Vi sono alcuni aspetti nella società italiana che colpiscono: la mania di protagonismo, il nascondere la portata etica di alcune scelte dietro un apparente “non potevamo fare altro”, il fatto che nessuno paga per i suoi errori per esempio programmatici in sanità, il soggettivismo da “Attenzione che io sono io” appreso da gran parte dei politici che sono i primi a farlo capire, e la possibilità data dai mezzi di informazione di massa a ciascuno che abbia un qualche titolo di esprimere ciò che pensa, senza, magari, pensare. Così ieri sera, tanto per fare un esempio, dopo le pacate parole del premier che ci informava sulle decisioni del governo, un tale “della politica” di quelli che contano, ha lanciato forte e chiaro il suo: “Siamo in uno stato di guerra! Siamo in uno stato di guerra!” con una voce che di pacato non aveva nulla, e che, se fosse vero, comporterebbe più di qualche problema per noi tutti che abitiamo in una Italia schizofrenica e ove impera il “paron son mi”. Ma per fortuna non siamo in guerra, e quindi neppure “in uno stato di guerra”.

Ora qualcuno, magari, ritiene questo uno “stato di guerra”, per farci capire che si deve scegliere chi lasciar fuori dalle stanze della salvezza cioè da quelle delle terapie intensive e chi no, in sintesi chi far crepare. Ma i teatri di guerra son ben altra cosa. In un ospedale locato in zona bellica, dopo un bombardamento, una battaglia, possono arrivare decine e decine di persone in un colpo solo che comunque medici nel vero senso della parola, infermieri di tutto rispetto cercano di curare. Solamente, magari, non operano coloro che sono già moribondi e che, anche se operati, non si riprenderebbero per le ferite, amputazioni, ecc .ecc. subite. Ed è scenario ben diverso da quello del coronavirus. Ma vediamo cosa accade invece ora in Italia, che non è in “stato di guerra” o di “catastrofe”, se si ha chiaro il significato dei termini, ma dove, invece, molti se ne sono fregati delle direttive del governo, tanto da obbligare il premier Conte a estendere la zona rossa a tutta la penisola (La grande fuga in due giorni, folle esodo dalla Lombardia. E Conte estende gli obblighi e i divieti del Nord all’intero paese, Il Fatto Quotidiano, 10 marzo 2020), e la sanità risulta falcidiata da 30 o 36 miliardi di tagli. In compenso miliardi e miliardi, ora, verranno dirottati, ancora una volta, sull’economia.

Ma veniamo al dunque. L’ oggetto del terrore dell’anziano è il documento firmato Siaarti, Società Italiana di Anestesia, Analgesia, Rianimazione e Terapia Intensiva, Raccomandazioni di etica clinica per l’ammissione a trattamenti intensivi e per la loro sospensione, in condizioni eccezionali di squilibrio tra necessità e risorse disponibili, leggibile in: http://www.quotidianosanita.it/allegati/allegato2675063.pdf.
E la parte in discussione, quella sulla scelta di chi far vivere o morire senza cure, da parte di medici è la seguente:

«Le previsioni sull’epidemia da Coronavirus (Covid-19) attualmente in corso in alcune regioni italiane stimano per le prossime settimane, in molti centri, un aumento dei casi di insufficienza respiratoria acuta (con necessità di ricovero in Terapia Intensiva) di tale entità da determinare un enorme squilibrio tra le necessità cliniche reali della popolazione e la disponibilità effettiva di risorse intensive. È uno scenario in cui potrebbero essere necessari criteri di accesso alle cure intensive (e di dimissione) non soltanto strettamente di appropriatezza clinica e di proporzionalità delle cure, ma ispirati anche a un criterio il più possibile condiviso di giustizia distributiva e di appropriata allocazione di risorse sanitarie limitate. Uno scenario di questo genere è sostanzialmente assimilabile all’ambito della “medicina delle catastrofi”, per la quale la riflessione etica ha elaborato nel tempo molte concrete indicazioni per i medici e gli infermieri impegnati in scelte difficili. Come estensione del principio di proporzionalità delle cure, l’allocazione in un contesto di grave carenza (shortage) delle risorse sanitarie deve puntare a garantire i trattamenti di carattere intensivo ai pazienti con maggiori possibilità di successo terapeutico: si tratta dunque di privilegiare la “maggior speranza di vita”. Il bisogno di cure intensive deve pertanto essere integrato con altri elementi di “idoneità clinica” alle cure intensive, comprendendo quindi: il tipo e la gravità della malattia, la presenza di comorbidità, la compromissione di altri organi e apparati e la loro reversibilità. Questo comporta di non dover necessariamente seguire un criterio di accesso alle cure intensive di tipo “first come, first served”.  (…). Ai pazienti e ai loro familiari interessati dall’applicazione dei criteri deve essere comunicata la straordinarietà delle misure in atto, per una questione di dovere di trasparenza e di mantenimento della fiducia nel servizio sanitario pubblico. Lo scopo delle raccomandazioni è anche quello:(A) di sollevare i clinici da una parte della responsabilità nelle scelte, che possono essere emotivamente gravose, compiute nei singoli casi; (B) di rendere espliciti i criteri di allocazione delle risorse sanitarie in una condizione di una loro straordinaria scarsità».

