Le reticenze italiane sul ruolo svolto dall’Italia fascista nella penisola balcanica durante la seconda guerra mondiale sono sottolineate da Teodoro Sala nel suo: “1939-1943. Jugoslavia neutrale. Jugoslavia occupata”, in: Italia contemporanea, marzo 1980, pp. 85 – 105, (1) ove si legge che, sull’argomento: «A fronte di contributi parziali ed indiretti, di quelli di Collotti contrassegnati da un’acuta e documentata interpretazione degli imperialismi nazista e fascista […], o di quelli […] di Valiani, prevale piuttosto la regola del silenzio» e una arretratezza negli studi. (2). Quanto sono stati potenti nel dopoguerra coloro che furono fascisti, penso tra me e me, tanto da far in modo che la storia, almeno al confine orientale per l’Italia, venisse scritta secondo la loro visione del mondo, e omettendo ciò che non andava loro bene ricordare. Ed in questa mistificazione certamente la chiesa, forse non del tutto deliberatamente ma intrisa di anticomunismo, ha giocato un suo ruolo. Quanto sono stati potenti coloro che hanno fatto un uso spregiudicato della storia a fini politici, per prendere voti creando paure e pericoli inesistenti, o forzando la storia a proprio uso e consumo, penso fra me e me, e se erro correggetemi.

Ma scrivere questo non significa certamente sposare una visione comunista o di sinistra, per dirla alla Salvini, della storia, ma semplicemente aprire gli occhi sulla realtà. E non si può giungere a negare fatti storici come l’invasione del Regno legittimo di Re Pietro dei Karađorđević da parte nostra, da parte degli italiani, a fianco dei nazisti, armi in pugno, con la cosiddetta guerra lampo dell’aprile 1941. E la dinastia dei Karađorđević non era certo comunista.
Non mancavano attriti interni anche nel 1939 tra serbi e croati, (3) o fra gli abitanti delle 33 contee in cui era diviso il regno (4), e fra gli ‘jugoslavi’ c’erano allora anche gli ustascia, frangia radical reazionaria terroristica dei contadini croati. E non si può dimenticare che, nei primi decenni del Novecento, la società jugoslava, frastagliatissima, si reggeva sull’agricoltura e non certo sulla fabbrica. (5). Così ogni riforma agraria diventava aspetto non di poco conto nel muovere masse e pedine.

Inoltre il Regno dell’adolescente Pietro, retto dal principe Paolo, si trovava circondato dai nazifascisti, dato che Hitler era ormai giunto a Vienna e Mussolini a Tirana. E questa terra, sempre voluta dai fascisti e dagli italiani che miravano ai Balcani, era collocata paurosamente in un baratro. Per cercare una via d’uscita, nel marzo 1941, il regno di Jugoslavia aderì al Patto Tripartito “Roma-Berlino-Tokyo” stipulato il 27 settembre 1940, provocando in tutto il Paese reazioni di condanna. Ma il regno di Jugoslavia aveva un motivo per cercare di tenersi buoni i tedeschi: la Germania era infatti, allora, il paese che maggiormente assorbiva le sue poche esportazioni. (6).

Teodoro Sala, nel saggio citato, tende invece, riprendendo quanto scritto da Alfredo Breccia (7), a ritenere che il principe Paolo avesse tentato di stare a galla, pur nelle difficoltà, cercando sostanzialmente, una neutralità ed il minor danno possibile alleandosi con i tedeschi, ma trattando sottobanco con gli inglesi, come farà poi l’Italia fascista nel 1943 quando, alleata con Hitler, negoziò di nascosto con gli alleati prima dell’8 settembre. SecondoTeodoro Sala, il Principe Paolo optò, in sintesi, per scelte politiche da diplomazia vetero asburgica, che però non funzionavano più nel mondo dominato dal nazismo. (8).  

