Vorrei scrivere qualcosa per i 105 anni di Romano Marchetti. E così, guardando le mie presentazioni del volume che contiene le sue memorie: ‘Da Maiaso al Golico, dalla Resistenza a Savona, una vita in viaggio nel Novecento italiano, Ifsml, Kappa Vu ed., 2013, da me curato, penso ad una sintesi per sottolineare alcuni aspetti, prendendo in particolare da quella per l’incontro di Gmünd e da quella pubblicata su Storia Contemporanea in Friuli.

Avevo intitolato il testo per la cittadina austriaca, scritto in Italiano ed Inglese: “Montagna – Resistenza – Lotta all’emarginazione – Cooperazione fra i popoli”, riassumendo così temi cari a Romano, e penso di non aver sbagliato.

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Romano Marchetti è nato a Tolmezzo il 26 gennaio 1913, si è laureato in agraria a Firenze, è un mazziniano, un seguace del pensiero di Cattaneo, un socialista, un repubblicano, un sostenitore del circondario montano. Egli ha vissuto la sua infanzia a Maiaso, un villaggio carnico, e, fin da bambino, ha iniziato a conoscere i problemi della montagna. Gli uomini emigravano principalmente in Germania dove apprendevano gli ideali socialisti. Anche il padrino di cresima di Romano era un emigrante, ed egli ascoltò i suoi racconti. Le donne, invece, lavoravano i campi ed allevavano il bestiame ed il loro lavoro era molto faticoso.

Maiaso era, allora, un villaggio di circa 20 ‘fuochi’ ed ogni famiglia aveva una stalla. Una delle case era casa Minót (la casa di Giacomo Diana) dove Romano visse la sua infanzia. La famiglia di Romano apparteneva al ceto borghese, e suo nonno materno, Adamo Diana, era un possidente. Suo padre, Sardo Marchetti, fu prima direttore didattico poi ispettore della scuola elementare, sua madre, Rachele Diana, era una casalinga. I nonni erano cattolici e la madre di Marchetti chiuse le imposte delle finestre quando, di fronte alla loro casa, passò un corteo di dimostranti con bandiere rosse.

Sardo Marchetti era un mazziniano; uno zio di Romano, Mario Agnoli era un ufficiale degli alpini, un socialista, un massone, e Romano crebbe alla loro scuola. Mario Agnoli fu perseguitato dal regime fascista per le sue idee politiche, i mobili della sua casa furono distrutti da un gruppo di picchiatori fascisti, rimase senza lavoro ed alla fine si uccise.

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Nel piccolo villaggio di Maiaso, come in ogni villaggio, c’ erano un falegname, un fabbro, un casaro, un uomo che riparava di tutto, un calzolaio ed un prete. E c’erano una chiesa, una latteria, una piccola scuola elementare. La latteria e la scuola elementare si trovavano nello stesso edificio, costruito dalla popolazione di Maiaso.

I bambini facevano spesso giochi pericolosi ed imparavano a vivere in mezzo alla natura. Le madri, talvolta, prendevano a schiaffi i loro figli a causa dei guai che causavano e perché disubbidivano, e i genitori pretendevano dai figli il rispetto della proprietà privata e delle regole sociali. Una volta Romano, bambino piccolo, disse alla madre: «Mamma, mamma, guarda quel piccolo melo: la neve ha piegato i suoi rami!» E la madre rispose: «Non è importante per noi: l’albero è della zia Dalia!».

Il tempo era scandito dalle stagioni, dai lavori stagionali e dalle principali feste religiose: Natale, Pasqua, i santi Pietro e Paolo, san Michele ed altre. Le giornate erano ritmate dal mattino, il mezzogiorno e la sera, e si doveva rientrare a casa prima che scendesse la notte. I bambini aiutavano i genitori a costruire oggetti che servivano per la famiglia e così imparavano ad usare gli attrezzi ed ad arrangiarsi.

