In questi mesi a cavallo tra 2020 e 2021 si è costituito un gruppo di lavoro sul tema del rinnovo delle grandi derivazioni a scopo idroelettrico, chiamato Coordinamento per il grande Idroelettrico dell’arco alpino, a cui aderiscono pure i Comitati Valtellina, Valmeduna e Difesa Acque del Tagliamento di Barazzutti, che ne sono stati fra i fondatori.  In detto Coordinamento sono presenti  7 regioni dell’arco alpino: Valle d’Aosta, Piemonte, Lombardia, Veneto, Friuli Veenzia Giulia e le 2 province autonome di Trento e di Bolzano, oltre comitati territoriali,  associazioni ambientaliste e culturali, forze politiche trasversali (consiglieri Regionali e provinciali, qualche deputato, sindacati, cittadini).
Queste righe e i due documenti qui pubblicati, mi provengono da Fabia Tomasino, che ringrazio anche per il suo impegno.

Il Coordinamento per il grande Idroelettrico si dota di un documento programmatico.

«Il coordinamento di comitati, associazioni e liberi cittadini di tutto l’arco alpino costituito sul tema del rinnovo delle grandi derivazioni a scopo idroelettrico si è dotato di un documento programmatico.

Un lavoro di sintesi, frutto del confronto produttivo di tutte le varie anime del coordinamento che vuole mettere in evidenza le opportunità, i rischi, gli auspici, i percorsi più utili e trasparenti legati al rinnovo delle concessioni idroelettriche in buona parte scadute o in scadenza prossima.
Un settore che rappresenta il 40% della energia rinnovabile prodotta a livello nazionale e che muove interessi notevoli. Significativi sono poi gli impatti ambientali e sociali sui territori sedi di impianto. Con il rinnovo delle concessioni è necessario ragionare su un uso sostenibile della risorsa acqua, la compatibilità con gli usi plurimi della risorsa idrica (civile, agricola, industriale, turistica), il mantenimento della flora, della fauna e dell’ambiente fluviale.

L’apertura del mercato e la previsione dei rinnovi risale al D. Lgs. del 16 marzo 1999, n. 79 (c.d. “decreto Bersani”). Da allora poco è stato fatto di concreto, le concessioni scadute non sono state rinnovate e gli operatori continuano a turbinare in prosecuzione temporanea. Il tutto lasciando sempre meno investimenti, interventi di manutenzione ed efficientamento e riducendo la forza lavoro impiegata. Un processo che va avanti da almeno 20 anni.

Con il decreto sulla regionalizzazione delle competenze sul tema (LEGGE 11 febbraio 2019, n. 12) si è riaperto il dibattito e la possibilità di riassegnare le concessioni nei prossimi anni. Come coordinamento siamo interessati a dare il nostro contributo, a vigilare sullo sviluppo delle varie leggi, esprimendo le esigenze dei territori e facendo proposte concrete. È possibile riscrivere le condizioni per il settore idroelettrico e garantire un nuovo patto territoriale con le comunità di montagna in particolare sulle quali insistono gli impianti. Il documento affronta per capitoli le questioni più significative: il rispetto e la tutela dell’ambiente, le regole per i concessionari ed il rispetto delle normative comunitarie e nazionali, la sicurezza degli impianti e dei territori, la questione del lavoro qualificato e impatto sociale, le compensazioni territoriali, il ruolo dei controllori e la trasparenza delle gestioni. Particolare attenzione è stata rivolata al tema ambientale, alla sicurezza di impianti che hanno più di 70 anni e all’impatto sul lavoro.

Un lavoro sintetico ma significativo, che parte dai cittadini attivi e vuole essere di sprone a legislatori, amministratori e politici. La speranza è che ci sia veramente la volontà a tutti i livelli di lavorare in modo trasparente e coordinato per andare al rinnovo delle concessioni in tempi ragionevoli e nell’interesse della cittadinanza e dei territori che subiscono gli impatti dello sfruttamento. Il tempo delle promesse è passato, abbiamo bisogno di risultati concreti.

Coordinamento grande idroelettrico dell’arco alpino».

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Il documento sul rinnovo delle concessioni di grande derivazione idroelettrica. 

Premessa.