L’adesione al Patto Tripartito, portava però alla destituzione del principe reggente, e sul trono veniva posto il giovanissimo Pietro II, sostenuto dal generale Dušan Simović  (9) e dai britannici. A questo punto, Germania, Italia ed Ungheria invasero, il 6 aprile 1941, il regno della Jugoslavia, stato indipendente, seminando terrore e morte. (10). E la lotta armata antifascista, in Slovenia iniziò praticamente allora. Il 26 aprile 1941 si riunirono, a casa del drammaturgo Josip Vidmar, rappresentanti dei comunisti, dei lavoratori socialisti cristiani, dell’organizzazione Sokol, e degli intellettuali progressisti, dando origine all’Osvobodilna Fronta, cioè al Fronte di Liberazione della Nazione Slovena.

Bandiera dell’Osvobodilna Fronta. (Da:  https://en.wikipedia.org/wiki/Liberation_Front_of_the_Slovene_N

Quindi sotto le ali dell’Osvobodilna Fronta si trovarono, a fianco dei comunisti già organizzati, cattolici, socialisti e nazionalisti, che non sarebbero mai riusciti a creare un loro movimento resistenziale autonomo. (11). Inoltre il Partito comunista della Slovenia sosteneva la dichiarazione che i Partiti Comunisti di Jugoslavia, Italia e Austria avevano adottato nel 1934, che riguardava l’autodecisione del popolo sloveno anche a formare una propria nazione autonoma. (12).

Già all’inizio della primavera del 1942, secondo Tone Ferenc, non vi era più alcuna provincia, fra l’Isonzo e l’antica linea confinaria del trattato di Rapallo, nella quale il regime fascista non potesse constatare con preoccupazione l’incessante crescita del movimento partigiano sloveno, che poteva sopravvivere grazie all’appoggio di persone slovene e croate. Ma le misure repressive italiane non si fecero attendere. Venne istituito il coprifuoco, le ritorsioni verso la popolazione si fecero sempre più numerose, e comprendevano incendi di interi abitati, uccisioni e deportazioni di civili ecc. ecc., e venne creato l’Ispettorato speciale per la pubblica sicurezza, tristemente famoso. (13).

Sia come sia, il movimento partigiano continuò a crescere, e nell’agosto 1942 veniva creato il primo battaglione sloveno, Simon Gregorčič, a cui seguirono altri. Nel dicembre 1942, nuove leve affluirono al movimento partigiano dopo la prima conferenza regionale del Pcus, e nel febbraio 1943 si formarono le prime due brigate partigiane a cui fu affidato il compito della liberazione del Litorale sloveno: la Va Simon Gregorčič e la Ivan Gradnik, mentre alcune migliaia di combattenti vennero inviati all’interno della Slovenia a rafforzare le prime quattro brigate di liberazione nazionale.  Ma parallelamente al crescere delle forze partigiane crescevano anche le forze di occupazione italiane presenti sul territorio sloveno, tra cui la terza brigata alpina della ‘Julia’, ed infine venne formato ad Udine un nuovo corpo d’armata, il XXIV, da spostare in Slovenia. Così, nell’ estate del 1943, si trovavano, nella Venezia Giulia, almeno ottantamila soldati italiani. (14).  E anche tanti partigiani carnici e friulani, prima dell’8 settembre, erano di stanza in Slovenia od in Croazia come soldati dell’Esercito Italiano.

Spartizione della Jugoslavia dopo l’invasione da parte di tedeschi italiani ed ungheresi dell’aprile 1941. IN ROSSO lo stato indipendente della Croazia sotto la guida di Ante Pavelić, che copiò metodi e sistemi nazifascisti. La sua ideologia si basava sulla difesa dell’elemento etnico croato, sul cattolicesimo integralista, sulla feroce repressione degli oppositori e sulla pulizia etnica di ebrei, zingari, ortodossi e comunisti. La corona di detto stato, di fatto sotto il controllo nazista, fu offerta ad Aimone di Savoia che la accettò ma non mise mai piede nel suo regno. (https://it.wikipedia.org/wiki/Ante_Pavelić). IN VERDE la zona assegnata all’Italia comprendente l’area costituente la provincia di Lubiana, l’area accorpata alla provincia di Fiume e le aree costituenti il Governatorato di Dalmazia. IN BLU le aree occupate dalla Germania nazista; IN MARRONE le aree occupate dal Regno di Ungheria. (https://it.wikipedia.org/wiki/Invasione_della_Jugoslavia).

