Correva un anno fra il 2004 ed il 2009 quando, lavorando all’isis “F.Solari” di Tolmezzo, incontrai un volume ed un articolo: Delmo Maestri, Per una storia della narrativa sulla Resistenza, in: Resistenza italiana ed impegno letterario, Paravia 1975, pp. 151 – 170. Da esso ho tratto queste righe che mi paiono molto interessanti perché evidenziano la differenza tra narrativa sulla resistenza e analisi storica.

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Delmo Maestri sottolinea, in primo luogo, come la narrativa possa trasmettere un atteggiamento entusiastico o nostalgico o denigratorio della resistenza, in sintesi afferisca al piano emotivo più che razionale o storico scientifico. E di conseguenza, «per il vivo degli argomenti e degli interessi, la discussione su queste opere narrative rischia di ridursi a pretesto per immediate adesioni o deprecazioni», senza dare sufficiente spazio alla riflessione sulla narrativa resistenziale stessa, per capire come si è formata una tradizione letteraria e culturale e come essa abbia svolto un ruolo non di poco conto. (Delmo Maestri, op. cit., p. 152).

Maestri precisa, poi, che egli volge il suo interesse verso la letteratura sull’antifascismo e sulla resistenza, ma che esiste anche la memorialistica, fatta di tante testimonianze, come le lettere dei condannati a morte o dal carcere, e che esistono pubblicazioni post resistenziali nelle quali si evidenziano maggiormente i sentimenti, come la rabbia o la disperazione, o la compassione, le quali, quasi sempre, contengono pure una esortazione politica e morale. Ma, per Delmo Maestri, la letteratura deve evitare di dare voce a risentimenti personali od ad obiezioni culturali e politiche dello scrittore, e deve rispondere, pure, ad esigenze letterarie. (Ibid.).

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Un tratto caratteristico della narrativa italiana sull’antifascismo e sulla resistenza, poi, è che, a differenza di quanto accadde in altri paesi, essa fu realizzata non entro il momento storico di cui trattava ma dopo, a situazione risolta, ponendosi come memoria o meditazione, e quindi collocandosi non all’interno dell’azione ma nel momento di un pensiero ed una riflessione postumi. (Ibid).

E in detta iniziale letteratura “di riflessione” la resistenza appare come una fase importante ma limitata, un preambolo, «per costruire, proseguendone lo spirito in condizioni diverse, una società rinnovata e pacifica». (Ivi, p. 153). Detta letteratura è da taluni ritenuta descrizione della società italiana, da altri letteratura attestata su posizioni populistiche e di riscatto del popolo stesso, da altri ancora, letteratura superficiale, non atta a descrivere il progresso della società. (Ivi, p. 153).
Ma se di neorealismo si tratta, esso fu proprio del secondo dopoguerra ed espressione di quella volontà di fare e migliorare che nasceva pure dai nuovi spazi culturali che si aprivano ai giovani dopo il ventennio.

Allora «Il clima fu convulso ed appassionato, percorso da un desiderio di assimilare rapidamente, di fitto scambio delle proposte, dalla viva ma ingenua impostazione dei problemi.
Più che precise idee, una comune tensione sospingeva il dibattito: la convinzione di partecipare in primo piano a costruire un nuovo ordine politico e, ancor di più, umano, spostando sempre più avanti gli equilibri della società in uno stretto legame con le forze progressiste. (…). Era poi logico che, in un momento così ricco di attese e speranze sociali, la letteratura avvertisse il rinnovamento in polemica con il periodo precedente […].». (Ivi, pp. 154-155).

Vi fu allora una proposta di concreto ed attivo neoumanesimo, volto alla rivendicazione di un nuovo sistema di vita, ed uno spirito di fiducia nell’uomo sembrò, allora, investire le correnti filosofiche. (Ivi, 155).
E, secondo Maestri proprio questo appello “a favore dell’uomo,” si ritrova in: “Uomini e no” di Elio Vittorini, che così scrive: «Che senso avrebbe il nostro lavoro se non servisse a rendere gli uomini felici? È per questo che noi lavoriamo». E con queste parole lo scrittore sintetizza l’idea di Resistenza come momento verso la costruzione di una società diversa, che già nella lotta si era riempito di «germi fecondi per il miglioramento dell’uomo». (Ivi, pp. 156-157).

