Ci sono cose che sconcertano ancora in sanità, quando pensavo di aver già ipotizzato e previsto molto. Questa volta vorrei parlare dei farmaci equivalenti o generici che dir si voglia.

Come quadro generale di riferimento, pongo quanto riportato sulla relazione del Consiglio Nazionale della Federazione Ordini dei Farmacisti Italiani, nel corso dell’incontro tenutosi il 21 ottobre 2016 (cioè ieri) a Roma, su farmaci, possibili oligarchie, centralizzazione dei servizi e politica attuale del governo, che non convince più nessuno. Altro aveva detto la politica anche ai farmacisti, che qui in Fvg si erano espressi a favore della riforma Telesca, per poi scoprire quel disegno di centralizzazione che non soddisfa più nessuno.

«A dispetto delle quotidiane rassicurazioni veicolate dai media, – si legge sul documento citato- la situazione economica del paese non dà segni sensibili di miglioramento, né è possibile intravvedere risultati concreti delle misure che vengono da tempo riproposte. L’Italia non solo non ha invertito il ciclo economico, come del resto l’Europa nel suo complesso, ma anche la crescita si mantiene più bassa che nel resto dell’Europa […].
E il debito pubblico aumenta, nonostante l’oggettivo ridimensionamento dei servizi ai cittadini, la riduzione al lumicino degli investimenti e la stabilità del prelievo fiscale.
E la sanità è uno dei capitoli di spesa che più subisce la pressione maggiore di questi fattori, lo dimostra al di là di ogni dubbio l’ultimo rapporto della Ragioneria Generale dello Stato: negli ultimi cinque anni la crescita della spesa sanitaria è stata minimale, anzi è restata sostanzialmente stabile: nel quinquennio 2011- 2015 la crescita è stata dell’ordine dello 0,1% del PIL.

Ma questo, è stato osservato, è il dato complessivo, motivato da veri e propri tagli lineari di alcune voci, a cominciare da quella del personale, che con il blocco dei contratti e del turn-over è ormai stabile al 33% della spesa complessiva dal 2005, e la riduzione di fatto delle prestazioni erogate anche attraverso barriere all’ingresso occulte come le liste di attesa. Al di sotto di questo dato generale, però, si assiste comunque alla crescita di alcune voci, come quella relativa alla spesa farmaceutica non convenzionata, cioè la spesa ospedaliera più la distribuzione diretta, che se non cresce più come negli 2003-2005, continua a salire con tassi di circa il 12% annuo.

In realtà, il superamento dei tetti della farmaceutica è solo il frutto più evidente del costante sottofinanziamento della sanità, travestito oltretutto da aumento delle risorse. Un aumento c’è – è ovvio – ma sempre puntualmente e clamorosamente inferiore ai fabbisogni stimati. È andata in questo modo nel 2015: avendo finanziato con 109,7 mld il SSN, si è determinato un disavanzo di 1 miliardo e 200 milioni, ma l’incremento della spesa è stato soltanto dello 0,3% del PIL rispetto al 2014.
E così ben 12 regioni su 21 hanno superato il livello di spesa programmato e, per evitare il commissariamento, hanno coperto i loro disavanzi con aumento delle aliquote fiscali, ticket e altre risorse.

Ora la questione si ripropone negli stessi termini: secondo la nota al DEF del 2015, per l’anno 2017 si stimava a legislazione costante un fabbisogno di 115 miliardi e 500 milioni e oggi si stabilisce uno stanziamento di 113 miliardi. Ma è giudizio largamente diffuso che questo aumento non tiene conto né dell’impatto reale dei nuovi LEA, stimato ottimisticamente in circa 800 milioni, né di quello dei rinnovi contrattuali del personale SSN. (…).

È evidente che, se si adotta il punto di vista del mercato puro, la risposta è semplice: accanto a chi prospera c’è chi deve chiudere. Si può senz’altro concordare se si parla di beni di consumo: è la vecchia storia che per risparmiare sul pieno di benzina si può fare qualche chilometro in più (ma se diventano troppi, peraltro, il risparmio è vanificato). Ma l’esempio non regge se si parla di servizio universale che, in questo caso, significa equo e uniforme accesso al farmaco. Non vorremmo che un domani potesse verificarsi per le farmacie quanto in passato è accaduto per la chiusura dei piccoli ospedali non accompagnata dalla creazione di presidi di prima istanza, con la popolazione rimasta priva di punti di riferimento sul territorio.