Il tema del rinnovo delle concessioni è complesso e di grande interesse per l’Italia, l’Europa e per i territori sede di impianti.
L’energia idroelettrica fornita dai grandi impianti è anche oggi una risorsa fondamentale per il nostro sistema energetico perché combina la sua natura rinnovabile con una flessibilità nella produzione non programmabile delle altre fonti rinnovabili e degli impianti idroelettrici ad acqua fluente che dipendono dalle condizioni metereologiche. In Italia l’energia idroelettrica rappresenta più del 40% delle fonti rinnovabili con 45mila GWh prodotti annualmente.
Lo sfruttamento idroelettrico non investe solo i temi dell’energia e della concorrenza, ma anche quelli altrettanto rilevanti dell’ambiente e del governo del territorio.

La produzione idroelettrica coinvolge la storia locale di molti territori con le prime installazioni che hanno più di un secolo di vita. Una rivoluzione industriale per territori spesso marginali e di montagna, una svolta per l’occupazione e lo sviluppo nei primi periodi. Di contro una forma di colonizzazione e limiti a sviluppi diversi.
Bisogna poi considerare le ripercussioni ambientali, l’impatto sul territorio con le dighe, i canali, le centrali e gli elettrodotti, la compatibilità con gli usi plurimi della risorsa idrica (civile, agricola, industriale, turistica), il mantenimento della flora, della fauna e dell’ambiente fluviale.

Negli anni inoltre gli investimenti dei concessionari su infrastrutture e manutenzioni, sui risanamenti ambientali e sul lavoro sono venuti meno a vantaggio degli utili delle società. Il D.Lgs. del 16 marzo 1999, n. 79 (c.d. “decreto Bersani”) fissa nuovi principi, ridetermina la scadenza delle concessioni e prevede la riassegnazione delle stesse con procedure ad evidenza pubblica. Un primo passo per la liberalizzazione delle concessioni e un’occasione per riscrivere le regole di gestione.
Nulla è avvenuto di significativo, molte concessioni sono scadute, i rinnovi non sono stati fatti e le aziende continuano a turbinare in regime di prosecuzione temporanea. La politica ha fatto negli anni provvedimenti raffazzonati, proroghe di concessioni incostituzionali, molta propaganda ma pochi fatti rilevanti.

La nuova disciplina sulle concessioni di grandi derivazioni d’acqua ad uso idroelettrico contenuta nella LEGGE 11 febbraio 2019, n. 12 rimette mano alla normativa, riapre il dibattito. Si passa ad una regionalizzazione delle competenze con il trasferimento alle regioni delle opere alla scadenza delle concessioni e con la facoltà delle Regioni di disciplinare con proprie leggi le modalità dei rinnovi. Molte regioni hanno già deliberato, altre lo stanno facendo. Ci sono delle impugnative da parte del governo centrale sulla legittimità di alcune norme e delle posizioni diverse all’interno dei gruppi parlamentari. Intanto il dibattito è stato riaperto e va seguito con attenzione.

Scopo del coordinamento, che raccogliere i soggetti interessati, è vigilare su tutti questi movimenti e stimolare un’azione che porti ad un rinnovo delle concessioni trasparente, che tuteli ambiente e risorsa idrica e che dia ai territori montani oggetto dello sfruttamento tutto ciò che spetta loro per evitarne lo spopolamento.
Il rinnovo deve diventare un’occasione di sviluppo con elementi innovativi rispetto al passato, con ritorni importanti su ambiente, investimenti, occupazione qualificata per non tornare allo schema dello scambio con la sola compensazione economica attuale.

Ci sono degli obiettivi generali validi su tutto il territorio nazionale e delle specificità territoriali che potranno vedere modalità diverse per la riassegnazione delle concessioni.

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Obiettivi ed azioni.

Come comitato siamo interessati a dare il nostro contributo, a vigilare sullo sviluppo delle varie leggi, esprimendo le esigenze dei territori e facendo proposte concrete. E’ necessario che il legislatore, in tutti i vari passaggi, svolga un lavoro trasparente, condiviso e di prospettiva.
L’approvazione delle leggi regionali è solo il primo passo del processo che dovrà portare alla riassegnazione delle concessioni. A ciascuna legge regionale vanno fatti seguire i provvedimenti successivi, l’approvazione dei regolamenti e i bandi di gara. È questa la fase che permette di entrare nel vivo e di dare effettiva applicazione alle leggi per non lasciarle esclusivamente sulla carta come già successo negli ultimi 20 anni.