Elio Vittorini in questo sua opera, contrappone alla disumanità dei nazisti l’inflessibilità dei partigiani, di cui giustifica la violenza come necessario passaggio per costruire un mondo migliore, ma presenta, secondo Delio Maestri, «una visione della Resistenza fatta da pochi, mentre le masse si riducono alla folla tetra ed oppressa, che fa da sfondo; Renata Viganò nel suo “L’Agnese va a morire” incentra il racconto sull’ azione collettiva e semplice di molte persone per costruire una società nuova; Italo Calvino nel suo: “Il sentiero dei nidi di ragno” sceglie, invece, per questa proposta di nuovo umanesimo, un approccio diverso, più problematico. «Un filtro fantasioso e grottesco mette al sicuro la Resistenza dagli entusiasmi retorici e permette una narrazione senza slanci […]. Non vi compaiono più eroi ma tipi umani pescati dai bassifondi: ubriachi, prostitute, ladri, uomini bambini, ideologi da strapazzo, maniaci delle armi e del sangue, comandanti stanchi e tentati dal sesso». È una Italia povera quella che si ribella, che si «mette in relazione con la storia», attraverso la rabbia nata dalla frustrazione e dalle umiliazioni subite nel ventennio fascista. In sintesi per Calvino resta il problema che uomini comuni possono aver aderito alla resistenza senza averne introiettato gli ideali, senza aver derivato, dalla partecipazione alla stessa, una vera e propria “costruzione interiore” ma questo, secondo lui, non ha incrinato il valore positivo della storia e della “Liberazione”. (Ivi, pp. 158-159).

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In queste opere come in quelle del neorealismo, si risente ancora della spinta al nuovo, ad una società più giusta, che aveva animato la Resistenza, che avviene comunque in un contesto di guerra e persegue la fine del fascismo. Ma poi … Ma poi la Democrazia Cristiana nel 1948, vince le elezioni, e il neorealismo volge al termine. «Questa vittoria- scrive Maestri – è la conclusione, preparata da lontano, di scelte decisive sul piano economico, sociale e politico; significa restaurazione capitalistica, scelta del moderatismo, integrazione nel sistema difensivo atlantico». (Ivi, p. 161). Il nuovo clima influenza, pure, la letteratura, che volge al moderatismo, all’intimismo, cancellando l’espressione delle tendenze verso il nuovo della società italiana.
Ma la letteratura di testimonianza post 1948 pare sorta pure per ammonire contro la disumanità, e come denuncia delle ingiustizie subite e per rimarcare valori ritenuti poi perduti.

Viene dato alle stampe, nel 1949, “Il mondo è una prigione”, (Forse titolo originale “Prigione senza luce” come: ivi, p. 160) di Guglielmo Petroni, testo memorialistico, in cui lo scrittore, figlio di povera famiglia lucchese, racconta il suo arresto, a Roma, nella notte fra il 3 e 4 giugno 1944, e la sua esperienza personale del dolore, che non dà luogo ad alcuna indagine politica sulle origini del male e della sopraffazione subite. Egli, invece, si sofferma sul malessere spirituale che pervade i perseguitati e tende a «sfigurarli dentro» e sul male spirituale che agisce nei persecutori, e si palesa nella «maligna sottigliezza dei loro metodi di tortura». (Ivi, p. 160). «Petroni porta – sempre secondo Maestri – nella letteratura post- resistenziale un’esigenza cristiana e morale e ci rivela un nuovo versante dell’impegno, sensibile alla valorizzazione dell’uomo interiore, pronto a misurare moralmente i temi del momento: il fascismo, la Resistenza, la storia, i doveri politici. (…) La costruzione dell’uomo e dei nuovi rapporti sociali parte dalla meditazione sull’esperienza del male e del bene, dalla lotta contro la disumanità, prima di tutto in noi». (Ivi, p. 160).

Petroni pubblicava successivamente, nel 1974, “La morte del fiume”, ove il Serchio fa da filo conduttore del romanzo. Esso era, nel ricordo dei protagonisti, «un fiume di acque chiare, di sponde fiorite a primavera, ombreggiato di pioppi», ma lo ritrovano, 40 anni dopo, trasformato in un «fiume che muore in mezzo a sponde invase dai rifiuti, […], quasi a simboleggiare la fine dei sogni ed ideali della giovinezza». (https://it.wikipedia.org/wiki/La_morte_del_fiume, e Delmo Maestri, p. 169).