A quel punto, diventerebbe chiara anche la fallacia del ragionamento consumeristico che gioca tutto il vantaggio del cittadino sul prezzo, dimenticando l’accesso effettivo al bene, che richiede una distribuzione dei presidi uniforme sul territorio, guidata non dalla convenienza economica, ma dalla necessità di raggiungere tutta la popolazione. A meno che non si immagini uno scenario in cui il cielo è solcato da droni pronti a consegnare un’insulina qui, un antibiotico là e così via.

Ma se è preoccupante la possibilità che si crei un oligopolio e quindi il venire meno della concorrenza, questo non è il solo aspetto critico. Infatti in questa prospettiva potrebbero essere a rischio l’indipendenza professionale del farmacista, e quindi il rispetto degli obblighi deontologici.Potrebbe essere a rischio perché un farmacista che si trovi ad agire come una sorta di assistente alla vendita, inserito in una logica esclusivamente di marketing non può che venire meno ai valori della professione che vedono al primo posto la risposta al bisogno di salute del cittadino che non passa necessariamente attraverso la dispensazione di un medicinale o la vendita di un prodotto». (Relazione del Consiglio Nazionale della Federazione Ordini dei Farmacisti Italiani, nel corso dell’incontro tenutosi il 21 ottobre 2016 a Roma, in: http://www.quotidianosanita.it/allegati/allegato2085897.pdf, pp. 2-3 e 8-9).

E fin qui la Federazione Ordini dei Farmacisti.

Tempo fa ascoltai alla tv, scusatemi ma non ricordo il programma, che sarebbe stato opportuno l’uso dei farmaci generici per contenere la spesa sanitaria. C’era chi diceva che i farmacisti dovevano proporre il generico, cioè l’equivalente.

«Un medicinale equivalente (o generico) è, in parole molto semplici, una copia del suo medicinale di riferimento (medicinale “di marca” o “griffato”) presente sul mercato già da molti anni (in Italia normalmente 10 anni) e, cosa fondamentale, il cui brevetto sia scaduto. Infatti, un farmaco equivalente (o generico) non può essere messo in commercio se il brevetto del medicinale di marca è ancora valido.

L’Italia ha recepito il Codice con il decreto legislativo 24 aprile 2006, n. 219. In questo decreto, la definizione di equivalente (generico) è riportata nell’articolo 10, comma 5, lettera b. L’articolo definisce il medicinale generico come “un medicinale che ha la stessa composizione qualitativa e quantitativa di sostanze attive e la stessa forma farmaceutica del medicinale di riferimento nonché una bioequivalenza con il medicinale di riferimento dimostrata da studi appropriati di biodisponibilità”». (Equivalenti o generici tutto quello che il paziente deve sapere, in: http://www.agenziafarmaco.gov.it/sites/default/files/statement_equivalenti_o__generici_3.pdf, p.2).

Inoltre un farmaco per essere definito “generico od equivalente” deve rispondere a queste caratteristiche: deve avere lo stesso principio attivo, ossia la sostanza responsabile del suo effetto farmacologico (terapeutico); il principio attivo non deve essere protetto da brevetto; deve avere la stessa forma farmaceutica e via di somministrazione (per es. compresse, capsule,soluzione iniettabile etc.); deve avere lo stesso dosaggio unitario; deve essere bioequivalente al medicinale di riferimento; deve avere un costo di almeno il 20% inferiore rispetto al corrispondente medicinale di riferimento. (Ivi, p. 3).
Naturalmente, in particolare se portatori di alcune patologie,  bisogna star attenti agli eccipienti, che possono variare, ma in genere il foglietto illustrativo, detto volgarmente “bugiardino”, informa dei limiti del farmaco ed anche degli eccipienti utilizzati.