Ci sono degli elementi qualificanti che non possono mancare nelle leggi e nei regolamenti regionali.

⇒ Il rinnovo delle concessioni deve garantire il rispetto e la tutela dell’ambiente.

⇒ È necessario riconoscere il valore strategico della risorsa acqua per i territori montani in particolare. Un bene primario fondamentale per gli usi civili ed agricoli, per l’ecosistema e il paesaggio, per lo sviluppo del turismo e riserva utile a fronteggiare le crisi idriche generate dai periodi di siccità sempre più evidenti anche alle nostre latitudini.

⇒ Il rinnovo deve prevedere uno sfruttamento rispettoso della risorsa con obblighi e restrizioni ben definiti rispetto alla gestione con previsione di revoca della concessione e sanzioni in caso di non rispetto degli stessi.

⇒ Gli obiettivi minimi di miglioramento e risanamento dei bacini idrografici con la previsione di piani di intervento e manutenzione diffusa dovranno essere chiaramente espressi nei bandi per il rinnovo delle concessioni.

⇒ Far rispettare le normative ambientali vigenti europee, nazionali e regionali ai Concessionari in prossima scadenza, in quanto gli invasi e i tratti di fiumi sottesi da prese e canali sono corpi idrici da tutelare.

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Efficientamento – sicurezza – rispetto ambientale.

Uno dei parametri di valutazione per il rinnovo delle concessioni è il miglioramento dell’efficienza degli impianti al fine di ottimizzare ed aumentare la produzione. Come dichiara la commissione europea “Il potenziale delle risorse idroelettriche in Italia è utilizzato al 95 % circa ed è stato raggiunto il limite massimo di sfruttamento possibile.” Non c’è di fatto margine per la costruzione di altri grandi impianti di produzione idroelettrica.

Nella selezione dei soggetti bisogna privilegiare i progetti industriali di efficientamento della produzione con contestuale miglioramento dell’attuale impatto ambientale che consideri tutte le componenti (le opere di presa, gli invasi, le centrali, i canali, le stazioni di trasformazione, le linee aeree, i depositi di materiale, le strade e le piste, ecc.).

Il degrado delle opere e delle strutture va valutato in modo accurato, la sicurezza non va trascurata. L’età media delle grandi dighe dell’arco alpino supera i 70 anni, e manca un censimento dettagliato di quelle piccole (per Dl 201/2011, per le grandi dighe che hanno superato una vita utile di 50 anni, i Concessionari devono redigere un piano di manutenzione dell’impianto di ritenuta).

Dopo i disastri procurati dalle dighe del Gleno, Molare, Vajont, Pontesei ecc.. si è costituito in Italia un servizio di controllo pubblico prima del (SND) Servizio Nazionale Dighe e poi del (RID) Registro Italiano Dighe, enti statali capaci e competenti ai quali era assicurata autonomia scientifica, tecnica, organizzativa ed operativa e nei compiti ad essi affidati rientravano i controlli sulle dighe, opere complementari e condotte forzate. Con D.L. 262 del 3/10/2006 il servizio è stato di fatto depotenziato per questione di cassa con il passaggio della struttura (La Direzione Generale per le Dighe e le Infrastrutture idriche ed elettriche) sotto il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti.

La Direzione Generale GD del MIT, tutela l’incolumità pubblica, tenendo conto degli aspetti ambientali e di sicurezza idraulica derivanti dalla gestione del sistema (invaso, sbarramento e opere complementari e accessorie) e anche vigila sulle operazioni di controllo e gestione spettanti ai Concessionari. Ci preoccupano i controlli a discrezione dei Concessionari su tutto il sistema idraulico connesso alla diga, la cui miriade i canali, condotte e prese d’acqua spesso sottendono per tanti km il bacino idrografico di pertinenza all’invaso, non tenendo alcun conto della pianificazione prevista nei vari PRTA di assicurare il Bilancio Idrico (art. 95, Dl 15/2006).

