Ciro Nigris, il comandante carnico garibaldino’Marco’. Io, ufficiale del R.E.I., passato alla resistenza. Intervista di Jacopo Cipullo, Denis Guarente, Marco Martinis.
Ciro Nigris, ampezzano, uomo di cultura, docente alle scuole superiori di Udine, fra i fondatori di Teatro Club e ideatore del Palio teatrale studentesco, inizia così la sua video-intervista, giuntami attraverso Mauro Fiorenza, che ringrazio tantissimo, e di autore ignoto, che spero di conoscere, databile 2001, sull’esperienza partigiana. Pubblicherò il testo in due parti, perchè l’intervista è composta da due registrazioni scisse.
Bisogna avere una certa età per esser stati partigiani, ed a distanza di tanti anni…
Nigris: «Bisogna avere una certa età per esser stati partigiani, ed io ho ottant’ anni e sono del 1921, ed allora avevo 23 anni. Vi erano giovani di vent’anni, però, che non erano dentro le formazioni e quindi avevano limitata informazione, un limitato angolo di visuale dei fatti. Ma anche chi faceva parte di un piccolo reparto era difficile che potesse avere una visione generale dei fatti.
Di Ampezzo erano partigiani Mario Candotti e Silvio (1), che era con me, per questo lo ricordo, ma gli altri, che magari erano in piccoli reparti … è difficile avere una visione completa … E poi, a distanza di tanti anni, figli miei … provate a contare quanti sono gli anni …. Per cui ricordare a questa distanza (nomi e cognomi) è difficile, a meno che non si sia stati in rapporto quasi continuo con gli amici partigiani. E poi alcuni particolari di una certa importanza ma minori rispetto ad altri fondamentali, possono esser andati smarriti. I nomi, per esempio se ne vanno … E forse queste interviste, fatte ad una certa distanza di tempo, hanno un loro limite».
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L’intervistatore domanda a Ciro Nigris se, prima di andare partigiano, avesse già avuto dei contatti con antifascisti e se avesse avuto una formazione politica in tal senso.
Io ero un ufficiale del R.E.I., passato poi alla resistenza.
Nigris: «Ho avuto una formazione da militare, ho avuto l’esperienza della spedizione in Russia, alla fine della quale, specie per le preoccupazioni che avevano le autorità fasciste di venirci incontro perché non si parlasse, perché non si dicesse niente, ci divenne abbastanza chiaro il problema dello sfacelo, che era ormai presente anche alla gente priva di qualsiasi formazione politica. Io avevo orecchiato qualcosa di antifascismo durante gli anni della scuola, ma cose molto modeste, e quindi non posso dire di aver avuto allora una vera e propria formazione politica.
Invece una formazione politica abbastanza decisa la abbiamo avuta quando, militari del R.E.I., eravamo, nelle valli del Natisone, cioè quando siamo entrati in contatto con reparti sloveni di ribelli, ai quali noi dovevamo dare la caccia ed abbiamo dato la caccia, come reparto reduce dalla Russia. Ed in questo modo abbiamo conosciuto direttamente la resistenza, ma l’altra, mentre la nostra era ancora in fieri.
Contatto con l’antifascismo? Un po’ sì, con l’antifascismo di guerra che ha originato Cefalonia e tutte le grandi stragi fatte dai tedeschi perché l’esercito italiano resisteva. Questo antifascismo si è sviluppato anche da noi, dopo il 25 luglio, tanto è vero che, quando venne l’8 settembre e si sciolsero i reparti, la scelta fu immediata: con i partigiani, per una lotta contro il fascismo! Perché era chiaro che i tedeschi non avrebbero permesso una libera secessione dell’Italia, tanto è vero che avvenne subito l’occupazione, con dieci corpi di spedizione circa. Le Divisioni tedesche erano pronte ai confini, e si aggiunsero a quelle già presenti in Italia.
Nel mio caso in particolare, io ed altri due ufficiali, di cui uno era Pietro Maset, ‘Maso’ (2), grande alpino eroico, che morì con la Osoppo gli ultimi giorni di guerra, l’altro Radente, ci proponemmo o di passare con i partigiani o di incontrarci in un paesino per cercare di andare verso sud, perché era ormai chiaro che bisognava, in qualche modo, fare una scelta, perché i tedeschi stavano dilagando.
Poi, dopo l’8 settembre, ho avuto contatti qui ad Udine con alcuni che erano militari, fuori con altri, con Romano Marchetti ad esempio, ma questo accadde più tardi.
C’è però un episodio che vi vorrei raccontare, e che ho trovato riportato solo dallo storico Nazzi. Quando un certo numero di militari fra cui io ci siamo incontrati ad Ampezzo, preoccupati di quello che sarebbe potuto avvenire dopo che i tedeschi avevano istituito la Repubblica di Salò, e quindi anche il nostro arresto, allora un gruppo di ex soldati ampezzani, una quarantina, non un gruppetto, fra cui io, decisero di ritirarsi sul monte Pura, ove era stata costruita una base, una grande capanna. E così siamo andati su, sul Pura. Io mi ricordo, fra questi quaranta: Mario Candotti e Severin dal Cuel (3), ed abbiano deciso così per sfuggire ad una possibile cattura da parte dei tedeschi. Dopo una settimana o due, dato che vedevamo che non accadeva niente, cioè che i tedeschi non intervenivano direttamente contro gli ex- militari, allora siamo ridiscesi in paese, e quell’esperienza è stata dimenticata dai più. Questa pseudo – formazione, viene ricordata come “la banda del Pura”, dal Nazzi, ma essa non ebbe un seguito.
Continuarono invece i contatti con ufficiali in Friuli, operanti, segretamente, come possibili od eventuali partigiani, e anche su, con Zagolin ad esempio, con il dott. Armando Zagolin. (4).
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Io avevo bisogno del dott. Zagolin per motivi di salute, ed andavo a trovarlo. Da tempo sapevo che era antifascista, non era un mistero, ed addirittura un giorno lo aiutai a scrivere, con le lettere ritagliate da giornali, uno di quei manifestini che a lui erano costati, fra l’altro, un arresto. Dopo quel primo fermo era stato rilasciato, ma successivamente fu arrestato di nuovo, in quel giorno cruciale in cui nacque la resistenza armata ad Ampezzo, cioè quel due aprile 1944 in cui, incarcerato, vanne liberato da un gruppo di partigiani che venivano su dal Friuli, dal monte Cjaurleç (5). Questi partigiani erano il resto di una brigata garibaldina che aveva combattuto in autunno e che era stata poi sciolta dai rastrellamenti, e che si erano ritirati sul monte Cjaurleç. Passato l’inverno, da lì un gruppo di sette partigiani, venne, attraverso la valle di Preone, la notte del primo aprile ad Ampezzo, e passarono da casa mia. Poi si ritirarono verso il monte Pelois, un po’ più su, verso la sella di Forni, dove ora ci sono le sciovie, e la mattina seguente, saputo che c’era un arrestato da noi, sono scesi ad Ampezzo. Attraversata la piazza, hanno raggiunto, imbracciando il mitra, (erano i primi partigiani che si vedevano, figuratevi l’emozione!) l’albergo Grimani dove il maresciallo dei carabinieri stava giocando a carte, lo hanno preso e portato alla caserma dove, disarmati gli altri, liberarono Zagolin e poi tornarono su in montagna. (6).
La mattina successiva ho preso lo zaino, ho salutato mia madre, e sono andato in montagna. Il tutto mi sembra abbastanza semplice.
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Una delle prime azioni della resistenza carnica ampezzana: l’attacco alle foci della Navarza.
Ad Ampezzo, la liberazione di Zagolin è stato il primo atto partigiano, seguito poi, a distanza di forse 4 giorni, da un attacco di partigiani ampezzani, assieme a friulani, alle foci della Navarza, sotto Lateis. (7). È arrivata una macchina tedesca e ci siamo precipitati, ed abbiamo ferito uno, ma la macchina ha proseguito verso Sauris. Ed il giorno seguente c’è stato un notevole rastrellamento verso sera, con camion. E per poco non ci sorprendevano nella valle della Navarza, dove ci eravamo ritirati dopo l’azione. Per un caso fortuito riuscimmo ad esser allarmati in tempo perché, se mi ricordo bene, ad un certo momento la fine della galleria venne battuta da un fucile, e così ci siamo accorti che c’era qualcosa che non andava, e ci siamo ritirati nelle valli verso il Col Gentile. E spero che abbiate in mente questa geografia. (8).
Cartina che rappresenta, ora, parte della zona descritta da Ciro Nigris. Da: http://win.aic-canyoning.it/forum/topic.asp?TOPIC_ID=3134. Si ricorda che la costruzione della diga sul Navarza è iniziata nel 1946.
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Questi i primi passi, diciamo così. Da quel momento, liberato Zagolin, giunto questo gruppo dal Ciaurleç, l’attività partigiana si è fatta più decisa. Ed erano partigiani con me: Silvio, ‘Toio’, ed anche ‘Irvin’ (9) mi pare facesse parte di questo gruppo, e ormai di questi ne sono morti parecchi.
E tutto è iniziato così, con all’arruolamento deciso in Carnia.
Per quanto mi riguarda, sono andato poi in val Pesarina, dove c’erano già dei gruppi di partigiani di vecchia formazione antifascista quali: Cristofoli/Aso, ‘Nembo’ di Forni di Sotto, Magrini, (10) che era l’ispiratore di questo nucleo ed altri, e ci unimmo a questo gruppo nel corso del mese di aprile, e ne nacque una azione partigiana più ampia.
Mi ricordo che si andava di paese in paese, a parlare di valori e resistenza, e di altro… Questi gli inizi».
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Popolazione e resistenza.
L’ intervistatore chiede quali fossero i rapporti con la popolazione.
