Prima di Natale Claudio Bearzi, medico carnico in pensione originario di Forni di Sotto, mi ha inviato un suo testo ove egli narra la sua esperienza come volontario in Perù. Mi è parsa interessante, ma ho atteso per pubblicarla qui che prima venisse riportata sul Bollettino parrocchiale del paese. Laura Matelda Puppini.

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Claudio Bearzi. “Li voglio tutti”. Alcune considerazioni a margine di una esperienza di volontariato in Sud America.

Lo scorso mese di settembre ho partecipato a una esperienza di volontariato promossa dalla Associazione “Ascoltiamo le voci che chiamano”. Assieme a tre compagni ho contribuito a realizzare un programma di solidarietà che prevedeva la sostituzione del tetto della scuola materna di un villaggio andino del Perù.

Sono numerose le suggestioni che mi sono portato a casa. In questo scritto intendo parlare della scandalosa ingiustizia che separa le condizioni di vita dei bambini occidentali rispetto a quelli che nascono e crescono nel sud del mondo.

Provo un sentimento di insofferenza mista a sconforto quando assisto alle immagini e ai dialoghi che accompagnano la recente campagna pubblicitaria di una azienda italiana produttrice di budini. L’esca utilizzata dagli esperti per catturare l’attenzione dei potenziali acquirenti si nasconde nella scena iniziale del messaggio pubblicitario, quella ambientata nelle corsie di un supermercato. Sotto la pressione esercitata dallo spot, lo spettatore rimane impigliato in una ragnatela di rimandi affettivi innescati dal meccanismo psicologico dell’identificazione.

Foto da https://friulisera.it/pensionati-fvg-volontari-friulani-in-peru-per-riparare-una-scuola-sulle-ande/. 

Il genitore-cliente si immedesima con il personaggio della madre e condivide con lei le esperienze dell’apprensione e del sollievo provocate dal momentaneo allontanamento e dal successivo ritrovamento della bimba. Dieci secondi, non di più. Sufficienti però ad ancorare l’attenzione di chi si rispecchia, ieri bambino e oggi adulto, nell’intreccio di emozioni e ricordi che la relazione genitore-figlio evoca in ognuno di noi. E fin qui tutto bene.

La polpetta avvelenata viene servita nella seconda parte del messaggio pubblicitario. Sta in quel “Tutti” in risposta alla domanda “E quali vorresti?”. Sta nello sguardo fisso di Anna rivolto all’espositore dei budini e nel tono della sua voce più orientato all’intimazione che alla richiesta.
Sta nell’espressione compiaciuta della madre pronta ad assecondare in modo servile le pretese della figlia. Sta nel soddisfacimento immediato del capriccio, nella mercificazione del desiderio, nella rincorsa – qui e ora – della sazietà e della negazione del limite.

Il messaggio contenuto nello spot rispecchia, esplicita e convalida la deriva sociologica e culturale cui è andato incontro il mondo occidentale sotto la regia di un benessere governato dal modello di sviluppo economico fondato sul consumismo. Il vuoto lasciato dall’abdicazione della figura simbolica (Dio e Stato) e reale (famiglia tradizionale) del “vecchio padre” – giustamente contestata dalla rivoluzione culturale del ’68 – è stato colmato dalla seduttiva tirannia del mercato e non da una nuova figura genitoriale autorevole e non autoritaria, partecipe e non formale. Una figura idonea a contenere la spinta egocentrica e onnipotente dell’individuo-bambino e capace di rappresentare e trasmettere il senso della misura, della regola, del riconoscimento e del rispetto dell’esistenza dell’altro. Un padre reale e simbolico in grado di educare all’esperienza formativa del limite inteso come laica e responsabile esplorazione del possibile.

Consumismo. Un centro commerciale. Da: https://losbuffo.com/2015/09/07/se-lo-shopping-e-un-rituale-il-consumismo-e-una-religione/

Bauman e la scuola di Francoforte (ma anche Pasolini e, più recentemente, Galimberti e Recalcati sul versante psicologico e filosofico) individuano nella conversione in senso neoliberale del capitalismo la causa della mutazione antropologica cui è andata incontro la società occidentale nel corso degli ultimi cinquant’anni. L’illusione che tutto abbia un prezzo, che persino la felicità e la libertà siano una merce acquistabile al mercato, ha trasformato il sapiens in “homo consumens” e i cittadini in un esercito di clienti. L’imperativo sociale e familiare del devi, ha lasciato campo libero alla cultura e all’imperativo del compra e godi.