Da anni la comunità scientifica discute/propone inutilmente l’estensione di tali controlli/verifiche da parte dell’ente statale. Occorre distinguere le problematiche delle dighe costruite sotto i 1000 msl da quelle sopra i 1000, per individuare meglio quali sono per legge gli adempimenti dei Concessionari relativamente al Progetto di Gestione di ogni singolo invaso che richiede al Concessionario di operare interventi attivi a monte, sul bacino di pertinenza, per prevenire l’introduzione dei sedimenti. Occorre in proposito considerare la funzione di laminazione delle dighe anche in relazione al recupero del volume dell’invaso, anche perché la Direzione Generale GD del MIT concorre alla redazione dei Piani di laminazione. Molti invasi a livello nazionale ad oggi non sono ancora provvisti di Progetto di Gestione o Piano di Gestione, pur essendo obbligatori ormai da diversi anni (2006).

Il tempo e il dissesto idrogeologico operano dei cambiamenti che vanno considerati. Il cambiamento climatico con la numerosità di fenomeni eccezionali aggiungono ulteriore pressione al sistema dei bacini. Fenomeni sempre più intensi, bombe d’acqua, torrenti in piena con elevato trasporto di fango, limo, materiale solido, e piante di varie dimensioni che creano sbarramenti e conseguenze gravissime alle infrastrutture viarie, alle abitazioni, all’incolumità delle persone, per non dimenticare poi dei costi da sostenere per ripristinare la normalità dei luoghi; smottamenti e frane di piccole o grandi superfici sui versanti che vanno a creare i medesimi problemi già accennati. Forse sarebbe meglio cercare di prevenire o mitigare le conseguenze degli eventi metereologici investendo sicuramente cifre minori rispetto al post evento.
Con il rinnovo e grazie alle nuove tecnologie è necessario prevedere la sistemazione, il rifacimento e la messa in sicurezza delle opere esistenti e la dismissione di quelle non più necessarie.

Occorre anche considerare la sicurezza sismica oltre che idraulica e geologica contenute nei vari PAI (Piani di Bacino per l’assetto idrogeologico relativo alle aste su cui sorgono dighe invasi e impianti). Il 6,4% delle grandi dighe ricadono nella zona sismica 1, quella a più alta pericolosità: tutte quelle del FVG, ad esempio, sono in zona 1. Occorre anche considerare il tema della sicurezza delle grandi dighe e degli invasi alla luce del Censimento del Progetto IFFI (inventario dei fenomeni franosi in Italia).

Durante la gestione diventa poi fondamentale che i soggetti dediti al controllo possano operare ed avere le informazioni necessarie per svolgere il loro lavoro, verificare ed intervenire tempestivamente in caso di anomalie e non rispetto degli impegni. Nei bandi bisogna prevedere l’installazione, a carico dei gestori, degli strumenti di controllo e telegestione di opere di presa e rilascio, invasi, condotte e centrali. I dati relativi alla quantità d’acqua derivata, al deflusso minimo vitale rilasciato (DMV) o come chiamato ultimamente “deflusso ecologico (DE)” e sulla produzione idroelettrica dovrebbero essere resi disponibili on line ed in tempo reale alle autorità di controllo, agli enti locali, alle associazioni che si occupano di ambiente e territorio, ai comitati cittadini ed ai portatori di interessi generali che ne fanno richiesta. Questo anche per ottemperare alle normative sugli obblighi di pubblicità e trasparenza delle informazioni.

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Manutenzione del territorio.

Quando nel decreto si parla di risanamento ambientale del bacino idrografico e di misure di compensazione territoriale è necessario prevedere dei meccanismi premianti per la manutenzione diffusa. Le proposte di manutenzione territoriale devono essere allegate al progetto per il rinnovo delle concessioni e contribuire alla valutazione complessiva della proposta assegnando un punteggio maggiore a chi si impegna a garantire maggiori risorse finanziarie, competenze tecniche ed organizzative su progetti concreti.
Sarebbe opportuno, come già proposto in alcune realtà, l’istituzione di un canone ambientale per finanziare le manutenzioni territoriali. Un canone con valore minimo (ipotesi 6 euro per kW di potenza in concessione) da incrementare in fase di offerta. Le somme andranno gestite dagli enti preposti alla manutenzione (Provincia, Comunità Montane o Unioni di Comuni, Consorzi di Comuni).

Il “nuovo gestore” deve impegnarsi a collaborare fattivamente con gli enti locali o loro unioni/consorzi alle pianificazioni progettazioni, realizzazioni e manutenzioni di tutti i corsi d’acqua del bacino idrografico di competenza, oltre a: boschi, alpeggi, maggenghi, versanti, compresi all’interno del bacino idrografico stesso.

