Leggo sul Messaggero Veneto dell’8 ottobre 2019, l’articolo di Mattia Pertoldi su quella che il noto quotidiano locale pomposamente definisce in prima pagina “La controriforma della sanità” e vi garantisco che mi è venuta la “pelle d’oca”, come tante altre volte, perché essa configura un sistema autoritario, calato dall’alto, ove il cittadino sulla sua salute ha ben poca voce in capitolo. Ma questo si era già visto con la riforma Serracchiani – Telesca.

Infatti c’è da chiedersi come si faccia a definire le linee di Riccardi una controriforma, dato che vanno nel senso posto in essere dalla giunta precedente per la sanità. E qui davvero la destra continua l’impostazione e l’opera nella realizzazione di un disegno sanitario di quella che si è definita sinistra, caratterizzato, a mio avviso, e mi scuso subito con i politici chiamati in causa ma io la vedo così e se erro correggetemi, da paternalismo, accentramento, super- aziendalizzazione e parallelamente sempre maggiore lontananza del cittadino dalla gestione della propria salute, con delega al distretto di pensare per lui, in un’ottica di presa in carico dell’utenza senza possibilità di libera scelta del medico o delle cure. Ma non credo umanamente che alcuno desideri affidare la sua salute in toto ad un sistema sanitario regionale. Inoltre pare che ormai l’obiettivo del ssr- Fvg sia la sistematica demolizione del pregresso al 2014, neanche lo stesso fosse il muro di Berlino! E ora come allora si parla politichese, senza un decreto attuativo che dicasi tale, e con imposizione di scelte importantissime dall’alto, senza uno studio di fattibilità che evidenzi le problematiche, nulla di nulla, quasi ormai fossimo passati, in sanità, ad un sistema di governo simil sultanato.

Premesso che passare dal ssn a tanti regionali è puramente demenziale, perché, come ho già scritto, si possono abbassare i costi dei farmaci solo acquistando a livello nazionale e cercando di fare ricerca, e perché uno deve avere la stessa tipologia di richiesta d’accesso e di intervento sanitario e deve poter avere i farmaci prescritti con analoghe modalità nello Stato intero, altrimenti siamo veramente al caos, vengo al dunque con una serie di considerazioni relativamente a quanto riportato dal testo pubblicato sul noto quotidiano locale.

Il primo punto della prosecuzione della riforma della sanità regionale targata Serracchiani – Telesca parla di una nebulosa unione fra assistenza sociale ed assistenza sanitaria, quasi le stesse si potessero confondere, e pare volga alla sanitarizzazione del sociale, cancellando anni di innovazione e riproponendo visioni della destra che si pensavano messe nel cassetto. Ma stia sereno il dott. Riccardi, questa idea l’aveva avuta anche la giunta precedente, almeno pare. Ma è davvero una grande idea medicalizzare i problemi sociali, sposando una visione organocentrica del disagio? Però bisogna anche dire che, secondo me, questa confusione fra sanitario e sociale è iniziata tanto tempo fa, almeno in Carnia, togliendo le assistenti sociali territoriali dai comuni e spedendole tout court negli uffici dell’ass3, fuori dai contesti di vita dell’utenza.  E scusatemi se la penso così, ma credo sia ancora possibile dire la propria senza voler offendere alcuno e discutendo di fatti e non di persone.

Questa prosecuzione dello smantellamento di un sistema sanitario che reggeva, passerà, poi, attraverso la riduzione a tre delle aziende sanitarie regionali, dove ovviamente il più grosso farà la parte del leone, ma verranno però mantenuti i distretti nella configurazione attuale, con il compito, a me davvero poco chiaro nella sua attuazione pratica, di assicurare «il raccordo con gli ambiti e l’integrazione sociosanitaria».  Ma vi avviso subito: io sono e resto favorevole al mantenimento dell’Aas3 ed anche della Ass2, che hanno territori particolari.

Qualche riquadro più ingiù (l’articolo è diviso in 10 punti/riquadri), poi, par di capire che detti distretti avranno come capo una specie di super – manager chiamato direttore e che egli «avrà a disposizione una specie di budget salute, attraverso il quale potrà, in base alle esigenze del territorio «acquistare, all’interno del Dipartimento, le competenze tecnico – specialistiche ritenute necessarie». Ora a parte il fatto che anche il buon senso ci mette in guardia dall’ “uomo solo al comando” e peggio con peggio con una propria libertà finanziaria da giocare come vuole perché si sa che talvolta, almeno in ipotesi, “lo spirito è pronto ma la carne è debole” non si sa bene cosa significhi nel concreto questa frase, o se implichi che a livello territoriale si possono assumere specialisti al di fuori dei concorsi e della contrattazione nazionale, Dio solo sa se con una parvenza di contratto regolare o con uno di libera professione, che possono esistere, poi sparire, in una sarabanda senza fine, a discrezione di un manager, basta che abbia il dipartimento come riferimento o che ne so.  