Il testo sopra riportato, è testo governativo, pubblicato e curato dall’Aifa, Agenzia italiana del farmaco, è datato 4 dicembre 2012, e quindi si può definire recente.  Quindi il promuovere l’uso di farmaci generici in teoria dovrebbe far abbassare la spesa.  Ma siamo nell’era della globalizzazione, della confusione sui mercati, delle aziende che hanno quale unico loro scopo il guadagno e non avere seccature, almeno pare, mentre la politica pare avere come suoi fini non quelli della buona massaia ma il taglio dei servizi e delle spese, al buio, e la centralizzazione, che permette un ferreo controllo ma uccide la democrazia, l’autonomia, e la risposta alle esigenze dei cittadini.  E se erro correggetemi.

Così mi vengo a trovare in questa situazione.

Sono in vacanza e, camminando molto, mi fa male un tallone, disturbo peraltro che ho da tempo, ed un po’ la schiena, a forza anche di gradini su e giù. Così decido di assumere qualche capsula di Brufen. Avevo consultato uno specialista che mi aveva consigliato dei fans. Ho portato con me i residui di una scatola di “Brufen” (Ibruprofene 400) ma non mi bastano. Così mi reco in una farmacia, mentre mi trovo in uno dei luoghi di vacanza, rigorosamente in Italia, e chiedo una scatola di ibuprofene 400. A questo punto la farmacista mi chiede, come previsto e sollecitato anche dal Ministero, se ben ricordo, e comunque nel corso della trasmissione tv a favore dell’uso dei “generici”, se va bene un equivalente. Le rispondo di sì. L’ unico equivalente che ha è Ibuprofene Zentiva Antinfiammatorio 10 Capsule Molli 400mg, come mi precisa. Le chiedo se le capsule molli presentino dei particolari vantaggi, ma non ne è al corrente. Accetto il prodotto e pago la scatola mi pare circa 9 euro, forse qualcosa di più forse qualcosa di meno. Non ho mantenuto lo scontrino, non pensavo mi servisse. Comunque anche su internet raggiunge oltre 7 euro di costo.

Quando apro la scatola resto di stucco: ho pagato 8 o 9 euro 10 capsule! Se avessi comperato il Brufen 400, che non so se sia generico o meno, avrei acquistato a 5,14 euro 30 compresse rivestite! Ma pare che per detta farmacista il Brufen fosse un prodotto di marca.

Insospettita, provo, un paio di giorni dopo, ad andare in una para – farmacia ed a chiedere ibuprofene generico. Mi viene proposto l’ibuprofene Mylan, sempre 400, che ha specificato essere medicinale equivalente sulla scatola. Costa 6,50 euro, ma contiene solo 12 capsule. Vi garantisco che ho pensato a quanto avrei fatto bene alle mie tasche a comperare 30 compresse di Brufen, indipendentemente dal fatto che sia farmaco generico o meno.

Se quindi si può accettare un generico, non si può però pagarlo di più ed avere poco prodotto, ed il numero di compresse contenute in una confezione non è di poco conto, anche ai fini di una prescrizione medica, dato che il medico può prescrivere anche la marca. E se il prodotto è mutuabile, un generico con poche capsule rispetto ad altro o a quello di marca, rischia di far pagare maggiormente la cura. Ma è possibile che una farmacia abbia solo un generico, e che sia quello più dispendioso, più magari di un farmaco di marca? Ma come fa il povero paziente, anche anziano, la mamma, la nonna, la zia, e far fronte a questi problemi? E si tratta solo dell’ibuprofene o esistono altri casi, che di fatto incidono sulla spesa pubblica e sempre più privata?  Chiediamocelo e chiediamo alle associazioni dei consumatori, ai politici, al Ministero, di fare una qualche indagine nel merito e di mettere un po’ di ordine nella materia, onde non sentirsi presi in giro, e di chiarire anche a noi quali siano prodotti di marca e quali gli “equivalenti convenienti”. Scrivo questo articolo anche per avere maggiori informazioni, per capire maggiormente, e per informare i lettori e chi può aiutare noi pazienti, senza voler offendere alcuno.

Laura Matelda Puppini

L’immagine che correda l’articolo è tratta, solo per questo uso, da: http://spendomeno.blogspot.it/2012/01/farmaci-generici-equivalenti-risparmi.html.Laura Matelda Puppini

 

 

 

 

 

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