Il 25 aprile 2015 commentavo l’articolo di Matteo Zola, L’eccidio di Porzûs, la Resistenza spezzata, pubblicato su East Journal il 24 aprile 2015.
Allora avevo scritto da Roma, sulla base della mia sola memoria di ciò che avevo letto ed appuntato, riservandomi di riprendere l’argomento su www.nonsolocarnia.info, citando le fonti.
Non ebbi il tempo, poi, per documentare il mio pensiero, anche perché i fatti di Topli Uorch (detti erroneamente di Porzûs) non erano fra i miei interessi precisi. Ma ora, dopo che l’argomento è stato riproposto, momentaneamente, dall’assessore Torrenti e ripreso da Gian Luigi Bettoli, ho deciso di esporre in modo organizzato e documentato quanto scritto su East Journal allora, senza avere assolutamente la presunzione che sia la verità, ma solo come ipotesi, come un divagare documentato.

Comunque il fatto che «A settant’anni dai quei fatti resta solo la certezza delle morti e degli esecutori», come afferma Matteo Zola nell’articolo citato, è anche mia convinzione.

Credo che, forse, per poter cercare solo di capire il contesto in cui accadde la strage di Topli Uorch si dovrebbe dimenticare molto di quello che fu scritto, ipotizzato, ecc. nel dopoguerra, che potrebbe esser stato condizionato dall’anticomunismo ed in particolare dal fatto che i processi videro unirsi, forse arbitrariamente, tre aspetti diversi: il passaggio della Divisione Garibaldi Natisone nella zona libera ove comandava il IX° Korpus dell’Esercito di Liberazione Jugoslavo, l’uccisione di un gruppo di osovani, comandato da Francesco De Gregori Bolla, da parte di un gruppo garibaldino, comandato da Mario Toffanin, Giacca, l’anticomunismo che, nel dopoguerra, portava a cercare nei rappresentanti del P.C.I. la causa di ogni male.

Viste le storie personali di Bolla e Giacca, do per scontato che Bolla non fosse favorevole ai comunisti, mentre Giacca sì.

Francesco De Gregori era un ufficiale effettivo del R.E.I., aveva combattuto la guerra di Spagna con l’esercito italiano a fianco dei franchisti e quella di Grecia – Albania, ove era rimasto seriamente ferito, a Mali Topoianit, ad un ginocchio. Egli aveva trascorso molti anni della sua vita presso scuole militari. Infatti, dopo la Scuola Allievi Sottoufficiali di Modena, aveva frequentato la Regia Accademia di Fanteria e Cavalleria nella stessa città, e quindi la Regia Scuola di Applicazione di Fanteria di Parma, fino a raggiungere il grado di tenente e quindi di capitano. Egli viene ricordato come persona intelligente e colta, che riusciva a farsi benvolere dai sottoposti e stimare dai superiori. Se avesse voluto avrebbe potuto benissimo non scegliere la carriera militare, perché proveniva da una famiglia agiata. (Il diario di Bolla (Francesco de Gregori), a cura di Giannino Angeli, A.P.O. 2001, pp. 15-21). Inoltre egli a me non appare un grafomane, come fu definito, ma un bravo ufficiale, che aveva osato dire no, a differenza di altri, al servire di fatto i tedeschi.

Mario Toffanin, invece, apparteneva ad una famiglia operaia, a 17 anni aveva iniziato a lavorare come garzone a Trieste e nel 1933 era entrato a far parte del Partito Comunista. Nel 1939 il Partito lo inviò a Zagabria. Nel periodo 1941-1943, dopo l’invasione della Jugoslavia da parte di nazisti ed italiani, agì con i partigiani in Croazia. Il 20 aprile del 1943 fu arrestato, ma quattro mesi dopo riuscì a fuggire, con altri 28 compagni, mentre veniva trasferito in Germania. Continuò quindi a prender parte alla resistenza, anche come gappista. Il 19 aprile 1944 sua moglie venne arrestata e deportata ad Auschwitz da dove fece ritorno alla fine del 1945. (Mario Toffanin 1912 “Giacca”, in: http://www.inricordo.eu/). Ai primi di agosto del 1944, Giacca, con un proprio battaglione, chiamato GAP, gruppo «abbastanza numeroso ma senza nessun ordine e disciplina» (Padoan Giovanni (Vanni), Abbiamo lottato insieme, Del Bianco editore, 1966, p.114), si presentò al Comando della Natisone, in Zona Libera del Friuli Orientale. «Non era un cattivo compagno – scrive Vanni – ma di una limitatezza d’orizzonte e d’una ristrettezza veramente paurose.» (Ivi, p. 114). La Divisione Natisone gli pose delle condizioni chiare, come quella della dipendenza dal btg. Picelli, comandato da Gino Lizzero, Ettore, ed infine, dopo vari tentennamenti, egli accettò, (Ivi, p.115) ma non riuscì mai, come il suo gruppo, ad integrarsi completamente. Inoltre si distinguevano perché il fazzoletto rosso che portavano al collo era di dimensioni enormi, quasi uno scialle, e sul berretto avevano una stella rossa talmente grande che pareva una piovra, e stelle rosse erano incise sui fucili. (Ivi, p.119). Giacca, quando vi fu la ritirata dalla Zona Libera Orientale non obbedì agli ordini, lasciando il suo gruppo al comando del vice – comandante, il quale, ubriaco, giunse con i suoi, mezzi dei quali ubriachi come lui, al posto assegnatogli dal Comando. A questo punto, Sasso, Mario Fantini, alla guida del Comando Unico, fece arrestare il vice-comandante del gruppo, che fu però successivamente liberato dai suoi, e con loro si eclissò. Giacca si salvò o fu salvato dalla fucilazione. (Padoan Giovanni (Vanni), Porzus, Ed. La Laguna, p. 57, e Padoan Giovanni (Vanni), Abbiamo lottato insieme, op. cit., p. 121). Forse già allora egli con il suo gruppo riparò in bosco Romagno.

