Oggi, ultimo giorno del mese di gennaio, la chiesa ricorda don Giovanni Bosco, poi santo, fondatore dei Salesiani e della Figlie di Maria Ausiliatrice. Ma, detto così, qualcuno potrebbe pensare: uno dei tanti, ed a noi, Laura Matelda Puppini, che ce ne importa? Noi non siamo cattolici. Ma Giovanni Bosco fu davvero un uomo speciale, che cercò di aiutare e sostenere bambini e ragazzi che già lavoravano ad otto o nove anni, che vivevano in condizioni inaudite di bruttura fisica e sociale, che riempivano le celle del carcere, ove venivano rosicchiati dagli insetti e speravano almeno di mangiare un misero tozzo di pane. E fu il primo che, avendo anche lui, giovanetto, lavorato duramente per mantenersi, si fece garante presso datori di lavoro per i ragazzi che seguiva, facendo firmare ai padroni ed artigiani i primi contratti scritti per l’apprendistato. E vorrei magari che l’ex boy scout Matteo Renzi leggesse questa storia esemplare, prima di proporre il modello saudita del rapporto di lavoro come quello da seguire, che porta «all’invidiabile basso costo del lavoro» a Riad, e di pontificare sul nuovo Rinascimento saudita.
(https://www.wired.it/attualita/politica/2021/01/29/matteo-renzi-arabia-saudita-basso-costo-lavoro/).  

Ma vediamo insieme, prendendo come fonte la voce Giovanni Bosco in wikipedia, la sua storia, la storia di un Santo che ha meritato veramente di esserlo, a differenza di altri, come per esempio, a mio avviso, Giovanni Paolo II, sulla cui figura e opera sarebbe stato opportuno che la chiesa avesse riflettuto maggiormente, prima di proporlo come esempio di virtù. 

La prima fotografia scattata a don Giovanni Bosco. (https://www.infoans.org/sezioni/foto-storia/item/9661-italia-la-prima-foto-scattata-a-don-bosco-e-l-ultima-trovata).

Giovanni Melchiorre Bosco, meglio noto come don Bosco, è stato un presbitero e pedagogo italiano, fondatore delle congregazioni dei Salesiani e delle Figlie di Maria Ausiliatrice. È stato canonizzato da papa Pio XI nel 1934. È considerato uno dei santi sociali torinesi.

Nato il 16 agosto 1815 Castelnuovo d’Asti, in una modesta cascina, e figlio di contadini, rimase orfano di padre a due anni e per la madre furono tempi difficili. Quindi, a nove anni, Giovanni, forse influenzato da una predica, fece un sogno profetico che lo condusse a scegliere il sacerdozio. Così cercò in un paese vicino una scuola da frequentare, e riuscì a farlo grazie alla zia materna Maria, e per avvicinare alla preghiera e all’ascolto della messa i ragazzini del paese, imparò i giochi di prestigio e le acrobazie dei saltimbanchi.
Ma nel corso dell’inverno del 1826-1827, il fratellastro Antonio, che già guardava di cattivo occhio Giovanni per il fatto che frequentava la scuola e passava il tempo pregando e compiendo giochi di prestigio, si lamentò di lui e cercò di picchiarlo, ed a stento Giovanni riuscì a salvarsi. A questo punto la madre di Giovanni, Margherita, che era la seconda moglie di Francesco Bosco, fu costretta a mandare via il figlio per farlo vivere, più sicuro, facendo il garzone a Moncucco Torinese presso la cascina dei coniugi Luigi e Dorotea Moglia, dove rimase per circa 2 anni lavorando ed in affidamento al vaccaro della famiglia, il vecchio Giuseppe, chiamato da tutti “lo zio”.