Il neorealismo, dopo il 1948, gioca in difesa, costringendosi in schemi rigidi e ricercando l’oggettività storica, mentre scrittori quali Vasco Pratolini nel suo “Cronache di poveri amanti” e Francesco Jovine nel suo “Le terre del Sacramento” paiono sicuri nel suggerire un giudizio sui fatti storici, ma poi chiudono con la sconfitta e la morte, frenando sugli aspetti del rinnovamento, rimandato a tempo indeterminato, e cedendo alla stasi. «La resistenza al fascismo diventa così orgogliosa e dolente conservazione dei propri affetti e ricordi, immobilità di popolo rassegnato (…).» (Ivi, p. 163). Nella letteratura degli anni ’50, la Resistenza «appare […] conclusa in sé, momento irripetibile, eccezionale o insignificante […] nel corso della nostra storia. Essa può esser ricordata con commozione od ironia, ma comunque come passato, senza presa su di noi, senza aver inciso sulla nostra società». (Ivi, pp. 163 – 164).

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Per esempio Cesare Pavese mostra attenzione ai personaggi, agli intellettuali, ed alle loro difficoltà ed incertezze, chiudendoli nella loro «coscienza infelice».
Tutta centrata sulla disillusione appare la sua opera “Carcere”, scritta nel 1939 e pubblicata nel 1948, ove narra la propria esperienza di uomo confinato, scritta in terza persona ed attribuita ad un altro, descrivendo  i suoi stati d’animo e dando un significato intimo e personale anche ai paesaggi, primo fra tutti il mare. (https://it.wikipedia.org/wiki/Il_carcere).

Il protagonista, l’ingegnere Stefano, confinato in un paesino della Calabria, si sente «isolato fra invisibili sbarre, senza orgoglio per il suo passato, incapace di contatti umani», (Ivi, p. 159), e viene preso da una «solitudine che inaridisce». (Ibid.). Invece in: “La casa in collina”, edito nel novembre 1948, il protagonista, il professor Corrado, appare al lettore in continua fuga dalle sue responsabilità, «inadeguato al tempo, agli uomini, agli affetti», preso da una sensazione di «indeterminata colpevolezza» che lo fa star male. (Ivi, p. 159). In “La luna e i falò”, parzialmente autobiografico e pubblicato nel 1950, il protagonista ritorna sulle sue colline, illudendosi di ritrovare ancora vivo il suo passato. Ma delle persone a lui vicine e care, ritrova in vita solo Nuto, che lo accompagna nel suo percorso, e capisce quanto sia importante per ognuno avere un paese, una famiglia, un punto di riferimento che lo leghi alla vita. (https://it.wikipedia.org/wiki/La_luna_e_i_falò). La visione della Resistenza si limita al ricordo dei morti fascisti, uccisi dai partigiani, e della giovane Santina, spia, che aveva conosciuto da bambino, che ha fatto la stessa fine. E gli sembra che l’immagine di un mondo perfetto ed amichevole, ricevuto nell’infanzia, sia stato stroncato dalla guerra, e sia inevitabilmente perduto. (Delmo Maestri, p. 160).

«La Resistenza al fascismo diventa così orgogliosa e dolente conservazione dei propri affetti e ricordi, immobilità di popolo rassegnato, piuttosto che organizzatore di lotta». (Ivi, p. 163).

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Questo nuovo corso si sente, secondo Maestri, sia in: “La ragazza di Bube” che in: “Fausto ed Anna” di Carlo Cassola, dove l’amore si dissolve nella banalità del quotidiano come gli ideali, ma anche in: “Il giardino dei Finzi Contini” di Giorgio Bassani, in cui «sofferenze private e violenze politiche appaiono fissate in una luce di memoria». (Ivi, p. 164). «L’opera del tempo rende vani i tentativi di ricostruire la fisionomia completa, le motivazioni degli uomini, così come fa dimenticare offese e dolori», secondo Bassani, che scrive la sua opera nel 1962. Ed a ricordare gli undici fucilati ferraresi, una terribile notte del 1943, nell’ indifferente città, rimane solo una lapide, e, per altri aspetti resta solo la memoria personale dello scrittore, sottoposta alla dissoluzione del tempo. (Ivi, p. 165).

