Inizio questo mio contributo scrivendo che non esiste secondo me la “telemedicina”, ma l’utilizzo di mezzi informatici in sanità, per scopi precisi, e ponendo attenzione al loro uso ed agli interessi economici e politici collegati.

La curiosità verso l’argomento mi è sorta non solo leggendo contributi diversi, ma anche leggendo l’articolo di Alessandra Ceschia “Elisoccorso, sale a bordo un tablet “salvavita” in Messaggero Veneto, 20 luglio 2016.

Preciso subito che non ho trovato informazioni sul programma informatico Zulu né sul sito http://www.zulumedical.net/it/index, né su internet, in quanto pare sperimentato sinora solo in Friuli. Si trovano quindi siti con affermazioni del dg dell’ass4 che ingloba anche l’ospedale di Udine Mauro Delendi, dell’assessora incarico esterno Maria Sandra Telesca, è reperibile un breve video della stessa e di Amato De Monte dirigente del servizio rianimazione di Udine, tutti con caratteri trionfalistici, ma senza uno straccio di dato, di elemento obiettivo, dopo 3 mesi di sperimentazione.  E se erro corregetemi.  Meraviglia quindi che, sul nulla, si preveda di applicare Zulu a tutte le ambulanze, (ove esitano, e applicazione non prevista per le automediche n.d.r.) con il costo del tablet, un costo mensile non dichiarato, e via dicendo, senza prove oggettive dei reali vantaggi.  

L’ unico aspetto positivo, leggendo l’articolo citato,  pare quello che si potrà inviare in modo informatico alcuni dati del paziente, invece che compilare il modulo a mano o comunicare in altro modo. Ma certe volte la comunicazione verbale unita a quella scritta è preferibile a quella scritta unicamente, anche per minore capacità, attuale, nell’uso dello scritto, inquinato da  linguaggi talmente semplificati e ricchi di acronimi da porre problemi a chi legge e non solo. Se poi si deve comunicare solo che il paziente si chiama così ed è codice rosso, beh, si può fare molto semplicemente. Pertanto non so come questo possa salvare la vita. Si metterebbe poi un chirurgo, hic et nunc, ad operare senza lastre, o altro strumento diagnostico laboratoristico? Solo se uno facendo sport estremi si è fracassato, ma forse in questo caso potrebbe essere morto. Non siamo infatti per ora in zona di guerra, visto che il programma è per uso militare. Pertanto per Zulu attendiamo che sia superata la fase propagandistica e venga offerto qualche elemento valutativo e non solo celebrativo. Inoltre non si sa perché in fretta con i soldi nostri si sia scelto Zulu e non altro programma dato che la strumentazione informatica ormai ha molte ditte produttrici. Il confronto che l’articolista fa, poi, con gli Usa è estremamente discutibile, a causa di un sistema sanitario differente dal nostro e di una tipologia di insediamenti molto diversa dalla nostra, con enormi distanze fra una fattoria, un villaggio, una città. Infatti gli Usa coprono una vastità geografica ben diversa dallo stivale e dal F.vg..

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Ma passiamo alle varie ipotesi di telemedicina. Essa, se viene applicata come consulenza informatica in sostituzione della visita medica, è sogno di aziende in crisi economica, e forse assessori, ma non può essere realtà. Infatti una persona non soffre solo e sempre dello stesso disturbo, anche se è anziana, e sfido qualsiasi a dire l’opposto, e per ora è stata sperimentata in caso di paziente depresso o diabetico insulinodipendente, ma anche in questo secondo caso si è messo in evidenza il problema di possibili improvvise crisi di ipoglicemia, ove la via della telemedicina non può esser praticabile con facilità. Secondo me pertanto è utile spendere in corsi di primo soccorso generalizzati e su come chiamare il 118 dando informazioni chiare ed utili.

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Comunque per quanto riguarda quella che pomposamente viene chiamata la telemedicina, sappiamo che in Italia vi è stato un accordo stato -regioni, datato 2005, ove sperimentazioni erano permesse, al fine di abbassare del 40% la spesa sanitaria, ma a totale carico delle regioni. (Sanità: telemedicina -40% costi, linee guida a stato-regioni. Russo (sit): oggi solo progetti pilota ma a carico Regioni, 5 dicembre 2005, in: Ansa,5.12.12.pdf). Inoltre esiste un documento del Ministero della Salute “Telemedicina. Linee di indirizzo nazionali”, datato 20 febbraio 2014, che parla di vecchi in aumento e perciò di necessità di non avere medici sul territorio ma tablets, teoria non si sa da dove derivata, almeno io ho capito così.

