Luca Nazzi. A proposito di Assetti fondiari collettivi e “Piano Paesaggistico Regionale”. Senza Comunità e senza agricoltura non esiste paesaggio.
Tutti i Beni collettivi, esistenti in gran quantità in ogni angolo della Carnia, oltre a essere un inestimabile «Bene comune di pubblico e generale interesse», sono anche «Beni paesaggistici», protetti automaticamente dalla legge 431/1985 (la cosiddetta “Legge Galasso”) e dal successivo “Codice dei Beni culturali e del Paesaggio” (lett. h, art. 142 D.L.vo 22 gennaio 2004, n. 41).
Beni collettivi sono la maggioranza dei cosiddetti “Boschi comunali” (ovvero quelli gestiti dai Comuni «a nome e per conto» delle Comunità proprietarie) e tutte le proprietà gestite direttamente dalle Comunioni familiari e dalle Amministrazioni separate dei Beni civici (che in Carnia sono 8: Collina, Givigliana con Tors, Liariis, Pesariis, Priola e Noiariis, Ovasta e Tualiis con Noiaretto). Ma sono compresi tra i Beni collettivi anche Malghe e Pascoli, Latterie, Canoniche, vari edifici comunitari e infrastrutture viarie.
Tutto questo enorme patrimonio, che nei secoli ha svolto vitali funzioni economiche, sociali e ambientali a favore delle popolazioni montane, va obbligatoriamente catalogato e inserito nel “Piano Paesaggistico Regionale”, che la Regione sta finalmente realizzando.
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Fin dall’inizio di tale operazione, il Coordinamento regionale della proprietà collettiva ha collaborato con gli uffici regionali, offrendo contributi per gli incontri tematici di Prato Carnico e Budoia e intervenendo attivamente al “Processo partecipativo”, organizzato nei diversi territori della Regione.
Per quanto riguarda la Carnia, l’organizzazione rappresentativa dei Comitati e delle Comunità impegnate nella protezione e nella valorizzazione degli Assetti fondiari collettivi ha chiesto formalmente che il Piano paesaggistico riconosca esplicitamente la valenza paesaggistica di tutti i Beni agro-silvo-pastorali che il Servizio Sistemi Informativi Territoriali – Ambiente e Risorse del Territorio della Comunità montana ha già individuato come «Terreni di proprietà pubblica», in base al principio per il quale la proprietà pubblica si identifica con la «proprietà collettiva demaniale», che spetta al popolo a titolo di sovranità, come ha dimostrato il giudice costituzionale emerito Paolo Maddalena.
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Inoltre, il Coordinamento regionale della proprietà collettiva ha proposto che rientrino fra i Beni tutelati tutti quegli edifici «pubblici» che svolgono o hanno svolto funzioni civiche, connesse alla vita sociale ed economica delle originarie Comunità di villaggio, in particolare le superstiti Case della Vicinia/Case della Comunità; le località (soprattutto piazze) accertate come luogo tradizionale di riunione della “Vicinia”, con gli annessi “Alberi della Comunità”; le Scuole paesane e le Case Canoniche (edificate fino agli inizi del XX secolo dalle Comunità di villaggio con rendite proprie) come pure tutti quegli edifici «pubblici» in cui si svolgono o si sono svolte attività connesse all’economia agro-silvo-pastorale, riconducibili alla gestione collettiva del territorio (in particolare Latterie e Malghe pubbliche, Forni, Fucine, Abbeveratoi, Fontane ecc.).
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Il Coordinamento ha indicato ulteriori Beni collettivi meritevoli di particolare rispetto e valorizzazione, ovvero i cosiddetti “Boschi Banditi” e tutte le “Vizze” (per preservare le antiche utilizzazioni “riservate” o quantomeno la loro memoria); tutte le Strade vicinali e le pubbliche vie che testimoniano con il loro nome antichi usi collettivi (Vicinia, Visinance, Armentaressa, Centa, Comugne/Comugnis/Comunâi, Parti, Pasc, Selva, Sorti ecc.); e tutti gli antichi sistemi di confinazione delle proprietà collettive (Cuintris, Cjermins, Gjesima, Testemonis ecc.).
L’associazione delle proprietà collettive non ha alcun timore che il riconoscimento paesaggistico di tali Beni possa risultare un intralcio all’economia della Carnia in quanto lo spirito e i limiti della protezione prevista per gli Assetti fondiari collettivi dal Codice dei Beni culturali riconosce esplicitamente il ruolo essenziale che le «gestioni delle comunità locali hanno avuto nella storia e conformazione del paesaggio». Inoltre, i documenti interpretativi emanati dal Ministero per i Beni culturali precisano che i «beni gravati da uso civico sono vincolati allo svolgimento di attività agro-silvo-pastorali e delle attività ad esse connesse», prevedendo anche “nuovi usi” «compatibili con la loro destinazione agro-silvo-pastorale».
La tutela del Piano Paesaggistico Regionale può essere temuta e contrastata soltanto da chi ha interesse che i patrimoni collettivi vengano abbandonati al loro destino o siano utilizzati per funzioni incompatibili con la loro natura civica o con la loro valenza agro-silvo-pastorale e ambientale (come il più delle volte avviene quando ad occuparsene sono le Amministrazioni comunali o imprese private da esse delegate); o peggio ancora, che continuino forme occulte o palesi di usurpazione e privatizzazione, attraverso gestioni verticistiche e antidemocratiche, come putroppo oggi sta succedendo nei comuni di Cavazzo, Forni Avoltri, Forni di Sotto, Ravascletto, Sutrio, Zuglio e non solo.
Luca Nazzi, portavoce del Coordinamento regionale della proprietà collettiva.
L’immagine che correda l’articolo è tratta solo per questo uso da: http://www.slideshare.net/decrescitafvg/i-beni-civici-di-pesariis. Laura Matelda Puppini.
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