Ho letto le problematiche suscitate da Paolo Strazzolini, sull’onda emotiva, magari, della storia di Elda Turchetti che a Topli Uorch si ricollega per esser stata una delle vittime, ampiamente finanziata con soldi regionali, per uno spettacolo, per un libro … Ma Elda, al di là di ogni agiografia, è quella che, pare proprio dalla documentazione originale e anche da altri riportata, abbia venduto altre spie per salvarsi la pelle, e quindi per nulla un fulgido esempio, e sulla quale ho già scritto il mio: Elda Turchetti. Ricostruzione possibile della storia di una spia paesana, poi partigiana, uccisa a Porzus.

Ora Paolo Strazzolini, docente universitario di chimica, pare voler collegare, in un volo davvero pindarico, l’eccidio di Tolpli Uorch in qualche modo a Alfredo Berzanti e Mario Lizzero. Perché solo se li si considera coinvolti, si può trovare interesse a chiedersi dove si trovassero poco prima del ed il 7 febbraio 1945. Ma allora la prima cosa da domandarsi è: da quali fonti Strazzolini deduce che i due fossero implicati nella strage? Altrimenti non si capisce il suo interesse per dove si trovassero. Però Strazzolini, senza l’ombra di un documento, va avanti sulla sua strada, ed il Messaggero Veneto lo pubblica.  E se anche 2000 persone lo avessero ascoltato nel tempo non vuol dire nulla, non garantisce la bontà di quanto va dicendo, ed anche il Duce fu, in alcuni momenti, seguitissimo dagli italiani, ma certo non aveva ragione. E mi scuso con Paolo per questo paragone, ma rende l’idea ed è l’unico che mi è venuto in mente.  E quanto scritto da Strazzolini ed una risposta di Alessandra Kersevan, pure quella pubblicata su il Messaggero Veneto, sono reperibili su: http://www.storiastoriepn.it/dove-stavano-i-futuri-capi-della-dc-e-del-pci-in-occasione-delleccidio-delle-malghe-di-porzus/#comment-63641, articolo intitolato: “Dove stavano i futuri capi della Dc e del Pci in occasione dell’eccidio delle malghe di Porzus?” di Sergio Zilli, a cui rimando.  

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La prima cosa che mi pare manchi a chi cerca dove si trovassero Alfredo Berzanti e Mario Lizzero, come del resto don Redento Bello, il 7 febbraio 1945, favoleggiando chissà cosa, è una visione generale del momento. Infatti, dopo il lungo inverno ed il proclama Alexander, che avevano messo a dura prova sia osovani che garibaldini, i comandanti ed i commissari politici (e si ricordi che Mario Lizzero era tale perché chi comandava la Divisione Garibaldi/Friuli era Ninci che era lontano dalla Carnia), insomma i vertici sopravvissuti della Osoppo e della Garibaldi si dettero da fare per riorganizzare la Resistenza e volgere alla vittoria finale. Pertanto iniziarono a cercare contatti, munizioni, ed altro, ed a muoversi per questo motivo. E questa era la finalità principale, e si era ancora in guerra. In una sitauzione del genere, sia Berzanti che Lizzero potrebbero esser stati dovunque, ed anche un giorno qui ed uno là. Ed anche Romano Marchetti era, come delegato politico della Brigata osovana Pal Piccolo/Carnia da quello che scrive, un po’ qui ed un po’ là, fino a che non fu mandato a casa da don Ascanio De Luca, Aurelio.

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Ed un altro aspetto che mi ha ricordato Romano mentre discutevamo sulle sue esperienze partigiane, è che allora non si sapeva neppure, in certi momenti, che giorno fosse, e ci si muoveva con il sole e le stelle se era bel tempo, e ci si orientava anche senza bussola, come imparato in montagna. Pertanto, successivamente, uno avrebbe potuto testimoniare sicuro che un fatto era accaduto ad una data precisa, mentre era accaduto un giorno prima o un giorno dopo. Insomma, chi lottava sui monti non aveva nè calendario nè orologio.

Inoltre, e questo lo dico io, purtroppo i processi dal tono molto politico come quelli relativi all’eccidio di Topli Uork, dove fra l’altro il principale responsabile non andò mai a testimoniare, hanno unito, anni dopo i fatti, narrazioni orali di ogni tipo e derivate da persone di ogni tipo, partendo da ipotesi discutibilissime come il presunto tradimento della Natisone, che nulla aveva a che fare con l’eccidio di Porzus (3 morti ) e di Bosco Romagno e dintorni (gli altri poi), senza che ormai si riesca, in modo preciso ed obiettivo, a discernere con precisione le narrazioni da tenere da quelle da buttare o un po’ vere ed un po’ discutibili alla luce di altri documenti e dei contesti. E certe volte, in processi di spessore come questo, i testimoni potrebbero narrare volgendo le loro parole a favorire una parte, potrebbero raccontare, anni dopo i fatti, quanto elaborato in famiglia, con gli amici od in osteria, o su suggerimento di qualcuno,quanto ascoltato da altri ritenedolo vero. Insomma un processo è un processo, non è un dibattito scientifico di storia. Pertanto il ricorrere il meno possibile alle testimonianze rese nel corso dei processi di Porzus per i fatti avvenuti a Topli Uork e dintorni, a mio avviso sarebbe buona cosa.