Nel 1829, però, Giovanni Bosco conobbe don Giovanni Calosso, sacerdote settantenne; questi, dopo aver constatato quanto intelligente e desideroso di studiare fosse il giovane, decise di accoglierlo nella propria casa per insegnargli la grammatica latina e prepararlo così alla vita del sacerdote. Però, l’anno seguente, morì, lasciando la sua eredità in denaro a Giovanni per studiare, ma egli rifiutò il denaro.
Dopo varie peripezie, Giovanni Bosco, grazie all’aiuto del maestro, don Emanuele Virano, riuscì a recuperare tutto il tempo perduto per gli studi, ma, non appena questi fu nominato parroco di Mondonio, dovette abbandonare la scuola ed il nuovo maestro, don Nicola Moglia, anziano, non riusciva a tenere la disciplina, e fece perdere nuovamente anche a Giovanni tempo prezioso, che però egli utilizzò per imparare diversi mestieri, quali il sarto ed il fabbro, lavoro che svolse nella fucina di Evasio Savio, un suo amico, grazie ai cui insegnamenti, in seguito, riuscì a fondare i laboratori per i ragazzi dell’Oratorio di Valdocco.

Don Bosco mostra ai ragazzi il lavoro del calzolaio. (https://mole24.it/2013/01/31/cosi-don-bosco-ha-trasformato-torino/)

Portatosi quindi a Chieri, Giovanni Bosco si stabilì a pensione presso la casa di Lucia Matta. Per mantenersi agli studi lavorò come garzone, cameriere, addetto alla stalla, ecc. Ed a Chieri fondò la Società dell’Allegria, attraverso la quale, in compagnia di alcuni giovani di buona fede, tentò di far avvicinare alla preghiera i coetanei, utilizzando i giochi di prestigio e numeri acrobatici. Egli stesso raccontò che un giorno riuscì a battere un saltimbanco professionista, acquistandosi così il rispetto degli altri e la loro considerazione.

Infine, il l 3 novembre 1837 Giovanni Bosco iniziò lo studio della teologia, fondamentale per gli aspiranti al sacerdozio. In quel tempo detto studio impegnava i giovani per cinque anni, e comprendeva come materie principali la dogmatica (lo studio delle verità cristiane), la morale (la legge che il cristiano deve osservare), la Sacra Scrittura (la parola di Dio), la storia ecclesiastica (storia della Chiesa dalle origini del cristianesimo all’età contemporanea).

Il 29 marzo 1841 ricevette l’ordine del diaconato, il 26 maggio incominciò gli esercizi spirituali di preparazione al sacerdozio che ricevette il 5 giugno 1841 nella cappella dell’Arcivescovado di Torino. Diventato prete, ricevette alcune proposte lavorative da parte di amici e conoscenti che, per ricompensare lui e la sua famiglia dei sacrifici fatti, lo volevano come istitutore a Genova o come cappellano. Egli però si rifiutò di accettare tali funzioni sia per una propria inclinazione all’umiltà, sia per le accese omelie di Giuseppe Cafasso, che accusava i sacerdoti di ingordigia e avidità, sia per la perentoria affermazione della madre Margherita: «Se per sventura diventerai ricco, non metterò mai più piede a casa tua». Quindi egli accettò l’invito del Cafasso, decise di entrare, ai primi di novembre del 1841, in convitto a Torino, in un ex-convento accanto alla chiesa di San Francesco d’Assisi, dove il teologo Luigi Guala, aiutato dal Cafasso stesso, preparava 45 giovani sacerdoti a diventare preti nel tempo e della società in cui dovranno vivere. La preparazione durò tre anni.

Ispirato dall’operato di don Giovanni Cocchi, che pochi anni prima di lui aveva tentato di radunare all’interno di un Oratorio i ragazzi disagiati di Torino, Giovanni Bosco decise di scendere per le strade della sua città e osservare in quale stato di degrado fossero i giovani del tempo. Incontrò così i ragazzi che, sulla piazza di Porta Palazzo, cercavano in tutte le maniere di procurarsi un lavoro. Di questi giovani molti erano scartati perché poco robusti e in poco tempo destinati a finire sottoterra. Le statistiche confermano che in quel tempo ben 7184 fanciulli sotto i dieci anni erano impiegati nelle fabbriche. In piazza San Carlo, don Bosco poteva conversare con i piccoli spazzacamini, di circa sette o otto anni, che gli raccontavano il loro mestiere e i problemi da esso generati. Erano molto rispettosi nei confronti del sacerdote che li difendeva molto spesso contro i soprusi dei lavoratori più grandi che tentavano di derubarli del misero stipendio.