Gli Sloveni capirono subito che la Germania come l’Italia, volevano «utilizzare tutto il settore danubiano-balcanico come la grande riserva di materie prime e di manodopera ai fini bellici immediati», (15) progetto che, dopo l’8 settembre, i nazisti applicheranno anche all’Italia invasa. Ed iniziò a costituirsi un movimento partigiano di lotta all’invasore, come abbiamo visto, cioè l’Osvobodilna Fronta.

Nella primavera del 1942 i partigiani sloveni riuscirono a creare una zona libera, la prima, nella regione di Lubiana, di Lubiana la resistente, di Lubiana la circondata da filo spinato, perché nessuno vi potesse entrare e nessuno uscire. Infatti la mattina del 23 febbraio 1942 la popolazione di Lubiana «si svegliò imprigionata nella sua stessa città. Nella notte infatti le forze di occupazione fasciste avevano innalzato un muro di filo spinato, che ne circondava il perimetro e che presto fu dotato di torrette di controllo e posti di blocco. Ogni collegamento con la campagna fu da quel momento rigidamente vigilato, così come i rifornimenti di viveri necessari alla sopravvivenza quotidiana dei cittadini. Per cercare di colpire la resistenza, tutti i maschi adulti furono catturati, sottoposti a controllo e internati soprattutto nel campo di concentramento di Gonars. In alcune zone della provincia le autorità italiane puntarono alla deportazione di intere popolazioni pur di togliere il terreno da sotto i piedi ai partigiani, inasprendo così l’odio dei civili sempre più disposti a sostenere i loro figli e fratelli contro gli invasori». (16).

Ed «in 29 mesi di occupazione italiana della Provincia di Lubiana vennero […] fucilati, come ostaggi o nel corso di operazioni di rastrellamento, oltre 5.000 civili, ai quali si devono sommare 200 vittime di azioni di violenza quotidiana, 900 partigiani fucilati in prigionia e oltre 7.000 persone – soprattutto anziani, donne e bambini – morti nei campi di concentramento di Arbe, cioè Rab, e Gonars.
Il bilancio finale fu drammatico: circa 13.000 persone uccise su un totale di 340.000 abitanti residenti nella provincia al momento dell’occupazione». (17).

Militari italiani fotografati vicino al filo spinato, posto dalle autorità occupatrici italiane, che circondava la città di Lubiana, « trasformandola in un immenso campo di prigionia. Migliaia di persone verranno deportate nelle decine di campi di concentramento italiani, da Rab a Gonars, da Visco a Monigo, Renicci ed altri. Moriranno migliaia di civili sloveni e croati, soprattutto bambini, donne e vecchi, colpevoli solamente di non essere italiani. Nel campo di Rab il tasso di mortalità medio risulterà essere superiore a quello del campo di concentramento nazista di Buchenwald». (Da: https://blog.triestelibera.one/archives/463). 

Ma solo dopo il 25 luglio 1943 si formò una zona libera del Litorale Sloveno, preceduta dalla sollevazione della popolazione antifascista di Trieste, Gorizia, Capodistria ed altre città, che disarmò, uno dopo l’altro, i presidi italiani, e ottenne la liberazione dei prigionieri politici e l’entrata di molti giovani nelle file partigiane. Soltanto nei settori sloveni delle province di Fiume e Pola, nell’insieme, nacquero più di 30 nuovi battaglioni, fra i quali ci furono anche battaglioni di antifascisti italiani, soprattutto di operai di Trieste e Monfalcone». (18).