«L’evoluzione in atto della dinamica demografica, e la conseguente modificazione dei bisogni di salute della popolazione, con una quota crescente di anziani e patologie croniche, rendono necessario un ridisegno strutturale ed organizzativo della rete dei servizi, soprattutto nell’ottica di rafforzare l’ambito territoriale di assistenza. L’innovazione tecnologica può contribuire a una riorganizzazione della assistenza sanitaria, in particolare sostenendo lo spostamento del fulcro dell’assistenza sanitaria dall’ospedale al territorio, attraverso modelli assistenziali innovativi incentrati sul cittadino e facilitando l’accesso alle prestazioni sul territorio nazionale.

Le modalità di erogazione delle prestazioni sanitarie e socio-sanitarie abilitate dalla telemedicina sono fondamentali in tal senso, contribuendo ad assicurare equità nell’accesso alle cure nei territori remoti, un supporto alla gestione delle cronicità, un canale di accesso all’alta specializzazione, una migliore continuità della cura attraverso il confronto multidisciplinare e un fondamentale ausilio per i servizi di emergenza-urgenza. Molteplici sono le iniziative di Telemedicina a livello nazionale, che troppo spesso tuttavia si riconducono a sperimentazioni, prototipi, progetti, caratterizzati da casistica limitata e elevata mortalità dell’iniziativa». (Ministero della Salute “Telemedicina. Linee di indirizzo nazionali” in: c_17_pubblicazioni_2129_allegato.pdf, datato 20 febbraio 2014).

Dati a riprova? Nessuno.

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In Europa la telemedicina è stata sperimentata in Norvegia ma trovando ragione la sua rilevanza «nella bassa densità della popolazione a fronte delle grandi distanze per raggiungere l’Ospedale più vicino. Molte sono le applicazioni in uso, tra cui: il Teleconsulto tra medico di medicina generale e specialista, la Tele-patologia, la Tele-radiologia, la Tele- psichiatria e servizi per il miglioramento della cura dei tumori» (Ivi, p.5) non certo per eliminare ospedali e sostituire il tutto col tablet per spendere di meno, e sperare nella provvidenza. Ed anche in Gran Bretagna, ora fuori dell’Europa, si parla solo di telemedicina per seguire patologie croniche, e quindi variare semmai la cura, e per persone fragili, in sintesi per diabetici e depressi, ma non tutti i vecchi sono diabetici e depressi.

Inoltre lo strumento informatico non è gestibile da uno che si sente improvvisamente male o sta male (esperienza personale) ove il dolore la fa da padrone ed annebbia le capacità mentali. Figurarsi poi se si è vecchi.

Infine il documento sottolinea l’importanza della telemedicina nell’uso militare e per la protezione civile in emergenza, ma non nella routine di pronto soccorso ospedaliero. (Ivi, p. 6). Comunque il documento Ministeriale cita fonti 2008-2010, anche se è del 2014 e quindi è datato per quanto riguarda le stesse.  

Quando il documento è stato scritto si riteneva, senza dato alcuno a supporto, che anche in Italia la “telemedicina” termine ampio diversamente applicabile, avrebbe favorito l’utenza, come non si sa. Se si pensa poi che in montagna spesso le persone neppure vanno dal medico se stanno male, figurarsi se usano il tablet per comunicare in forma scritta, con uno che non vedono, e viceversa, dato che nessuno può imporre di avere Skipe e videochat, e saperli usare, pena la vita e le cure, ed inoltre con limiti di connessione ecc.ecc. e capacità personali. Inoltre il medico può convincere uno a curarsi se entra in rapporto con lui, non se chatta magari svogliatamente, pensando chissà a che cosa. E non sempre un paziente, abituato ad andare dal medico, è disposto a riprovare il contatto se il professionista è impegnato con altri.