Detto questo, cosa scrive e racconta Romano Marchetti nelle sue memorie sul gennaio 1945? Che egli si trovava a Feltrone, da Ida e Gioconda pare Danelon e non Durigon come egli pensava. Qui incontrò Mario Lizzero e Fidalma Garosi, che erano appena scesi dall’ampezzano dove avevano svernato, ed a Feltrone dormirono insieme sull’unico giaciglio disponibile, e lì ipotizzarono il secondo comando unico.

E così scrive Romano: «A Feltrone, dal 17 al 20 gennaio, mi incontrai da Ida e Gioconda Durigon un prima volta con Guerra, che stava ristabilendosi da una brutta ferita, successivamente con Andrea, Gianna ed altri, con cui discussi la possibilità di ricostruire il comando unico Osoppo/Garibaldi-Carnia.  Io ero tendenzialmente favorevole ma, naturalmente, prima di impegnarmi definitivamente, decisi di consultare il comando osovano, che respinse immediatamente la proposta. La mia propensione alla collaborazione mi costò, in quell’occasione, l’allontanamento, di fatto, da compiti di responsabilità in seno alla Osoppo». (Romano Marchetti, (a cura di Laura Matelda Puppini), Da Maiaso al Golico, dalla Resistenza a Savona. Una vita in viaggio nel ‘900 italiano, Ifsml- Kappa Vu ed., 2013, p. 148).

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Romano ci narra anche come egli, ancora commissario politico osovano, si muovesse in giro per i paesi carnici fino a che don Aurelio non gli dette il benservito. «Sino al febbraio 1945 mi mossi continuamente lungo tragitti obbligati con mete prefissate che raggiungevo ogni settimana per mantenere efficiente la rete resistenziale e favorire i contatti tra le diverse formazioni e tra queste ed il comando». (Ivi). E la stessa cosa facevano la Garosi e Lizzero.

E giungiamo a dove era Berzanti. Anche questo aspetto è ben poco importante, a mio avviso, perché le fonti fanno capire che nessuno si attendesse qualcosa come la strage di Topli Uorch che fu compiuta da un gruppo gappista che non dipendeva da Zocchi/Lizzero, e che si trovava in bosco Romagno, sotto la guida di Mario Toffanin, che aveva partecipato alla resistenza croata, che aveva agganci qui e là anche forse nella popolazione slovena locale. E lo scrivo per ricordare quanto accaduto fra le popolazioni di Cancelier e Salandri e Bolla ed i suoi a causa di un lancio alleato, pochi giorni prima del 7 febbraio 1945, riportato nelle ultime pagine del ‘Diario di Bolla’ (Il diario di Bolla (Francesco de Gregori), a cura di Giannino Angeli, A.P.O. 2001, pp. 98-106. Cfr. il mio: Divagando su “Porzûs”, in modo documentato. E se …), che potrebbe aver creato più di un attrito, come la presenza della Turchetti alle malghe.

Comunque nel diario di Bolla è riportato che Il 20 gennaio Paolo/Berzanti era sceso in pianura per riposo. Il 28 gennaio giungeva Centina, Comandante della 6^ Brigata (Ivi). Ma avrebbe potuto essere dovunque, fra l’altro in una fase riorganizzazione della brigata, ma il non esserci anche per caso gli salvò la vita.

Per quanto riguarda Andrea/Lizzero, in “Storia di Gianna” raccontata da Fidalma Garosi Lizzero, egli aveva svernato, come noto da più fonti, nell’ampezzano. Poi, in gennaio, avevano lasciato il bunker (la grotta Zagolin che io sappia) portandosi, come narra anche Romano Marchetti, a Feltrone, dove Gianna scrive di aver visto sia Guerra che Ape che Ugo Pellizzari. «Allora non facevamo azioni, – si legge sul suo testo – perché era pieno di neve e non potevi creare confusione, perché ci avrebbero preso: stavamo organizzandoci per la primavera: si raccoglieva materiale, roba da mangiare, esplosivi, vestiario. Quando si veniva a sapere che qualcuno andava a Udine in corriera, allora andavi in quel paese da quel compagno, gli davi le informazioni che doveva passare ad Udine.

Il 18 febbraio Andrea doveva scendere in pianura perché erano successi i fatti di Porzûs.  (…). Doveva scendere con un camion, ma il camion non è arrivato, non so se aveva rotto qualcosa. Poi abbiamo saputo che quel giorno i tedeschi lo aspettavano, erano sicuri di prenderlo […]. Allora Andrea è sceso in pianura l’indomani, facendo un altro giro, un po’ a piedi un po’ in macchina. Non era ancora guarito ma poteva mangiare qualche cosa. Ai primi di marzo sono andata anch’io a Udine». (“Storia di Gianna raccontata da Fidalma Garosi Lizzero, ed. Publicoop, 2007, pp. 47-49. Questo racconto è confermato pure da altra fonte, che devo però cercare, ove si parla di un camion che aveva forato, mi pare, e di cosacchi.).

Pertanto, da quello che si sa, Alfredo Berzanti era andato a riposarsi qualche giorno, dopo l’inverno durissimo, Mario Lizzero era in Carnia. Ed i documenti non parlano di una loro presenza o connivenza con la strage di Topli Uorch, e la ricostruzione storica di fatti non è mera opinione, caro Strazzolini, e si deve avere rispetto per le persone. Non prendetela con me Paolo, ma tento solo di obiettare alle tue parole.

Laura Matelda Puppini

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L’immagine che accompagna l’articolo è la copertina del ‘Diario di Bolla’. L.M.P.

 

 

 

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