Nigris: «La popolazione dei paesi fu inizialmente sorpresa dalla nostra presenza, e dalla nostra scelta. Per esempio quando si seppe che io ero andato partigiano, e lo si seppe subito, molti furono sorpresi, ma che si stesse per formare un movimento partigiano era una cosa prevedibile ed attesa da mesi, ormai. E finchè i partigiani furono in numero limitato, il rapporto fu affettuoso e molto cordiale.
Noi facevamo degli interventi di propaganda verso sera, andando da un paese all’altro, nelle osterie, o nelle piazze, dove si adunava la gente, e toccava a me, in genere, dato che io ero ‘chel ca l’ere studiât’ e che quindi meglio poteva saper parlare, tenere questi ‘comizietti’, nella sorpresa generale della gente per quello che si diceva, ma anche di attenzione. Poi, piano piano, incominciarono gli arruolamenti partigiani, perché alcuni iniziarono subito a chiedere di entrare, tanto che il reclutamento fu rapidissimo. Se Le dico che, in Carnia, i garibaldini: sia partigiani, che patrioti, che operatori sul terreno, erano 1200 … E ottocento furono gli osovani … tanto per parlare dell’ampiezza e della diffusione del movimento partigiano.
Certo che, quanto più i partigiani operavano con azioni di un certo rilievo in modo particolare contro i tedeschi, e quanto più si verificavano rappresaglie, tanto più la popolazione incominciò a preoccuparsi parecchio, e vi furono stragi … Forni è l’esempio più classico … Fu bruciato il 26 maggio 1944, e fu il modello italiano della distruzione totale: 400 case date alle fiamme, 10 minuti di tempo concessi alla gente per uscire dal paese: e tutto fu bruciato, anche gli armenti.
Neppure la chiesa grande hanno risparmiato, e sono rimaste in piedi la latteria, due o tre case, ed una specie di capannone/cantiere. Fu una distruzione veramente spaventosa, a cui seguì, però, l’aiuto di tutta la Carnia alla popolazione che aveva bisogno di tutto, ed a cui tutto era stato tolto. La salvezza di Forni, sotto un certo profilo, la si deve al fatto che il comune ha una cinquantina almeno di stavoli disseminati intorno al paese, di modo che la popolazione poté sistemarsi lì, altrimenti sarebbe stata una tragedia da comportare un esodo generale.
E la carità giunse poi da tutte le parti, da tutta la Carnia, dal Friuli. Anche noi delle formazioni ci siamo dati tanto da fare: figuratevi!!! Ma le condizioni di miseria furono grandi. Ma, paradossalmente, i partigiani a Forni crebbero, e furono molto attivi. Si capisce però che la situazione era grave, perché ogni azione partigiana comportava una possibile rappresaglia, come quella di Malga Promosio, per esempio. 54 morti in due giorni … da parte di una banda di travestiti da partigiani che ha ammazzato bambini, donne, uomini… una strage paurosa, veramente.
La sera precedente (11), giunti a malga Promosio, chiesero ospitalità, e furono accolti bene, ma quando si furono ben ben nutriti e dati ad una certa libertà, incominciarono la strage: e uccisero tutti: il proprietario della malga, le donne che c’erano … E lungo il percorso ammazzarono altre persone, ed ammazzarono anche tre partigiani. (12). Ed il giorno seguente partì una autocolonna da Tolmezzo, credo formata da 5 o 6 camion, con 200 e più soldati nazisti, di cui la metà erano anche friulani, ed erano anche questi travestiti da partigiani. E ne nacque quella serie di vergognosi comportamenti contro la popolazione di Paluzza, a cui seguì la strage di Sutrio. Complessivamente furono 54 i morti.
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Perché queste rappresaglie? Perché, precedentemente, il giorno 15 luglio, c’era stato un grosso fatto d’arme: quello del ‘ponte di Noiaris di Sutrio’, e mi rivedo in quella situazione. All’altezza del ponte di Noiaris c’è una curva, sovrastata da un ripiano che poi continua, degradando, verso la base della montagna e Piano d’Arta. Ecco: noi abbiamo lì atteso una colonna nemica che era passata su al mattino. In un primo momento pensavamo che proseguisse per la Val Calda, e quindi ci eravamo appostati sotto Ravascletto, poi siamo stati informati che era andata verso il passo di Monte Croce Carnico. Ma sapevamo che lì erano stati fatti franare massi enormi, e che quindi la colonna avrebbe dovuto ritornare indietro. Ed allora ci siamo schierati al ponte di Noiaris: noi garibaldini da una parte e l’Osoppo dall’altra.
Noi eravamo verso la parte più alta della strada, dove ha avuto luogo l’azione portata avanti con bombe a mano americane. C’era stato il lancio degli americani, e ce ne avevano mandate un po’. Erano delle bellissime bombe, di quelle a diffusione molto estesa, e usando quelle facemmo molti feriti. E so che i tedeschi scesero a Tolmezzo con i camion carichi di feriti. La rappresaglia, che era già nell’aria, e fu messa in atto pochi giorni dopo.
Questa azione ci è costata molto (la morte di Aulo Magnini ed Ermes Solari garibaldini e di Vito Riolino osovano, ndr), ma posso dire che da quel momento, in Carnia, non poterono passare più colonne di tedeschi e tanto meno di fascisti. Ed a questa azione corrispose un’altra azione: quella dell’eliminazione del presidio di Sauris.
A Sauris era stato costituito un presidio con una cinquantina di Mongoli, si diceva così, allora, ma forse erano mongoli davvero. Ed essi si trovavano nel cuore del mondo partigiano, perché da lì passavano tutti i reparti partigiani. Questo presidio venne eliminato con attacchi successivi da località Cjamesans in poi, lungo il Lumiei. E vennero battuti e si ritirarono verso il Cadore, e da quel momento non ci furono più nazisti. (13).
Incomincia così la storia della zona di fatto liberata. E questa realtà di zona parzialmente libera, virtualmente ed anche di fatto libera, diventerà poi la Zona Libera di Carnia, a cui si unirà anche la zona liberata della pedemontana, cioè dello spilimberghese e del maniaghese. E si formò così una grande Zona Libera, che creò pure un organismo politico, una giunta di governo della Zona Libera della Carnia e del Friuli.
Ampezzo. L’edificio sede del governo della Repubblica della Zona Libera di Carnia e Friuli. (Da: http://www.carnialibera1944.it/zonalibera/zonalibera_storia.htm
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È molto importante questa ‘giunta di governo’, perché fu un organismo politico e politicamente riconosciuto anche in seguito, a differenza di tante altre zone libere che non costituirono giunte di governo. Nel periodo precedente alla sua creazione, cioè nel periodo di libertà di cui godette la Carnia, si erano creati in tutti i paesi del suo territorio o quasi Comitati di Liberazione Nazionale, i Cln, formati da rappresentanti dei più grossi partiti politici, che concordavano sulla gestione della vita dei borghi. Altro aspetto importante fu che, nei paesi della Carnia, vennero indette le elezioni, segrete e libere, con la partecipazione anche delle donne (prima mai esistita, ndr) se capofamiglia.
E così si creò, passo dopo passo, la giunta della zona libera della Carnia e del Friuli, che non ebbe forse uguali in Italia per il suo carattere consapevolmente politico, e quindi non guidata da militari, con completa autonomia di deliberazione e giuridica, e che emanò una serie di provvedimenti legislativi di carattere economico, politico, assistenziale, previdenziale ecc. che costituisce un documento unico in tutta Italia. Per questo noi diciamo che la Repubblica della Zona Libera della Carnia e del Friuli fu uno dei fatti più singolari della resistenza europea, certamente il più rilevante della resistenza italiana. (…).
Il libro di Angeli e Candotti, Carnia Libera, Del Bianco editore, 1971, contiene tutti i documenti sia dei Comitati dei Comuni, sia dei Comitati di Valle, sia del Comitato Carnico (Cln carnico ndr), perché solo attraverso questi organismi sorti dal basso si giunse poi alla deliberazione per la creazione della Giunta di Governo, che aveva personalità politica e giuridica, e della cui formazione fu data comunicazione agli Alleati, a Roma, ecc.
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Certamente la creazione della Repubblica di Carnia costò molto sangue e rappresaglie, ma giunse ad una realizzazione politica veramente interessante e, secondo me, di carattere più avanzato di ogni altra istituzione politica creata con la resistenza in Italia.
Dopo però venne il rastrellamento e la battaglia famosa degli 80 giorni, durata dal 2 ottobre al 20 dicembre 1944. Ma devo, a questo proposito, aggiungere una precisazione.
Parlavamo prima della Carnia. Ma come ho già detto, si saldarono alla Carnia anche lo spilimberghese ed il maniaghese, cioè i Cln di queste zone si unirono al Cln della Carnia, rinunciando alla loro peculiarità operativa, per creare questa Giunta di Governo unica, formata da rappresentanti politici, fra cui ricordo gli ampezzani: Umberto Passudetti, che fu il primo presidente, la prima giornata in cui operò la giunta; Armando Maniscalco, che rappresentò Giustizia e Libertà ( per Giannino Angeli, Natalino Candotti, op. cit., p.44 il Partito Liberale, ndr.), poi sostituito da Manlio Gardi, che venne su dal Friuli, Natalino Candotti, che era segretario del Comitato di Governo, e che redasse tutti i documenti in una prima fase, sostituito poi da Libero Martinis; Luigi Nigris, che rappresentava la D.C.; Dante Candotti, ‘Dinca’, che venne incaricato della gestione dell’organo di polizia della Repubblica. E questo per dire che diversi membri di questa Giunta ed intorno a questa giunta erano ampezzani. Ma bisogna ricordare anche i grandi non ampezzani: Emilio Betrame e Mario Lizzero, che furono veramente le due anime più mature di questa creazione politica, accanto all’avvocato Gardi, a Bianco (14) che era salito ad Ampezzo pure lui da Udine, ed altri. La giunta di governo della Repubblica di Carnia fu veramente un organo complesso, che realizzò una attività politica che è dimostrata dai documenti, che sono tanto numerosi da chiedersi come si sia riusciti in così breve tempo, in 10-12 giorni, a stenderli ed a prendere tutti quei provvedimenti! Ma bisogna dire che la giunta era sempre in seduta a deliberare. Questo corpus di provvedimenti costituisce un aspetto eccezionale, che non c’è stato nelle altre zone di resistenza. Esso fu il frutto di un processo maturato lentamente ma poi scoppiato velocemente da giugno in poi: non si aveva finito di creare un battaglione che ne veniva fuori un altro.