Pertanto chi sogni di far svolgere, (a causa di fede tecnologica o per tagliare i costi dello stato e delle regioni, senza metter mano all’ evasione fiscale), le visite dei medici di base o specialistiche via tablet, pensi a cosa va facendo. Che poi tale sistema abbatta i costi è vero, lo dice anche il documento del Ministero, ma abbatte forse anche salute. E non siamo tutti persone che stanno bene e rompono, come da pregiudizio diffuso. Non so poi come si faccia a chiedere ad un medico, che si ritenga tale, di visitare via computer, quando il paziente, tra l’altro, potrebbe dire solo, preso dal dolore, “A mi fas mal achì”. Io per me ed i miei cari voglio medici che visitino ed ascoltino, non l’informatica di mezzo, e credo di non essere la sola. Il medico deve toccare, visitare, ipotizzare una diagnosi, spiegare che esami fare, e la comunicazione medico paziente deve essere a doppio binario e diretta, non con un mezzo informatico interferente, con i problemi che anche a livello di privacy lo stesso comporta. Inoltre una comunicazione interpersonale deve avere un mittente, un ricevente, ed una buona conoscenza del mezzo di comunicazione, ammesso si possegga, il che non è sempre detto avvenga. In questo modo si rischia di eliminare salute rivoluzionando e spendendo e facendo spendere come e più di prima, e si potrebbe creare realmente non equità ma un gruppo di persone discriminate rispetto ad altre in servizi essenziali per star bene e per la salute, come sta già avvenendo con l’accentramento dei servizi ad Udine per la sua provincia. E si incide massicciamente sull’ economia.

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E giungiamo  al 2016 ed ad una visione più realistica dell’applicazione della telemedicina.

L’assistenza (attenzione non la diagnosi e cura) via Skipe, da parte pare principalmente del medico di base, (che deve essere vissuto dal paziente come il propio medico ma non sempre è così), ammesso che lo si trovi quando serve, implica problemi legali, non solo per la privacy, ma anche perché «Occorre […]  verificare se il collegamento remoto è compatibile con l’adempimento degli obblighi verso l’assistito consistenti nella trasmissione della lettera informativa sui trattamenti. Ulteriori e forse più gravi problemi si pongono in relazione al consenso informato dei pazienti: nelle prestazioni a distanza, il problema riguarda la necessità o meno di ripetere il consenso per ogni collegamento, e l’opportunità di specificare i rischi che si corrono (tra tutti, i rischi connessi alla mancanza del contatto fisico e dello sguardo clinico del medico, l’impossibilità di una visita completa e di un intervento immediato in caso di urgenza)». (http://www.ilsussidiario.net/News/Cronaca/2014/7/16/ASSISTERE-I-PAZIENTI-VIA-SKYPE-I-pro-e-contro-della-telemedicina).

Inoltre la telemedicina è anche un businness, per alcuni,  ed a Mantova, nel 2014, si sospettarono fortemente appalti pilotati che portarono al commissariamento dell’ospedale ed a più indagati, fra cui il direttore generale della Regione Lombardia.  (http://milano.repubblica.it/cronaca/2014/05/30/news/appalti_pilotati_sulla_telemedicina_commissariato_l_ospedale_di_mantova_il_dg_coinvolto_nell_inchiesta-87688830/).

Infine, a mio avviso, proprio per tutte le implicazioni anche etiche che la telemedicina, variabilmente applicata ed intesa, comporta, anche come  mezzo sostitutivo della visita reale e diretta, quindi alterando lo strumento base della professione medica, bisogna stare molto attenti a seguire magari mode e cercare visibilità personale ed a fare rivoluzioni epocali, senza avere dati certi, conoscenze, proiezioni. E pare, in Fvg,  si vada dal taglio di posti letto alla rivoluzione della sanità intera, attraverso una serie di interpretazioni ad un testo base già da me ampiamente criticato anche per la sua nebulosità. Si riempie ora pezzi di detto testo di un contenuto, ora dell’ altro, giungendo a mio avviso, in campo così delicato come la salute, ad una precarietà, impossibilità a capire, ad una discrezionalità e mancanza, per noi della montagna, di certezze, che fa davvero paura.

E qui come là pare che l’introduzione della telemedicina, che si inizia a non capire più che cosa implichi per i pazienti anche in costi per tablet, skype, ecc. ecc. sia più che altro un aspetto voluto dalla politica, a fini di contenimento della spesa. (FrancescRoig  y FrancescSaigì,  Dificultades para incorporar la telemedicina en las organizaciones sanitarias:perspectivas analıticas, Programa de Ciencias delaSalud,Universitat Obertade Catalunya(UOC),Barcelona,España, in: Gac Sanit.2009;23(2):147.e1–147.e4).

Comunque l’impressione è che in Europa i toni entusiastici per la telemedicina per tutto e dovunque, si siano un po’smorzati.

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E chiudo con queste importanti considerazioni di Carlo Botrugno,  dottorando in “Diritto e nuove tecnologie” presso il Centro Interdipartimentale di Ricerca in Storia del diritto, Filosogia e Sociologia del diritto e Informatica giuridica (CIRSFID). Università di Bologna, che invito tutti a leggere.