L’attività dei partigiani aumentava vertiginosamente, e con la battaglia di Gorizia, durata 14 giorni, e che aveva trovato eco persino nel quartier generale di Hitler, acquistò visibilità. Con il ritiro dell’Esercito Italiano, grazie anche alla sollevazione generale, nacque così, un ampio territorio libero.  Ed «ad eccezione delle grandi città e dei posti lungo le ferrovie, non solo la Venezia Giulia, ma tutta la Slovenia meridionale e Il litorale croato furono totalmente liberi» (19). Ma le città, come detto, rimasero in mano nazifascista. Ed in questo vastissimo territorio, il potere fu assunto dall’ Osvobodilna Fronta e dall’ esercito di Liberazione. Quindi, nei paesi liberi, si passò all’elezione di consigli comunali e sottocomitati, mentre gli organi di potere popolare si davano come compito sia quello di tener desta la coscienza di lotta nel popolo, sia quelli di espropriare i grandi proprietari, di ricordare ai giovani gli obblighi militari, di aiutare le vittime delle violenze fasciste. (20). E nelle zone libere e semilibere della Slovenia, il movimento di liberazione cominciò a realizzare i cosiddetti comandi di zona. (21) 

Il territorio libero, creatosi con la ritirata delle truppe italiane, si estendeva fra Karlocvac, Lubiana, Postumia, Tarvisio, Cividale, Gorizia e Trieste, ed il mar Adriatico a Sud, e comprendeva zone della Croazia, della Slovenia, della Venezia Giulia.  (22).

In rosa la zona liberata dall’esercito partigiano del Fronte di Liberazione della Nazione Slovena (OF) dopo l’8 settembre 1943. Come si vede, nè Trieste. Né Monfalcone ne Gorizia né Fiume facevano parte di detta Zona, così come non ne faceva parte Cividale. I tedeschi, però, aiutati dai collaborazionisti, riuscirono a ridurre, ben presto, a partire dall’ offensiva del 24 settembre 1943, con le loro incursioni, detta zona, che si era organizzata come Stato Partigiano Sloveno. In particolare l’offensiva tedesca del marzo 1944 ne ridimensionò notevolmente il territorio, che occupava spazi dell’Ozak. (Zdenko Cepic, Damijan Guštin, Nevenka Troha,La Slovenia nella seconda guerra mondiale”, Ifsml, 2013, p. 424).

Ma poi, dopo l’8 settembre 1943, i tedeschi crearono l’OZAK, e mandarono rinforzi alla loro 71a divisione di fanteria, che era già in loco, ed in particolare alla 162a divisione di fanteria turkestana. E venne impartito l’ordine, nell’attaccare la zona libera, che la popolazione non dovesse più rappresentare alcun problema. Insomma non si doveva avere alcuna pietà.
Le unità motorizzate, guidate dal secondo corpo corazzato delle SS e dei comandi della 71a divisione di fanteria e della 44a divisione granatieri eseguirono inizialmente due operazioni successive: la prima nella valle di Vipacco, sull’altopiano di Tarnova e della Bainsizza e la seconda in Istria, coronate  da successo, stabilendo ivi propri presidi. Bisogna però ricordare che queste zone diverranno terreno operativo del IX° Korpus solo dopo la sua costituzione, che avvenne il 22 dicembre 1943. (23).

Ma già il 6 ottobre 1943, il comando operativo per la Slovenia occidentale, gruppo dipendente dal comando centrale dell’esercito di liberazione, aveva costituito nel Litorale Sloveno tre divisioni: la ‘ Tricorno’, la ‘Gorizia’ la ‘ Trieste’, che prendevano il nome dalle zone di operazione loro affidate: il Gorenjsko e la parte nordorientale del Litorale Sloveno, il territorio intorno a Gorizia e quello intorno a Trieste. Ed a sud ed est della ferrovia Postumia Trieste operò anche il VII Korpus.