«Davvero l’idea di una letteratura militante a fianco delle forze politiche si è rovesciata nell’ elegia della precarietà, – scrive Maestri – e l’intellettuale è divenuto spettatore di un naufragio, ove l’umano è recuperato dalla trattenuta compassione». (Ibid.).

Infine Beppe Fenoglio con i suoi racconti pubblicati in: «I 23 giorni della città di Alba» del 1952, i suoi romanzi: “Una questione privata” edito nell’anno della sua morte, il 1963, “Primavera di bellezza” pubblicato nel 1959, e “Il partigiano Jhonny”, continuazione di “Primavera di Bellezza” ed il cui titolo è stato dato dall’editore, ed uscito postumo nel 1968. (https://it.wikipedia.org/wiki/Il_partigiano_Johnny_(romanzo).

In “Primavera di bellezza” Johnny, giovane sottufficiale dell’Esercito Italiano, dopo l’8 settembre 1943, tornava nelle sue Langhe, dove muore in una delle prime azioni della guerra partigiana. “Il partigiano Johnny” riprende la storia del giovane variandola dopo il suo ritorno a casa: invece di aderire subito alla Resistenza, Johnny si rifugia presso la sua famiglia, che lo imbosca in una villetta in collina. Quindi aderisce alla resistenza in una formazione comunista di cui però non condivide l’ideologia, ed infine passa alla resistenza badogliana fatta moderati e di estrazione borghese e militare. (Ivi). Infine i due finali: uno che termina con un conflitto a fuoco da cui Jhonny esce vivo, uno in cui Jhonny muore nello stesso. Anche le vicende editoriali del romanzo sono complesse, in quanto il romanzo ebbe stesure diverse, ed un editore scelse una versione, un altro un’altra, e chi mise alcuni episodi chi no. (Cfr. sempre  https://it.wikipedia.org/wiki/Il_partigiano_Johnny_(romanzo)).

Per Maestri, «Fenoglio sostituisce all’eroismo retorico di tante esaltazioni resistenziali una umanità triste disperata e solitaria, in fuga per le colline, vittima dei nemici e della feroce natura. Solo così, riducendo gli uomini alla loro nuda “miserabilità”, egli ne fa risplendere la sostanza più nobile, la dura ostinazione a resistere». E la grandezza della Resistenza, sempre secondo Maestri, sta, per Fenoglio, unicamente nella capacità che l’uomo ha sviluppato, nel corso di quell’esperienza, a sopportare persecuzioni e terrore. (Delmo Maestri, op. cit., p. 165). «Fenoglio ripropone l’ammirazione per l’umano nelle figure disperate dei suoi partigiani fuggitivi, più che combattenti per una qualche idea, testimoni della grandezza e della dannazione di essere uomini». (Ibid.).

In sintesi mi pare si possa dire che la letteratura risentì delle diverse visioni sociali e politiche della resistenza,accentuandone ora un aspetto ora l’altro, e passando, in certi casi, da letteratura “militante” e talvolta apologetica, a letteratura di gusto romantico.

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Poi gli anni sessanta, il boom economico, l’incontro fra cattolici e socialisti che originano governi di centrosinistra, il sessantotto, la strategia della tensione, infine la crisi economica e la recessione, e l’inserimento di uomini di cultura in istituzioni, aziende ed imprese editoriali, «ove il messaggio denuncia o di testimonianza si annulla in merce venduta a migliaia di copie, in “best- sellers” in cui l’amarezza e l’inquietudine divengono piccante stimolo di mercato, gradevole novità per un pubblico ormai stabilizzato». (Ivi, pp. 165-166).

E infine l’oggi, che non è compreso nel testo di Maestri, edito nel 1975.

Oggi i testi letterari sulla resistenza si vendono molto, spesso indipendentemente da loro valore sia storico che letterario. In questa società delle opinioni e delle libere espressioni, vengono pure prodotti testi che, senza studio alcuno, riportano pensieri (pensadinis le chiamo io) dell’autore, facendoli passare per verità, come il ragionamento che li unisce nella mente di chi li scrive, sorretto da pizzichi ed aggiunte. Ma stiamo tranquilli: questo accade per il periodo resistenziale come per il medioevo, fino a travisarne i contesti e le situazioni reali, in nome di una liceità che non esiste.