 

  

Maitre Ramoneur, spazzacamino e capo spazzacamino (gâillo e cap-gâillo) con i bambini che lavoravano per lui con gli attrezzi e la tenuta da lavoro. Fototeca B.R.E.L Fondo Avas Aosta. Proprietà Emma Bamaz Rhemes-Saint-Gerorges (http://www.albertospazzacamino.com/albertospazzacamino/la_storia_degli_spazzacamini.html). Spesso questi bimbi che provenivano dalle montagne e svolgevano il loro lavoro sotto un adulto, vivevano in condizioni al limite della sopravvivenza, sporchi affamati e impauriti, e saltuariamente ricevevano un pò di cibo o dei vestiti vecchi dai clienti impietositi. (http://www.albertospazzacamino.com/albertospazzacamino/la_storia_degli_spazzacamini.html).

Insieme con don Cafasso, don Giovanni Bosco cominciò a visitare anche le carceri e inorridì di fronte al degrado nel quale vivevano giovani dai 12 ai 18 anni, rosicchiati dagli insetti e desiderosi di mangiare anche un misero tozzo di pane. Dopo diversi giorni di antagonismo, i carcerati decisero di avvicinarsi al sacerdote, raccontandogli le loro vite e i loro tormenti. Don Bosco sapeva che quei ragazzi sarebbero andati alla rovina senza una guida e quindi si fece promettere che, non appena essi fossero usciti di galera, lo avrebbero raggiunto alla chiesa di San Francesco.

L’8 dicembre 1841 incontrò, prima di celebrare Messa, Bartolomeo Garelli nella sacrestia della chiesa di San Francesco d’Assisi. Questi fu il primo ragazzo che si unì al suo gruppo. Don Bosco aveva deciso così di radunare intorno a sé tutti i ragazzi degradati della zona, dai piccoli spazzacamini agli ex detenuti. Fondamenti della sua futura attività erano tre: l’amicizia con i giovani (che molto spesso erano orfani senza famiglia), l’istruzione e l’avvicinamento alla Chiesa.

Il 12 aprile 1846, giorno di Pasqua, finalmente don Bosco trovò un posto per i suoi ragazzi, una tettoia con un pezzo di prato: la tettoia Pinardi a Valdocco.

Nel 1854 egli diede inizio alla Società salesiana, con la quale assicurò la stabilità delle sue opere e del suo spirito anche per gli anni futuri. Dieci anni dopo pose la prima pietra del santuario di Maria Ausiliatrice. Nel 1848, i progressi dell’opera furono elogiati pubblicamente da Pio IX, amico personale di don Bosco, da due anni salito al soglio pontificio. Dal 1867 al 1872, fondò molti collegi e istituti scolastici decentrati di stampo salesiano in Piemonte, e, nel 1872, con Maria Domenica Mazzarello, fondò l’Istituto delle Figlie di Maria Ausiliatrice, con lo scopo di educare, con il medesimo spirito, la gioventù femminile.

Don Bosco seguendo i giovani anche nei cantieri e nei luoghi di lavoro si accorse come i padroni sfruttassero gli apprendisti utilizzandoli anche come servitori e sguatteri. Non esistevano allora contratti scritti per loro, ed il tempo lavorativo superava di gran lunga le otto ore. Inoltre mancavano mansionari per determinare il tipo di lavoro da eseguire, ed ai ragazzi non era concesso nessun riposo settimanale, Oltre questo, i giovani apprendisti, a differenza degli adulti, non godevano di alcuna tutela per la salute e di alcuna sicurezza.
Così don Bosco iniziò a presentarsi ai datori di lavoro come garante del lavoro dei suoi ragazzi, ma pretendendo in cambio regole precise. Così andò a finire che, nella capitale sabauda preunitaria, i primi contratti scritti per l’apprendistato furono promossi da don Bosco. Il primo contratto di «apprendizzaggio» fu firmato l’8 febbraio 1852 a Torino, nella casa dell’oratorio San Francesco di Sales, dal giovane apprendista falegname Giuseppe Odasso, su carta bollata da 40 centesimi, con garante don Giovanni Bosco. L’originale è conservato nell’archivio della congregazione salesiana insieme con altri contratti, tra cui uno precedente, del novembre 1851 ma redatto in carta semplice. Questi due contratti sono il primo esempio in assoluto per gli stati italici di questo tipo di tutela “sindacale”.