Bolla aveva aderito alla resistenza osovana ed aiutato ad organizzare la stessa, (Cfr. Romano Marchetti, (a cura di Laura Matelda Puppini), Da Maiaso al Golico, dalla Resistenza a Savona, una vita in viaggio nel Novecento italiano, IFSML e Kappa Vu ed., 2013, p.89), ed era per questo ricercato da nazisti e fascisti, Giacca aveva aderito alla resistenza garibaldina, ed era per questo ricercato da nazisti e fascisti.

Ma ritorniamo all’ipotesi di un collegamento fra IX° Korpus, P.C.I., omicidio plurimo di osovani che stavano a Topli Uorch da parte di garibaldini, Divisione Garibaldi/ Natisone, accusata di essere anti- italiana, quando è noto che non solo la “Natisone” aveva comunicato il passaggio alle dipendenze operative del IX Korpus al CLNAI, ma questi continuò sempre a considerarla una formazione della resistenza italiana, e così attestò anche alla fine della guerra, (Kersevan Alessandra, Porzûs: il più grande processo antipartigiano del dopoguerra, in: http://www.diecifebbraio.info/2012/02/).  Chi dice che questo collegamento sia stato vero?
Questo collegamento fu ipotizzato dai comandanti osovani Candido Grassi Verdi, e Alfredo Berzanti Paolo. Subito dopo la Liberazione, essi furono i primi a denunciare data e dinamica dell’eccidio ed accusarono i partigiani comunisti di aver ucciso i propri compagni di lotta «solo perché si erano resi colpevoli di non aver voluto combattere i tedeschi sotto la bandiera jugoslava». (https://it.wikipedia.org/wiki/Processi_per_l’eccidio_di_Porzûs).

Per esser sinceri, però, la prima informazione osovana sui fatti dava la cattura di Bolla ed altri per mano del IX° Korpus. Infatti una prima comunicazione sull’accaduto, inviata: al Comando 1^ e 3^ Brigata, al Comando della 6^ Brigata, al Comando Btg. Guastatori – G.E. , e p.c. in stralcio al CLN PROV. e CRV, recante le firme autografe di Vico (Giovanni Battista Carron, vicentino) e Mario (Cencig Manlio, comandante, dopo la crisi di Pielungo, della Brigata Osoppo/Carnia), attribuiva l’azione contro il gruppo che stanziava a Topli Uorch e la cattura di elementi dello stesso ai partigiani sloveni, e prospettava la necessità di una azione a Robedischis, dove aveva sede il reparto del IX° Korpus più vicino, e presso il quale si presupponeva fossero stati portati gli osovani fatti prigionieri. (Buvoli Alberto, Le formazioni Osoppo Friuli, documenti 1944- 45, ed. I.F.S.M.L. Ud, 2003, p.189).
«Che nei primi giorni ci sia confusione di notizie – scrive Buvoli – lo prova anche il radiomessaggio, […] che il giorno 8 il magg. Nicholson (il maggiore inglese Thomas John Roworth), invia al Comando alleato:  «Catturato quartier generale 1^ Brg. e Bolla Enea una donna e un ragazzo brutalmente uccisi. Tedeschi e repubblicani guidati da una spia. Avvertite McPherson di cambiare zona. Sospendere per ora i lanci solo per la 1^ Brg..» (Ivi, p.189).

Il 9 febbraio 1945, il Comando della 1^ Divisione Osoppo, ritenendo ancora l’azione alle malghe di Topli Uorch (sul documento malghe Fastena) opera di un centinaio di sloveni che avevano riparato poi a Robedischis, ordinava e programmava un’azione contro gli sloveni, che avrebbe dovuto iniziare l’11 febbraio 1945 e terminare entro 5 giorni. (Ivi, pp. 188-189).