Ora la prima cosa che ricordo è che siamo in Italia, e vorrei vedere chi non trova un posto in terapia intensiva per un mafioso, un politico, un parente suo o del collega ecc. ecc., e mi scuso subito con voi per questo mio pensiero, e mi chiedo pure, non sapendolo, se la Siaarti abbia fatto sentire in modo pressante la sua voce quando tagliavano a più non posso pronto soccorso, aree di emergenza, posti letto per acuti, ospedali, ecc. ecc., in sintesi 30 miliardi in pochi anni (Leoniero Dertona, Sistema Sanitario. 30 miliardi di tagli negli ultimi 10 anni. così sapete chi è corresponsabile della situazione attuale, in: https://scenarieconomici.it/), perché altrimenti è inutile che adesso  proponga di decidere chi salvare e chi far morire. Ed in Fvg abbiamo visto un noto anestesista sostenere apertamente la dott. Telesca che tagliava a gogò.

Ma l’aspetto più importante è che così il giuramento di Ippocrate va a farsi benedire, e noi anziani incominceremo a pensare ai medici come dei possibili assassini, che non ci permetteranno le cure perché i vecchi hanno meno aspettative di vita dei giovani. E scusate se non uso i giri di parole di Gian Carlo Caselli, ottantenne, per dire la stessa cosa che egli scrive oggi. (Gian Carlo Caselli, Messaggino ai vecchi: “Crepate”, Il Fatto Quotidiano, 10 marzo 2020). Così, in un colpo solo, la Siaarti è riuscita a far perdere alla maggioranza della popolazione italiana, che è anziana, qualsiasi fiducia nella classe medica ed infermieristica, in particolare dei pronto soccorso ed aree d’emergenza, ed anzi a vivere i medici come nemici. Ma che bella idea!!! E poi quando il documento è stato scritto forse per legittimare alcuni comportamenti come minimo discutibilmente etici, non si era certo in una condizione da “catastrofe naturale” considerata nel documento come condizione a priori. E tristemente penso a Jacum l’infirmir, ed ad infermieri e medici nella seconda guerra mondiale che curarono tutti, e che, come Manlio Fruch, morirono per aver curato tutti. (Cfr. https://www.nonsolocarnia.info/giacomo-solero-esperienze-vissute-per-lospedale-tolmezzino/; https://www.nonsolocarnia.info/carnici-che-scrissero-la-storia-della-democrazia-manlio-fruch-medico-figlio-del-noto-poeta-enrico-di-ludaria-di-rigolato/, solo per citare quelli da me scritti ultimamente).

E giustamente Ivan Cavicchi scrive che, invece, il recentissimo documento Siaarti, in una situazione di pace, sostiene che: «in una epidemia può verificarsi il caso che si crei uno squilibrio tra necessità di cura e risorse disponibili, che in questi casi si tratta di usare l’età del malato come titolo per accedere alle cure, in modo da privilegiare il criterio della speranza di vita e quindi del maggior successo terapeutico (Ivan Cavicchi: Gli anestesisti-rianimatori alla prova, fallita, con l’etica medica, in: https://www.quotidianosanita.it/scienza-e-farmaci/articolo.php?articolo_id=82279, 9 marzo 2020) e giustifica tale scelta, tranquillizzando chi la fa. Eppure un tempo, inventandosi un po’ di tutto, medici ed infermieri riuscivano ad agire, in tempo realmente di guerra, anche in città trasformate in macelli.