Quindi– udite, udite – i distretti sono chiamati «a realizzare la presa in carico degli assistiti (non dei malati ndr) e della medicina d’iniziativa, (nuova e pessima definizione, se non erro di teleschiana memoria, per definire i medici di base, quando noi, poveri umani esposti e sottoposti a tutti i venti riformisti vecchi e nuovi, vorremmo che chi ci cura avesse scienza e coscienza e ci ascoltasse, e che magari di ‘iniziativa’ ne avesse ben poca). Il “prendere in carico” poi è concetto orribile, che ci riporta, chissà perché, ad una intrusione nella nostra vita, senza libertà di scelta anche medica o di vita, cancellate con ampi colpi di spugna.   

Infatti pare che il distretto, guidato dal supermanager, che solo la Mirafiori con Marchionne era tanto suddita, deciderà tutto per voi, che visite fare, come proseguire nell’iter di cura, togliendo la propria salute dalle mani dei cittadini, che per inciso hanno i sintomi e rispondono o meno alle cure, ed impedendo di fatto qualsiasi decisione agli stessi su un aspetto così importante per la vita, (e ne abbiamo una sola), che neanche il sistema burocratico accentrato della vecchia Austria, per non fare altri paragoni, ne avrebbe pensato uno tale. Inoltre come fa uno a decidere per te sulla salute se non sa chi sei? E così forse con questa scusa saremo tutti schedati, in barba alla privacy? Io vi giuro che tenterò di evitare ingerenze di questo tipo negli anni che mi resteranno da vivere, per quanto possibile.

Questo per dirvi che, a mio avviso, attraverso la riforma sanitaria, che continua la precedente, si tenta di proporre una visione della società, in Regione, che speravamo fosse stata messa nel cassetto. 

Ma devo invero aggiungere, che quanto scritto da Pertoldi come dichiarazione dell’assessore Riccardi ha anche il dono e la caratteristica, oltre quanto ho già commentato, dell’incomprensibilità, perché vorrei che a me qualcuno spiegasse che significa che i distretti: «governano la domanda tramite le funzioni di committenza e di controllo», forse che il manager controlla sé stesso?  Che confusione, lettori mei! Ma sarò vecchia, ma sarà limite mio, ma …

Inoltre, e scusatemi l’ardire, a me pare che questa visione dell’organizzazione e dei compiti dei distretti, ammesso l’abbia compresa bene, sia un po’ uno scaricabarile per la Regione, che si limiterà a nominare i manager, e per il resto arrivederci, così il problema principale sarà il loro nome, come fu ai tempi di Marcolongo, che ha fatto scrivere pagine e pagine ai quotidiani locali su di sé.  Ma la mia salute e quella dei miei figli e nipoti non può essere una questione politica di nomine.

E passiamo ad un altro punto. Pare che detti distretti daranno risposte a problemi che vanno dalla fragilità dell’anziano, (molto ora di moda, dimenticando che siamo noi vecchi a tenere nipoti, a vedere di parenti vecchissimi, ad aiutare i figli a pagare le sempre più care bollette e via dicendo), alle cure oncologiche, come fossero la stessa cosa, e quando sarai entrato in un giro di protocolli e cure non ne uscirai più cosicché magari nessuno potrà mai essere considerato guarito e se di colpo ti capita altro nessuno lo vedrà, in questa sanità che pare un mastodonte e continua a non occuparsi o parlare dell’acuto, quasi non esistesse, che dovrebbe invece essere una priorità, avendo come riferimento un’ utenza virtuale su cui il castello di carte si regge.  

Inoltre se magari sei in crisi in un momento dato, sarai schedato come un “fragile”, e così arrivederci, nessuno ti toglierà un marchio appiccicatoti.  Dio mio, penso fra me, dove stiamo andando a finire? E poi, scusate, vi pare che la fragilità dell’anziano, che per inciso ce l’hai e te la tieni, non sia in caso problema a cui dovrebbe pensare il comune, la comunità e la società, non la sanità, e che sia metodologicamente davvero difficile paragonarla ad una cura post- infarto? 