Il 10 febbraio 1945, Nicholson,  dopo aver avuto contatti con Mario/Cencig, modificava pure lui la sua versione, sposando la colpa slovena, e inviava al comando alleato un radiomessaggio di questo tenore: «Ricevuto oggi urgenti notizie da Mario, comandante Divisione Osoppo per immediata fornitura d’armi a seguito ordini di Mac Pherson per prepararsi ad un’azione combinata con gli alleati contro imminente invasione slovena del Friuli ordinata da Tito. Presumo Mac abbia ricevuto ordini da voi ma egli è irraggiungibile non solo da me ma anche dai comandanti dell’Osoppo. Se queste notizie sono vere propongo cautela dal momento che la situazione è molto complicata. Tutti i capi della Garibaldi sono ora in Slovenia e stanno forse pianificando un colpo di stato con Tito per una occupazione comunista con aiuto degli sloveni. Se così gli agitatori potrebbero causare seri attacchi diversivi nella prima retroguardia. Consiglio fermamente una soluzione diplomatica […] per far sì che entrambi sloveni ed italiani si concentrino contro i tedeschi. Ogni ulteriore incoraggiamento dato ai partigiani su questo soggetto molto popolare farà sì che essi dimentichino completamente l’ imminente ritirata tedesca. In caso di richiesta vostro piano a Mac mio 197 diventa molto importante dal momento che i ragazzi di Willie (Junio Valerio Borghese, n.d.r.) hanno già proposto azione congiunta antislovena con Osoppo ed attualmente hanno preparato una linea di resistenza fortificata contro probabili attacchi sloveni. Inoltre tutti ben disciplinati possono assorbire Osoppo in una formazione militare. Essenziale è che maggiore ufficiale inglese stia in pianura preferibilmente a Udine capitale del Friuli e quartier generale dell’attività partigiana. (…).» (Ivi, pp. 190-191).

Successivamente la Osoppo ricevette altre informazioni, più precise, sulla strage di Topli Uorch, come si apprende dalla relazione del Comando gruppo brigate Est, datato 25 febbraio 1945, e pubblicata sempre da Alberto Buvoli (Ivi, p. 191); ma forse l’anticomunismo post-bellico, (che originò Gladio e le altre Gladio, come da: Giacomo Pacini, Le altre Gladio. La lotta segreta anticomunista in Italia 1943-45, Einaudi ed., 2014) e/o il proprio, portarono Verdi e Paolo,  a sposare la tesi accusatoria centrata su di un miscuglio fra comunisti e sloveni, IX° Korpus, vertici garibaldini (che non capisco come Nicholson non sapesse non essere tutti in Slovenia), e Divisione Natisone come causa dei fatti accaduti a Topli Uorch.

Per quanto riguarda la documentazione che ho citato, mi resta solo un dubbio: Nicholson radiotelegrafava in italiano al comando Alleato, o il testo è stato tradotto? E se sì da chi?
Perché a me pare interessante il problema della lingua in cui ordini vennero trasmessi, documenti vennero scritti, comunicazioni avvennero.
Inoltre, così, solo come boutade, penso pure che documenti, ora come allora, potessero venir falsificati, e mi auguro che, per quelli presentati al processo, si sia verificata l’autenticità con adeguate perizie calligrafiche e analisi della provenienza.
Inoltre a fine gennaio 1945, erano avvenuti reali contatti a Vittorio Veneto fra Manlio Mario Morelli della Xa Mas e Candido Grassi Verdi, (Giacomo Pacini, op. cit., p. 42) che però, ufficialmente non comandava allora la Osoppo. Detto incontro non portò ad una collaborazione, subito considerata difficile. (Ivi, pp. 42-45). Questo incontro viene anche ricordato da Marco Cesselli, che sottolinea come esso ebbe oggetto il fronte unico antisloveno, peraltro non accettato, secondo lui, da Verdi.  (Marco Cesselli, Porzûs, due volti della Resistenza, Aviani & Aviani, ristampa 2012, p. 44).

I contatti fra Xa Mas e Verdi, erano inoltre avvenuti con la benedizione di Nicholson. Infatti sempre secondo Pacini, «Un autorevole avvallo allo svolgimento di quella trattativa, l’aveva dato il maggiore inglese Thomas John Roworth, (Nicholson), capo della missione Soe nell’Italia Nordorientale […]. (Giacomo Pacini, op. cit., p. 42). Infine Cino Boccazzi, detto, secondo Pacini, tenente Piave, noto anche solo come Piave, era stato il mediatore dell’incontro, conoscendo la Xa Mas. (Ivi, p. 42).  Cesselli afferma che Cino Boccazzi, che ben conosceva Nicholson, fu presente all’incontro. (Marco Cesseli, op. cit., p. 44).