E ci si rese subito conto che la valle di Vipacco ed il Carso erano ben poco adatti alla guerra partigiana, e la strutturazione militare fu modificata.
Dopo la creazione del IX° Korpus, allo stesso venne affidata, come zona operativa, la parte centrale e settentrionale del Litorale Sloveno fino alla ferrovia Postumia – Trieste, che giungeva alle Valli del Natisone, ed, in qualche modo, sino alle spalle della linea Tarvisio – Moggio. (24).

«Un territorio libero così ampio come ci fu nel settembre del 1943 nella Venezia Giulia, non ci fu in seguito mai più» – scrive Tone Ferenc. E dopo l’offensiva tedesca del settembre, ottobre 1943, il territorio liberato restò limitato solo a quei settori che per l’occupante non avevano importanza vitale, e ove non vi erano le principali vie di comunicazione, come per esempio la ferrovia Lubiana- Trieste e Podbrdo – Gorizia- Trieste. «All’esercito di liberazione nazionale riuscì solo di distruggere qualche obiettivo importante, di rovinare lunghi tratti di linea, di interrompere il traffico per un tempo più o meno lungo; gli riuscì anche di distruggere interamente due linee ferroviarie (nella piana di Vipacco e nel Carso) ma non poté occupare per lungo tempo il territorio lungo il quale correvano linee ferroviarie strategicamente importanti». (25).

Dal tardo autunno ’43 il litorale Sloveno, zona libera, comprendeva gli altipiani di Tarnova e della Biansizza, il monte di San Vito e la zona di Chirchina, ed in detta zona libera si trovavano anche sedi di organi e istituzioni militari, civili e politiche, ospedali partigiani, tipografie, fabbriche. In particolare esso si estendeva fra la ferrovia Gorizia- Piedicolle (Podbrdo) ad occidente, l’antica linea confinaria Italia- Jugoslavia a nord ed ad est, e il versante sud della Selva di Piro (Hrušica) e di quella di Tarnova. (26).

Ma oltre questo territorio libero, ci furono anche qua e là, zone libere più piccole, di cui la più importante fu quella definita “Repubblica di Caporetto”, che si estendeva ad occidente dell’Isonzo, nel Collio goriziano, e che ebbe vita da settembre ad ottobre 1943. (27). Ed in essa furono presenti anche battaglioni garibaldini. I nazisti volevano eliminare detta realtà, ma il comando della 162a turkestana, che aveva sede ad Udine, non ritenne di agire subito. Così l’esercito tedesco occupò Caporetto solo nella seconda metà del mese di novembre.

Estensione della Repubblica di Caporetto. Come si vede Cividale, Tarcento, Nimis, Cormons, Gorizia non ne facevano parte. (Da: Luciano Marcolini Provenza, Kobariška republika, la prima repubblica partigiana, in: http://www.patriaindipendente.it/persone-e-luoghi/itinerari-della-resistenza/kobariska-republika-la-prima-repubblica-partigiana/.

Sull’ articolo di Luciano Marcolini Provenza si legge che la “Kobariška republika” cioè la repubblica di Caporetto, fu istituita il 10 settembre 1943 e durò fino all’offensiva tedesca dei primi di novembre del 1943, e che, per ben 52 giorni, il territorio liberato (circa 1.400 chilometri quadrati) popolato da circa 55mila abitanti si organizzò come uno stato con dei confini definiti e presidiati dalle formazioni partigiane, con una capitale, Kobarid/Caporetto, con autorità politiche votate dai cittadini, con un sistema di giustizia e con tre ospedali operativi sul territorio e con l’istituzione, per la prima volta dopo l’annessione italiana, di scuole slovene. I confini della repubblica comprendevano le zone ad etnia slovena delle valli di Resia, del Torre e del Natisone. (28).

Dopo la fine della “Kobariška republika”, fu istituito nel suo ex territorio il distaccamento Natisone – Idria, che si assunse pure il compito di creare un collegamento collaborativo fra le forze partigiane slovene e quelle italiane. (29).