La strategia di promozione della telemedicina si sta consumando sotto l’egida di una prospettiva autoreferenziale, all’interno della quale l’innovazione tecnologica sembra essere utilizzata politicamente più per il suo valore evocativo che per i reali benefici che è in grado di apportare.

Fra le questioni più rilevanti nell’ambito del dibattito sull’organizzazione ed il funzionamento della sanità pubblica dell’ultimo ventennio vi è quello del c.d. age time bomb, espressione con cui si allude all’incremento costante della quota di popolazione anziana sul totale della popolazione dei paesi industrializzati. Questo fenomeno, […] questa forma di “stallo demografico” è chiamata in causa al fine di sostenere una significativa trasformazione nell’organizzazione dei sistemi sanitari pubblici, all’interno della quale un ruolo fondamentale è attribuito all’implementazione della telemedicina. (…).

Con tale termine si suole designare un complesso di applicazioni di cura a distanza il cui utilizzo è considerato essenziale per l’ottenimento di una rinnovata qualità ed accessibilità delle prestazioni mediche, oltreché di una migliore continuità assistenziale nell’ambito del trattamento delle patologie di tipo cronico-degenerativo. La strategia di promozione della telemedicina (e più in generale delle ICT in ambito medico) è così consolidata da non cedere neppure dinanzi all’ormai cronica scarsità di risorse per il finanziamento della spesa sanitaria pubblica. Secondo i suoi proponenti, infatti, l’adozione della telemedicina rappresenta la chiave di volta per ottimizzare le risorse in sanità, riducendo la durata complessiva dei ricoveri e gli ingressi impropri ai reparti di emergenza. Lungi dal negare valore a questo tipo di innovazione tecnologica, ma in contrasto con la visione favorevole aprioristicamente adottata da buona parte della letteratura specializzata, l’interrogativo fondamentale che bisogna porsi in questo contesto è: perché la telemedicina? Ovvero, quali sono le ragioni per cui pazienti e sistemi sanitari dovrebbero adottare questa innovativa forma di cura? Qual è l’entità dei benefici correlati all’utilizzo di queste applicazioni? Quali sono, per contro, i rischi che si celano dietro alla loro diffusione? (…).

Lo stato dell’arte della telemedicina è stato caratterizzato a lungo per un’assenza di riscontri empirici consistenti, circostanza che deve essere ricondotta a due ragioni preminenti. In primo luogo, la letteratura prevalente sul tema – di derivazione informatico-ingegneristica – ha sminuito la valenza particolare della relazione medico-paziente, suggerendo un’imprudente equivalenza tra la mera fattibilità tecnologica delle applicazioni di telemedicina e l’accettabilità clinica dei trattamenti diagnostici e terapeutici erogati a distanza. In secondo luogo, l’inadeguatezza metodologica (c.d. poor design) di molte sperimentazioni di telemedicina ha prodotto valutazioni “edulcorate” sull’efficacia di queste applicazioni, precludendo inoltre la possibilità di disporre di meta-analisi affidabili. Tra le varie questioni metodologicamente rilevanti in questo contesto, la letteratura più attenta ha messo in evidenza la scarsa replicabilità dei risultati emersi dai Randomised Controlled Trials di telemedicina all’interno della pratica medica ordinaria. In altre parole, quando viene meno il contesto “controllato” che sostiene la sperimentazione, il servizio mostra difficoltà a “camminare con le proprie gambe”, e l’implementazione tecnologica fallisce.

La mancanza di riscontri empirici consistenti, tuttavia, non ha impedito l’emersione di un autentico bias pro telemedicina, ovvero la diffusione di un discorso dai toni prettamente retorici che rappresenta la telemedicina come una soluzione foriera di benefici per i pazienti e per i sistemi sanitari pubblici.

Per porre rimedio alla discrasia tra le promesse della telemedicina e la portata delle evidenze empiriche disponibili al riguardo, nel 2008 il Department of Health britannico ha finanziato uno studio denominato Whole System Demonstrator Programme (WSDP), il più grande mai realizzato nell’ambito della telemedicina, con una durata complessiva di quasi quattro anni e un costo totale di circa 37 milioni di euro. Allo studio hanno partecipato 230 medici di medicina generale e oltre 6000 pazienti affetti da una delle seguenti patologie: broncopneumopatia cronica ostruttiva, insufficienza cardiaca, e diabete. (…).  Nel 2011, prima ancora della chiusura formale della sperimentazione, il Department of Health annunciava pubblicamente che questa innovativa forma di intervento poteva finalmente vantare evidence of the benefits. (…).