Ed è comunque realistico che la commistione fra la “partitizzazione” dei Garibaldini, considerati, a torto, tutti comunisti, ed i partigiani dell’Esercito di Liberazione Jugoslavo operanti in Slovenia e formanti il IX° Korpus di detto esercito (si noti che allora vi era l’OZAK, e quindi non vi era il confine tra due stati nei pressi di Trieste, semmai vi era quello fra OZAK e Zona Libera in mano agli sloveni), unita ad una criminalizzazione della divisione Natisone, potesse essere congeniale ai Repubblichini di Junio Valerio Borghese.
Si può certamente ipotizzare che questi aspetti, se noti, come la feroce propaganda anticomunista dei tedeschi che tendevano a metter l’uno contro l’altro, avrebbero potuto avvelenare gli animi in una condizione di freddo, fame e paura per tutti.

Le problematiche e tensioni, sorte fra garibaldini ed osovani, venivano descritte da Ostelio Modesti in una missiva al Triunvirato Insurrezionale Veneto, datata 13 febbraio 1945: « Ogni giorno che passa si delinea nettamente la rottura con lo strato superiore della Osoppo. Aumentano i loro legami diretti con la polizia e perfino con i tedeschi. Deliberatamente i capi dello strato superiore si oppongono alla nostra politica di unità e contemporaneamente proibiscono ai loro uomini […] di fare accordi con i garibaldini.
In modo sempre preciso accelerano la campagna antigaribaldina, anticomunista ed antislava. (…). Ricevono lanci sì lanci in grandi quantità (pur essendo in questo momento in quattro gatti). (…).  Il compagno Andrea (Mario Lizzero n.d.r) ha steso una relazione che vi manderemo. (…). » (Padoan Giovanni (Vanni), Porzus, op. cit., p. 55).
Certamente in Carnia, ove Andrea aveva cercato, con l’appoggio di Romano Marchetti, Cino da Monte, osovano, di formare il secondo comando unico, era accaduto così. Aurelio, don Ascanio De Luca, aveva bocciato detta ipotesi, che permetteva di giungere insieme alla liberazione, e su questo esiste documentazione.

Ma cosa c’entrava, in tutto questo,  la Divisione Garibaldina Natisone, allora in territorio sotto il controllo del IX° Korpus? Mistero.
Come narra Annibale Tosolini, dopo il 29 settembre 1944, fine della Zona Libera del Friuli Orientale, la Natisone si era rifugiata in località Campo di Bonis, non distante dalla 1^ Brigata Osoppo, che era riparata in zona Porzûs. Poi i partigiani garibaldini si erano spostati qui e là, ma nei dintorni, finché non era passato il periodo critico. Dopo il proclama Alexander, che aveva detto di andare tutti a casa, i vertici della Divisione Garibaldi Natisone avevano deciso, per la sopravvivenza, di portare tutti oltre l’Isonzo, a svernare, ad aspettare primavera. (E tu seis chi a contale, Annibale… Storia di un partigiano friulano della Divisione Garibaldi Natisone, intervista di Laura Matelda Puppini ad Annibale Tosolini, Tarcento, 6 settembre 2013, pubblicata in: www.nonsolocarnia.info).
Credo sia comprensibile che, avendo ben poco anche per sé stessi, ed essendo in corso una guerra feroce, il comando del IX° Korpus avesse richiesto a Sasso e Vanni la dipendenza operativa.

A livello personale, Bolla poteva esser affaticato dalla situazione venutasi a creare alla fine della Zona Libera del Friuli Orientale e dal Comando Unico (Cfr. Laura Matelda Puppini, La Zona Libera del Friuli Orientale, in: http://www.storiastoriepn.it) a cui forse non era abituato, voluto però anche dalla Osoppo, che aveva richiesto, ovunque, che i comandanti fossero garibaldini, in quanto più organizzati, e l’inverno si era dimostrato foriero “di fame, di gelo, di disagi”. Giacca aveva avuto la moglie catturata, ed era forse provato dagli anni passati nella resistenza, e dal continuo vedere la morte in faccia, era tipo forse impulsivo, e più portato al far da sé, ma ciò non lo giustifica.

Dalla lettura del diario di Bolla, par di capire che De Gregori, in quel lungo inverno 1944-45, forse, ad un certo punto si trovò in difficoltà, ma continuò a comandare in condizioni di vita durissime.