La manutenzione è, per definizione, un’attività ordinaria che deve essere svolta con caratteri di continuità ed ordinarietà, che richiede certezza di finanziamenti e continuità nell’erogazione di essi. La manutenzione non si identifica con la realizzazione di opere, bensì con quel tessuto di interventi minuti, ma della massima importanza che oggi sono scomparsi. La manutenzione ordinaria necessita di soggetti presenti e radicati sul territorio e di responsabilità politiche e istituzionali certe. Lo studio dei piani di manutenzione quali strumenti essenziali per la difesa del territorio, sostenibili e con finalità strategiche è oggetto di studi e proposte di enti qualificati.

Il Piano stralcio per l’Assetto Idrogeologico, approvato con D.P.C.M. 24 maggio 2001, promuove la manutenzione del territorio e delle opere di difesa idraulica e idrogeologica, quali elementi essenziali per assicurare il progressivo miglioramento delle condizioni di sicurezza e della qualità ambientale e paesaggistica del territorio (cfr. art. 14, comma 1, delle Norme di Attuazione).

Un esempio concreto, trasferibile su tutto il territorio della provincia di Sondrio e adattabile agli altri territori montani nazionali di tale approccio è il progetto Manumont (Progetto MANUMONT- Piano direttore per la manutenzione del territorio collinare e montano: intende dare attuazione agli indirizzi contenuti nel PAI e promuovere la manutenzione del territorio) che coinvolge l’Autorità di bacino del fiume Po, UNCEM, le Comunità montane Valchiavenna (SO), Valle Ossola (VB), Valli del Nure e dell’Arda (PC), Valli Stura e Orba (GE), del Baldo (VR) e Appennino Parma Est. Protocolli d’intesa sottoscritti a maggio 2005 e ottobre 2006, ultimo aggiornamento per la Valchiavenna è datato 2008, mai finanziato. Il piano è del tutto attuale, a maggior ragione proprio per gli eventi calamitosi che si susseguono frequentemente.

Un aiuto importante per migliorare la parte progettuale sarebbe l’impiego delle ultime tecnologie di rilevazione morfologica di tutto il territorio per avere un ottimo punto di partenza, tecnologie costose ma necessarie.
Sarebbe utile che le manutenzioni diffuse, sistematiche e programmate come ben sviluppate e approfondite nell’esempio del piano riportato sopra fossero assegnate ad aziende locali: per assicurare un intervento tempestivo, per garantire un intervento continuativo nel tempo, creare ricchezza e competenza tra chi vive e presidia tutto l’anno il delicato territorio montano che ci circonda.

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Compensazioni territoriali.

Le misure di compensazione ambientale e territoriale sono di fondamentale importanza per riscrivere la storia dello sfruttamento idroelettrico e garantire un nuovo patto territoriale con le comunità di montagna sulle quali insistono gli impianti.

È quindi giusto pretendere un’attenzione importante per i territori montani e una richiesta di ascolto delle nostre esigenze al legislatore nella scrittura e nei contenuti della nuova legge sulle concessioni idroelettriche, sui regolamenti e sui bandi di assegnazione:

⇒ Agli enti locali, i comuni gravati dagli impianti e dalle opere di derivazione in particolare, vanno assicurati per intero i proventi dei canoni (quota fissa e variabile) e sovracanoni previsti per lo sfruttamento;

⇒ È necessario definire le modalità di accesso, ritiro e libero utilizzo della quota di energia gratuita da fornire ai territori proporzionalmente all’energia prodotta nei rispettivi territori;

⇒ È utile prevedere punteggi aggiuntivi per i progetti di efficientamento innovativo-sostenibile;

⇒ È utile prevedere punteggi aggiuntivi per progetti di compensazione territoriale di carattere sociale ed ambientale da affinare e concordare con i comuni interessati con risorse messe a disposizione dal gestore;

⇒ Devono essere previsti punteggi “negativi” da sottrarre al conteggio per i gestori uscenti che non hanno gestito al meglio gli impianti (esempio: interrimento invasi, smottamenti degli spondali, non rispetto delle normative vigenti sul personale, sulla sicurezza del personale compreso l’orario di lavoro, il non rispetto dei fogli condizione originari);

⇒ Vanno garantiti i diritti degli enti locali relativi agli accordi/convenzioni stipulati con le concessioni originarie.