Ciro Nigris, ‘Marco’ comandate partigiano della Garibaldi Carnia. Alle sue spalle si intravede Giulio De Monte ‘Zan Zan’. (Da archivio Anpi Udine).
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Di armi ne avevamo poche, e qui bisognerebbe parlare anche della possibilità di azione limitata, perché i tedeschi avevano armamenti incredibili e fra i più moderni. Noi invece avevamo qualche fucile da 91, alcuni fucili mitragliatori, ed io, per esempio, essendo stato ufficiale, avevo il mio mitragliatore, così come Mario Candotti aveva il suo, se non erro, e diversi altri avevano il loro, oppure avevamo le armi prese ai tedeschi od ai carabinieri.
Perché dovete sapere che una delle prime cose che si fece nella zona fu quella di eliminare i comandi dei carabinieri, e quindi le loro armi passarono tutte ai partigiani. Ed anche nelle azioni militari, se si riusciva a prendere delle armi, queste venivano distribuite ai reparti. Soltanto nel mese di luglio, infatti, noi avemmo un po’ di armi, ma soprattutto esplosivo, plastico, da parte degli Americani, attraverso un lancio fatto sia per la Osoppo che per la Garibaldi.
Il campo di lancio era ad Enemonzo, era la piana di Enemonzo ove ora fanno i voli con il deltaplano. L’ho saputo l’altro giorno, e sono andato a vedere questi voli meravigliosi, ed i deltaplani erano alti, e poi sono scesi nella piana, nel campo: ed è bello anche il campo. E c’era una ciminiera vicino ad Enemonzo, e si è dovuto abbatterla perché potessero venire a fare i lanci gli apparecchi americani. E fecero per noi, mi pare, quattro lanci: un fiorire di paracadute, che poi servivano a fare mutande, eccetera, anche per le Signore … ma non diciamolo. Ma è un fatto che servisse tutto.
Comunque, queste armi lanciate erano davvero in misura limitata, questo bisogna dirlo, ed anche le missioni americane ed inglesi che avevamo, ma in particolare americane, furono molto parche negli armamenti. Ed è vero che avevano parecchi destinatari, e che vi erano parecchie pretese, ma in ogni caso le armi che ci dettero non erano sufficienti. Protestarono pure i loro rappresentanti, perché ogni missione ne aveva uno, aveva un responsabile che si faceva voce anche delle lamentele … ma non furono molte le armi anche se bisogna dire che servirono. E ci dettero armi ed esplosivi».
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Garibaldi ed Osoppo: un diverso modo di concepire il futuro.
L’intervistatore chiede quali furono le differenze tra Garibaldi ed Osoppo.
Nigris: «Le dirò che ci furono ragioni di diversificazione ed anche di attrito fra Garibaldi ed Osoppo, senza parlare dei fatti estremi, ma il carattere delle due formazioni era di fatto diverso. Le formazioni garibaldine non erano, come si dice ora, formazioni comuniste: togliamo subito questo equivoco, perché i comunisti, nella divisione di cui io ho fatto parte, erano davvero molto pochi. Alcuni si formarono politicamente da partigiani, ma di pensiero comunista antico in Carnia ce n’erano forse una decina. C’erano, in sintesi 10 o 12 vecchi antifascisti e comunisti che militavano nella Garibaldi, ed erano però i più operativi, checché se ne dica, ma poi, nella brigata si formarono dei nuclei di aderenti o simpatizzanti. Ma ciò non significa assolutamente che la formazione Garibaldi fosse comunista, perché non lo era. Aveva però, sotto il profilo sociale, una visione della società futura più avanzata di quella che c’era prima, e che ci sarà dopo. Dopo ci fu un freno. Ma noi sognavamo qualcosa di più democratico anche sotto il profilo culturale, economico, eccetera, e questo creava molte ansie e molte preoccupazioni nella classe conservatrice ed anche nella chiesa. Perché il comunismo, di per sé, era ateo, e che ispiratori di questo movimento partigiano fossero dei comunisti dava tante preoccupazioni alla chiesa, in particolare alle gerarchie ecclesiastiche, ma non a tutti i sacerdoti.
Io ho avuto amici sacerdoti, ma io non ero né sono comunista, e sono stato nominato responsabile in seno alla Garibaldi Carnia senza che mi fosse stata data alcuna tessera, figuriamoci, e neppure Mario Candotti ebbe mai una tessera, ed eravamo i responsabili della Divisione Garibaldi Carnia. E quello che voglio dire è che il clero dei paesi era con noi e capiva la necessità drammatica di questa lotta di Resistenza.
Cosa sarebbe accaduto, infatti, se non ci fosse stata la resistenza? La gente non se lo è chiesto mai, né se lo chiede. Cosa sarebbe diventato questo paese, se si fosse, ad oltranza, arreso alla Germania? Passo dopo passo, i tedeschi avrebbe distrutto tutto il paese. Neanche noi ci rendevamo conto di questo. Ma se la Germania avesse avuto mano libera, intanto avrebbe arruolato tutti, come arruolò i fascisti, facendo arruolamenti immediati, poi avrebbe resistito ad oltranza agli Alleati, e quindi la guerra sarebbe proseguita per un altro anno ancora, provocando un macello e distruzioni continue.
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Inoltre questo voglio dire del Friuli. Se l’apparato militare germanico, che era imponente anche quando erano arrivati vicino al Po, da Genova in qua, da Torino in qua, da Milano in qua, tra l’altro rinforzato dalle Brigate Nere, ecc. (Qui credo si debba intendere dalle truppe collaborazioniste fasciste ndr), non fosse stato frantumato dalla resistenza, che in ogni città bloccò, distrusse, neutralizzò quella forza enorme, ne sarebbe derivato quello che Hitler definì “arretramento progressivo offensivo”, cioè una ritirata graduale con distruzioni e resistenze continue. In questo scenario l’ultima terra coinvolta sarebbe stato il Friuli, la Carnia l’ultimissima, con una resistenza agli Alleati già programmata sulle Alpi, e figurarsi nella Carnia.
La gente non vede ora questa spaventosa prospettiva che non si è realizzata, ma noi la vedevamo, ed il pensiero che allora più mi angosciava, nella mia gestione del comando, perché facevo parte del Comando anch’io, era quella che, arrivati i cosacchi, arrivassero pure i tedeschi in ritirata e si combattesse nelle nostre valli l’ultima battaglia, il che significava la distruzione totale della Carnia.
Ed in effetti ai cosacchi era stata affidata, almeno secondo documentazione di origine fascista, la resistenza sulle Alpi, in particolare nella valle del Tagliamento, per permettere ai tedeschi di ritirarsi sempre progressivamente, distruggendo città, nel qual caso la Carnia sarebbe stata davvero terra perduta e si sarebbe trasformata in un deserto.
Cartina che mostra come l’Ozak confinasse con il Terzo Reich. Da: http://www.freeterritorytrieste.com/prologue.html
E ho ricordato questi aspetti anche una volta che parlai qui, ad Udine, perché mi pare che a questo aspetto la gente non abbia mai pensato, non abbia mai pensato, alla frantumazione paese per paese, città per città, villaggio per villaggio, strada per strada, di questa macchina infernale che era l’armata tedesca, che, lungo l’Appennino, ritirandosi, fece stragi spaventose. Questo evitò la resistenza nazista prima di soccombere, e questo le si deve annoverare come aspetto positivo, e la presenza del movimento partigiano portò ad un anno in meno di guerra ed ad un riconoscimento immediato da parte degli alleati, e quindi ad una autonomia di governo più accentuata che non, per esempio, in Giappone.
Ma indipendentemente da questo, quello che è storicamente importante, è questo essersi scrollato di dosso il peso di un fascismo che aveva dichiarato una guerra inutile, sbagliando momento, quando l’ingresso in guerra non era necessario e nemmeno richiesto, e che costò alla nostra Regione 26.500 morti. Sono tanti … è il prezzo pagato all’insipienza, all’arroganza di una volontà che vedeva tutto facile, tutto bello. Avrete visto anche voi, nei documentari, Mussolini che parla tutto tronfio. Con la stessa superficialità ci portò nella più grande tragedia della storia. Ecco perché non bisogna dimenticare.
La memoria storica giova, quantomeno, ad insegnarci a non ripetere gli stessi errori. La società di errori ne fa molti e ne farà sempre, speriamo sempre più piccoli, sempre più banali, ma possibilmente rendendosi conto che con la violenza non si ottiene una vita civile. È necessario che si realizzi quella che noi speravamo di creare in modo migliore e più serio: una vera democrazia. Noi ci pensavamo sempre. Ma in fin dei conti una democrazia c’è stata. Mi avete chiesto pure la differenza fra Osoppo e Garibaldi …
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Questa è stata, in fondo, la vera differenza tra la Garibaldi e la Osoppo: i garibaldini volevano una società più avanzata socialmente, quindi più attenta ai bisogni delle masse, e meno preoccupata dei redditi degli industriali e dei latifondisti, cioè volevano una società più giusta economicamente, caratterizzata da un benessere più distribuito e più razionalmente impiegato, gli osovani, invece, erano più moderati davanti a queste prospettive. Però anche loro erano ‘figli di mamme’, intendiamoci, non erano capitalisti, ma erano più cauti di fronte a queste prospettive. Pensavano che le innovazioni si dovessero fare lentamente, progressivamente, senza precipitare in rivoluzioni, eccetera. Tanto è vero che uno degli spauracchi era: «Viene la rivoluzione!».
