A distanza di 60 anni i ricordi non possono essere ovviamente nitidi, ma i cassetti della memoria presentano sempre delle piacevoli sorprese, come il ricordo di Dino, il nostro casaro. Lo ricordo prima di tutto nel suo aspetto fisico. Non era Dino un uomo di grande statura, era tarchiato, pelato, con un impedimento fisico che gli rendeva difficile la camminata e lo obbligava a trascinare i piedi. Egli calzava le dalmine in legno o, nei suoi trasferimenti a Rigolato, delle grosse scarpe. Il suo incedere era rumoroso e, dal momento che all’epoca le strade non erano asfaltate, alzava al suo passaggio una nube di polvere.

Vestiva in modo sobrio, e fustagno e velluto caratterizzavano il suo guardaroba. Non beveva, non fumava, era di carattere mite, e nascondeva questa sua timidezza con uscite estemporanee e satiriche nei confronti dei suoi paesani. E non mi ricordo di averlo mai sentito bestemmiare. Oltre all’attività di casaro, aveva, a ridosso dell’abitazione, un laboratorio di falegnameria, dove eseguiva dei piccoli lavori e dove era bersaglio dei nostri scherzi di monelli. Infatti egli, mentre lavorava, era solito cantare, e così noi, bambini e ragazzetti, riuscivamo ad arrivare non sentiti fino sull’uscio, per poi irrompere nella stanza della falegnameria con grande frastuono, oppure facendo scoppiare delle piccole cariche esplosive che fabbricavamo da soli, data l’abbondanza di residuati bellici facilmente reperibili all’epoca, per poi scappare sicuri non essere inseguiti, dato il suo impedimento fisico. Ci raggiungevano solo le sue invettive, la più comune delle quali era che sarebbe stato meglio per noi morire nel grembo materno prima ancora di nascere. Ma in fondo ci voleva bene in quanto, pur conoscendo la nostra identità, mai ha fatto presente alle nostre famiglie queste nostre malefatte, onde evitarci il sicuro castigo.

Dino D’ Agaro, detto Dino da Vuezzis, (10 agosto 1906- 19 maggio 1992) nella foto posta sulla tomba. Si ringrazia Angelo Candido per l’invio di questa immagine e della parte di lapide con i dati anagrafici di Dino.

Sul lavoro Dino era molto scrupoloso, e mi ricordo ancora il suo rammarico in quanto inspiegabilmente, e non per colpa sua, per un periodo il formaggio prodotto risultò avere un sapore molto amaro. Nel merito si fecero le più svariate congetture: dal tipo di caglio usato fino al sabotaggio, ma i provini a sorpresa fatti sul latte non dettero mai risultati, e si vociferava che gli stessi fossero stati pilotati per coprire qualcuno.

Durante la giornata lavorativa in latteria, egli, con il dito mignolo della mano sinistra costantemente in bocca, era solito cantare, inventandosi delle filastrocche e delle nenie ironiche e satiriche nei confronti dei paesani; questi canti tenevano compagnìa anche a noi, alunni della scuola elementare, le cui aule erano poste sopra la latteria, che vivevamo in attesa di qualche nuovo pezzo.

Dino aveva una memoria di ferro, e ricordava giorno mese ed anno di nascita di tutti gli abitanti di Vuezzis e Stalis. Un aneddoto riportato dai suoi nipoti e che pertanto ritengo veritiero, racconta che, invitato da suo fratello Tito di gna Beto a raggiungerlo in Francia a Strasburgo, salito in treno, avendo dei bisogni fisiologici, richiamò l’attenzione di tutti per fermare il convoglio e potere così espletare le sue necessità.

Parte dei famosi affreschi trecenteschi della chiesa di San Nicola a Vuezzis, opera della scuola di Vitale da Bologna, che dovrebbero esser subito restaurati prima della loro sparizione. (Immagine da: Venier G., Gli affreschi di San Nicolò di Vuezzis, in «Quaderni dell’Associazione della Carnia Amici dei Musei e dell’Arte», 9 – 2004).

