Giorni fa Remo Brunetti mi ha inviato quattro fogli scritti da mio padre, in risposta una domanda da lui fatta, sul passaggio dei paesi carnici dall’Italia all’Ozak (Operationszone Adriatisches Küstenland, Zona d’operazioni del Litorale adriatico).

Il testo, scritto da Geremia Puppini, è in friulano, ma dato che i miei lettori non sono tutti friulani o carnici, lo tradurrò in italiano (1).  Esso è il racconto del post 8 settembre e della creazione dell’Ozak fatto a molti anni di distanza da quegli eventi, scritto sì di getto ma anche un po’ ponderato, che non ha la pretesa di essere un testo di storia, ma solo ciò che è: la narrazione di Geremia Puppini su quell’8 settembre e sul poi, per il Bollettino Parrocchiale di Cavazzo Carnico, ed è stato pubblicato su “Il nestri Paîs” nell’agosto 1994. Preciso che mio padre non è stato un partigiano ma neppure e men che meno un collaborazionista o un nazifascista, semplicemente fu congedato, e dopo l’8 settembre prestava servizio come segretario scolastico nella scuola elementare di Tolmezzo, avendo don Pietro Cella come direttore didattico, e da che so aiutò, quale operativo sul terreno, i partigiani, quando serviva, e si dette da fare come mediatore per salvare la popolazione civile di Cavazzo Carnico, andando a parlamentare con il nemico assieme ad altri, per esempio, se non erro, in compagnia di Vito Brunetti, nonno di Remo, detto Lenin, e di Valentino Olivo, detto Tin Catel; padrone ed autista della corriera.

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Remo Brunetti «Nel 1944 non si era più sotto il Regno d’Italia ma inglobati nel Litorale Adriatico, voluto dal Reich. Che reazioni si sono avute, da parte della gente e che cambiamenti ha comportato per la nostra gente?»

Geremia Puppini. «Vedrò di descrivere lo stato d’animo della nostra gente, nel modo in cui si è manifestato a partire dall’ l’8 settembre 1943.

Tutta la gente era stanca e stufa del fascismo che l’aveva delusa, dimostrandosi non più credibile ed anzi dannoso per l’Italia. I nostri giovani, che erano stati mandati a combattere in Russia come alpini con la Julia, quando sono rientrati ci hanno raccontato che gran parte di quello che la propaganda fascista aveva sostenuto era falso, e che nella realtà il popolo russo, con le sue famiglie e con la sua società, aveva dimostrato, nei confronti dei nostri soldati, che pure erano degli invasori, molta comprensione ed umanità, mentre con loro i “camerati” tedeschi non si erano comportati di certo bene.

Però è anche vero che i tedeschi avevano lasciato un buon ricordo nell’animo di coloro che, carnici e friulani, anche di Cavazzo Carnico, erano emigrati in Germania in cerca di lavoro prima della prima guerra mondiale. Allora carnici e tedeschi si erano voluti bene e stimati reciprocamente, ed i nostri dicevano che avevano trovato, in Austria e Germania, padroni onesti, giusti e sinceri; e, dal canto loro, i tedeschi affermavano di aver trovato, nei nostri lavoratori, i migliori operai che avessero mai avuto. (2).

Ma ritornamo alla seconda guerra mondiale. Senza che noi militari sapessimo nulla, era giunto l’armistizio, reso noto l’8 settembre 1943; in un attimo i nostri reparti militari si erano disgregati, i comandi non comandavano più, il re e Badoglio si apprestavano a partire, a lasciare Roma, a scappare, e tutto era andato in rovina.  (3).
Dopo l’8 settembre, alcuni dei nostri reparti si opposero ai tedeschi, ma la gran parte dei nostri soldati, dei soldati del R.E.I., andarono a formare una gran massa caotica, disorientata, frantumata, che cercava solo, in qualche modo, di tornare a casa e di non farsi catturare dai tedeschi.

I tedeschi, dal canto loro, dopo l’8 settembre, istituirono posti di blocco, iniziarono a rastrellare il territorio, e fermavano, e sparavano. E chi cadeva nelle loro mani, andava a far parte di quella marea di soldati che finì stipata nei carri bestiame, trasformati in scatole di sardine, che venne spedita in Germania o chissà dove, senza bere, senza mangiare. (4). Ed allora non si sapeva sui lager quello che si sa oggi, ma la parola faceva già rabbrividire.