Mancano i viveri e si inizia ad intaccare le riserve dei magazzini 1 e 2, il pane promesso non giunge, fa freddo e la temperatura raggiunge i 10 gradi sotto zero al mattino, l’acqua ghiaccia e per bere bisogna sciogliere la neve ghiacciata e da prelevare, le coperte e gli indumenti sono scarsi. Inoltre il nemico fa incursioni ed uccide, e la tensione è alta, la via normale dei rifornimenti viene preclusa da una azione dei partigiani sloveni contro i cosacchi che da allora in poi la pattugliano, il morale degli uomini è un po’basso. (Diario di Bolla, op. cit. p. 84). Non resta che attendere il lancio di viveri e munizioni, promesso dagli alleati, programmato per il 1° febbraio 1945.

Ma pur essendo giunto l’apparecchio, nulla viene trovato nel campo stabilito per il lancio, mentre Bolla viene a sapere che «gli sloveni hanno acceso fuochi nella zona di Robedischis, con l’evidente intenzione di disturbare il lancio e trarre in inganno l’apparecchio». Infine si viene a sapere che il lancio è stato effettuato nella zona Cancellier – Salandri – Forame. (Ivi, p. 98).

Il 2 febbraio Bolla si reca personalmente, al comando di un gruppetto dei suoi, a Plan dal Jof a cercare i colli spediti e mancanti, ma deve sospendere le ricerche a causa del nemico. Nel pomeriggio viene informato che l’operazione della mattinata, contro il gruppo osovano, era stata condotta dai cosacchi, che avevano recuperato molto materiale del lancio e catturato il Patriota Nodo, comandante del battaglione osovano Carnizza . (Ivi, pp. 99-100).

Pare, inizialmente, che quanto lanciato sia stato preso dai cosacchi, in un secondo momento Bolla ritiene pure colpevole la popolazione dei paesini di Cancellier e Salandri, e annota, in data 3 febbraio 1945, che:
«la popolazione di Cancellier si è comportata malissimo sottraendo tutti i paracadute e moltissimo materiale;
la popolazione di Salandri si è comportata malissimo, accendendo fuochi che hanno contribuito a trarre in errore l’apparecchio». (Ivi, p.100).

Del materiale viene recuperato e messo al sicuro, ma vengono impartiti ordini (da Bolla essendo comandante, altrimenti non si capisce da chi, e si ricordi che allora gli ufficiali, come anche Romano Marchetti, scrivevano, di se stessi, in terza persona) «per l’arresto delle persone che hanno acceso fuochi a Salandri;
per l’arresto di cinque ostaggi a Cancellier, da trattenere fin quando la popolazione non avrà consegnato tutto il materiale sottratto». (Ivi, p. 101).
Infine queste decisioni vengono comunicate alla popolazione con un “bando n.1”.(Ivi, p.101).

Il 4 febbraio 1945, il bando, che impone la restituzione del materiale del lancio sottratto, pena la fucilazione degli ostaggi, viene letto alla popolazione di Cancelier, e nel contempo vengono arrestati «cinque giovani, a caso, in qualità di ostaggi ed una donna che ha fatto segnali luminosi agli apparecchi.

Contemporaneamente il Btg. Guastatori, […] arresta tre minorenni che hanno acceso fuochi durante il lancio, nella zona di Salandri.

Alle h. 13, tutti gli arrestati arrivano al Comando.
Questi ne trattiene undici:

– Imponendo alla popolazione di Cancellier la restituzione del materiale sottratto, pena la fucilazione d’un ostaggio al giorno, in caso di inadempienza;

– imponendo alla popolazione di Salandri la multa di 20 Kg. di grassi o di salumi pena l’internamento degli ostaggi, in caso di inadempienza.

Il Comando agisce con tanta severità per due ragioni:

1°) È necessario sopperire allo scarso numero (15 guastatori a Pecol e 15 al Reparto Comando alle Malghe) col mostrare la massima decisione;

2°) È indispensabile dare un esempio per togliere alla popolazione locale, una volta per sempre, il malvezzo di considerare le formazioni osovane come una fonte di sfruttamento e di lucro.

I prigionieri sono riuniti in una malga, sotto buona guardia, e ricevono un solo pasto serale, mentre, per la notte, non viene loro distribuita nessuna coperta. È bene che sentano bene i disagi della nostra vita, loro che hanno cercato di sottrarci quel poco materiale che può mitigare questi disagi.» (Ivi, p. 102).

E si giunge così al 5 febbraio 1945.

Così si legge sul diario: «La popolazione viene al Comando e versare 15 dei 20 Kg. di grassi con i quali è stata multata.
Viene il parroco di Subit a implorare clemenza per gli ostaggi di Cancellier. Il Comando concede 24 ore di proroga per la fucilazione del primo ostaggio.

Intanto la popolazione di Cancellier versa al Comando 8 paracadute con relative corde.
I prigionieri di Salandri vengono rimessi in libertà, meno uno che sarà trattenuto fino a quando non giungeranno i 5 Kg. di grasso mancanti al pagamento totale della multa.

In genere la popolazione dei due borghi mostra di aver capito molto bene la lezione, e di temere le minacciate rappresaglie del Comando.» (Ivi, p. 105).