 La contrada ove abitava Dino era denominata “Da Pezu” e vi abitavano anche altri personaggi   caratteristici. Stava lì, per esempio, Riccardo, scapolo anche lui, con un handicap ad un braccio che lo rendeva inabile al lavoro. Per arrotondare la misera pensione, raccoglieva nei boschi legname (las boros) che accatastava in lunghe file dietro la sua casa e che poi vendeva alla cartiera di Tolmezzo.

Mi ricordo, pure, la particolare attenzione che Riccardo poneva per un pezzo di questi tronchi. Questo atteggiamento colpì sia me che Luciano, mio carissimo compagno d’infanzia prematuramente scomparso, così, quando Riccardo non ci vedeva, procedemmo ad un’accurata ispezione del pezzo di legno, facendoci scoprire che il tronco era stato scavato ed all’interno nascondeva un moschetto calibro 91.
Così, in assenza di Riccardo, era un gioco da ragazzi sottrarlo per andare a sparare in una gola del rio Neval che attutiva gli spari. Ovviamente, data la nostra bassa statura, si rendeva necessario legare l’arma ad un albero a causa del notevole rinculo della stessa; quindi i bossoli vuoti, debitamente riempiti di polvere da sparo e collegati ad una corda da mina a lenta combustione, diventavano, per noi, quelli che attualmente vengono denominati ‘raudi’ o petardi.
Correvamo ogni volta grandi rischi, ma la fortuna ci ha sempre aiutati.

Non ricordo, se devo essere sincero, all’epoca l’uso di giocattoli: ci si arrangiava con quello che si trovava, ed i giochi erano: costruire capanne nel bosco, nascondino, ci bee, anticipatore dell’attuale baseball, slittare sulla neve, e non richiedevano particolari attrezzature ma solo fantasia ed arte di arrangiarsi.
Non avevamo allora biciclette ed il pallone è comparso qui solo più tardi, e quando è giunto passavamo la maggior parte del tempo a rincorrerlo, non sempre con la certezza di trovalo, quando sfuggiva al nostro controllo, e rotolava lungo i ripidi prati che allora erano falciati, talvolta sino al torrente Degano.

La famiglia di Riccardo era composta da Davide ed Elsa, che si rendevano garanti della fornitura giornaliera del pane fresco; ogni giorno, ad ogni stagione e con qualsiasi tempo si recavano al panificio di Rigolato a piedi, con la gerla sulle spalle, percorrendo 3 chilometri all’andata ed altrettanti al ritorno per prendere il pane da distribuire agli abitanti di Vuezzis e Stalis. La retribuzione non era sicuramente tale da giustificare questa grande fatica, ma in quei periodi di vacche magre, tutto era utile per fare quadrare il bilancio famigliare. Vicino a Riccardo abitava Lino, chiamato Linut per la sua bassa statura, anche lui scapolo (alla faccia della politica demografica in auge nel ventennio!).  

E ricordo ancora un episodio che coinvolse me, lui, e Luciano. Linut aveva l’abitudine di venire a risciacquare i panni in una fontana pubblica adiacente alla sua abitazione. Quel giorno era un giorno d’inverno, e la tentazione di spaventarlo lanciando una palla di neve nell’acqua fu grande. Ma sbagliammo la mira e lo colpimmo in pieno sulla nuca.
Dopo la precipitosa fuga ed il rientro a scuola, pensavamo di averla fatta franca, ma dei passi nel corridoio fecero svanire le nostre speranze. Le sue rimostranze produssero un paio di sonori ceffoni da parte della maestra Teresina e le nostre scuse con la promessa di non farlo più.

Ezio Cescutti, autore dell’ articolo, noto pittore e scultore di maschere lignee. (http://mascheraialpini.com/?scultori=ezio-cescutti). 