Ma la Garibaldi non ha mia voluto la rivoluzione, e nelle ore di lezione politica che si facevano, si predicava la vita democratica, la tolleranza, il rispetto delle diverse opinioni e via dicendo.
Vi era poi certamente una differenza fra coloro che erano più politicizzati a sinistra ed i più depoliticizzati a destra, e quindi le differenze non mancavano, ma un elemento estremamente importante da noi era che, quando si facevano le ‘ore politiche’, si insegnava ad essere rispettosi gli uni degli altri, anche di chi era della destra moderata, (perché uno di ‘destra destra’ non poteva essere partigiano), o di chi era della sinistra più o meno avanzata.
La società ha scelto, poi, la via moderata.
Ma tra le due formazioni c’era anche una differenza operativa. La vita partigiana imponeva sacrifici, di dolore, di rappresaglie. Questo è pacifico. Nessun movimento partigiano al mondo, anche attualmente, può trascurare questo fatto, che è la conseguenza immediata della scelta partigiana. Tu uccidi uno e io te ne uccido dieci. E scusatemi la banalità dell’espressione. Allora si può dire che, più animosi, non più operativi, perché ‘operativi’è termine sbagliato, più portati all’ azione erano i garibaldini, pur riflettendo anche loro sul da farsi, mentre più cauti erano gli osovani. Questa era la differenza a livello operativo, non altra. E ciò risulta anche da tutti i documenti, intendiamoci. Gli osovani dicevano: «No, no, no, bisogna andare più piano, per non suscitare rappresaglie…». Ma se non si agisce, si tradisce la ragione della propria resistenza, cioè ti consegni.
Partigiani garibaldini operativi in Carnia. All’estrema sinistra guardando. Vittorio Pezzetta. Immagine proveniente dall’archivio di Anna De Prato Pezzetta, ‘Marì’, che gentilmente me ne ha permesso la scannerizzazione e la pubblicazione. Se qualcuno potesse aiutarmi nel riconoscimento degli altri …
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Ci sono dei documenti nei quali, per esempio, si diceva che «la Carnia è terra povera, non ha grandi interessi, e poi è via marginale, ed invece di operare in Carnia, perché non operare lungo la valle del Fella?»
E già … ma chi poteva stare nella valle del Fella a vivere ed ad operare? Non so se rendo l’idea .. . Ma è stata formulata l’ipotesi stesa in modo organico di fare così … perché per qualcuno solo la valle del But poteva avere qualche importanza … il resto no … Mentre aveva grande importanza bloccare il nemico, agire sul nemico, in qualunque modo, con tutte le regole e le prudenze del caso. Questa è la verità. Ma qualche volta la rappresaglia era tale, era talmente smodata, da avere il carattere della ferocia sanguinaria più pura.
Non so cosa è accaduto nelle isole ed a Cefalonia, ma so che la reazione tedesca ha provocato 9.000 morti. Erano anche loro ragazzi ‘ figli di mamma’, e sono morti perché avevano resistito, perché non avevano voluto cedere le armi … Rendo l’idea?
Già dopo l’8 settembre c’erano state queste forme di dissenso, certe volte più accentuate, certe meno, che certe volte avevano portato a fatti gravissimi, che ci sono stati … Su questi fatti si è cercato, recentemente, di tagliare il profilo storico, ma questi fatti dolorosi sono esistiti, come sono esistiti fatti dolorosi anche in ogni formazione, ma qui in modo veramente accentuato. È stato spaventoso».
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L’intervistatore chiede un parere a Nigris su episodio accaduto allora, che non si sa quale sia perché non specificato, ma si potrebbe ipotizzare sia stato l’abbraccio fra ‘Vanni’ (Giovanni Padoan) e ‘don Candido’ (don Redento Bello), avvenuto nel febbraio 2001.
Nigris: «Ma, preferirei non commentare. È un fatto. Si è cercata una forma di risanamento morale e storico e di chiusura di una vertenza terribile, per la quale chiudere è un bene, comunque vada. Per noi la questione era già chiusa. Io ho avuto amici osovani e ne ho avuti allora, e abbiamo parlato di queste cose … L’Istituto nostro (16) ha pubblicato studi e studi, e quindi è già un fatto superato, vissuto drammaticamente, capito e sofferto da noi e da loro. Le animosità … La storia è piena di animosità, ma i giudizi storici sono, naturalmente, una realtà effettiva, in questo caso molto pesante.
Si è tentata così una forma di risanamento storico, affettivo … fu un fatto individuale ma che ha avuto anche seguito. Ma la storia non so se abbia veramente bisogno di cose di questo tipo. È un fatto di sentimento, di cui si può prendere generosamente atto».
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Resistenza, libertà, ideali.
Nigris: «Adesso le dico cosa dicevo io a 23 anni. C’era quello che comandava il reparto che giunse ad Ampezzo dal Friuli, quello che andò con il mitra a prelevare il maresciallo dei carabinieri, uno di cui poi non ho saputo più nulla, ed a cui fu dato il comando del gruppetto di Ampezzo fino a giugno del 1944, quando dettero a me il comando del battaglione ed egli passò ad altro reparto. Dopo la guerra ho chiesto a molti dove fosse, chi fosse, ma nessuno ha saputo dirmi qualcosa su di lui. Di tutti gli altri ho avuto notizie, di lui no. So solo che il suo nome di battaglia era ‘Ennio’ e che era di Tarcento. Nessuno ha saputo dirmi altro: scomparso! (17). Ed era un ragazzo con grande esperienza, ed uno dei partigiani dell’autunno precedente, protagonista delle battaglie precedenti, e proveniente dal monte Ciaurleç. Egli mi diceva: «Cjale mo, cjacare tu, che tu sas cjacarâ. A l’è un pouc il to mistîr.” (Guarda, parla tu che sai parlare. È un po’ il tuo mestiere!).
Ed allora, ritornando al dunque, cosa dicevo io nelle osterie dove andavo? Parlavo di una società economicamente più giusta, più libera e senza le oppressioni del fascismo, senza le miserie del fascismo, senza i contrasti che il fascismo suscitava, una società nella quale finisse l’emigrazione della Carnia, ad esempio, che non è però finita affatto, che fosse tale da dare a tutti un’istruzione, indipendentemente dai cespiti familiari e dalla disponibilità di denaro, che permettesse a tutti gli ammalati di essere curati, senza che i vecchi morissero abbandonati. Si parlava di questo: di una giustizia sociale che non c’era in Carnia.
Ed i vecchi ed i giovani stavano ad ascoltarmi.
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Mi ricordo particolarmente uno di loro: ‘Tom’, di Tausia di Ravascletto. (Sic! Ma in realtà Tausia fa parte del comune di Treppo Carnico. Ndr). Era stato soldato nell’aviazione, e dopo che avevo parlato a Ravascletto, mi è venuto vicino e mi ha detto: «Cal sinti: podaresio vegnî ancje io cun lui, cui partigiàns? (Mi ascolti: posso venire anch’io con lui, con i partigiani?)» «Ma sì, ven no, quant chi tu vus. (Ma sì, vieni quando vuoi)». E dopo mi ha aggiunto: «Cal cjali: io i ai bisugne di stâ une setemane cun me mari parcè i ai di fâ il fen, e dopo i ven. (Io ho bisogno di stare ancora una settimana con mia madre, perché devo fare il fieno, e dopo vengo». Ed è venuto. L’hanno fucilato qui, ad Udine, nel 1945. (18).
E mi ricordo di averlo ritrovato in un bunker, che poi è stato preso dai cosacchi il 9 gennaio del 1945. In quel bunker c’era un comandante di brigata, c’era un comandante di battaglione, c’erano due o tre comandanti di compagnia. E il bunker fu preso dai cosacchi grazie ad un traditore. Morì il commissario di brigata ‘Nembo’, Augusto Nassivera, vecchio antifascista che aveva già quarant’anni, e furono fatti prigionieri uno di Villa Santina, (Ennio Radina, ‘Barba’, ndr) e ‘Tom’. Ambedue sono morti fucilati. È stato terribile, terribile.
L’altro fucilato era stato mio sergente maggiore. «I fas il fen par me mari e dopo i ven. (Faccio il fieno per mia madre e poi vengo…)». Venivano così ad arruolarsi come partigiani. «I ven ancje jò, i ven ancje jò, i ven ancje jò (vengo anch’io, vengo anch’io, vengo anch’io)». Ma noi non avevamo armi, soprattutto.
Ma i giovani erano così … Noi eravamo così. E si predicavano innanzitutto la giustizia sociale, la libertà, la franchezza nei rapporti umani».
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In primo piano Ciro Nigris, sul retro Romano Marchetti. Anni ’50. Archivio Romano Marchetti.
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Inseguivamo un sogno, ma il sogno non si è avverato.
L’intervistatore chiede se quanto sognato egli pensa si sia avverato o no.
