De Pinedo un comportamento poco chiaro sulla destinazione finale della somma raccolta, giocando sulla confusione creata, proprio negli Stati Uniti, sulla stessa». (Ivi, p. 142).
Il problema era stato originato dal Direttore del Quotidiano “Il Progresso Americano” che aveva precisato, in un primo momento, che, qualora il governo italiano avesse ricusato la cifra per pagare un nuovo idrovolante, i sottoscrittori avrebbero potuto ritirare la loro quota e devolverla ad un’Opera Pia.

Ma poi la raccolta era continuata anche dopo che il Governo italiano aveva fornito a De Pinedo il secondo Santa Maria, già approntato nel caso ce ne fosse stato bisogno, ed alla fine la cifra, pari a 32.902,00 dollari, era stata offerta, come si usava allora fare, a De Pinedo come dono personale. E comunque dagli U.S.A. non era giunta domanda alcuna, da parte di sottoscrittori, di devolvere le loro quote ad opere pie.

Ma il Governo ed il Primo Ministro Mussolini, che sapevano tutto di tutti, si dichiarano all’oscuro dei fatti.

In particolare Giacomo De Martino, ambasciatore, non vuole sottoscrivere dichiarazione alcuna: «Tu sai che tipo è – scrive a De Pinedo il capitano di fregata Alberto Lais, addetto militare a Washington – ha cominciato a tirarsi indietro, a cancellare, ridurre, finalmente ha dichiarato che lui non ricordava niente, non sapeva niente, non poteva dichiarare niente». (Ivi, p. 144).
Si giungerà infine al paradosso che l’ambasciatore chiederà spiegazioni, unendosi a Balbo, su materia, pare proprio, a lui ben nota. Ma qualcuno pensa si tratti di un “affare politico”.

La storia montata ad arte, sfruttava sia l’interesse di alcuni italo americani a convogliare l’ingente somma verso qualche Opera Pia, sia il desiderio di alcuni di screditare Francesco De Pinedo agli occhi dell’Aeronautica, tramite “le illazioni ed i pettegolezzi” che inevitabilmente sarebbero seguiti alla lettera inviata da Italo Balbo.
Invano De Pinedo si difese dimostrando a Balbo, con più missive in risposta a quella giunta in Svizzera, la sua correttezza, rilevata anche da Lais, ma invano. «Le spiegazioni date a Balbo non sortirono l’ effetto sperato e De Pinedo non tardò ad accorgersi che, nel volgere di pochi giorni, le cose stavano precipitando in modo irreparabile e il suo destino era irrimediabilmente segnato». (Ivi, p. 147).
Invano De Pinedo ricorse a Mussolini, scrivendogli il progressivo deteriorarsi del rapporto con Italo Balbo: «l’ultimo fatto avvenuto [la storia dei dollari] mi toglie ogni speranza; senza un trattamento amichevole di S.E. Balbo, la mia opera sarebbe vana … e nella spiacevole situazione reciproca che si è determinata, mi sarebbe anche impossibile lavorare con serenità di spirito». (Ivi, p. 147).
Nel frattempo, intorno a De Pinedo, tranne un paio di amici, si faceva il vuoto.

Infine il generale Francesco De Pinedo rassegnava, il 22 agosto 1929, le dimissioni da Sottocapo di Stato Maggiore dell’Aeronautica, nelle mani di Italo Balbo, non senza precisare lo stato non certo di efficienza delle forze aeree, soprattutto per la «mancanza di un efficiente pensiero militare di vertice», essendo l’Aeronautica, a suo avviso, governata «sulla base del colpo di mano e dell’improvvisazione». (Ivi, pp. 148-149). Ed ancora: «mentre i discorsi tenuti da S.E. Balbo all’estero sono tali da far sentire come la nostra politica ha la necessità di appoggiarsi ad una forza militare effettivamente solida, le condizioni della nostra Aeronautica son invece tali da far prevedere gravi delusioni al momento del bisogno». (Ivi, p.149).

Con tempismo ritenuto eccezionale, il 25 agosto 1929 Balbo comunicava a De Pinedo, per ordine di Benito Mussolini, che le sue dimissioni volontarie erano state accettate, di dare le consegne al generale Giuseppe Valle, di depositare presso il suo Gabinetto i famosi 32.902, 39 dollari ricevuti al tempo del doppio volo sull’ Oceano Atlantico, che volentieri Francesco De Pinedo avrebbe voluto spendere per un altro idrovolante per altra impresa, che però era stata vietata da Italo Balbo. (Ivi, p. 149).