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Da ragazzo, Romano incontrò a Maiaso alcuni emigranti antifascisti come Coleto da Cjastelana, forse comunista, che era rientrato a Maiaso per morire, essendosi ammalato di tisi. Romano, trovatosi in piazza con loro, parlò bene del fascismo e del popolo italiano ma Coleto ed un altro emigrante non erano d’accordo con lui. Coleto gli “sputò in faccia” un torrente di ragionamenti da cui traspariva un secco odio, documentato e motivato, per il fascismo, accumulato anche da emigrante sfruttato, mentre Tin di Menia si alzò e disse a voce alta: « Italians …rochs, rochs come pioras! (Gli italiani sono stupidi,  stupidi come le pecore!)», la bocca storta a smorfia sprezzante, la mano che toccava i testicoli. E così Romano incominciò a conoscere l’antifascismo.

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Romano, crescendo, abbandonò la religione cattolica ed incominciò a sviluppare un pensiero libero. Ad Udine, al liceo, vide e sentì parlare di Andea Manfreda, uno sloveno che era membro del gruppo Orjuna e che poi fu imprigionato per un attentato al faro di Trieste. Così Marchetti imparò che vi erano altre persone, oltre gli emigranti, che odiavano i fascisti.

Sempre al liceo egli dovette iscriversi al Partito Fascista, come tutti, ma Ottavio Franz, su compagno di banco, non volle farlo. Quando il docente gli chiese perché disse solo: «Mio padre non vuole».
Una volta due fascisti accusarono il padre di Romano di cattiva organizzazione per ricordare il 28 ottobre, ed egli urlò: “No, no!” E Romano rimase scioccato da ciò.
Un’ altra volta Romano ed il suo amico Sardo camminavano lungo una via di Tolmezzo. Quando furono vicino alla casa di un noto fascista, Sardo iniziò a cantare, a voce bassa, bandiera rossa. Il fascista uscì di casa e schiaffeggiò sardo e Romano rimase incolume solo perché il fascista conosceva suo padre.

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Romano fece l’università a Firenze. Egli seguì il corso di studi in agricoltura ed ebbe professori molto quotati. Si laureò nel 1935. A Firenze incontrò molte persone e conobbe degli ebrei. Egli divenne amico di Vittorio Curiel, un ebreo di Trieste, e, dopo la specializzazione, egli e Vittorio decisero di andare in Africa, in Somalia, per lavorare. Così si imbarcarono insieme.

Quando, nel 1938, il regime fascista promulgò le leggi razziali, Romano aiutò Vittorio a fuggire dall’Africa e poi dall’Italia.
In Africa Marchetti si impiegò nel monopolio banane e come libero professionista. Fu anche in Libia, e vide bambini che lavoravano come schiavi per porre il tabacco nelle scatole e fu impressionato da ciò.
A Merca e Chisimaio egli conobbe molti italiani, ma, secondo Marchetti, là non c’era moralità e gli italiani volevano solo arricchirsi.
Inoltre il fascismo proibiva il matrimonio fra un bianco, un italiano, ed una somala. Così il Pino Cantù, famoso pittore di Varese, era stato costretto a rientrare in Italia a causa del suo amore per una bella donna del luogo.  Marchetti dice anche che, dopo la vita africana, sentiva il bisogno di una nuova moralità, di una nuova vita, e l’esperienza come partigiano nella guerra di liberazione gliela donò.

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Nel 1940 l’esercito italiano entrava in Grecia dall’Albania, e Romano fu inviato a combattere nel settore operativo del Golico. Egli era un ufficiale degli alpini e comandava un gruppo di soldati. Marchetti ordinò ai suoi di sparare contro le truppe greche. «Improvvisamente- egli racconta – pensai: “Sono io un assassino di patrioti?”» Questo fu, certamente, un altro motivo, per lui, per diventare antifascista. Forse molti soldati italiani divennero antifascisti durante le guerre fasciste.
Sul Golico Marchetti incontrò il carnico Mario Candotti di Ampezzo, anche lui ufficiale dell’esercito italiano, e, poi, comandante della Divisione Garibaldi Carnia nella resistenza.

Quindi Romano si ammalò e fu rimpatriato. Così l’esercitò lo assegnò ai servizi sedentari, ad Udine, presso la caserma Di Prampero. Lì Marchetti incontrò Nino Del Bianco, un altro ufficiale degli alpini, un antifascista, un membro del Partito d’Azione, illegale. Romano prese un’importante decisione per la sua vita: egli divenne un membro del movimento antifascista non comunista ed iniziò la sua rinascita morale.