Nigris: «Assolutamente no. Si sono fatti dei progressi dal punto di vista economico, ma tutto il mondo li ha fatti, quindi direi proprio di no. Oggi specialmente, si resta molto perplessi di fronte a quello che è accaduto in queste elezioni. (19). Credo ci sia una perplessità generale: tutti sono rimasti imbarazzati e soprattutto sorpresi, credo anche, almeno quelli che sono dalla nostra parte, quelli che vivono e sentono come me. È stata una brutta esperienza, pesante, pesante, pesante, pesante …
Così, questa è stata la nostra vicenda. Avrete poi già sentito parlare ampiamente del periodo cosacco, caratterizzato da sofferenze e disagi, e che ha comportato, da parte nostra, perdite notevoli. Sulla data in cui sono arrivati i cosacchi vi è un grosso contrasto. C’è chi dice che scesero dai treni a Stazione Carnia il 20 luglio, ed andarono a piedi verso Amaro, mentre altri dicono che ciò accadde intorno al 20 agosto, ma di preciso non si sa. Io però propendo per il loro arrivo a fine luglio. Noi ne abbiamo avuto conoscenza un po’ tardino, intorno alla seconda metà di agosto, che c’erano i cosacchi ad Amaro, e che erano stati attaccati pure da alcuni dei nostri reparti che stavano ad Illegio. Ma li attaccarono, in modo particolare, quelli del battaglione ‘Stalin’. Perché c’era anche un battaglione di russi nelle formazioni garibaldine, anzi ce n’erano due. Anzi c’erano due battaglioni ‘Stalin’ nelel formazioni garibaldine, non uno solo, ed erano formati da russi scappati (dai campi di prigionia ndr) ed erano bravi, davvero bravi. E ‘Irvin’ era con il battaglione ‘Stalin’, nell’ inverno 1944-’45. Bel partigiano ‘Irvin’, bel partigiano.
Questi battaglioni ‘Stalin’ furono davvero valorosi, e bravi, bravi. Io ho conosciuto ‘Daniel’ (20), che era ingegnere, ed è sepolto qui, perché è morto in combattimento. Ed è stato molto bravo anche lui, ed era un ragazzo d’oro. Abbiamo fatto insieme prove sull’uso del plastico che ci avevano dato gli americani assieme, vicino al comando a ‘La Patussera’ (21). A ciò posso aggiungere che l’esperienza partigiana fu un’esperienza notevole per tutti».
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La giornata partigiana.
Alla fine di questa prima parte l’intervistatore chiede come si svolgeva una giornata partigiana.
Nigris: «Sveglia in genere presto. Poi pulizia armi, e poi l’ora politica. Si faceva sempre un’ora politica, un’ora di discussione. Quindi si partiva e si partiva per una ispezione o per una azione, eccetera, con meta più vicina o più lontana, oppure ci si metteva in postazione. Quando avemmo una struttura periferizzante, che chiudeva tutto il territorio, i vari battaglioni restavano in esercizio continuo di sorveglianza, perché non erano molti. Se Lei pensa che su 250 chilometri di fronte, di periferia in giro in giro, c’erano 33 battaglioni e cioè 5.600 uomini. E li divida e vede che si seminano un po’ dappertutto! Ed andavano a nuclei, a gruppi. Ma erano una forza limitata e poco armata. Ecco perché i rastrellamenti, fatti in forma massiccia da gruppi armati di ventimila o trentamila, uomini sfondavano, anche perché non avevamo armamenti, non avevamo armi pesanti.
Per quanto riguarda le informazioni, in Carnia si era creata una struttura telefonica alternativa. Ogni reparto era collegato funzionalmente con una rete di telefoni nostri, che si serviva un po’ anche dell’altra … C’era ‘Pompeo’ (22) che era un maestro nell’ organizzazione della rete telefonica. Poi avevamo un po’ di stampa, un po’ di pubblicazioni, e poi c’erano le visite ai reparti da parte dei comandanti, ed i contatti nostri con i comandi superiori, per esempio con Mario Lizzero ‘Andrea’, che girò sempre fra tutti i reparti essendo commissario di Divisione, poi formazione. E non c’è reparto che egli non abbia visitato …».
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Qui finisce la prima parte dell’ intervista originale, che è costituita da due diverse videoregistrazioni. Quello che non si riesce a rendere con lo scritto sono le emozioni espresse da ‘Marco’ nel corso del racconto, il suo viso ed il suo sguardo che si fanno tristi quando ricorda ‘Tom’, il sorriso in altri casi, le inflessioni della voce, il muoversi delle braccia e del corpo teso a raccontare… Me ne scuso con i lettori. Inotre scrivevo ad una persona, un paio di giorni fa, che ‘Va Pensiero’ ha una frase che si addice anche a ‘www.nonsolocarnia.info’, per certi versi: ‘Le memorie nel petto riaccendi’ . Perchè anche questo è uno dei compiti di questo sito/blog: riaccendere, rivitalizzare la memoria.
Se qualcuno di Udine o Ampezzo o altro paese sapesse di aver fatto questa intervista e di averne data una copia a Mauro Fiorenza è pregato di avvisare, presentando dati che confermino che ne è l’autore. L’immagine che accompagna questo scritto ritrae Ciro Nigris ed è tratta, solo per questo uso, da: http://messaggeroveneto.gelocal.it/udine/cronaca/2009/06/11/news/il-ricordo-di-ciro-nigrispartigiano-ed-educatore-1.37425. Se vi sono diritti d’autore prego avvisare. Avrei voluto mettere una immagine dall’intervista ma non mi ricordo più come si fa. La registrazione dell’intervista e la conduzione non si sa di chi siano, la provenienza del video è Mauro Fiorenza di Ampezzo, che vivamente ringrazio e che non mi ha saputo dire nulla di più, la trascrizione della registrazione è mia. Mi sono permessa di pubblicare l’intervista perchè non vada perduta. Buona lettura. Laura Matelda Puppini
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- Si tratta, verosimilmente, di Silvio Bullian, nome di battaglia ‘Giove’.
- Pietro Maset, nome di battaglia ‘Maso’, comandante della Va Brigata Osoppo unificatasi alla Garibaldi nella leggendaria ‘Ippolito Nievo’, era nato a Scomigo (Treviso) il 12 marzo 1911, e morì, ucciso dal nemico, in Piancavallo, 12 aprile 1945. Capitano del R.E.I., medaglia d’oro al valor militare, è da tutti considerato un eroe della resistenza.
- Non so chi sia Severin dal Cuel, ed attendo lumi dagli amici ampezzani.
- Nato a Udine il 27 settembre 1894, medico laureatosi a Padova e comunista, partecipò alla resistenza con nome di battaglia ‘Cesare’ (Mario Candotti, Memorie di un uomo in divisa naia guerra resistenza, I.F.S.M.L. ed A.N.A., Pn., 1986, p. 245), ma anche ‘Ottavio’. Aderì alla resistenza garibaldina, e si prodigò come medico, in particolare nell’ospedale allestito, sotto la sua guida, ad Ampezzo ma pure in quelli di Muina, Arta, Mione, nella cura dei feriti assieme alla dottoressa ‘Xenia’, che per ora non so chi sia, ed alla capoinfermiera Elsa Fazzutti, Vera di Forni di Sotto. Quindi si recò sul Collio, per curare partigiani sloveni e civili. (http://www.anpi.it/donne-e-uomini/1420/armando-zagolin). Nel dopoguerra fu ingiustamente coinvolto nel processo per l’eccidio di Topli Uork, detto erroneamente di Porzûs, fu arrestato il 10 luglio 1946 e tradotto in carcere a Padova insieme ad altri. Scagionato, morì di tisi, all’ospedale di Udine, il 28 agosto 1947. (PUPPINI Laura Matelda, scheda di Zagolin Armando, in: Romano Marchetti, (a cura di Laura Matelda Puppini), Da Maiaso al Golico, dalla Resistenza a Savona, una vita in viaggio nel Novecento italiano, IFSML e Kappa Vu ed., 2013, pp. 412 – 413). Citato pure in Mario Candotti, Lotta partigiana tra Meduna, Arzino e Tagliamento. I rastrellamenti dell’autunno 1944, in: Storia Contemporanea in Friuli, n.12, p. 105, ed in altri articoli. Vi è chi dice che a denunciarlo fu Leo Patussi, che aveva collaborato con lui come aiutante, poi diventato generale dell’E.I., ma non ho prove in tal senso. Romano Marchetti dice che accuse infamanti e deliranti fossero state messe in giro sul suo conto per screditarlo, alla fine della guerra. Ma si sa che cattolici ed ex- fascisti facevano in modo di demonizzare ogni comunista, anche attraverso oltraggiose calunnie.
- Il monte Ciaurleç (anche Ciaurlec), è una montagna che si trova nei pressi di Meduno.
- Ciro Nigris sottolinea qui che detti partigiani, saputo che c’era un arrestato per antifascismo, scesero a liberarlo, negando che essi fossero giunti appositamente per liberare lo Zagolin e, che quindi ci fosse stata una frequentazione pregressa fra il medico ampezzano e il gruppetto pare comandato da Vincenzo Deotto ‘Falco’. Invece i primi contatti, secondo Erminio Polo, furono fra i partigiani fornesi e detto nucleo partigiano, proveniente dal monte Cjaurleç. Si noti inoltre come la descrizione dell’inizio della resistenza ampezzana, in Elio Martinis, ‘Furore’, ‘Volevo essere libero’, in: http://www.carnialibera1944.it/partigiani/furore.htm, diverga da quella data qui da Ciro Nigris, forse per confusione sui tempi degli eventi. Questo ci fa riflettere, ancora una volta, sui limiti delle fonti orali.
- Presumibilmente si tratta dell’azione datata a questo punto erroneamente La Maina di Sauris 4 aprile ’44 e della reazione tedesca datata Lateis 5 aprile 1945 in: ‘Diario storico della Divisione Garibaldi Carnia’, in: http://www.carnialibera1944.it/documenti/divisione_garibaldi_carnia/diario_divisionegaribaldi_2.html.
- Il torrente Novarza o Navarza, attualmente, è sbarrato da una piccola diga che fa parte dell’impianto Lumiei-Tagliamento, che si trova a 5 Km da Ampezzo. Il torrente Novarza è affluente di sinistra del Lumiei, che, prima della confluenza, scorre in una una stretta gola di erosione di calcari dolomitici. (https://www.progettodighe.it/main/le-dighe/article/novarza). All’epoca del racconto di Ciro Nigris, però, la diga non c’era perché i lavori per la sua costruzione iniziarono nel 1946.