Infine lo stesso, dopo aver scritto a Francesco De Pinedo che avrebbe dovuto incassare la somma, essendo un militare, con il permesso del ministero, che così pareva nulla sapesse, ordinava al noto aviatore e preparatore delle due crociere del mediterraneo di destinare l’ingente somma metà all’Ospedale Italiano di New York, metà all’Opera di Loreto, per orfani di aviatori.
Invano Francesco De Pinedo inviò a Italo Balbo un preciso e circostanziato pro- memoria su detta somma di denaro, come l’avesse ricevuta ed ricevuta ed ogni particolare in merito, infine, come ordinatogli, versò la somma alle due opere pie, e fece pervenire, pure, al Duce tramite Arnaldo Mussolini, a cui esternò tutta la sua amarezza per l’accaduto, una somma personale, pari a 224.000,00 lire, frutto di sottoscrizioni da parte di giornali ai tempi del primo volo sul “Gennariello”, da utilizzarsi per la “Raestauratio Aerari” , rinunciando a tutte le somme giunte come dono personale al “Lord of distances” ed al signore dei cieli.

Pare così che lentamente si volesse far sparire dal ricordo della gente De Pinedo e le sue imprese , e che «il desiderio del Ministro», cioè di Balbo, diventato Ministro dell’Aeronautica, di toglierli le somme ricevute in dono personale, avessero posto fine a qualsiasi successiva impresa nei cieli.

L’esilio e la morte.

La via per l’esilio all’estero di De Pinedo era certa. Il Duce gli chiese ove volesse esser mandato, ed egli scelse il continente Americano. Così, il 19 dicembre 10929, Francesco De Pinedo lasciava l’Italia, salutato da molti, sul transatlantico Conte Verde in partenza per il Sud America dal porto di Genova.
Giunse a Buenos Aires, nuova sede di lavoro, profondamente amareggiato e con un caldo soffocante. L’ambientamento fu più difficile del previsto, il lavoro di addetto militare aeronautico, sedentario, la sensazione di esser sorvegliato nella vita pubblica e privata presente. Inoltre gli fu negata la possibilità di varcare i confini dell’Argentina, per recarsi all’estero. In sintesi Francesco De Pinedo era caduto in disgrazia presso il fascismo. (Ivi, pp. 155- 158 e p. 165).

Inoltre venne diffusa, da parte dei “soliti ben informati” la notizia che Francesco De Pinedo era stato inviato in Argentina a causa della simpatia del trasvolatore per la principessa Giovanna, promessa, poi, al re Boris III di Bulgaria, nonostante la Regina in persona avesse assicurato che non aveva motivo alcuno di risentimento verso il generale De Pinedo, in sintesi che egli si era sempre comportato correttamente. (Ivi, p. 160).

Che Francesco De Pinedo fosse caduto in disgrazia, lo dimostrano due fatti, che pure ci mostrano il clima che si viveva in quegli anni.

Dal 22 al 30 maggio del 1932 si svolgeva, a Roma, organizzato dal Reale Aereo Club d’Italia, il primo Convegno Internazionale degli Aviatori Transoceanici, «il cui grande patron era Balbo che, l’anno prima, aveva compiuto la trasvolata dell’Atlantico Meridionale, da Orbetello a Rio De Janeiro, alla testa di uno stormo di idrovolanti S 55 TA». (Ivi, p. 164-165).
Il successo dell’impresa era stato notevole, proiettando Balbo nel Gotha dei trasvolatori. L’invito a partecipare al Convegno fu inviato per tempo a tutti trasvolatori dell’Atlantico italiani e stranieri, e l’adesione allo stesso doveva giungere entro il 15 marzo. Ma di fatto l’invito giunse a De Pinedo solo il 20 maggio 1932, due giorni prima dell’inizio, essendo stato inviato solo il 27 aprile 1932, impedendogli di parteciparvi.  E come non bastasse, egli ricevette, pure, un richiamo dal comitato organizzatore. (Ivi, p. 164).

L’assenza al Convegno di De Pinedo non passò inosservata. Allora «Unico aviatore vivente al mondo ad aver trasvolato, all’ epoca, sia l’Atlantico del Nord sia quello del Sud, oltre all’Oceano Indiano e all’Oceano Pacifico», certamente egli avrebbe catalizzato l’attenzione dei partecipanti, «rischiando di far passare in seconda linea la Crociera Aerea del Sud Atlantico, e con essa Balbo ed i suoi compagni». (Ivi, pp. 164- 165).