Il capriccio ha cancellato il desiderio. Il tutto e subito ha sostituito il possibile spalancando le porte all’edonismo, all’abitudine dell’usa e getta, al cieco sfruttamento dell’ambiente, al culto morboso dell’immagine e della apparenza, alla ricerca ossessiva della forma fisica e del ritocco chirurgico, all’abbattimento delle barriere generazionali indotto da una penosa competizione giovanilistica, alla rincorsa solitaria della performance, all’esibizione del successo, alla diffusione del linguaggio e del pensiero binario, all’analfabetismo “di andata“ e di ritorno, alla ignoranza e alla spocchia travestite da
negazionismo, all’affermazione dell’io sul noi e del noi sugli altri.

Dovessimo dare ascolto agli esperti del settore, esiste una correlazione tra il radicamento del modello economico consumista, la crisi delle relazioni familiari e sociali e il significativo incremento dell’incidenza del disagio psichico infantile e adolescenziale nel mondo occidentale. Per quanto l’interpretazione del fenomeno risulti ancor più complessa, negli ultimi decenni anche in Italia abbiamo assistito a un preoccupante aumento delle patologie depressive, delle dipendenze, dei disturbi di personalità e del comportamento alimentare nella fascia d’età giovanile.

Il benessere economico delle popolazioni che vivono a nord dell’equatore ha generato il paradosso del malessere psico-sociale nelle generazioni figlie di chi, al nord, tale benessere ha concorso a realizzarlo (in verità, pure in questa parte di mondo le disuguaglianze, oltre che macroscopiche, sono in aumento). Un benessere, tra l’altro, realizzato lucrando sulle risorse e sulle genti del terzo mondo depredato per secoli dal vecchio e dal neocolonialismo.

Bambini peruviani. Da:https://www.compassion.it/blog/peru-toccante-lettera-sostenitori-miei-figli.

Mentre i nostri figli rincorrono una identità e dei valori che le società occidentali barattano con il possesso e l’apparenza, esistono al mondo milioni di bambini che non hanno di che mangiare, che muoiono di stenti, di malnutrizione o, come accade in questi giorni, di bombe fabbricate e vendute dalle industrie che generano profitti a nord dell’equatore.

Sono queste le considerazioni che mi hanno accompagnato durante l’esperienza di volontariato in un villaggio sugli altipiani andini del Perù dove la condizione dei bambini non è disperata, dove non si muore di fame, dove una dignitosa povertà sta sostituendo una antica miseria. Dove, però, sono scarse le opportunità di crescita e realizzazione per chi nasce, cresce e vive in quei luoghi: la scolarizzazione e la dispersione scolastica sono tra le più critiche del sud America, l’alimentazione è deficitaria dal punto di vista nutrizionale, i servizi sanitari sono distanti chilometri di strada sterrata.

Dove le case, costruite mescolando fieno e fango, sono dei monolocali con il pavimento in terra battuta sopra al quale arde un fuoco nutrito dalla torba e da qualche ramo secco raccolto a valle perché lassù il clima impedisce agli alberi di crescere. Neppure l’allevamento dei bovini, con la catena alimentare ad essi collegata, ha attecchito sugli altipiani in quanto la scarsa qualità del foraggio viene digerita solo dai lama e dagli alpaca. Il villaggio è stato raggiunto dall’energia elettrica solo da pochi anni mentre l’acqua scarseggia e non è potabile.

E’ in queste terre che i trafficanti di bambine, promettendo alle famiglie denaro e un futuro per le loro figlie, attingono il materiale umano da riciclare come “serve” in città o “inservienti” nelle miniere gestite dalle multinazionali nordamericane nella Amazzonia peruviana. Nell’uno e nell’altro caso una vera e propria tratta di minori che esita spesso nella prostituzione.

Ragazzette peruviane. Da: https://www.facebook.com/Ascoltiamolevoci/

A Perccajccata, così si chiama quel villaggio andino posto a 4300 metri sul livello del mare, vivono non più di trecento anime e, in proporzione, i bambini sono tanti: chiassosi, colorati, curiosi. Li abbiamo avuti tra i piedi durante tutto il mese trascorso in loro compagnia.
Sapevano che io, Giorgio, Alvino e Antonino eravamo lì per sostituire il tetto della loro scuola materna oramai ridotto a un colabrodo. Mangiavamo tutti assieme alla “mensa scolastica”: a rotazione le madri degli alunni accendevano un falò all’aperto sopra al quale bolliva per ore un pentolone d’acqua riempito di patate, legumi di varia natura e brandelli di pollo e porcellino d’india. Nonostante Alvino chiedesse sempre il bis, io devo ammettere che terminavo a stento la mia porzione.
In quei giorni ho ripensato alla pubblicità di Anna e al suo “Tutti” davanti all’espositore dei budini.
Per non inciampare nella retorica e nel moralismo, consegno alla descrizione di tre scene di vita quotidiana la denuncia delle responsabilità che pesano su chi, come me, ha goduto delle opportunità offerte dal caso di nascere e vivere a nord dell’equatore.