La paura, come una cappa di nuvole, si allargava su tutto e su tutti. Però al tempo stesso, nasceva, tra noi italiani, un senso di solidarietà ed aiuto reciproco, e ci si sentiva fratelli nel pericolo e tra i rischi che tutti accomunavano. Ed un fosso sempre più grande ci separava dai tedeschi.
Tutti iniziarono ad aiutarsi, perché tutti, più o meno, dovevano affrontare dei rischi. Poteva infatti accadere a tutti di prendersi una fucilata o di essere messi su di un vagone diretto in Germania. E vi furono davvero tanti ferrovieri che aiutarono come poterono, dopo l’8 settembre, sia i militari che cercavano di tornare a casa sia quelli che venivano condotti in Germania per esser internati. E cercarono di farli scappare dai treni blindati, e portarono loro acqua e cibo.  E comportarsi così non era uno scherzo, era una sfida, perché i tedeschi sparavano con facilità contro di noi in particolare, perché ritenevano ogni italiano un traditore, ad eccezione dei loro alleati fascisti. Ma ad onore del vero, vi furono anche fascisti che non amavano più i tedeschi, ed i più importanti fra loro furono processati a Verona e fucilati dai fascisti stessi. (5).

Ma chi aveva promesso fedeltà ai tedeschi, coinvolgendo poi, nelle sue scelte, il popolo italiano, nella gran parte contrario al nazismo? Proprio il fascismo, proprio i fascisti. Ma chi, poi, pagò l’armistizio, furono di fatto solo i militari dell’Esercito Italiano che scelsero di restare badogliani, che scelsero di restare fedeli al giuramento fatto al Re.
E cresceva sempre più pure la massa dei civili internati dai nazisti. Bastava un nulla. E la gente aveva sempre più paura, per sé stessa, per i propri cari, per tutti. E la diffidenza, la paura, l’odio verso i nazisti andavano via via crescendo. Ed al tempo stesso, la popolazione era disposta a fare qualsiasi cosa pur di far terminare la guerra.
E voglio ricordare che, a Tolmezzo, gli abitanti del comune e della Carnia fecero veramente un atto di sfida contro i nazisti con la loro grande partecipazione al funerale del tenente Renato Del Din, ucciso dai repubblichini pochi mesi dopo l’8 settembre 1943. (6).

Sotto il fascismo non c’erano partiti se non quello fascista, ma non si può dimenticare che il Partito Socialista e il Partito Popolare, prima dell’avvento della dittatura, avevano avuto molti seguaci in Carnia. E tanti fra noi avevano nella testa e nel cuore gli ideali rappresentati da quei due partiti. (7). E ci impegnavamo volentieri per la costruzione di un mondo migliore, più libero, più democratico. Ed era questo sogno che ci portò, allora, a correre anche dei rischi. (8).

Tanti giovani, che nell’ estate 1943 erano soldati e tanti reduci dalle diverse campagne militari fasciste, che erano poi quelli che correvano maggiormente il pericolo di finire sotto le armi nell’esercito tedesco o di essere internati, scelsero di salire sui monti, e quelli che non erano ancora partigiani, pensavano sempre più di aderire alla resistenza.

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Questi erano gli stati d’animo delle persone, mentre, piano piano, prendevamo coscienza di esser stati collocati nell’ “Adriatisches Küstenland”, cioè nella Zona operativa del Litorale Adriatico, di cui si sapeva poco o nulla. Capimmo poi, che si trattava di uno spazio annesso al Reich che ci toglieva così dall’Italia. Ma cosa voleva veramente dire far parte dell’OZAK?  Non conoscevamo le leggi ed i regolamenti a cui saremmo stati sottoposti, e cosa gli stessi avrebbero comportato per noi.
Sapevamo solo che chi comandava in Ozak era un austriaco: Friedrich Rainer, che aveva la sua sede a Trieste, e vedevamo che le truppe tedesche si comportavano con noi come vere e proprie truppe di occupazione.

Inizialmente la gente non ha reagito a questa entrata dei tedeschi in modo diverso da prima (9), ed ha accettato la novità con rassegnazione, sperando solo che tutto rimanesse così e non volgesse al peggio; tanto sapeva che i rischi permanevano, ed era ormai pronta a far fronte a tutto ciò che poteva capitare.