- Silvio è sempre Silvio Bullian, di cui alla nota 1. ‘Toio’ è il nome di battaglia di Antonio Zanier di Vittorio (Registro dei partigiani della sezione mandamentale di Ampezzo), mentre Irvin è Irvin di Centa di Ampezzo, classe 1924, nome di battaglia ‘Pizzi’.
- Trattasi dell’anarchico della Val Pesarina Italo Cristofoli, nome di battaglia ‘Aso’, morto il 26 o 27 luglio 1944 a Sappada, ucciso dal nemico; di Augusto Nassivera, ‘Nembo’ di Forni di Sotto, morto a Plan dal Bec, ucciso dai cosacchi, il 9 gennaio 1945; di di Aulo Magrini, ‘Arturo’, morto al ponte di Noiaris di Sutrio il 15 luglio 1944.
- Questa versione non collima con quelle di altri che dicono che i partigiani giunsero al mattino, verso l’ora di pranzo. Ma non è aspetto importante, perché quello che è determinante per lo storico fu la strage ed anche sapere chi furono coloro che la eseguirono. Ma su questo aspetto vi sono tesi discordanti. Si è perso a mio avviso troppo tempo, nel dopoguerra, in ipotesi di lotte anticomuniste, basate su bla, bla, bla, e si è persa la ricerca dei fatti contestualizzandoli.
- I tre partigiani uccisi a Cercivento il 21 luglio 1944 sono: Leo Cimador, Olivierio Candido e Romolo Silverio.
- L’azione è quella datata Sauris di Sopra 20 luglio 1944 in: ‘Diario storico della Divisione Garibaldi Carnia’, op. cit.
- Si tratta, verosimilmente, di Nino Del Bianco, osovano, nomi di battaglia ‘Marina’ e ‘Celestino’, questo sì presente nel Cln carnico. (Giannino Angeli, Natalino Candotti, Carnia Libera. La Repubblica partigiana del Friuli (estate autunno 1944), Del Bianco ed. 1971, p. 211). La differenza riguardava però i vertici delle formazioni, perché i semplici partigiani non avevano precise idee politiche, essendo cresciuti nel fascismo, e spesso aderirono alla formazione più vicina al luogo dove si trovavano, oppure seguirono, come nell’emigrazione, altri del paese. Non dobbiamo quindi dimenticare che Ciro Nigris fu Capo di Stato Maggiore della Divisione Garibaldi Carnia, e parla qui come appartenente ai vertici della stessa. Si dice pure, che molte righe di ‘Carnia Libera’ fossero state scritte da lui.
- L’idea pare fosse osovana. Infatti mi ero già chiesta perché, ad un certo punto, il btg. Carnia, comandato da ‘Livio’ Romano Zoffo, su fonti scritte, venisse indicato come btg. Fella.
- Intendisi l’Istituto Friulano per la Storia del Movimento di Liberazione, sorto nel 1971, di cui Ciro Nigris fu uno dei fondatori.
- Forse trattasi di Vincenzo Deotto, nome di battaglia ‘Falco’, comandante del ‘Mazzini 2’ e quindi del ‘F. Roiatti’, caduto il 12 aprile 1945. (Mario Candotti, Lotta partigiana tra Meduna Arzino e Tagliamento. I rastrellamenti dell’autunno 1944, in: Storia Contemporanea in Friuli n. 12, p. 105), indicato da alcuni come colui che comandava l’azione. Può darsi che ‘Falco’ avesse in precedenza altro nome di battaglia, come che si trattasse di altra persona.
- Trattasi di Antonio Morocutti, nome di battagli Tom, di Tommaso e Lucia Morocutti, nato nel 1919, originario d Ligosullo o Tausia. Catturato il 9 gennaio 1945, nel corso dell’attacco alla base di Plan dal Bêc e gravemente ferito, fu poi tradotto alle carceri di Udine, ove fu fucilato il 9 aprile 1945.
- Nigris si riferisce alle elezioni del Ci si riferisce alle elezioni politiche del 2001, da cui uscì vincitrice Forza Italia, seguita da Alleanza Nazionale. I due partiti, insieme, totalizzarono ben 86 seggi alla camera e 127 al senato. Nelle elezioni valide per il rinnovo della Camera, sia la Casa delle Libertà che L’Ulivo (anche se quest’ultimo in un numero minore di collegi), aggirarono il meccanismo dello scorporo collegando i propri candidati nei collegi uninominali a liste circoscrizionali fittizie, dette «liste civetta», create appositamente per non essere votate da nessuno. Infatti, dato che i candidati dei collegi uninominali erano collegati a tali liste, era a queste liste che furono sottratti i voti dei candidati nei collegi uninominali, mandando così i voti della lista sotto il 4%. Già allora i DS persero 36 seggi alla camera e 38 al senato. (https://it.wikipedia.org/wiki/Elezioni_politiche_italiane_del_2001)
- ‘Daniel ‘è Daniil Varfolomeevič Avdeev, capitano di cavalleria dell’Armata Rossa, catturato dai nazisti nel corso dell’invasione della Russi da parte dei nazisti e fascisti, fu internato in più campi di concentramento e quindi riuscì a fuggire con altri compagni. Assieme Ad altri connazionali fuggiaschi come lui, incontrati sul suo percorso, formò il btg Stalin, di cui fu comandante. Morì nel corso di una azione, ucciso dal nemico, l’11 novembre 1944 in Val d’Arzino. (http://www.nn-media.eu/index.php?option=com_content&view=article&id=34:i-partigiani-sovietici-in-friuli&catid=8&Itemid=109). A Daniel è dedicato il volume di Alberto Buvoli: Comandante Daniel. Un ufficiale russo nella resistenza friulana, edito dal Comune di Pordenone. Sul battaglione Stalin vi è invece uno scritto di Mario Candotti, Il battaglione “Stalin“, “Storia contemporanea in Friuli”, n.6, 1975. Vi sono delel divergenze di idee sul fatto che il btg. Stalin fosse uno solo o che ne esistessero due: ma può darsi che esistesse un unico battaglione prima da cui poi se ne originarono due.
- La Patussera è una località all’entrata della Val Pesarina.
- ‘Pompeo’ anche nome di battaglia ‘Walter’, è Guido Maieron, di Paluzza, alpino trasmettitore nella campagna greco/albanese. Entrato nella resistenza, fu distaccato alle comunicazioni della divisione. Alla fine della guerra divenne pure commissario del btg. Ennio Radina Dopo la fine della seconda guerra mondiale fu impiegato in posta. Sposò la partigiana Esterina Rupil, n.b. Wanda, e morì il 26 gennaio 1970. (Scheda di Maieron Guido, in Laura Matelda Puppini, Schede partigiani garibaldini, uomini e donne che scrissero la storia della democrazia, operativi in Carnia o carnici. Nominativi ed alcuni dati anagrafici da: Presidenza del consiglio dei ministri. Commissione regionale triveneta riconoscimento qualifiche partigiani – elenco nominativo dei partigiani combattenti cui è stata assegnata la qualifica gerarchica a fianco di ciascuno indicata (parificazione a grado dell’esercito italiano qui non riportata n.d.r.) – zona carnia. in: archivio anpi udine, in: www.nonsolocarnia.info.
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Laura Matelda Puppini.
https://www.nonsolocarnia.info/ciro-nigris-il-comandante-carnico-garibaldinomarco-io-ufficiale-del-r-e-i-passato-alla-resistenza/https://i0.wp.com/www.nonsolocarnia.info/wordpress/wp-content/uploads/2018/08/ciro-nigris-per-articolo-Immagine1.jpg?fit=398%2C462&ssl=1https://i0.wp.com/www.nonsolocarnia.info/wordpress/wp-content/uploads/2018/08/ciro-nigris-per-articolo-Immagine1.jpg?resize=150%2C150&ssl=1STORIACiro Nigris, ampezzano, uomo di cultura, docente alle scuole superiori di Udine, fra i fondatori di Teatro Club e ideatore del Palio teatrale studentesco, inizia così la sua video-intervista, giuntami attraverso Mauro Fiorenza, che ringrazio tantissimo, e di autore ignoto, che spero di conoscere, databile 2001, sull’esperienza partigiana. Pubblicherò...Laura Matelda PuppiniLaura Matelda Puppinilauramatelda@libero.itAdministratorLaura Matelda Puppini, è nata ad Udine il 23 agosto 1951. Dopo aver frequentato il liceo scientifico statale a Tolmezzo, ove anche ora risiede, si è laureata, nel 1975, in filosofia presso la facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università degli studi di Trieste con 110/110 e quindi ha acquisito, come privatista, la maturità magistrale. E’ coautrice di "AA.VV. La Carnia di Antonelli, Centro Editoriale Friulano, 1980", ed autrice di "Carnia: Analisi di alcuni aspetti demografici negli ultimi anni, in: La Carnia, quaderno di pianificazione urbanistica ed architettonica del territorio alpino, Del Bianco 1975", di "Cooperare per vivere, Vittorio Cella e le cooperative carniche, 1906- 1938, Gli Ultimi, 1988", ha curato l’archivio Vittorio Molinari pubblicando" Vittorio Molinari, commerciante, tolmezzino, fotografo, Gli Ultimi, Cjargne culture, 2007", ha curato "Romano Marchetti, Da Maiaso al Golico, dalla Resistenza a Savona, una vita in viaggio nel Novecento italiano, ed. ifsml, Kappa vu, ed, 2013" e pubblicato: “Rinaldo Cioni – Ciro Nigris: Caro amico ti scrivo… Il carteggio fra il direttore della miniera di Cludinico, personaggio di spicco della Divisione Osoppo Carnia, ed il Capo di Stato Maggiore della Divisione Garibaldi Carnia, 1944-1945, in Storia Contemporanea in Friuli, n.44, 2014". E' pure autrice di "O Gorizia tu sei maledetta … Noterelle su cosa comportò per la popolazione della Carnia, la prima guerra mondiale, detta “la grande guerra”", prima ed. online 2014, edizione cartacea riveduta, A. Moro ed., 2016. Inoltre ha scritto e pubblicato, assieme al fratello Marco, alcuni articoli sempre di argomento storico, ed altri da sola per il periodico Nort. Durante la sua esperienza lavorativa, si è interessata, come psicopedagogista, di problemi legati alla didattica nella scuola dell’infanzia e primaria, e ha svolto, pure, attività di promozione della lettura, e di divulgazione di argomenti di carattere storico presso l’isis F. Solari di Tolmezzo. Ha operato come educatrice presso il Villaggio del Fanciullo di Opicina (Ts) ed in ambito culturale come membro del gruppo “Gli Ultimi”. Ha studiato storia e metodologia della ricerca storica avendo come docenti: Paolo Cammarosano, Giovanni Miccoli, Teodoro Sala.Non solo Carnia
Molto interessante (e formativo) il contenuto dell’intervista. Personalmente, trovo di estremo interesse la tesi espressa da Nigris in merito alla cattura di “Tom”: “…E mi ricordo di averlo ritrovato in un bunker, che poi è stato preso dai cosacchi il 9 gennaio del 1945. … E il bunker fu preso dai cosacchi grazie ad un traditore. Morì il commissario di brigata ‘Nembo’, Augusto Nassivera, vecchio antifascista che aveva già quarant’anni, e furono fatti prigionieri uno di Villa Santina, (Ennio Radina, ‘Barba’, ndr) e ‘Tom’. Ambedue sono morti fucilati…”
La rappresaglia del 9 gennaio ebbe una finalità (e una causale) ben precisa, Ancora oggi si vuole sostenere la tesi, costruita e fatta circolare artatamente negli ambienti resistenziali per votarsi alla casualità, che la scoperta e l’attacco di sorpresa alla base di “Nembo” fossero dipesi dall’imprudenza di aver acceso un fuoco di giorno, tradendosi con la visuale del pennacchio di fumo che attirò l’attenzione delle ronde cosacche nel fondo valle.