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Questione impatto sociale e lavoro.

Nelle clausole sociali la questione occupazione è fondamentale. Per molti anni le aziende idroelettriche hanno portato lavoro ed investimenti. Col tempo tutto è cambiato, le aziende hanno pensato agli utili aziendali tagliando in modo drastico sui costi del lavoro e sugli investimenti.

Cosa è realmente successo negli ultimi 20 anni?
Venti anni di rivendicazioni economiche da parte della politica territoriale ad ogni livello, assecondate dalle società concessionarie a fronte di una parallela e puntuale riduzione degli organici. Una vera e propria mattanza a cui il territorio tutto, con l’unica eccezione periodica dei sindacati di categoria, ha assistito in maniera passiva, senza rendersi conto che i continui adeguamenti dei canoni, piuttosto che le tasse locali sui beni materiali, le aziende li hanno corrisposti e li corrispondono dal risparmio sul costo del lavoro, non attingendo dagli introiti derivati dalla produzione.
Se da un lato la stagione delle compensazioni economiche frutto di adeguamenti normativi di legge e quindi obbligatori, è oggi ancora presente e consolidata, non possiamo certo dire altrettanto della stagione occupazionale. E non è che il taglio drastico degli occupati diretti si sia tramutato in lavoro e reddito per le aziende locali.
È necessario ristabilire le priorità territoriali di scambio, anche innovativo, tra lo sfruttamento e lo sviluppo del territorio con lavoro, innovazione, ricerca.

Non si può più prescindere dal dotarsi di nuove regole vincolanti per i futuri concessionari, che non si limitino esclusivamente a temi economici.

I vincoli, da includere nei futuri bandi di concessione, dovranno prevedere obblighi per i nuovi operatori a mantenere le attività e la destinazione dei siti, a riqualificare tecnologicamente gli impianti, a presentare credibili piani di investimento societario, ad incrementare i livelli occupazionali diretti attraverso piani di riposizionamento interno di tutta una serie di attività.
Le soluzioni normative dovranno prevedere per i futuri concessionari il mantenimento dei diritti acquisiti dai lavoratori sulla base dei contratti collettivi di lavoro stipulati dalle loro rappresentanze sindacali nazionali e aziendali maggiormente rappresentative sul piano nazionale. Tali trattamenti dovranno essere garantiti a tutte le attività rientranti nel perimetro oggetto di concessione.

Particolare attenzione dovrà essere posta all’attività di guardiania delle dighe. Il Concessionario dovrà rispettare la normativa in materia di sicurezza, di salute e di orario di lavoro dei guardiadighe: DLgs 66/2003 (che attua Direttive europee 93/104/CE e 2000/34/CE) e DLgs 81/2008.
Per garantire maggior sicurezza ai territori e per le popolazioni che abitano o frequentano le valli, dovranno essere vietate le esternalizzazioni dei servizi di guardiania delle dighe, che preoccupano perché presumiamo siano professionalmente non in grado di gestire eventuali emergenze, visto che per legge è previsto per questo ruolo personale formato e specializzato. Oltre a questo andranno rispettate gli orari e le normative sulla gestione del personale, ciò dimostrato anche da alcune cause vinte nei mesi scorsi da alcuni dipendenti nei confronti dei concessionari.

Le aziende energetiche presenti sul ns territorio sono ad alto contenuto tecnologico e sarebbero in grado di dare risposte occupazionali di alta specializzazione mantenendo in loco servizi riguardante l’intero processo produttivo in particolare LA PROGETTAZIONE – L’ESERCIZIO – IL CONTROLLO – IL COLLAUDO.
Mantenendo questi importanti servizi in azienda si potrebbero soddisfare le esigenze occupazionali dei giovani a media/alta scolarizzazione e specializzazione delle nostre valli che ora sono costretti ad emigrare per trovare occupazione qualificata.