Il 6 febbraio 1945. «Accertato, a mezzo di un’accurata inchiesta che:
– a Cancellier sono effettivamente caduti colli contenenti esplosivo perché, data l’altezza dalla quale l’apparecchio ha effettuato il lancio, solo il materiale pesante è caduto concentrato;
– tutto il materiale caduto a Cancellier è stato prontamente versato al Comando»,

il Comando (di Gruppo che è, secondo me, sempre Bolla che sta per diventare o è già diventato Comandante del gruppo brigate Est) decide di rimettere in libertà tutti gli ostaggi. (Ivi, p. 106).

Ed il 6 febbraio Bolla scrive che sono giunti, ivi, sia il Comandante ed il gruppo Comando della 6^ Brigata, sia il Delegato Politico Enea (Gastone Valente). (Ivi, p.106).

La si veda in un modo o nell’ altro, quanto è accaduto è, un fatto gravissimo. Possiamo ipotizzare che le durissime condizioni di vita abbiano giocato un ruolo nelle scelte di Bolla ed anche che la sua preparazione militare, peraltro avuta pure in epoca fascista, lo abbia indotto a pensare, in quel contesto bellico, che la vita dell’ufficiale e dei suoi subordinati fosse la cosa principale, come forse aveva appreso nella scuole militari frequentate, ma quanto non giustifica Bolla per questa azione contro civili, come nulla giustifica la sua uccisione e quella dei suoi da parte di Giacca e del suo gruppo.

Si potrebbe quindi supporre che quanto Bolla aveva comandato di fare, fosse giunto alle orecchie del comando divisionale osovano, che aveva accelerato la ristrutturazione inviando altro comandante a Topli Uorch, ma è più probabile che nulla si sapesse e che l’avvicendamento sia avvenuto per caso, essendo già in corso. Si può ipotizzare che quanto accaduto fosse giunto anche alle orecchie dei garibaldini e forse del P.C.I. , che inviarono a verificare. «Va fai e fai bene»  (interpetabile anche come: “comportati bene o vedi cosa è accaduto”), dice Modesti a Giacca, che gli chiede di andare a vedere che sta accadendo alle malghe di Topli Uorch. (Padoan Giovanni Vanni, Porzus, op. cit., p. 55).

Ma le persone dei paesini di Cancellier e Salandri avrebbero potuto anche aver solo inviato un messaggero a Giacca, perché era da loro conosciuto. Infatti egli era stato in precedenza a Poiana (Buvoli Alberto, op. cit., p.194) e sapevano, magari, che si trovava in Bosco Romagno, sua sede quando operava con i Gap. (Padoan Giovanni Vanni, Porzus , op. cit., p. 37). Questi, presente all’ incontro di Orsaria, predisposto per preparare il colpo alle carceri di Udine, avvenuto il 7 febbraio 1945, avrebbe allora ricevuto un distratto «Va, fa e fai bene» da Ostelio Modesti. Ma Giacca avrebbe potuto anche sapere solo che c’era qualcosa di anomalo che stava accadendo lassù.

Intervistato da Marco Cesselli, prima di scrivere il suo volume su Porzûs, Modesti ha sostenuto, che la riunione di Orsaria era stata convocata per decidere l’azione sulle carceri, e che solo alla fine, in procinto di andarsene, Giacca riferì i suoi sospetti accusando il gruppo di Bolla, mostrando quindi la necessità di preparare una spedizione su Porzûs, per “Vederci chiaro”». (Ivi, p. 55).

E non si deve dimenticare che se i fatti avvenuti in zona Topli Uorch, Cancellier e Salandri, erano gravi per tutti, figurarsi per Giacca, se a lui comunicati, che era un comunista “intransigente” vecchio stampo e pure affamato (Buvoli Alberto, Le formazioni Osoppo Friuli, op. cit., p. 194).

Dal racconto di Franco di Faedis, medico della Osoppo, si viene a sapere che egli aveva incontrato il gruppo comandato da Giacca mentre saliva alla malghe, e che elementi dello stesso gli avevano urlato:«Tu, vigliacco assisti quei porci di badogliani: voi mangiate, bevete, fumate, noi niente». (Ivi, p. 194).
Inoltre si sa che Giacca aveva portato con sé alimenti, dalle malghe, svuotando i magazzini, aperti da Bolla, infatti: «La strada che essi avevano fatto era identificabile per le tracce del bottino disperse (pasta, riso, tra l’altro il libretto di appunti del povero Bolla).» (Ivi, p. 194).