La realtà, con grandi evidenza e logica, fu ben altra. La gran parte della popolazione di Pesariis non aveva accettato l’ultima, insulsa “bravata” dei partigiani che, tra l’altro, aveva messo a serio repentaglio la vita di numerosi paesani innocenti e l’incolumità dello stesso villaggio carnico. Non “un traditore”, ma l’indignazione popolare, probabilmente attraverso la mediazione del Parroco Soravito, rese pan per focaccia e indicò la via ai Cosacchi. E la Giustizia, giunse dall’alto. Paolo Strazzolini
Non so se fu il parroco Soravito a segnalare il rifugio di Nembo ed altri, e non credo che si possano confondere un paio di spioni con l’indignazione popolare. Molti giovani anche della val Pesarina aderirono alla resistenza, e le loro famiglie non volevano certo che soffrissero. Inoltre il fatto che Balilla Nascimbeni, partigiano garibaldino di Tolmezzo, sia stato nascosto per più settimane da una signora anziana abitante in ‘Cjanal’ come allora si diceva, non pone a favore di questa tesi. Non da ultimo, la fame e la guerra temo non permettessero neppure più alla popolazione di ‘Cjanal’ sparsa in più villaggi, di indignarsi, in quel freddo, gelido, lungo inverno. Del resto nella lettera di Cioni a Nigris, datata 22 febbraio 1945, il Cioni sostiene che vi fosse “la spia solita della Val Pesarina (ex partigiano dicesi che mandava il cavallo)” citazione da: Laura Matelda Puppini, Caro amico ti scrivo … in: Storia Contemporanea in Friuli, n.44, p.239. Pertanto vi era sicuramente una spia nota in val Pesarina. Non credo francamente che costui fosse don Soravito. Di più non so. Vedrò se leggendo le informazioni recuperate e pubblicate da Giulio Del Bon si trova qualcosa.
E’ evidente che il mio riferimento non è diretto al Parroco “ad personam”. Come è più che logico che spie albergassero un po’ ovunque. La Val Pesarina è nota per le sue tradizioni anarchiche, socialiste, geneticamente antifasciste e, ovviamente, antinaziste. Infatti, la base di Nembo rimase in loco per lungo tempo indisturbata… Sino a quando, e mi ripeto, avvenne, sottolineo, “l’ultima, insulsa bravata dei partigiani”, gravida di potenziali, tragiche conseguenze. A rappresaglia in corso, e ormai prossimo il tragico epilogo, il Parroco Soravito, a suo rischio e pericolo, dialogò a lungo con il Comandante cosacco, finché non lo trasse alla ragione, ottenendo la salvezza dei condannati. E’ più che naturale pensare che si trattò di uno scambio: la vita di tanti uomini innocenti (altri avevano già pagato, e gli orfani ne porteranno il peso per tutta la vita), in cambio di quella degli “Intrepidi Eroi, assassini di Natale”. E i fatti dei giorni successivi furono la logica, ineluttabile conseguenza.
Il Parroco prese sulle spalle tutto il suo gregge, senza distinzioni, e agì secondo coscienza.
Dico con forza che è ora di finirla di difendere l’indifendibile. La Resistenza ebbe nobili paladini e ideali, e come tale ne vanno onorati la Memoria e gli intenti. Fu allo stesso tempo ricetto di irresponsabili esaltati, a volte peggio, e con altrettanta lucidità bisogna guardare in faccia la realtà e formulare i giusti distinguo.
Alla fine, hanno pagato vittime (senza processo) e assassini. Quasi tutti, una volta tanto. Paolo Strazzolini
Giulio Del Bon dice che la spia che condusse i cosacchi a Plan dal Bec si chiamava Giuseppe Melotti. (Giulio Del Bon, 1943-1945. Vicende di guerra, ed. Associazione Culturale Elio cav. Cortolezzis, 2018, p.241). La fonte pare sia il diario del parroco don Soravito.(Ivi, p. 242). Scrivo ‘pare’ perchè non si comprende se la fonte segnata nella nota 72 sia da ascriversi a tutta la descrizione dell’evento o no.
‘Strage di Natale’? Appare logico che il parroco? Boh … Non capisco la logica e men che meno a cosa tu ti riferisca.
Beh, è noto a tutti (i Carnici cultori della materia) che a Pesariis si rischiò grosso in occasione del Natale ’44 per l’incombere di una pesante rappresaglia cosacca ai danni dei paesani. La “strage di Natale” fu all’origine della rappresaglia, che fu evitata, per fortuna. Per questo, fu fatto voto alla Madonna, tradizione che si reitera proprio in occasione del ferragosto.
Il Parroco fece di tutto, ed ebbe successo (con l’aiuto della Vergine, ipse dixit), per evitare la vendetta cosacca: a me pare del tutto logico. A te no?
Fonte per la strage di Natale che strage non fu, ma solo ipotizzata? Se si scrive che vi fu una strage vi fu, non sarebbe potuta esserci, Paolo. Non capisco poi cosa c’entri Natale con la Madonna di agosto. In Carnia la festa della Madonna di agosto, era ed è festa grande in molti paesi, da Sauris a Tolmezzo. Devi poi sapere, che Liliana Ferrari, docente universitaria che non credo proprio sia comunista, ma semmai era, quando la conobbi, se non erro di Comunione e Liberazione, scrive che i diari dei parroci vennero spesso scritti a posteriori, a guerra finita, e si devono prendere con le pinze come fonte. Pertanto se la fonte per una ipotetica strage è solo don Soravito, e non vi è altra fonte… fai un po’ tu. Inoltre i partigiani stavano nascosti in quell’ inverno, ed alti rispetto ai paesi, perchè erano senza armi e a Natale vi era già stato il proclama Alexander. Alcuni capi, ma credo tre o quattro, invece, si riunirono il 13 dicembre 1944 in casa Fabian, che venne, il 14, circondata dai cosacchi e data alle fiamme. Nel corso dell’azione furono catturatati Vittorio Pezzetta ed il giovane figlio di Osvaldo detto Aldo Fabian, Vero, e il cognato del Fabian, Giacomo Solari, che furono poi deportati in un lager, e vennero uccisi il commissario politico Pietro Roiatti, ‘Gracco’, il padrone dello stavolo accanto a casa Fabian: Giacomo Casali, e Vero Clauter. Vero Fabian e Giacomo Solari morirono in prigionia mentre Pezzetta riuscì a ritornare vivo a casa. Questa strage è documentata. Inoltre di questa ipotetica strage, che non avvenne, non si fa menzione nel verbale del Cln Val di Gorto del 5 gennaio 1944, riportato in: http://www.carnialibera1944.it/partigiani/gracco.htm, ove si legge:” La riunione avviene nella sala consiliare del Municipio alle ore 10. Sono presenti: il Sindaco Mecchia Domenico; la Giunta Popolare al completo; il Presidente del C.L.N. Fabian Aldo ed il Segretario B. Ciullini. Presiede la riunione il Sindaco il quale si intrattiene sottolineando la gravità della situazione alimentare, comprese le medicine, nel comune e la mancanza di pane e di qualsiasi genere alimentare: le famiglie sono ridotte spesso a sfamarsi solo con poche patate. Spiega che per rappresaglia e ragioni militari la Carnia ospita forzatamente nelle sue case circa trentamila cosacchi i quali in gran parte si sono insediati nelle famiglie, facendo da padroni e consumando le poche risorse alimentari esistenti, mettendo mano al bestiame. Le strade bloccate ovunque; il coprifuoco in vigore dalle cinque di sera alle otto del mattino…La situazione così drammatica deve aver fine al più presto!
Il membro della giunta popolare il cristiano sociale Roi Leonardo fa presente che una personalità militare e politica della quale non può fare il nome gli ha assicurato e promesso che a Prato Carnico, come già avrebbe fatto a Paularo e Timau, costituendo regolarmente un Corpo di Volontari Armati, scegliendo tutti gli uomini validi dai 18 ai 45 anni, sotto il controllo delle autorità tedesche, la fornitura di generi alimentari verrebbe subito ripristinata attraverso il normale tesseramento: la vallata potrebbe tornare così tranquilla.