Gruppo di volontari a Perccajccata, 11 ottobre 2023. Da: https://www.facebook.com/photo/?fbid=724649559703136&set=pcb.724650106369748

Prima scena: Per sopperire alle carenze organolettiche della dieta propinata dalla mensa scolastica, dopo la prima settimana di lavoro ci siamo premurati di acquistare nella città di Cusco del cibo più consono alle nostre abitudini alimentari: frutta, pane, formaggio, salame da affiancare al piatto di minestra d’ordinanza.
Seduti a terra nel cortile della scuola, stavamo pranzando con i bimbi e la maestra Cristina quando abbiamo estratto dallo zaino le nostre provviste. Come san Sebastiano sul patibolo, ci siamo sentiti trafitti dagli sguardi increduli dei niños. Avevano smesso di parlare ma l’espressione dei loro volti era più eloquente di qualsiasi argomentazione.
Va da sé che le nostre quattro banane siano state tagliate in dodici parti, una a testa. Il pane veniva da loro trattato come una merce rara mentre il salame non l’avevano mai visto. I più coraggiosi lo hanno
prima annusato e poi assaggiato decretando il via libera al resto del gruppo. Da allora il rifornimento settimanale a Cusco veniva pianificato calcolando la presenza di dodici e non quattro commensali.

Un giorno Briyan (5 anni) mi ha chiesto di cosa andavo ghiotto quando ero piccolo come lui. Gli ho risposto che mi piaceva la Nutella e il suo volto si è illuminato facendomi intendere che l’aveva assaggiata. Terminati i lavori del tetto, al momento dei saluti Briyan mi ha preso da parte e, allungandomi la moneta di un Soles (25 centesimi di euro), mi ha chiesto di non scordare di portargli dall’Italia una confezione di Nutella il prossimo anno.

Moneta peruviana. Da: https://www.lamoneta.it/topic/201120-1-sol-e-la-nuova-unit%C3%A0-monetaria-peruviana/.

Seconda scena: La nostra Associazione disponeva di una somma di denaro riservata all’acquisto di alcuni giocattoli da regalare ai bambini della scuola materna di Perccajccata.
Prima di passare in un negozio in città, ci siamo consultati con le mamme e la maestra chiedendo loro dei consigli. Ci hanno pregato di comperare scarpe e indumenti (diversi bimbi indossano dei sandali che lasciano scoperte le dita dei piedi; la suola viene ricavata dal riciclo degli pneumatici consunti).
Abbiamo soddisfatto le richieste degli adulti ma non ce la siamo sentita di rinunciare all’acquisto di qualche pallone.

Bambini di Perccajccata. Da: https://www.facebook.com/Ascoltiamolevoci/photos/a.921243124577488/2672872592747857/. Particolare da un biglietto di auguri natalizio.

Terza scena: durante la permanenza in quota mi è capitato di adoperare alcuni ferri del mio mestiere: lo sfingomanometro, lo stetoscopio, il saturimetro (nei primi giorni lo strumento misurava una saturazione dell’emoglobina leggermente inferiore al valore di 80!). Su proposta della maestra Cristina, avevo anche fatto auscultare ai bimbi il battito del loro corazòn. Sparsa la voce, un pomeriggio la mamma di Korina (4 anni) mi ha cercato pregandomi di visitare sua figlia che piangeva a causa di una temperatura elevata e di un forte dolore alla gola.
Tutto faceva pensare a una faringite virale e per tale motivo ho somministrato alla bimba una dose di paracetamolo consigliando una seconda assunzione alla sera. Il mattino successivo la mamma di Korina e una sua amica sono venute a cercarmi e a ringraziarmi perché quella magica pastiglia aveva risolto il malanno. Dopo di che, con imbarazzo, mi hanno chiesto una piccola scorta di quel portentoso medicinale a loro sconosciuto.

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“Quando porto sollievo alla fame dei poveri, mi dicono che sono un santo. Quando chiedo il perché della fame dei poveri, mi accusano di essere comunista” Hélder Pessoa Câmara, già arcivescovo di Recife”»

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Nota 1 . L’Associazione “Ascoltiamo le voci che chiamano” (www.ascoltiamolevoci.it) ha sede a Feletto Umberto e da una ventina d’anni collabora con il centro “Yanapanakusun” – in lingua quechua: “aiutiamoci” – (www.yanapanakudun.org) che ha sede nella città di Cusco in Perù.

Claudio Bearzi».

L’immagine che accompagna l’articolo è una di quelle che si trovano al suo interno. Laura Matelda Puppini

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