Parallelamente nacquero anche i primi laboratori dove don Bosco, aiutato da artigiani adulti, insegnava a ragazzi senza futuro una professione, un mestiere specializzato. Queste iniziative saranno poi il fulcro della futura scuola salesiana. Inoltre don Bosco, sull’esempio delle prime società di mutuo soccorso che andavano diffondendosi, promosse, pure, una “mutua” salesiana per i suoi “protetti”, pubblicandone il regolamento e facendolo entrare in vigore il 1º giugno 1850.

 

Bambini addormentati in  Mulberry Street (1890), foto di Jacob Riis. (https://commons.wikimedia.org/wiki/File:Riischildren.jpg).

Questa sua azione sociale sollevò malumori contro il sacerdote in diversi ambienti: dagli anticlericali ai valdesi, dai massoni a certi ambiti padronali, e tutto questo provocò una serie di attentati nei suoi confronti, dai quali però uscì sempre indenne. Inoltre, come già accennato, il fondatore dei salesiani si occupò dei giovani finiti a a marcire nelle prigioni piemontesi.

Prendendo accordi con le autorità reali, scettiche, chiese di permettere ai galeotti minorenni di uscire dalle galere per alcune ore al giorno in modo che potessero imparare dei mestieri e non ricadessero in futuro negli stessi errori, il tutto sotto la sola sorveglianza di don Bosco e dei suoi collaboratori senza la presenza di guardie armate. Il progetto ebbe un tale successo che anche dall’estero vennero a studiare il “metodo salesiano” di recupero sociale.

E quando, nell’estate del 1854 a Torino scoppiò il colera nel Borgo Dora, dove si ammassavano gli immigrati, posto a due passi dall’oratorio di don Bosco, tutti gli studenti guidati dal santo si misero a disposizione delle autorità sanitarie per soccorrere la popolazione.

Don Giovanni Bosco con i suoi ragazzi. Immagine di autore sconosciuto. (https://www.infoans.org/sezioni/foto-storia/item/9647-italia-la-foto-piu-emozionante-don-bosco-tra-i-suoi-giovani).

Quindi il primo viaggio in Argentina, ove molti lavoratori italiani erano emigrati, per aiutare bambini e ragazzi in quella terra. Ivi fondò i “Cooperatori”, cioè i salesiani all’estero. Al primo viaggio ne seguì un secondo, affrontato con un gruppo di Salesiani che aprirono, a Buenos Aires, una scuola di arte e mestieri, dove si formavano sarti, falegnami, legatori. Altri sacerdoti si aggiunsero ai primi con la terza spedizione missionaria nel 1877 ed ad essi si unirono alcune suore della Congregazione delle Figlie di Maria Ausiliatrice, pronte ad operare nel settore femminile.

Successivamente, prestandosi però ad una azione militare di conquista della Patagonia, padri Salesiani, ma non Giovanni Bosco, si insedieranno in quella terra, aprendo le loro case.

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Don Giovanni Bosco morì di bronchite a Torino all’alba del 31 gennaio 1888 all’età di 72 anni e il suo corpo è attualmente esposto all’interno di un’urna nel Santuario di Maria Ausiliatrice. Egli fu poi canonizzato e ora non ricordiamo San Giovanni Bosco.

Giovanni Bosco fu un figlio del suo tempo, ma l’opera per migliorare le condizioni di vita di bambini e ragazzi, anche attraverso la creazione di regolari contratti di lavoro per apprendisti è risultata fondamentale nel contesto sabaudo ed italiano.

Informazioni e testo da https://it.wikipedia.org/wiki/Giovanni_Bosco.

Laura Matelda Puppini.

 

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