E nel complesso non è andata del tutto male, almeno all’inizio, subito dopo l’8 settembre. Pareva di capire che ai tedeschi interessasse in particolare il porto di Trieste e la linea ferroviaria del Canal del Ferro.  E da quel poco che filtrava a livello informativo dal resto d’Italia, sembrava che fosse importante, per i fascisti, più che altro chiamare i giovani sotto le armi, per formare un esercito repubblichino. Qui da noi, in Ozak, invece, piuttosto che fare della nostra gioventù dei soldati del Reich, preferivano quelli che essendo fascisti, si presentavano come volontari. (10).

I tedeschi, nel complesso, si fidavano ben poco di noi, si erano accorti delle sfide che la gente lanciava e sapevano che tanti carnici erano partigiani o sarebbero andati partigiani. E se in un primo tempo in alcune località avevano posto cartelli con la dicitura “passaggio dei banditi”, in un secondo momento hanno ritenuto tutta la Carnia (tranne Tolmezzo, occupata da loro) ‘zona partigiana’.

Ma ai tedeschi, forse, interessava più qui avere mano d’opera al loro servizio, pronta ad intervenire in caso di necessità, per mantenere sempre in funzione la ferrovia pontebbana. Ed infatti, l’ultimo anno di guerra, da metà del 1944 a metà 1945, hanno fatto funzionare la Todt anche qui. E mentre si susseguivano grandi combattimenti contro i partigiani, i tedeschi hanno preso tutti coloro che erano disponibili e li hanno mandati a lavorare dovunque fosse, secondo loro, necessario.  E, sapete, gli americani bombardavano in continuazione, e vi era tanto lavoro da fare lungo la ferrovia!

E, per dimostrare che di noi non si fidavano, proprio qui, proprio da noi hanno mandato i Cosacchi ad occupare le nostre terre, i nostri paesi. Ma anche prima i nazifascisti non avevano avuto certo la mano delicata con noi: non nei rastrellamenti, non nei combattimenti con i partigiani, non con la popolazione. Bordano (11) ed Interneppo, che era stata fatta sfollare in un attimo, non con il paese di Forni di Sotto che era stato dato alle fiamme. E quando ormai la guerra era finita, ad Avasinis una colonna di tedeschi in ritirata, ha commesso un eccidio.

E forse, durante il periodo del Litorale Adriatico, abbiamo perso più civili che partigiani. Non aveva mica torto, allora, la gente a non aspettarsi nulla di buono dal “Litorale Adriatico”!