Queste dichiarazioni, tuttavia, non solo non hanno trovato alcuna corrispondenza nelle pubblicazioni scaturite a seguito della conclusione del WSDP, ma appaiono in netta distonia rispetto alle interpretazioni fornite dalle differenti equipes di ricerca coinvolte nello studio. L’ipotesi della convenienza economica della telemedicina è stata nettamente smentita dai riscontri del WSDP, a dispetto di una lieve riduzione del costo dell’intervento sperimentale (pazienti telemonitorati) rispetto al gruppo di controllo (pazienti assistiti in maniera tradizionale). Questa differenza è stata infatti considerata come “non significativa”, e talmente esigua da non potersi escludere che possa essere stata “frutto di casualità”. In un’ulteriore sezione, avente ad oggetto l’incremento della qualità di vita dei pazienti telemonitorati rispetto a quelli ospedalizzati, i ricercatori hanno descritto i riscontri ottenuti in termini di null findings, e hanno concluso che l’utilizzo della teleassistenza dovesse ritenersi not efficacious. Nello stesso senso si è conclusa una ulteriore sezione del WSDP che ha assunto l’obiettivo di indagare i benefici eventuali derivanti da una combinazione delle modalità di assistenza ordinarie con le innovative applicazioni a distanza. Anche in questo caso, è stata riscontrata un’assenza di effetti significativi sugli indicatori della qualità di vita dei pazienti teleassistiti, mentre il costo complessivo dell’intervento sperimentale è apparso più elevato rispetto a quello del gruppo di pazienti assistiti in forma tradizionale.

Ancora più grave delle dichiarazioni infondate rilasciate a suo tempo dal Department of Health britannico, deve considerarsi il fatto che le stesse siano state riprese acriticamente come punto di riferimento per sostenere l’efficacia della telemedicina sia dal Consiglio Superiore della Sanità, sia dalla Commissione dell’Unione europea. La strategia di promozione della telemedicina si sta consumando sotto l’egida di una prospettiva autoreferenziale, all’interno della quale l’innovazione tecnologica sembra essere utilizzata politicamente più per il suo valore evocativo che per i reali benefici che è in grado di apportare. Cionondimeno, in considerazione del fatto che questo tipo di implementazione tecnologica è da realizzarsi in un contesto di risorse scarse, e con molte possibili allocazioni alternative, è opportuno mettere in discussione questa forma di determinismo tecnologico-scientifico, recuperando un piano d’indagine utile a vagliare criticamente la portata dei benefici indotti dall’adozione dei modelli di cura a distanza, al netto dei costi necessari a sostenere questo processo di innovazione tecnologica, e dei rischi di possibile deterioramento determinati dalla mediazione tecnologica del rapporto tra medico e paziente.

Carlo Botrugno, Dottorando in “Diritto e nuove tecnologie” presso il Centro Interdipartimentale di Ricerca in Storia del diritto, Filosogia e Sociologia del diritto e Informatica giuridica (CIRSFID). Università di Bologna». (Carlo Botrugno, Perché la telemedicina, in: http://www.saluteinternazionale.info/2016/04/perche-la-telemedicina/).  L’articolo del dott. Botrugno che ho qui riportato è corredato da note e bibliografia, che ho omesso per facilitare la lettura, per cui rimando chi lo volesse all’articolo originale.

Il problema che si pone è quindi: mezzi informatici per far che cosa e per chi, con che vantaggi non propagandistici e limiti? Inoltre per esempio nell’uso di immagini serve poi la refertazione.

Per i limiti anche fisici nell’uso del computer da parte degli anziani, cfr.: Laura Matelda Puppini, Anziani ed informatizzazione, in: www.nonsolocarnia.info, pubblicato il 16 giugno 2015.

Vediamo che la politica e la finanza non ci tolgano e tolgano ai nostri figli salute e sanità, e non lasciamoci abbindolare. Una volta modificato un sistema non si torna indietro. Queste sono mie considerazioni documentate, e non intendo offendere alcuno, ma solo discutere di questi aspetti, e se erro nelle mie considerazioni, spiegatemi perché.

Laura Matelda Puppini

L’immagine che correda l’articolo è tratta dal sito: altrimondinews.it, solo per questo uso. Laura Matelda Puppini

 

 

 

 

 

 

 

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