Per il IX Korpus, nel corso della guerra di Liberazione, il territorio libero del Litorale Sloveno rappresentò un’importante base di partenza, in particolare nel corso del 1944, per la propria attività offensiva, in particolare verso la ferrovia Gorizia Piedicolle e verso i presidi nemici posti all’ interno del Gorenjsko, cioè di quel territorio che si trova fra Kranjscka Gora e Lubiana, e verso altre località e postazioni nemiche anche non vicinissime. E L’occupante tedesco comprendeva l’importanza di questo compatto territorio libero, e dirigeva contro di esso azioni offensive in grande stile ed anche spedizioni punitive. (30).

Ed entro i confini del Litorale Sloveno e dell’Istria, i nazisti mantennero sempre due divisioni comandate dal generale per le truppe alpine Ludwig Kübler, il cui comando aveva sede a Spessa, vicino a Cormons, dove poi si insediò il 97° Corpo d’Armata con compiti speciali. E, dopo la partenza delle divisioni 71a e 162a di fanteria per il fronte italiano, Kübler, dal marzo 1944, prese il comando della 188a divisione alpina e della 268a divisione di fanteria. La prima rimase in Venezia Giulia fino alla fine della guerra, la seconda ripartì nel maggio 1944, ed il vuoto lasciato fu riempito da forze della divisione per compiti speciali “Brandenburg” e da un battaglione di cacciatori paracadutisti. Infine, nell’agosto 1944, giunse in Istria anche la 237adivisione di fanteria, che rimase in loco sino alla fine della guerra. (31).

I tedeschi utilizzavano, poi, la parte meridionale e pianeggiante del Friuli come luogo di riposo temporaneo per i soldati delle proprie divisioni e per l’addestramento. Ed erano stanziate, in Friuli e Venezia Giulia, forse nove divisioni tedesche, di cui due operavano anche in Istria. (32). Ed oltre alle forze maggiori e minori tedesche, operarono, in Ozak, contro i partigiani, anche truppe collaborazioniste italiane e slovene. Basta leggere ove agì il Reggimento Alpini ‘Tagliamento’ formato da Miliziani fascisti. (33).

Cartina dell’ Europa nel settembre 1943. IN GRIGIO il territorio controllato dalle forse dell’ Asse, IN ROSA  i territori controllati dagli Alleati, che erano Gran Bretagna, Russia e U.s.a., IN ROSSO i territori liberi della Jugoslavia, IN BIANCO i paesi neutrali. (Da: https://commons.wikimedia.org/wiki/File:Kapitulacija_Italije_i_ustanak_u_okupiranoj_Jugoslaviji_1943.png).

Nel tardo autunno del 1944- sempre secondo Tone Ferenc- erano giunti in Venezia Giulia dai Balcani, pure 52 battaglioni formati da alcune migliaia di appartenenti all’esercito quislinghiano. Esse erano prevalentemente unità del cosiddetto corpo di volontari serbi e di cetnici dalmati e bosniaci. E accanto ai nazisti ed alle unità collaborazioniste italiane, che facevano parte del 97° corpo d’armata tedesco per impieghi speciali, in zona c’erano 112 battaglioni di polizia, sotto il diretto comando di Odilo Globocnick formati per lo più da domobranci e da soli 7. 423 tedeschi, mentre gli altri erano tutti soldati di altre nazionalità. (34).

Inoltre dopo la partenza della 90a e della 94a divisione tedesca di fanteria dalla sosta in Friuli, nell’ottobre in Ozak fu presente anche la 44a granatieri “Hochund Deutschmeister”. Quindi all’inizio del novembre 1944, quando due divisioni vennero spedite sul fronte magiaro, le forze del IX° Korpus occuparono la valle di Vipacco e del Carso, estendendo il territorio libero verso sud. (35).