Inoltre se vi fosse stato qualche prestigioso riconoscimento, sarebbe stato quasi sicuramente dato a lui, e sarebbe poi stato difficilissimo estrometterlo dall’aeronautica, come avvenne qualche tempo dopo.
Nel settembre dello stesso anno, infatti, gli fu comunicato che non aveva i requisiti per passare al grado superiore nell’Aeronautica, di cui era Ministro Balbo, cioè a quello di Generale di Squadra. Quindi, il 1° ottobre gli giunse la comunicazione di esser stato passato all’ausiliaria, e due giorni dopo quella di cessazione dell’incarico di addetto militare, per cui si trovava a Buenos Aires. Così egli si trattenne in Argentina solo fino ai primi giorni di novembre, pensando però ad una nuova avventura nei cieli: un volo in tre segmenti diversi che lo avrebbe portato da Buenos Aires a Sidney, da Sidney a Capetown e da Capetown a Buenos Aires. E aveva scelto, credo non senza intenzionalità, di svolgere l’impresa parallelamente alla Crociera Aerea del Decennale, di cui già si sentiva parlare. Ma non era così facile attuare questo progetto.
Non era facile, infatti, trovare chi coprisse le spese, calcolate in oltre 110.000 dollari, essendo fra l’altro gli Stati Uniti in fase recessiva; nell’Aereonautica italiana vi era stata una svolta che portava in primo piano piloti preparati secondo tecniche di avanguardia, il che rischiava di far passare per obsoleta una sua nuova impresa solitaria, che forse non avrebbe incontrato più il gusto del pubblico. Ed ormai erano state superate distanze di 7.000 – 8.000 chilometri senza scalo, ed i lunghi percorsi erano diventati frequenti. (Ivi, p. 167). Così una impresa come quella che aveva studiato non avrebbe aggiunto nulla alla sua fama. L’unica possibilità di successo sarebbe stata nella percorrenza di una lunghissima distanza senza scalo. Però ci voleva un veivolo che, alleggerito di ogni superfluo, potesse caricare molto carburante. Ed egli pensò di poter realizzare questo sogno con la Bellanca Aeronautical Corporation. Ma andò, invece, verso la morte.
«Un sorriso, una alzata di spalle» furono la risposta ai familiari, che cercavano di dissuaderlo. (Ivi, p.171).
Raggiunta New York, dopo una serie di contrattempi, saputo che il tempo era favorevole, Francesco De Pinedo decise di partire al mattino del 2 settembre 1933. Quel volo significava molto per lui: voleva infatti dimostrare a sè stesso che non era invecchiato e che poteva stupire ancora.
Alle 5 del mattino, i meccanici fecero uscire dall’hangar il Santa Lucia ed iniziarono a rifornirlo di carburante. Quindi De Pinedo, accompagnato dall’ingegnere Ugo Veniero D’Annunzio, figlio di Gabriele, e suo amico, lo raggiunse. 
Salito sull’aereo, salutò D’ Annunzio e alle 7 del mattino iniziò il decollo. «Percorsi due terzi della pista, il veivolo, con un guizzo, staccò il ruotino di coda da terra, dando per alcuni attimi, l’impressione che stesse per decollare. Iniziò invece ad imbardare sulla destra e dopo un vano tentativo di rimettersi in linea, riprese a sbandare nuovamente andando a finire, senza più controllo, contro una cancellata della recinzione. Tre violente esplosioni, una dopo l’altra, lacerarono l’ aria già calda del mattino, accompagnate da lunghe lingue di fuoco […].» (Ivi, pp. 182-183). Le tre tonnellate di carburante ridussero il Santa Lucia in una informe ed annerita carcassa metallica, ove Francesco De Pinedo trovò la sua fine.

La notizia della morte di De Pinedo giunse al ministero dell’aereonautica dopo sei o sette ore. Alla notizia Balbo apparve turbato e volle esser lasciato solo, del resto, al suo rientro dalla Crociera del Decennale, aveva egli stesso colto un chiaro mutamento dell’atteggiamento di Mussolini nei suoi confronti. Balbo capì che la enorme popolarità che aveva ottenuto con le sue Crociere, avevano allarmato ed impensierito il Duce.  Ed anche per lui l’allontanamento dall’Italia, con la scusa del governatorato libico, fu segnato.
A notte inoltrata, la notizia della morte di De Pinedo iniziò a girare per la capitale italiana, ma stranamente, nessuno avvisò dell’accaduto la famiglia. Il pomeriggio del giorno seguente, i quotidiani riportarono, in prima pagina, servizi sull’accaduto dagli States. Così accadde che il fratello di Francesco De Pinedo apprendesse la notizia della sua morte da “Il Giornale d’Italia”. Per fortuna gli anziani genitori ebbero il tempo di esser preparati a conoscere l’accaduto. (Ivi, pp. 187-194).