E questo tema del cibo dovrebbe far pensare alle condizioni di vita di partigiani e popolazione all’epoca. Inoltre Giacca trovò lì Elda Turchetti, e non esistono prove, che io sappia, per dire che sapesse che si trovava lassù. Giacca, poi, è definito da Prima Cresta che lo aveva conosciuto “ avventuriero, violento” ( Costa Primo, Un partigiano dell’ Osoppo al confine orientale, Del Bianco 1969, p.118), mentre Vanni lo riteneva bravo nel fare azioni ma “ottuso ed incapace” (Padoan Giovanni Vanni, Porzus, op. cit., p. 57).

Inoltre nella sua relazione, datata 13 settembre 1944, così l’ispettore del P.C.I. Bruno Venturini descrive Giacca ed i suoi: « Settarismo, superiorità, saluto con il pugno chiuso, stella rossa, politica integrale, sfiducia e critica a tutti e a tutto. (…). Lavorare con loro è una terribile fatica. Sarebbe meglio per noi fare una buca profonda mille metri e metterli tutti dentro, poiché se non hanno capito oggi non capiranno mai più. L’esempio più grave in questo ultimo tempo fu il distaccamento formato dal compagno Giacco ( sic!) …attorno a lui molti vecchi e giovani influenzati da questo spirito. In questo distaccamento tutti i difetti sopra detti affiorano fino a portare a condizioni tristissime disgregatrici.» (Buvoli Alberto, l’eccidio di Porzus, ipotesi interpretative, in: S.C.in F. n.32, 2001, pp. 22 – 23).

Per quanto riguarda la descrizione dei fatti, non so se possa essere vero che le uccisioni in bosco Romagno continuarono per tanti giorni, e vi è confusione anche sui nomi dei morti, come ha ben sottolineato Alessandra Kersevan, che precisa come sulla lapide sita a Porzûs ci siano i nomi di battaglia degli uccisi in ordine alfabetico, da questo elenco si possano rilevare alcuni problemi.
Il corpo di Egidio Vazzaz, Ado, non è mai stato trovato, né ci sono altre prove valide perché sia stato inserito fra gli uccisi; Rinato, Mache e Vandalo sono morti in altre circostanze, che non centrano con Porzûs, come già emerso al processo di Lucca, nel 1951; Flavio, Erasmo Sparacino, risulta, dai documenti presso l’anagrafe di Cividale, fucilato dai nazisti il 12 febbraio 1945; ma il suo nome continua ad essere citato fra le vittime di Giacca; Gruaro, Comin Giovanni, non era osovano, ma garibaldino e il suo nome da partigiano era Tigre: e non si capisce come mai i loro nomi siano indicati nella lapide. Infine sulla lapide manca il nome di Elda Turchetti, che pure nei giorni precedenti all’eccidio era stata arruolata nelle file osovane, con un numero di matricola, 1755, e nome di battaglia Livia. (Kersevan Alessandra, Porzûs: il più grande processo, op. cit.). Per inciso sicuramente la Turchetti si trovava con Bolla a Topli Uorch, ma a me la sua storia non è molto chiara.
Il problema dei nomi dei morti a Bosco Romagno e la storia di Elda Turchetti sono stati oggetto di studi anche da parte di Paolo Strazzolini.

Io credo che a far scoppiare la scintilla di “Porzus” possano esser state le condizioni di vita, il clima di sospetto che era ingigantito dalle stesse situazioni di sopravvivenza, esacerbate pure dalla vicinanza di cosacchi che si vedevano comparire all’improvviso e di sciatori tedeschi che sparavano; dai nervi tesi anche fra partigiani dell’Esercito di Liberazione Jugoslavo, ed osovani; dall’attesa di quei cibi e coperte che ” tutti volevano” e su cui tutti si gettarono, e dalla concomitante presenza della Turchetti. Questa è solo un’ipotesi ma anche le altre lo furono, anche se la giustizia ha l’obbligo di decidere sui fatti e lo fece, cercando di capire sulla base dei capi di imputazione, dei fatti narrati, della documentazione prodotta.

Per quanto riguarda Bolla, non a caso sulla motivazione alla medaglia d’oro concessagli, si legge:« Soldato fedele e deciso, animato da vivo amore di Patria, dopo l’armistizio prodiga ogni attività alla lotta di Liberazione organizzando, animando e guidando […]. Comandante capace e valoroso soldato […]. In condizioni difficili di tempo e d’ambiente, fermo, deciso, coraggioso, […]. Cadeva vittima di una situazione creata dal fascismo ed alimentata dall’oppressore tedesco in quel lembo martoriato d’Italia, dove lo spirito patriottico non sempre riusciva a fondere in un solo blocco le forze della Resistenza.» (Padoan Giovanni Vanni, Porzus, op. cit., pp. 58-59).