La discussione si fa subito generale ed animatissima. Il Sindaco e Cleva Giovanni Vora si dichiarano d’accordo con la proposta di Roia.
Interviene nella discussione il rappresentante del C.L.N. Aldo Fabian il quale dichiara quanto segue chiedendo trascrizione fedele a verbale: “Sono pochi giorni che la mia casa è stata bruciata e completamente distrutta; mio figlio Vero è stato deportato, il tutto ad opera dei fascisti e dei tedeschi accompagnati dall’orda dei cosacchi ai quali sono state prpmesse le nostre terre. Mi rendo conto che l’ora che stiamo attraversando è molto grave ma dichiaro che con i tedeschi ed i nostri nemici non si può trattare o scendere al benché minimo compromesso. Sarbbe una ignominia ed una viltà imperdonabili per questo Comune che è sempre stato all’avanguardia delle lotte contro il fascismo.
Piuttosto che lasciare ai nostri figli il ricordo di un’onta così vergognosa preferirei morire cento volte assieme a tutta la mia famiglia.”
A seguito di queste dichiarazioni alcuni intervengono esprimendo estrema perplessità.
«Tuttavia la maggioranza dà incarico al Sindaco ed al Vora di informarsi meglio circa la proposta tedesca. La seduta viene tolta”.
Cara Laura, la strage di Natale, il vile assassinio/esecuzione dei fratelli Cleva ci fu eccome a Pesariis. In paese la ricordano/tramandano tutti. E campeggia su moltissimi testi e memoriali! E’ ricordata anche da un capitello posto dagli abitanti del paese nel punto del ritrovamento/uccisione e da allora, ogni 5 anni a ferragosto, con una solenne processione, l’ultima l’anno scorso, si rievoca e si rammenta ai posteri lo scampato pericolo. Ebbe a dire a riguardo in anni recenti il compianto Nemo Gonano, testimone oculare diretto dei fatti di cui si parla: “… Torniamo alla vita, alle nostre case, ai nostri cari. Ringraziamo il cielo e il nostro pensiero si rivolge direttamente a Maria e al Voto a lei fatto. Siamo certi che la nostra preghiera è stata esaudita…”.
Quanto alla politica/ideologia, che chiami in causa, non concerne la mia analisi. Qui si discorre di un delitto inutile e di una rappresaglia terribile scampata fortunosamente. Ma forse non a caso. Di una Giustizia, inesorabile, che ne seguì.
Come puoi ben rileggere, non mi pare di aver fatto alcun riferimento a diari parrocchiali: lo hai fatto tu, mi pare. E bene dice, a riguardo, Liliana Ferrari.
Per il resto, hai impartito l’ennesima lezione sulla storia resistenziale in Carnia (repetita iuvant?): ma io discorro di altro e su tale resto.
Paolo Strazzolini
In sintesi, Paolo, i cosacchi avevano già ucciso, catturato, bruciato casa Fabian, e quella si può chiamare una carneficina, una strage, e non si sa perchè avrebbero dovuto spaventare tutta la popolazione quando sapevano chi aveva ospitato capi partigiani e lo avevano punito in modo spaventoso. Vero Fabian, che non credo fosse partigiano combattente, e forse aiutava sul terreno suo padre, venne catturato perchè, pare, si precipitò per cercare di proteggere la madre, ed aveva 16 anni quando venne internato per poi morire, il povero Casali andò a protestare per il suo stavolo e fu ammazzato anche se non era partigiano, e via dicendo.
Che i Cleva Albino ed Albina siano stati uccisi dai partigiani prima di Natale credo lo sappiano tutti e da tempo. I loro nomi sono riportati sul volume AA.VV. – Caduti, Dispersi e Vittime civili dei Comuni della Regione Friuli-Venezia Giulia nella seconda guerra mondiale, per la provincia di Udine, IFSML, 1987-1992, come uccisi dai partigiani. Ma perchè questi scesero dai monti per ucciderli? Ci sarà stato un motivo e non era certo quello che Albino era un interprete dei tedeschi. Invece stupiscono alcune date di accadimenti: 14 dicembre 1944 – Pieria di Prato Carnico: uccisioni e deportazioni nei pressi di casa Fabian, da parte dei cosacchi, che irrompono nell’abitazione, dove si trovava Pietro Roiatti, Gracco, commissario garibaldino, ucciso pure lui, ed incendiano la casa ed il fienile di Giacomo Casali, ucciso pure lui.
23 dicembre 1944 – giusto il tempo, in ipotesi di informarsi su chi potesse aver fatto una spiata: uccisione dei fratelli Cleva, ma il figlio di Albino non viene toccato nè la casa bruciata, il che pare un ‘andare a colpo sicuro’ con ben altra logica di quella cosacca e nazifascista. Ma per carità, la possibilità che vi sia stato un legame fra i due episodi è solo un’ipotesi in base alle date ed al fatto che i partigiani non uccidevano per nulla, e sapendo che Albina covava nel cuore, come ogni madre, il dolore per l’uccisione del figlio e magari odio e rancore.
9 gennaio 1945: una spia, il cui nome pare venga fatto da don Soravito, accompagna alla base di Plan dal Bec i cosacchi, che uccidono, catturano, e da che si sa, poi, torturano. Pura coincidenza? Chi faceva la spia era segnalato anche dagli alleati attraverso i bollettini Cinpro, come nemico, e chi era segnalato veniva ucciso dopo processo ma forse anche senza, perchè non si finiva sui bollettini Cinpro per nulla. Era tempo di guerra. Inoltre Gracco era conosciuto in val Pesarina ai tempi della zona libera e così probabilmente Pezzetta/Dimitri, e del Fabian si conosceva il colore politico. E Osvaldo Fabian non fu mai in montagna, ma sempre sul terreno, e fu forse mantenuto vivo per farlo soffrire per la cattura del figlio, del cognato e della perdita della casa con fienile, e perchè vivesse tutta l’umiliazione di ‘ te la sei cercata’, come si usava allora, come si usa ancora. Qualcuno attese il momento giusto, informò e aspettò …. perchè vendetta fosse fatta. Non so se questa ipotetica ricostruzione dei fatti sia vera, perchè il dopoguerra cambiò contesti e fatti anche attraverso testimonianze orali, che ricordavano, che non ricordavano, che ricordavano vissuti emotivi, intrisi magari di pensiero ideologico anticomunista e cattolico/fascista, di sentito dire .. . di scuse e scusanti. Ma una cosa si sa: che allora Lizzero non era in val Pesarina, ma, ammalato nell’ ampezzano. Senza voler offendere alcuno.
Che vi sia stata una motivazione per l’uccisione da parte dei partigiani dei fratelli Cleva ne sono convinto, quanto che non raramente tali esecuzioni sommarie si siano verificate per futili motivi, invidie, rancori e vendette personali, razzie e rapine.
Che, ed eventualmente quanto, Albino fosse stato “interprete per i Tedeschi”, mi pare sia tutto da dimostrare. A Pesariis, nel periodo, non v’era un presidio tedesco/fascista/cosacco stabile (vi sarà solo successivamente ai fatti di Natale), e quindi non posso immaginare quali contatti l’Albino potesse in effetti intrattenere con gli occupanti. Ma forse tu lo sai, e ardi dalla voglia di raccontarcelo… Nel periodo, e fino a dicembre, la Carnia era sotto totale controllo partigiano e, nonostante ciò, nessuno gli mosse accuse o torse un capello.
Albina era minacciata e ricercata a morte dai partigiani fin da subito dopo l’uccisione del figlio (aprile ’44). Per tale ragione, terrorizzata, era stata costretta a vivere alla macchia, avvalendosi del sostegno logistico dei compaesani (e non mi risulta che a Pesariis si desse appoggio alle spie…) e, grazie alla sua conoscenza del territorio, per tutta la buona stagione riuscì a sfuggire alla cattura. Solo con l’avvento dell’inverno si vide costretta a rientrare di nascosto in paese e trovò rifugio presso una famiglia: qui si che grazie a una lucrata delazione, venne scoperta e prelevata.
Già, i figlioli minori e la casa furono risparmiati: ma che significa ciò? Avvenne tutto nel perfetto stile partigiano: di cosa si sarebbero potuti accusare due ragazzi? E la casa, costruita a ridosso di mille altre, sarebbe stata incendiabile senza conseguenze terze?
Associare i fratelli Cleva all’azione contro Gracco e Fabian è una pura illazione. Come pure associare il ruolo di Giuseppe Melotti, diciottenne, alla spiata che portò alla rappresaglia di Plan dal Bec: tutto il paese sapeva che egli fu costretto, sotto la minaccia delle armi, a condurre i Cosacchi là dove essi già bene sapevano, informati su chi e dove trovare. E non penso proprio che il suo nome, o altri, sia potuto uscire da labbra o penna di Don Soravito: era contrario al suo stile e anche al suo ministero. Più credibile che, come ho già ipotizzato, abbia mediato, per la salvezza degli ostaggi Pesarini lo scambio con l’indicazione della base partigiana. Per coprire tutto, poi, la favola del pennacchio di fumo con cui ho esordito. E sono contento di aver incontrato il parere concorde autorevole di Ciro Nigris.
Quanto al CINPRO, certo che “non si finiva sui bollettini per nulla”. Capitò spesso che la fonte delle denunce fosse arbitraria, sulla semplice parola di qualcuno, che poi le eliminazioni fossero condotte senza che le accuse mosse fossero verificate. In ogni caso, ti sfido a trovare traccia dei Cleva/Puntel su qualsiasi Bollettino…
Infine, Lizzero. Per quanto la sua storia debba ancora in buona misura essere raccontata, non vedo proprio perchè tirarlo in ballo nella circostanza in discussione.. Paolo Strazzolini