Ma temo che, dopo la diffusione pure in rete del documento, sia persino  inutile che Ivan Cavicchi lo contesti in modo puntuale, perché ogni medico potrebbe sentirsi autorizzato da una Società che mi auguro abbia un presidente responsabile di ciò che la stessa diffonde, a fare ciò che vuole. E scrivo questo senza voler offendere alcuno, e se erro correggetemi, ma ricordate che io ho avuto già esperienze per me shoccanti in sanità, e vorrei essere portata a sperare di nuovo non a ripiombare nelle paure derivate da allora. E non crediate che non vi siano anche altri come me. Ma invece, magari, incominciamo a pensare che se ti portano in ospedale, dato che sei vecchio, ti lasciano morire, e scusate la franchezza. Ma anche Giampaolo Carbonetto manifestava paure similari nel suo: Vivere e sopravvivere, in: https://carbonetto-udine.blogautore.repubblica.it/2020/03/09/vivere-e-sopravvivere/, legate all’ istinto di conservazione, ed ad una «specie di concetto di legittima difesa».  Insomma non vorrei che, come sottolinea anche Gian Carlo Caselli, non andasse a finire che le angosce degli anziani vengano a moltiplicarsi, e si incominciasse, e questo lo dico io, a passare davanti agli ospedali incrociando le dita.

Comunque la prima risposta alla presa di posizione della Siaarti sulle nuove linee etiche e deontologiche veniva da Filippo Anelli, della Federazione nazionale degli Ordini dei Medici Chirurghi e Odontoiatri (FNOMCEO), che, dopo aver letto il documento così si esprimeva:
«Abbiamo letto con estrema attenzione il documento diffuso dalla Società Italiana di Anestesia Analgesia Rianimazione e Terapia intensiva (Siaarti), che definisce criteri di scelta per l’ammissione alle terapie intensive, ove le risorse non fossero disponibili per tutti a seguito di un precipitare dell’emergenza dovuta al Covid-19. Lo recepiamo come un grido di dolore. Nessun medico deve essere costretto a una scelta così dolorosa. La nostra guida, prima di qualunque documento che subordini l’etica a principi di razionamento, e che dovrebbe in ogni caso essere discusso collegialmente dalla Professione, resta il Codice di Deontologia medica. E il Codice parla chiaro: per noi tutti i pazienti sono uguali e vanno curati senza discriminazioni». (Coronavirus. Fnomceo sul documento anestesisti: “Nostra guida resta Codice deontologico. Non dobbiamo metterci nelle condizioni di applicare questi inaccettabili triage di guerra”, in: http://www.quotidianosanita.it/scienza-e-farmaci/articolo.php?articolo_id=82263, 8 marzo 2020).

Ed ancora: «Dobbiamo prevenire ed evitare il verificarsi delle condizioni definite di ‘Medicina delle Catastrofi’ prospettate, seppure come mera ipotesi, dalla Siaarti. Non dobbiamo metterci nelle condizioni di applicare questi inaccettabili triage di guerra. (…).
In ogni caso, ricordiamo che il medico, pur avendo tutte le competenze per dare pareri suggeriti da criteri di appropriatezza, non deve essere costretto ad ergersi a giudice – conclude il presidente Fnomceo -. L’unico metro di giudizio della Professione restano i principi della Costituzione, del Codice di Deontologia, del Servizio sanitario nazionale. L’applicazione di criteri di razionamento è l’estrema ratio e richiede una discussione bioetica collegiale interna alla professione e che pervada l’intera società». (Ivi).

Ancor più chiaro Ivan Cavicchi, nel suo: “Gli anestesisti-rianimatori, op. cit”, che paventa il rischio che nella gestione difficile dell’epidemia, si consumino  «discriminazioni a danno dei malati, al punto da parlare di un ritorno dissimulato al darwinismo sociale che […]  è quella brutta teoria che si basa sulla legge della sopravvivenza del più forte in funzione del meccanismo della selezione naturale e che, in quanto tale, nega per intero il diritto alla salute descritto dall’art. 32». (Ivan Cavicchi, op. cit. Qui l’autore cita da un suo articolo pubblicato su “Il manifesto”, il 5 marzo 2020, ed intitolato: “Per curare il virus non creiamo malati di serie b”). E continua dicendo che: «sopravvivere anche nel tempo del coronavirus non è una legge della jungla ma un diritto». (Ivi). Invece, continua, «la regione Umbria con una circolare ha disposto, in modo del tutto darwiniano, la sospensione dell’intera attività operatoria elettiva, compresa quella della day surgery, per l’ospedale di Terni pur non avendo questo ospedale un solo malato di coronavirus ricoverato. Una vera follia che penalizza centinaia di malati» (Ivan Cavicchi, op. cit.), e si augura un intervento del Ministro Speranza, per far in modo che le cure siano garantite a tutti.