Romano incominciò a diffondere stampa clandestina.

Dopo l’8 settembre 1943, trovandosi ufficiale in Slovenia decise di unirsi ai partigiani sloveni, ma non ci riuscì. Allora, rientrò a Maiaso e, sul ‘cjast’ di casa Minòt promosse incontri con altri antifascisti. Il 14 febbraio 1944 sorse, ad Udine, la ‘Osoppo’ e Romano vi aderì. Così diventò un partigiano a tutti gli effetti, ma fu anche uno dei primi organizzatori militari della formazione, ed il delegato politico del Comando Unico Garibaldi – Osoppo Carnia, che egli tenacemente sostenne, perché da ufficiale qual era, riteneva che le forze della resistenza dovessero muoversi in modo coordinato. Marchetti sognava una nuova società, senza dittatori, dove fosse possibile avere più partiti politici. E già all’epoca sognava molti paesi europei uniti in un’Unione Europea, in funzione dei popoli.

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La guerra finì, ma la nuova società non giunse ed il sogno si ruppe contro i problemi del dopoguerra. La miseria era grande, i paesi dovevano esser ricostruiti, non c’era lavoro. Molti uomini, che erano stati partigiani, dovettero emigrare in Argentina, Venezuela, Australia, ed altri paesi a cercare lavoro mentre gli impiegati fascisti mantenevano il loro posto.
Romano incominciò a lavorare presso l’Ispettorato Provinciale dell’Agricoltura, ma, in un primo tempo, non riuscì a trovar casa per sé, la moglie ed il figlio.

Nel 1945, dopo la liberazione, egli creò anche un giornale, il Carnia, che descriveva i problemi carnici e del dopoguerra. Quindi egli contribuì alla creazione della Comunità Carnica, un’organizzazione amministrativa politica locale, simile all’ attuale Comunità Montana.

Marchetti si interessò di politica: si iscrisse prima al partito repubblicano poi a quello socialista, ed entrò in contatto con molti uomini politici nazionali tra cui Ferruccio Parri e Fermo Solari, un carnico che divenne il vice- comandante di tutte le truppe partigiane in Italia. Ed aiutò pure gli agricoltori sloveni. Nel 1953 prese posizione contro una legge che dava tutto il potere al partito più votato, detta “legge truffa”, e fece attivamente parte di Unità Popolare. E si accorse, ad un certo momento, di essere pedinato. Nel 1954 venne trasferito improvvisamente a Savona, con l’accusa di essere pericoloso in Friuli, perchè “colluso con Tito”, che egli neppure conosceva. Ma forse i democristiani vollero così fargli pagare il fatto che avesse con veemenza apostrofato Tiziano Tessitori, ed in particolare la sua adesione a U.P..

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Romano Marchetti è contrario all’accentramento produttivo ed amministrativo. Egli sostiene che coloro che vivono nei paesi di montagna non possono viaggiare per oltre un’ora per andare sul luogo di lavoro e ritornare a casa. Così costruì la sua teoria dei baricentri – poli di sviluppo – che riguarda la distanza tra i paesi di montagna ed i luoghi di impiego. Ma il centrismo, che ancor oggi fa da protagonista, iniziò, nel secondo dopoguerra in particolare, ad uccidere lentamente la periferia, svuotandola di servizi, di scuole, di intelligenze, di uomini, di giovani. E urla Marchetti il tradimento della montagna tutta, con il mancato circondario, con l’accentramento di servizi e, di conseguenza, di famiglie e persone, per sempre.

Nel campo dell’allevamento, egli ritenne importante selezionare la razza bovina. Per questo motivo prese la decisione, aiutato dall’università di Torino, di importare il seme congelato della razza bruno alpina per fecondare le vacche, onde ottenere mucche che producessero più latte.  Ma nacque solo un toro. Marchetti creò anche un centro di fecondazione artificiale bovina a Tolmezzo per evitare l’aborto bovino, dovuto a infezioni sessualmente trasmesse dal toro.