Ma nel dicembre 1944, il nemico passò all’offensiva per liberare dai partigiani le retrovie alle spalle delle linee tedesche fortificate che stava costruendo. Una delle stesse correva lungo l’Isonzo, l’altra attraversava la Čičarija tra Trieste e Fiume, la terza correva lungo l’antico confine tra Italia e Jugoslavia, fra Fiume e Ilirska Bistrica. A causa dell’attacco pesante di nazisti e dei btg. ‘Sagittario’ e ‘Barbarigo’, ‘Fulmine’ della X Mas, giunta in Venezia Giulia nel novembre 1944, venne occupata dal nemico la piana di Vipacco e vennero riconquistate alcune postazioni nella piana di Tarnova. (36). Ma in detta zona gli scontri si protrassero dal dicembre 1944, quando avvenne la battaglia di Klodic, agli inizi di aprile 1945, quando ebbero luogo i combattimenti presso Ravne e Tribl superiore. (37).

E proprio per la presenza costante delle forze armate nemiche, fu sempre un problema, per l’esercito di Liberazione, l’approvvigionamento di viveri per i propri soldati e per la popolazione della zona libera del Litorale Sloveno. I comandi civili e militari cercarono di trasportare viveri da altri settori operativi più ricchi, soprattutto dalla Carniola e dalla valle di Vipacco, ove giungevano dopo esser stati acquistati in Friuli, cercarono di sottrarre viveri alle case dei nemici e di recuperare qualcosa dai lanci alleati. Ma la vita, come ci narra anche Annibale Tosolini, era molto dura. (38).

Politicamente tutta la zona di operazioni del IX° Korpus venne divisa in circondari, che erano 14 fino alla fine di agosto 1944, poi 5: Litorale nord, Litorale centro; Litorale sud; Litorale Ovest e Trieste (non città), a loro volta suddivisi in distretti. In ciascuno di questi vi erano comitati del Pcus, dello Skoi (Gioventù comunista) del FL, della Lega della Gioventù slovena e del Comitato donna antifascista.  E nell’ attesa dello sbarco alleato in Istria,che non avvenne mai, previsto nel settembre 1944, il 15 settembre 1944 nella Velika Lazna, presso Chiapovano, 155 deputati già nominati democraticamente, elessero il Consiglio Regionale di Liberazione Nazionale, supremo organo di potere popolare nel Litorale sloveno. (39).

E per ora mi fermo qui.

Ho scritto, riprendendo principalmente le informazioni dall’articolo citato di Tone Ferenc, queste righe, per approfondire il tema della zona libera slovena, detta del Litorale Sloveno, che condizionò la storia pure della resistenza friulana nel corso della seconda guerra mondiale ma che ebbe un suo significato anche poi. E non a caso si era deciso di spostare il comando dell’R.S.I. a Cividale del Friuli, e non a caso si mandò Livio, detto anche Barba Livio, in val di Resia. Ed in questa zona libera andò la Natisone, principalmente per salvarsi. Ma questa è altra storia. Ed in Italia, con i nazifascisti in casa che uccidevano e martoriavano, c’era chi pensava troppo al dopoguerra, in quel tragico 1944, mentre gli alleati, operativi anche a fianco dell’Esercito popolare di liberazione della Jugoslavia (acronimo NOV i POJ), invitavano alla lotta contro il nemico comune.

Naturalmente questo articolo è solo un primo passo verso la ricerca della verità, ed è un omaggio a Romano Marchetti che tanti insegnamenti e suggerimenti mi ha dato nel corso della sua lunga vita e che mi ha incoraggiato a proseguire il cammino già da me iniziato, anche in suo nome, per quanto possibile, e conscia dei miei limiti. Ma molti possono ancora cercare in suo nome, con serietà, con rigore, con umiltà, con metodo scientifico. E nessuno nella comunità scientifica può pensare di fare da solo, senza l’aiuto degli altri, anche citando studi pregressi di spessore o recensendoli o pubblicandoli.