Inoltre il documento della Siaarti pone in pieno diffondersi del coronavirus una grossa rivoluzione etica in medicina, che avrebbe dovuto come minimo essere discussa dai medici tutti in modo approfondito, sempre secondo Cavicchi ma anche secondo Filippo Anelli. Inoltre egli scrive che lo ha sorpreso il fatto che «un gruppo di lavoro, in luogo del comitato etico, ci proponga pubblicamente, durante una epidemia, un ritorno, seppur condizionato, al darwinismo sociale senza essere autorizzato da una discussione e da una decisione societaria e senza un confronto di merito con la Fnomceo che fino a prova contraria è la vera titolare della deontologia». (Ivi).

Non da ultimo, la selezione dei pazienti da curare pone problemi di Bioetica, ma “la parola “bioetica” non compare mai nel documento, «come se le proposte che avanza non avessero implicazioni bioetiche». (Ivi). «Infine il documento riduce […], in modo arbitrario, il discorso dell’etica clinica a un discorso di mera giustizia distributiva. In estrema ratio per la Siaarti diventa […] moralmente giustificata una medicina che distribuisce in modo diseguale dei diritti per definizione universali sulla base di una diseguale valutazione delle necessità, della speranza di vita e del successo terapeutico». (Ivi).
E così termina Cavicchi, : «Che il ruolo delle Parche sia esercitato dai medici mi sembra una pretesa molto poco meditata, che contrasta con l’indirizzo deontologico più complessivo della Fnomceo. (…). Al tempo del coronavirus con rispetto e amicizia invito la Siaarti alla quale desidero rinnovare la mia stima incondizionata a non esagerare e a recuperare, se possibile, la calma perduta.». (Ivi).

Intanto, mentre medici pensano a tranquillizzare i loro iscritti, noi anziani e pensionati incominciamo a pensare come Gian Carlo Caselli, che non siamo ancora alle liste di proscrizione ospedaliera, ma …. Inoltre come non pensare che noi vecchi, a causa del documento anti ansia per gli anestesisti e c., non finiamo per diventare ansiosissimi, con un aumento esponenziale di stess, ed una grande sensazione di abbandono e solitudine, quando i media ci spiattellano queste idee dal documento Siaarti , rivoluzionando ogni nostra ipotesi sulla bontà dei ricoveri ospedalieri e della medicina?

E per terminare il Messaggero Veneto di oggi ci assicura che, per il coronavirus, a Torino si è già scelto di lasciar morire un anziano, senza neppure fare in modo che la figlia gli stesse vicino o lo potesse salutare per l’ultima volta. In compenso è morto sedato … (Monica Serra, Piena la rianimazione. Così mio padre è morto, in Messaggero Veneto, 10 marzo 2020). Ma allora, quando le statistiche ci parlano di morti anziani per coronavirus, sono morti perchè non curati o nonostante le cure?  Perchè fa una bella differenza.
Inoltre Chiara Bardi nel suo “Non ci sono alternative. Scegliamo chi curare”, in: Messaggero Veneto, 10 marzo 2020, dice che l’anestesista Marco Vergano dell’ospedale San Giovanni Bosco di Torino ritiene che non si possa far altro che selezionare i malati, ma pare, dall’articolo, senza che abbia cercato altre soluzioni, e davanti alla possibilità che i grandi vecchi si sentano come coloro che non verranno curati, dice solo, laconicamente ed in sintesi, che non sa cosa farci, perché le condizioni sono così, e che “first come, first served” non può essere applicato se non con risorse illimitate. Ma perché allora altri ce la fanno, dato che nessuno ha risorse illimitate, e visto che poi i malati per ora non sono migliaia e migliaia? E allora cosa avrebbero dovuto fare al terremoto del ’76?  Ed il Messaggero Veneto ama forse questo tipo di scelte, visti gli articoli che dedica oggi e ha dedicato ieri relativamente a detto modo di operare medico, non mi pare proprio criticandolo?  E poi lo Stato non ci ha forse assicurato che interverrà, e Gino Strada, già venuto in contatto con casi di epidemie, non ha forse offerto il suo aiuto alla Lombardia?
E forse sperare e credere nei medici e nella medicina, non potenzia anche le difese ed aiuta a guarire?

Ho scritto questo articolo come sfogo personale, avendo 68 anni e mio marito 70, senza voler offendere alcuno, e se qualcuno si sentisse offeso mi scuso subito con lui. In attesa di commenti e precisazioni, e correzioni se non ho ben compreso.

Laura Matelda Puppini

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