A proposito della scuola, voglio spezzare una lancia a favore delle insegnanti di allora: avevano capacità e dedizione non comuni. Ricordo in particolare la maestra Maria di Soclap e la maestra Teresina di Rigolato; anch’esse venivano a piedi a Vuezzis con qualsiasi tempo, consumavano un frugale pasto a mezzogiorno, in quanto l’orario scolastico era sia mattutino che pomeridiano, ed oltre che insegnare, tenevano a bada degli spiriti liberi come eravamo noi, e, soprattutto conciliavano programma scolastico e didattica con le esigenze delle varie classi.
Infatti eravamo in tutto 12 alunni, che formavano una pluriclasse di 5 classi. Era pertanto davvero difficile, allora, riuscire a portare avanti contemporaneamente 5 programmi diversi, ma riuscivano a farlo. E sarò sempre grato a queste insegnanti che spesso ci facevano anche da genitori, per la loro pazienza e capacità, ed anche per qualche sonoro ceffone che ci somministravano. Ho scritto di getto queste considerazioni senza curare la sintattica e la grammatica, e molto altro ci sarebbe da dire in quanto il nostro paese, seppure piccolo, rappresentava un caleidoscopio della vita rurale dell’epoca con tutti i suoi usi, i suoi costumi, i suoi personaggi.

Magnano in Riviera, 22/1/2019                        Ezio Cescutti.

__________________________________

Ringrazio Ezio Cescutti per queste preziose righe, e ricordo ai lettori altri articoli comparsi su www.nonsolocarnia.info, relativi a personaggi del comune di Rigolato, e cioè:

1) “ Il racconto di Dino da Vuezzis, fedâr, socialista, figlio e nipote di socialisti.”

2)  “Bepo di Marc – Giuseppe Di Sopra, socialista e fotografo di Stalis di Rigolato”;

3)  “Amedeo Candido di Rigolato, comunista. Storie di vita, lavoro, partito, resistenza”;

4) “Ezio Candido, poeta di Ludaria di Rigolato, cantore, come altri, di natura, vita, dolore e morte”;

(5) “Carnici che scrissero la storia della democrazia: Manlio Fruch, medico, figlio del noto poeta Enrico di Ludaria di Rigolato”.

L’immagine che correda l’articolo è stata da me scattata un paio di anni fa a Rigolato, e rappresenta l’antico lavatoio.

__________________________________

Chi è l’autore dell’articolo: Ezio Cescutti.

Ezio Cescutti è nato nel 1954. Pittore famoso ed apprezzato, ultimamente si è dedicato anche alla scultura, appassionandosi alla creazione di maschere lignee, prendendo spunto da quelle tarcentine denominate i “Tomats”. Le maschere che realizza sono grottesche e deformi, ma sempre attente alla necessaria vestibilità; la finitura è sempre di grande effetto per la maestria con cui vengono dipinte. Negli ultimi anni sono state spesso utilizzate nelle scenette satiriche del carnevale tarcentino. (http://mascheraialpini.com/?scultori=ezio-cescutti).  Nel 2016 ha collaborato con Luigi Revelant alla realizzazione di un murale per valorizzare l’antica fontana di Stalis.

Laura Matelda Puppini

 

 

https://i0.wp.com/www.nonsolocarnia.info/wordpress/wp-content/uploads/2019/01/SAM_0957.jpg?fit=1024%2C768&ssl=1https://i0.wp.com/www.nonsolocarnia.info/wordpress/wp-content/uploads/2019/01/SAM_0957.jpg?resize=150%2C150&ssl=1Laura Matelda PuppiniSTORIAA distanza di 60 anni i ricordi non possono essere ovviamente nitidi, ma i cassetti della memoria presentano sempre delle piacevoli sorprese, come il ricordo di Dino, il nostro casaro. Lo ricordo prima di tutto nel suo aspetto fisico. Non era Dino un uomo di grande statura, era tarchiato,...INFO DALLA CARNIA E DINTORNI