Riguardo agli appalti ad oggi già registriamo percentuali di attività terziarizzata che oscilla tra il 40 ed il 60% in tutti i settori dell’idroelettrico: idrocivile, meccanico, elettrico ed elettronico. Ben poco rimane sul territorio alpino: le attività del comparto idrocivile non vengono intercettate in quanto le nostre aziende non hanno dimensioni tali da permettere loro di partecipare alle gare spesso internazionali. Per gli interventi di grandi dimensioni, che non possono essere svolti in forma diretta dal concessionario, dei settori elettromeccanico ed elettronico le nostre valli non sono strutturate per offrire le competenze e i servizi che il settore idroelettrico esige.

Per tanto bisogna sostenere tutte quelle imprese (purtroppo poche) presenti sul territorio che operano nel settore idroelettrico con accordi che favoriscano le stesse attraverso “convenzioni di settore”. Promuovere un processo virtuoso che partendo dalla formazione (scuola) alla produzione sia in grado di creare in ogni area montana interessata dagli impianti idroelettrici delle aziende che siano in grado di intercettare questo tipo di attività inevitabilmente terziarizzate.

Osserviamo che nelle Legge il tema lavoro ed occupazione si limita a due righe o ad un solo articolo quando va bene: “la previsione, nel rispetto dei princìpi dell’Unione europea, di specifiche clausole sociali volte a promuovere la stabilità occupazionale del personale impiegato”.

Solo la legge regionale del FVG, n. 21/2020, ha scritto qualcosa in più in merito: art. 12 ( Criteri di valutazione, lettera h e l,), art. 13 (Obblighi e limiti gestionali) e art. 17 ( Clausole sociali).
Con queste premesse, è del tutto evidente che il tema occupazione corre seriamente il rischio di essere ancora una volta la parte più debole.
Da qui all’approvazione dei regolamenti e dei bandi, al massimo comunque entro 2 anni, sarà necessario affrontare anche questo argomento nella massima trasparenza e condivisione, con la determinazione necessaria affinché le regioni o lo stato vadano oltre la semplice enunciazione di impegni alla stabilità occupazionale ed inseriscano clausole realmente esigibili volte al suo incremento ed alla futura vera stabilità.

L’appello è alle istituzioni locali tutte, affinché si facciano promotrici delle nostre istanze per non correre il rischio di trovarci domani ancor più penalizzati rispetto a quanto purtroppo già promesso senza mantenere, negli ultimi 20 anni.

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Livello istituzionale e condivisione.

Abbiamo assistito in passato a vari tentativi e promesse relative al rinnovo delle concessioni mai concretizzate. Che si scelga il modello della gara ad evidenza pubblica, oppure una gestione pubblico-privata o pubblica è necessario operare in trasparenza e totale condivisione, con norme chiare e rispettose degli ordinamenti comunitari e statali.
Riteniamo che una azienda con capitale a maggioranza pubblica, almeno al 51%, possa meglio garantire gli interessi dei nostri territori.

Su diverse leggi regionali pendono impugnazioni di incostituzionalità che rischiano di rallentare l’iter. Auspichiamo una forte collaborazione tra le istituzioni sovra territoriali (regioni, conferenza stato-regioni, governo e parlamento) in modo da fugare i dubbi, migliorare e risolvere i problemi delle norme regionali.
Verranno coinvolti fattivamente gli enti territoriali (province e comuni direttamente interessati in particolare) nella redazione dei regolamenti e negli effetti dei rinnovi nei rispettivi ambiti territoriali? Non vorremmo che si imponesse un centralismo decisionale delle giunte regionali che ignorando le esigenze e le richieste degli enti locali andrebbe a produrre effetti negativi per comuni montani.

Andranno stabiliti anche dei criteri di valutazione per decidere se ci sono delle opere da smantellare, degli impianti da dismettere prima della riassegnazione della concessione.

Delicato il tema della durata delle concessioni, da venti a quaranta anni estendibili di altri dieci (come previsto dalla legge). Una durata eccessiva per il rinnovo di una concessione demaniale rischia poi di ingessare il settore e favorisce la creazione di posizioni dominanti.

25 febbraio 2021. Coordinamento grande idroelettrico dell’arco alpino».

L’immagine che correda l’articolo è tratta, solo per questo uso, da: https://ildiscorso.it/attualita/il-2-giugno-la-centrale-idroelettrica-di-somplago-diventa-palcoscenico-pace-alla-guerra-in-augusto-il-violinista-dartiglieria-ore-20-45-ingresso-libero/. Laura M Puppini

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