Geremia Puppini

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  1. Questo testo è già stato pubblicato su: “Il nestri Paîs” bollettino parrocchiale di Cavazzo Carnico, forse negli anni ’80.
  2. Prima della prima guerra mondiale moltissimi carnici emigravano stagionalmente in paesi dove si parlava tedesco, intendendo Austria e Germania, poi unite dal nazismo nel Reich, ed il rapporto tra questi lavoratori e la popolazione locale era in genere buono. Ma quando iniziò la prima guerra mondiale, essi furono rimandati indietro al confine (Cfr. Laura Matelda Puppini, O Gorizia tu sei maledetta … Noterelle su cosa comportò per la popolazione della Carnia, la prima guerra mondiale, detta “la grande guerra”, Andrea Moro ed., 2016).
  3. Pur essendo mio padre più freddo e distaccato nel racconto di Bruno Cacitti, (Cfr. Uomini che scrissero la storia della democrazia: Bruno Cacitti, Lena, osovano. Perché resti memoria, in: nonsolocarnia.info), anch’egli, che all’8 settembre 1943 comandava come ufficiale la caserma di guardia confinaria a Monte Croce Carnico, ebbe come Bruno, sergente, l’impressione netta della disgregazione dell’esercito italiano, che fu quella che rimase, fortissima, nel ricordo dei militari.
  4. Quello che chiarisce qui Geremia Puppini è che allora nessuno, né i diretti interessati né i loro parenti, né la popolazione italiana, sapeva dove sarebbero finiti quei militari, trattati peggio delle bestie, che andavano verso nord. E fra i soldati italiani, solo il dieci percento accettò di essere arruolato, mentre il resto di questa moltitudine si trasformò in resistenza: il loro no fu un rifiuto alla dittatura e alla prosecuzione della guerra. (https://berlinomagazine.com/il-film-24-e-1/). Ma una parte non di poco conto finì anche nei campi di concentramento tedeschi, vivendone tutto l’orrore, e trattata come una massa di traditori.
  5. Il processo di Verona, tenutosi per la precisione in Castelvecchio, fu un procedimento giudiziario avvenuto, dall’8 al 10 gennaio 1944, che vide sul banco degli imputati 6 membri del Gran Consiglio del Fascismo: Emilio De Bono, Luciano Gottardi, Galeazzo Ciano, Carlo Pareschi, Giovanni Marinelli e Tullio Cianetti che, nella seduta del 25 luglio 1943, avevano sfiduciato Benito Mussolini dalla carica di Presidente del Consiglio, anche per la sua alleanza con Hitler, che ormai veniva malvista da alcuni. (https://it.wikipedia.org/wiki/Processo_di_Verona. Cfr. anche, per quanto accadde dopo la disfatta di Russia, su www.nonsolocarnia.info, il mio: Quel terribile ’42-’43, periodo di svolta in Italia, ove ho scritto: «E così si poteva leggere sulla rivista americana “Life” il 14 dicembre 1942: «La netta tendenza in seno al regime fascista è di liberarsi di Mussolini e dei filo-tedeschi, ma di conservare il sistema. Oggi questa è l’idea dei grandi industriali italiani condotti, a quanto viene riferito, da Ciano, dal conte Volpi, dal sen. Pirelli. In altre parole, un cambiamento dal fascismo pro- tedesco in un fascismo pro- alleati. I gerarchi fascisti sono molto impressionati dal fortunato voltafaccia di Darlan (1) da Vichy verso gli Alleati».
  6. Per Renato Del Din, medaglia d’oro al valor militare, cfr. Fabio Verardo, Giovani combattenti per la libertà, Gaspari ed. ed i miei articoli, su nonsolocarnia: “Uomini che scrissero la storia della democrazia. Renato Del Din. Per il 25 aprile, festa della liberazione d’ Italia dal nazifascismo”, e “La storia di Santo Arbitrio, catanzarese, Capitano della Caserma dei Carabinieri a Tolmezzo ai tempi del funerale Del Din, che non ostacolò, perché resti memoria”.
  7. Qui Geremia Puppini precisa il legame che allora esisteva fra un partito e gli ideali che rappresentava.
  8. Anche Bruno Cacitti ha sottolineato, nell’ intervista concessami, questo aspetto, il voler tutti lottare per un mondo migliore. (Cfr. Uomini che scrissero la storia della democrazia: Bruno Cacitti, op. cit.).
  9. Questa sensazione di attesa e di comportamento simile a quello di prima, da parte di chi si trovava nei paesi, è testimoniato anche da Elio Bullian. (Cfr. Elio Bullian. La storia dei fratelli Lucchini, comunisti e partigiani, ed altre storie ampezzane, in: www.nonsolocarnia.info).
  10. Questo dopo l’8 settembre. Ma poi Reiner firmò, a fine febbraio 1944, la leva obbligatoria in Ozak, o, in alternativa, il lavoro nella Todt.
  11. Anche Bordano vide le fiamme, ma forse furono incendiate solo alcune case, e così accadde a Collina di Forni Avoltri, a Esemon di Sotto, mentre la casa dei fratelli Venier fu depredata, e a Sutrio Giacomo, fratello di Lupo, Giovanni De Mattia, osovano, fu ucciso da una donna che si muoveva con i tedeschi o con i fascisti, che lo spinse giù dal tetto di casa mentre, ferito ad una gamba, cercava di fuggire, e loro madre fu internata. Ed andò a fuoco anche casera Avedrugno, e chissà quanti altri posti furono attaccati dai lanciafiamme o furono più facilmente depredati, mentre molte donne furono stuprate.

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L’immagine che accompagna l’articolo, scattata da mia madre, la dott. Maria Adriana Plozzer, ritrae mio padre Geremia Puppini mentre parla con Maria Squecco, sorella di mia nonna Anna Squecco, e Lino Pillinini di Bidin, suo marito, vicino alla torre di Cavazzo Carnico, eretta in ricordo dei morti della prima guerra mondiale, e proviene da me. Per inciso quando si doveva scegliere il da farsi, fu indetto un referendum tra i cavazzini che dovevano decidere se costruire l’asilo per i bimbi o il monumento ai caduti, e vinse il monumento ai caduti. Mia nonna Anna, però, da brava maestra, essendo residente ancora a Cavazzo, votò per l’asilo. E si narra che la torre costò molto più del previsto. L. M. P. 

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