Laura Matelda Puppini

Note.

1-Il testo è leggibile in: http://www.italia-resistenza.it/wp-content/uploads/ic/RAV0053532_1980_138-141_04.pdf.

2-Teodoro Sala, op. cit., p. 85.

3-Ivi, p. 86.

4- https://it.wikipedia.org/wiki/Regno_di_Jugoslavia.

5- Teodoro Sala, op. cit., p. 86.

6- https://it.wikipedia.org/wiki/Regno_di_Jugoslavia.

7- Il riferimento citato è “Alfredo Breccia, Jugoslavia 1939-1941. Diplomazia della neutralità, Giuffrè, 1978”.

8- Storia. Quel terribile ’42-’43, periodo di svolta in Italia, in: www.nonsolocarnia.info.

9- Dušan Simović (nato nel 1882, morto nel 1962è stato un generale e politico serbo. Dopo l’invasione della Jugoslavia da parte dei nazifascisti, si ritirò, con re Pietro, a Londra, facendo ritorno in patria solo dopo la seconda guerra mondiale. Negli ultimi anni si dedicò alla stesura di libri di carattere militare.

10- Per cfr. Ufficio Storico Stato Maggiore dell’Esercito, Le operazioni delle unità italiane in Jugoslavia (1941-1943), Roma, 1978.

11 – Zdenko Čepič, Damijan Guštin, Nevenka Troha, La Slovenia nella seconda guerra mondiale, ed. Ifsml, 2012, pp. 81-82.

12- Tone Ferenc, La Zona Libera del IX° Korpus d’armata sloveno nella Venezia Giulia, in Rassegna di storia contemporanea n.2/3, anno 2, 1972, p. 106.

13- Ibid.

14 – Ivi, pp. 106-107.

15 – Teodoro Sala, op. cit., pp. 87-88.

16 – Gemma Bigi, Lubiana, la città circondata dalla memoria, in: http://www.anpi.it/articoli/1069/lubiana-la-citta-circondata-dalla-memoria.

17 – Ibid.

18- Tone Ferenc, op. cit., p. 109.

19 – Ivi, p. 110.

20 – Ivi, pp. 110-111.

21 – Ivi, p. 114.

22 – Ivi, p. 110.

23 – Ivi, pp. 111- 112.

24 – Ivi, p. 112.

25 – Ivi, p. 113.

26 – Ibid. e ivi, p. 116.

27 – Ibid.

28 Luciano Marcolini Provenza, La Zona liberata dal IX Korpus d’armata sloveno nella Venezia Giulia, pubblicato su: Patria Indipendente il 16 novembre 2018.

29 – Tone Ferenc, op. cit., p. 114.

30 – Ivi, p. 117.

31- Ibid.

32 – Ivi, p. 118.

33 – Cfr. la collocazione del collaborazionista Reggimento Tagliamento, in: Aldo Mansutti, Reggimento alpini «Tagliamento». 1943-45, Aviani & Aviani ed., 2010.

34 – Tone Ferenc, op. cit., p. 122.

35 – Ivi, pp. 121-122.

36 – Ivi, p. 122. Cfr. anche, per l’utilizzo di battaglioni della X Mas nella selva di Tarnova: “Storia della collaborazionista X Mas con i nazisti occupanti, dopo l’8 settembre 1943. Per conoscere e non ripetere errori”, in: www.nonsolocarnia.info.

37 – Tone Ferenc, op. cit., p. 125.

38 – Ivi, p. 120 e ‘E tu seis chi a contale, Annibale… Storia di un partigiano friulano della Divisione Garibaldi Natisone’, in: www.nonsolocarnia.info.

39 – Tone Ferenc, op. cit., pp. 120 -121.

L’immagine che accompagna l’articolo rappresenta la Bandiera dell’Osvobodilna Fronta, ed è già stata da me utilizzata all’ inizio di questo articolo.

Laura Matelda Puppini

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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