L’interpretazione della causa dei fatti di “Porzûs” potrebbe esser stata ipotizzata presupponendo motivi e mandanti senza riscontri sufficienti. Ed io penso che forse Giacca non ebbe da nessuno l’ordine di uccidere, ma diede, da solo, l’ ordine di sparare, come ha sempre sostenuto, che io sappia, anche Mario Lizzero.
L’ estraneità o meno di Mario Lizzero a quanto accadde a “Porzûs” è stata oggetto di un processo, intentato dalla sua famiglia contro chi lo accusava. (Cfr.Gianna e Luciano Lizzero contro il “Corriere della Sera”, (a cura di FlavioFabbroni), Quaderni della Resistenza n.13, Anpi, IFSML, 2007).
Non so quanto credibili, per incriminare come mandanti della strage i comandanti sloveni del IX°Korpus, possano essere le lettere Virgilio/Malvin datate 6 e 12 dicembre 1944. «E’ palese che queste due lettere presuppongono un ordine del Comando del IX Korpus» scrive Alberto Buvoli (Buvoli Alberto, L’eccidio di op. cit., p. 20), ma è anche vero che: « […] non si è mai trovato ancora nessun documento scritto del IX° Korpus che convalidi le affermazioni di Virgilio» (Padoan Giovanni Vanni Porzus, op. cit. p. 81. Su dette lettere, cfr anche elementi per confutarne la validità, ivi, pp. 80 – 81).
Che poi in fase processuale difesa e accusa tentino di contestualizzare fatti ed opinioni in base alle loro tesi è cosa nota, ma è aspetto relativo al mestiere dell’avvocato, non dello storico.

Io credo che alcuni aspetti qui da me esposti  possano far riflettere,  anche se subito preciso che non ho letto tutti gli atti processuali integralmente, ma mi sono fatta l’idea, leggendo Alessandra Kersevan, Porzûs: dialoghi sopra un processo da rifare, Kappa Vu, 1997, che si trattasse di molte testimonianze orali, talvolta anche non identiche da parte di stesso teste, talvolta discutibili. Ma allora pareva ai più, un processo al comunismo, a Tito, agli sloveni, ecc. ecc. L’idea che la Garibaldi fosse “ totalmente dominata dal PC” è idea di parte, per es. di don Lino (don Aldo Moretti), e da un suo scritto l’ho presa (Rapporto di don Lino alla Dc sulla 1a divisione Osoppo, in: Buvoli Alberto, Le formazioni Osoppo Friuli op. cit., p. 153), e non solo sua, perché fu pure di altri sacerdoti e politici, per es. di Aurelio, don Ascanio De Luca e di altri non preti ma anticomunisti e venne rinfocolata ed ampliata nel dopoguerra a fini politici. E Porzûs, piano piano, divenne pure un luogo di incontro, quasi “presidio” di gruppi paramilitari, ma dovrei trovare l’articolo relativo dal Messaggero Veneto forse del 2003 o poi, per documentarlo.

Le controversie sull’eccidio di Porzûs hanno causato un acceso dibattito giornalistico, politico e storiografico, intersecatosi con i processi, e detto eccidio è  stato citato da alcuni per cercare di delegittimare la Resistenza Italiana, proiettando sull’intero movimento partigiano un episodio ritenuto marginale, da altri per dimostrare la natura totalitaria e antidemocratica del Partito Comunista Italiano e del carattere sostanzialmente antinazionale della sua politica. (https://it.wikipedia.org/wiki/Controversie_sull’eccidio_di_Porzûs). Ma questo dibattito appartiene al dopoguerra, ed in particolare all’ epoca della guerra fredda, ed ad altro contesto che ne ha dato la chiave di lettura.

E chiudo precisando che ho scritto questo testo solo per esporre alcune mie considerazioni documentate, e se erro correggetemi in modo documentato,  e che non è mai stata mia intenzione offendere alcuno.

E così ho mantenuto la promessa fatta a East Journal.

Laura Matelda Puppini

L’ immagine che accompagna questo scritto rappresenta il retro copertina della pubblicazione del diario di Bolla, da me scannerizzata per questo uso. L’ articolo, come gli altri è coperto da diritti d’autore e piò esser parzialmente citato solo citando pure la fonte. Laura Matelda Puppini 

https://i0.wp.com/www.nonsolocarnia.info/wordpress/wp-content/uploads/2015/12/diario-bolla286.jpg?fit=703%2C1024&ssl=1https://i0.wp.com/www.nonsolocarnia.info/wordpress/wp-content/uploads/2015/12/diario-bolla286.jpg?resize=150%2C150&ssl=1Laura Matelda PuppiniSTORIAIl 25 aprile 2015 commentavo l’articolo di Matteo Zola, L'eccidio di Porzûs, la Resistenza spezzata, pubblicato su East Journal il 24 aprile 2015. Allora avevo scritto da Roma, sulla base della mia sola memoria di ciò che avevo letto ed appuntato, riservandomi di riprendere l’argomento su www.nonsolocarnia.info, citando le...INFO DALLA CARNIA E DINTORNI