I giornali neworkesi furono concordi nel ritenere la causa dell’incidente una manovra dell’aviatore per evitare degli spettatori spintisi troppo sulla pista; tutti i giornali statunitensi uscirono con servizi che ricordavano l’eroe dei voli transoceanici, the “Lord of distances”, quelli della comunità italo- americana uscirono listati a lutto, migliaia di sovrani, capi di stato, autorità, piloti, ma anche semplici cittadini manifestarono il loro cordoglio per la morte del grande aviatore, i primi a vegliare la salma, avvolta nelle bandiere italiana e statunitense, furono due marinai di Napoli. Il 10 settembre, la celebrazione delle esequie solenni, a New York, fu imponente, ed a De Pinedo furono resi i massimi onori per un militare, seguendo un rigido cerimoniale. Una folla immensa accorse a salutarlo per l’ultima volta, e otto aerei militari solcarono il cielo, lasciando vuoto il posto per il “missing man” l’aviatore caduto, come da protocollo.
Quindi la bara prese posto sul transatlantico Vulcania e raggiunse l’Italia. Ma qui lo scenario fu ben diverso.
I vertici dell’Aeronautica, cioè Balbo ed i suoi, optarono per una cerimonia privata con la sola presenza di amici e familiari, e la tumulazione al cimitero del Verano, scelta che fu ritenuta un ultimo affronto dalla famiglia. Arturo De Pinedo comunicò a Galeazzo Ciano che la famiglia era in grado di pagare funerali privati, e che se tali dovevano essere, lo sarebbero stati totalmente. A questo punto intervenne Mussolini che decretò i funerali di Stato, da organizzarsi da parte dell’Aeronautica. (187-194).
Ma quando la Vulcania giunse al molo di Bevetello, nessun aereo fu fatto alzare in volo per scortare il feretro sul suolo italico. Appena sbarcato il corpo di Francesco De Pinedo fu trasportato a Roma, alla chiesa di Santa Maria degli Angeli, ove furono notate le corone del Re e di Mussolini, ma non quella di Balbo, e, nonostante la presenza del picchetto d’onore in alta uniforme, anche davanti alla chiesa, le esequie non ebbero neppure lontanamente il tono solenne e marziale di quelle statunitensi, benché vi partecipasse una gran folla. (Ivi, pp. 194-198).

Il 28 marzo 1934, nel corso della cerimona per il dodicesimo anno dalla fondazione della Regia Aeronautica, Mussolini appuntò sul petto del padre di De Pinedo la medaglia d’oro al Valore Aeronautico per il figlio. (Ivi, p. 199).
«Osannato ed avversato, idolatrato e contestato […], De Pinedo non fu indenne dal girovagare della fortuna – scrive il suo biografo Ferrante – […] dalle gelosie dalle invidie […]. (…). Lui che sapeva prevedere e padroneggiare le insidie del vento e del mare […] non fu altrettanto accorto […] a guardarsi dalle imboscate che i suoi antagonisti gli andavano preparando acquattati dietro le scrivanie, sgusciando e celandosi negli angusti meandri degli uffici, delle segreterie, e degli ambulacri dei palazzi del potere.» (ivi, p. 202).
Così egli iniziò ad entrare, dopo la sua morte, in quella damnatio memoriae, che è da imputarsi «più ad una disattenzione mirata che all’ inesorabile fluire del tempo», da cui Ovidio Ferrante lo ha tolto, ma per me Romano Marchetti, che seguiva le sue vicende, con ammirazione. Anche per questo, grazie Romano.

Laura Matelda Puppini

L’immagine che correda l’articolo è la scannerizzazione della copertina del volume di Ovidio Ferrante, “Francesco De Pinedo. In volo su tre oceani”, Mursia editore, 2005, da cui ho preso queste note biografiche, ed a cui rimando. Laura Matelda Puppini

https://i0.wp.com/www.nonsolocarnia.info/wordpress/wp-content/uploads/2015/11/francesco-de-pinedo-copertina-volume263.jpg?fit=660%2C1024&ssl=1https://i0.wp.com/www.nonsolocarnia.info/wordpress/wp-content/uploads/2015/11/francesco-de-pinedo-copertina-volume263.jpg?resize=150%2C150&ssl=1Laura Matelda PuppiniSTORIANon volevo più scrivere una riga su Francesco De Pinedo, ma dopo la lettera della sig.ra Maria Croatto al Messaggero Veneto, pubblicata il 23 luglio 2015, e dopo aver letto l’interessantissima e documentata biografia di Ovidio Ferrante, intitolata: Francesco De Pinedo. In volo su tre oceani. Mursia ed., 2005,...INFO DALLA CARNIA E DINTORNI