Ma siamo nella società resa liquida …. ove basta che primeggino emozione e soggettivismo, meglio se in visioni apprezzate dalla politica, ed al diavolo storia e contesti. Così ora vengono editi volumi che vengono spacciati per opere di letteratura o di storia, mentre sono ricostruzioni romanzate, anche lontanissime dalla storia, funzionali agli applausi per l’autore ed a consensi forse politici, e che possono ledere in modo definitivo la memoria, fino a costruirne una falsata alternativa, fino a dare respiro e linfa a nuovi fascismi che si appellano agli antichi.

Laura Matelda Puppini

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Brevissima biografia di Delmo Maestri a cura di Laura Matelda Puppini.

Delmo Maestri, piemontese di Alessandria, nato il 27 febbraio 1928, nonno anarchico, padre comunista come uno zio, era figlio di Ottavio Maestri notissimo antifascista, vice presidente della Provincia di Alessandria all’indomani della liberazione, e poi Assessore ai lavori pubblici.  Delmo partecipò attivamente alla resistenza dal gennaio al giugno 1945, nella 107a Brigata Garibaldi, con nome di battaglia Monello, e ne capì la forza politica dirompente, sia come riscatto sociale, sia come liberazione dalla prepotenza totalitaria.
Aderì al PCI, ed era convinto comunista ed ateo, ma quando, in Consiglio, anche come da Assessore alla cultura ed alla pubblica istruzione, si trovò a confrontarsi col gruppo consiliare democristiano, espresse una capacità di dialogo ferma, ma rispettosa delle opinioni altrui, ed il bene comune fu il suo principale pensiero da politico ed amministratore della cosa pubblica. Inoltre più volte si oppose drasticamente ad obbrobri edilizi che si volevano perpetrare o si perpetrarono nella sua città.
In lui era accentuato l’appello all’etica civile e alla moralità pubblica, e riteneva che, senza un richiamo costante alle regole legali e morali, la tendenza degli uomini, in particolare quelli investiti di pubblici poteri, fosse quella di aggirarle, ignorarle, evaderle.
La sua predisposizione al dialogo, ne fece un sincero e convinto ammiratore di alcune componenti della Chiesa alessandrina, fino a collaborare in una commissione del Sinodo diocesano (1995/97), chiamato a parteciparvi dal vescovo Charrier, quale uditore laico.
Laureatosi in lettere a Torino nei primi anni ’50, fu docente di scuola superiore, intellettuale, antifascista, uomo di spicco della cultura anche alessandrina, persona di coerenza e carisma, e negli anni ’90 svolse pure il ruolo di memoria storica della sua città. Lascia numerose opere da lui scritte ed interviste. È morto nel settembre 2015, all’ età di 87 anni.

(https://appuntialessandrini.wordpress.com/2015/09/05/delmo-maestri-un-uomo-per-la-citta/; http://www.cittafutura.al.it/web/_pages/detail.aspx?GID=14&DOCID=18594; http://www.alessandrianews.it/alessandria/addio-delmo-maestri-ricordo-memoria-115761.html; https://radiogold.it/cronaca/31438-addio-professor-delmo-maestri/; Memorie di Piemonte. I saperi della tradizione (Delmo Maestri) prima in: https://www.youtube.com/watch?v=7pSIAM8OsGk, e seconda parte; http://intranet.istoreto.it/partigianato/dettaglio.asp?id=51566).

L’immagine che correda l’articolo è quella di copertina del volume di Delmo Maestri, ed è stata da me tratta da:https://images-na.ssl-images-amazon.com/images/I/51ahJnLG0lL._SX349_BO1,204,203,200_.jpg

Laura Matelda Puppini

 

 

 

https://i0.wp.com/www.nonsolocarnia.info/wordpress/wp-content/uploads/2017/07/delmo-51ahJnLG0lL._SX349_BO1204203200_.jpg?fit=328%2C468&ssl=1https://i0.wp.com/www.nonsolocarnia.info/wordpress/wp-content/uploads/2017/07/delmo-51ahJnLG0lL._SX349_BO1204203200_.jpg?resize=150%2C150&ssl=1Laura Matelda PuppiniARTE E FOTOGRAFIASTORIACorreva un anno fra il 2004 ed il 2009 quando, lavorando all’isis “F.Solari” di Tolmezzo, incontrai un volume ed un articolo: Delmo Maestri, Per una storia della narrativa sulla Resistenza, in: Resistenza italiana ed impegno letterario, Paravia 1975, pp. 151 – 170. Da esso ho tratto queste righe che...INFO DALLA CARNIA E DINTORNI