In campo economico egli sostenne la cooperazione ed in particolare: le latterie cooperative di vallata; le stalle cooperative comunali; i consorzi fra malghesi; ed inoltre: la creazione di corsi di studio relativi all’agricoltura, alla frutticoltura, all’allevamento, alla fioricoltura; l’allevamento delle capre; l’artigianato. Perorò e perora ancora la diffusione delle scuole professionali ed il conferimento di una borsa di studio a tutti gli studenti meritevoli della Carnia; condivise le ipotesi politiche ed economiche del suo amico il socialista Enzo Moro, ed è ancora favorevole al traforo di Monte Croce Carnico ed alla creazione di un parco naturale sopra lo stesso.

Nel 1953 si recò con altri, compreso Geremia Puppini, in Svizzera, per studiare la soluzione data a vari problemi ed imparò l’importanza del maso chiuso, dell’educazione professionale, della difesa dell’ambiente naturale, le interessanti modalità della concessione di un finanziamento agli agricoltori, e le tecniche per cercare di superare le conflittualità paesane.

Marchetti nel corso della sua vita ha diffuso le sue idee, ed ha sostenuto e sostiene il valore della cooperazione fra i popoli, della democrazia, della libertà e la Costituzione Italiana del 1948 nata dalla guerra di Liberazione, alzando la quale, in piedi, ha terminato un suo incontro ad Ampezzo, quando chi voleva modificarla era un governo Berlusconi, dicendo con voce alta e ferma: «Io giuro ancora su questa!»

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Un unico rimpianto, girando per la Carnia da pensionato e per Maiaso post – terremoto del 1976: i paesi che si spopolano.
Restano le case vuote, non si sentono più «liti di bimbi, chiocciare di galline, versi di falchi, abbaiare di cani», sostituiti dagli «schiamazzi e rumori frutto dello “sviluppo turistico” raggiunto grazie ai figli degli emigranti». E come segno della nuova modernità, che molti paesi omologa, Marchetti nota: «Nella baracca che funge da osteria, posta non lontano da dove esisteva il pozzo, a segno dei tempi mutati, campeggia, in un ritratto a colori, la foresta vulvare di un bellissimo nudo. I tetti si sono coperti di antenne televisive ed anche Maiaso ha partorito, come altri paesetti, due o tre laureati e qualche perito industriale, tutti accumunati dalle non rosee prospettive di lavoro.». Il sogno della resistenza è tradito e si è forse infranto.

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Ed egli chiude le sue memorie, con una considerazione molto attuale sul rapporto tra autorità e legge: «Ed ancora: l’autorità e la legge: due parole che mi frullano per la testa in chiusura di questo scritto. Sempre più si fa presente, ed allo stesso tempo incomprensibile per la maggioranza, il come risolvere i problemi della vita. Ciò significa che il rapporto giuridico ha ormai il sopravvento su quello umano. Ed allora sono i più abili a vincere, non i più umani. E se i più abili giudicheranno che il meno peggio, per loro e secondariamente per l’umanità, sia l’olocausto di molti altri, ciò avverrà, e lo sfruttamento dei più attrezzati a livello legislativo, potrebbe comportare un lievitare dell’ingiustizia che va di pari passo con il lievitare del numero delle leggi. La legge diventa, allora, un’arma da usare, secondo me, contro chi ne dovrebbe fruire a questo mondo.»

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Pertanto, invitandovi a leggere: Romano Marchetti, (a cura di Laura Matelda Puppini) “Da Maiaso al Golico, dalla Resistenza a Savona. Una vita in viaggio nel Novecento italiano“, Ifsml- Kappa vu ed. alzo il mio bicchiere rosso e brindo a Romano, grande intellettuale e partigiano, che ha onorato la nostra montagna, nel giorno del suo compleanno,  con l’augurio di averlo ancora molti anni fra noi.

Laura Matelda Puppini

L’immagine ritrae Romano Marchetti mentre parla ad Ampezzo, il 18 marzo 2011, in occasione del conferimento a lui della cittadinanza onoraria del comune. La foto mi è stata data da Romano Marchetti, senza specificazione dell’autore. Laura Matelda Puppini

 

 

 

 

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