Come si acceda, poi, ai servizi credo si sappia, ma servirebbero anche persone atte a spiegarlo magari telefonicamente, creando un apposito numero verde, onde aiutare gli anziani, che spesso hanno difficoltà anche fisiche ad usare il computer ed ad addentrarsi nella burocrazia paralizzante. Ma il problema non è solo questo: è se poi, di fatto, detti servizi verranno erogati, fra mille balzelli, e liste di attesa, (che non dovrebbero esistere, e se uno sta male la prestazione deve essere erogata subito), con tempi che aumenteranno con il diminuire del personale, sempre più soggetto a tagli e stressato. E credetemi, io che penso di essere una esperta nelle criticità anche umane della sanità regionale, dico che sarebbe utile che ognuno fosse seguito dallo stesso medico con cui si trova bene, perché ciò che dice il paziente ed il suo rapporto con il medico specialista, che di fatto cura, non può mai essere scritto compiutamente. Inoltre per gli anziani vagare qui e là fra mura ospedaliere sconosciute non è il top. Non mi dilungo poi sulla proposta, che ho già fatto molte volte, di una organizzazione, nelle zone periferiche, a livello distrettuale di taxi per trasporto anziani come in Normandia, che darebbe risposta a più di un problema. Ma non si può trasportare un paziente per una visita dai monti al mare.

Quindi c’è il discorso sugli ospedali, i Csm, le rsa, ed i medici di base. A questi si auspica vengano tolti almeno 300 pazienti dal massimale, ma non si è ancora, dal 2014, definito il ruolo del medico di base. Infatti esso era stato pensato in funzione di supporto ed invio all’ospedale, agli ambulatori specialistici, che avevano e spero abbiano ancora la funzione di verifica dell’ipotesi diagnostica, ammesso esista, e di cura. In quest’ottica e con questo legame stretto con l’ospedale territoriale, ai medici di base è stato concesso di lavorare solo 5 giorni a settimana, di tenere aperto l’ambulatorio solo due o tre ore al giorno, con un numero alto di pazienti in sala attesa, e poco tempo da dedicare a ciascuno, di poter ricevere anche solo su appuntamento, come accade per i pediatri di libera scelta attuali tolmezzini. Io vi giuro che, memore della mai sufficientemente compianta dott. Caterina Moro, medico di base e pediatra, (a cui non so perché non sia stata ancora dedicata una via a Tolmezzo) che lavorava giorno e notte pur avendo famiglia e marito invalido, non capisco come si possa pensare ad un pediatra che lavora con questa modalità. E poi anni fa si leggevano, sempre sul Messaggero Veneto, le proteste del pronto soccorso pediatrico di Udine per l’eccessivo affollamento senza gravità accertata per il bimbo. Ma sono forse le madri medici?

E l’ospedale territoriale era stato pensato come il perno della sanità locale, ma ora diventando parte di una rete, esso si è tolto dal territorio come referente, tranne che nella città, e la sanità per i già diseredati dei monti, della pedemontana  e parzialmente della bassa friulani è diventata rigorosamente “on the road”, della serie o perdi una giornata, malato ti senti di guidare, sai dove andare, sai reggere a narrare di te ai soliti ignoti, o ti arrangi.

Infine, si legge che i Cap verranno sostituiti dalle medicine di gruppo, che par di capire significhi “scordatevi che ora gli specialisti salgano nei poliambulatori mentre accentreremo anche i medici di base!”, tanto per portare tutto on the road, che significa che ti curi solo se, magari essendo single, ti fiondi sull’auto, sperando che tu la possegga e sia riuscito a comperarla almeno di seconda mano visti i prezzi correnti, ed anche con neve e gelo tu riesca a raggiungere il centro della medicina di base. Altrimenti ‘niente’: bevi una tisana e domani è un altro giorno si vedrà, come dice una nota canzone interpretata da Ornella Vanoni.

No, no, no, credetemi, così non va. Mi scusi dott. Riccardi, non ce l’ho con Lei, come non ce l’avevo con Telesca, ma come faccio a non esprimere i miei dubbi? E mi vengono così … E poi sa, io non ho tempo di rileggere mille volte per vedere se ho limato lì e parlato sufficientemente ‘soft’ là, perché devo anche preparare il pranzo, lavare i piatti, stirare le mutande e via dicendo, insomma io mio marito non abbiamo la colf. E non posso certo stare a pensare, ora come ora, alla fragilità dell’anziano, ma il mio motto attuale è “tiremm innanz”. Ed anche voi, lettori, cercate un po’ di capirmi, semmai commentate se non siete d’accordo.

Per quanto riguarda le Rsa, esse avranno l’accettazione utenza anche nei prefestivi e festivi, perché anche queste funzionano su 5 giorni, come di fatto gli ospedali, e se ti ammali di sabato e domenica è un guaio, come ben faceva presente il carissimo Mauro Saro che troppo presto ci ha lasciato.  Ma cosa sono di fatto le residenze sanitarie assistenziali (RSA) che nel moltiplicarsi di sigle rischiano di confondersi con le RSSA e le Case di riposo, e quant’altro?

Dalla mia esperienza sono dei luoghi ove trovi un’infermiera sola in servizio che distribuisce farmaci e un numero imprecisato di oos che governano, con un medico di base, se è previsto, per un paio di ore, e hanno maggiormente la sembianza di una casa di riposo che altro, e di un parcheggio di non desiderati da altri e di troppo presto dimessi per via della nuova sanità. E si trova lì di tutto un po’: post infartuati, cancerosi all’ultimo stadio, degenti da operazioni, … e chi ne ha più ne metta. Pertanto non so cosa cambi di sostanziale se restano aperte il sabato e domenica, dato che, fra l’altro, i medici ospedalieri in detti giorni non dimettono e presuppongo non vi sia un medico in rsa di accettazione in festivi e prefestivi.  Boh, ma sarò io che non capisco.

Quindi Riccardi continua dicendo che sono previsti dipartimenti di assistenza primaria (ma vi giuro che ora inizio a confondermi perché questi poi non so cosa siano), insieme a quelli di salute mentale, ma non vorrei si andasse ancor di più verso la ghetizzazione del diverso o di colui che ha anche un disagio momentaneo, vista l’impostazione filosofica e metodologica che si intravede, sempre secondo me, dietro la riforma sanitaria Fvg dai tempi in cui è iniziata.  I Csm, grazie a Dio, pare verranno mantenuti, ma non si sa se la possibilità del 24/24 h verrà tolta, con aggravio per i pronto soccorso. E, notoriamente, per esplicare onorevolmente la mole di lavoro che si trovano a svolgere e per loro stessa natura, i csm, come i Sert, non dovrebbero essere accorpati ed allontananti dal territorio locale di riferimento, quasi che il disagio e le dipendenze fossero affrontabili e curabili sposando un’ottica che non li vorrebbe riferibili a situazioni sociali ma a causa fisica.  E poi voi ve lo immaginate, il drogato, l’alcolista, il sofferente per malattia mentale che, in crisi, consulta l’orario della corriera, compra il biglietto e prende il bus per andare al Csm o Sert? Può darsi magari lo farà, per carità, ma viene a terminare l’azione di cura nel contesto e di reinserimento guidato dell’utente.

Non da ultimo i Csm necessitano di un potenziamento del personale. Mancano amministrativi che svolgano la parte burocratica per le borse lavoro, che è ingentissima e sempre più ingarbugliata, mancano medici, mancano psicologi, e quasi ovunque si lavora in sotto-organico.

Quindi Pertoldi parla di una ‘pianificazione’ in ambito sanitario, che io non so però quale sia. Eppure non sono una che non ha letto nulla sulla riforma sanitaria socio- assistenziale in Fvg, ma magari mi manca un pezzo, fra una dichiarazione e l’altra dal 2014, perché non ho letto il Messaggero Veneto quel giorno. Comunque l’articolo di riferimento dice così: «Il processo di pianificazione viene rivisto per adeguare le tempistiche alle varie fasi per permettere un reale coinvolgimento dei portatori di interesse durante la stesura dei piani annuali delle aziende». Ma questo cosa significa? Boh. Forse che a livello aziendale si ascolterà Cittadinanzattiva o altri, che però sono presenti in città ma invisibili in montagna e pedemontana, per non dire inesistenti, e che delle aree marginali o interne che dir si voglia sanno forse poco e nulla?  

Infine vi è il misterioso ruolo del farmacista, che non è un medico e che svolge pure funzione di tenutario di un punto vendita. Può dare consigli medici specifici o consigliare farmaci magari omeopatici non conoscendo la storia del paziente? A mio avviso no.

Ah, dimenticavo. si prevede, facendo felice la dott. Telesca, che l’ospedale gemonese diventi una succursale regionale del Gervasutta. E i posti che mancano a noi della Carnia e del Gemonese, per medicina interna, e i medici specialisti che verranno a mancare, e il punto operatorio che verrà cancellato sempre per noi ‘riserva indiana’, insieme agli ambulatori del fu San Michele? Tranquilli, dovete solo pensare voi ad una soluzione. E si ipotizza una centralizzazione, sperando di aver mal compreso, dei 118, forse non solo a livello dirigenziale. Ed i sindaci dove sono?  Boh, ve lo dirò al prossimo articolo, dato che per ora non si sono fatti sentire.

Ma per ora stiamo tranquilli, la bozza è ancora secretata ai più e si trova sul tavolo di lavoro di Massimiliano Fedriga, sempre secondo Pertoldi.

Senza avercela con alcuno, scusandomi con chi si potesse sentire offeso perché non era mia intenzione il farlo, firmo questo mio pezzo, e se ho capito male correggetemi.

Laura Matelda Puppini

L’immagine che accompagna l’articolo è tratta da: http://www.messinaora.it/notizia/2016/04/25/tagli-alla-sanita-il-m5s-chiede-spiegazioni-chiare-allassessore-gucciardi/74658. Laura M. Puppini

 

 

 

 

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