Mario Foschiani operaio friulano di Cussignacco, antifascista e partigiano fucilato alle carceri di Udine il 9 aprile 1945, medaglia d’argento della Resistenza, non ha ancora pace. Di recente se ne è occupato per denigrarlo sulle colonne del Messaggero Veneto l’autore di due libri sulla Resistenza in Carnia. Libri in cui a mio parere mancano cose importanti come il contesto (fascismo, guerra) e le ragioni per cui le parti combattevano, dove spesso le fonti non sono citate correttamente o sono difficilmente verificabili. Libri il cui fine è denigrare comandi e formazioni partigiane. L’autore costruisce però ipotesi che restano fragili, e a volte si limita all’insulto gratuito verso i partigiani. Un esempio: riportare, rafforzandolo, il contenuto di un cartello anonimo di derisione appeso alla tomba del partigiano Amadio De Stalis, “Crucchi” poco tempo dopo la sua uccisione per mano dei tedeschi, significa infatti solo perpetuare a decenni di distanza un insulto anonimo (Gianni Conedera, Dalla Resistenza a Gladio, Roncade(Tv) 2011 p.66). In ogni modo questi interventi ci danno l’occasione per ricordare la figura di Mario Foschiani “Guerra” un combattente comunista ed antifascista espressione del Friuli più autentico, e di dire qualcosa in proposito. Nello scrivere le righe che seguono ho potuto approfittare dei preziosi studi di Raimondi Cominesi, pubblicati sul n. 34 di “Storia Contemporanea in Friuli”.

Il padre di Mario era un piccolo contadino di Cussignacco, la madre era casalinga. Avevano sette figli, quattro maschi e tre femmine, ma a causa della prima guerra mondiale, la “inutile strage” (o la “guerra imperialista”) muoiono i due fratelli maggiori, Giuseppe e Florindo. Mario va a lavorare ancora adolescente come apprendista, diviene operaio e più tardi nichelatore. E’ anche vittima, giovanissimo, di un incidente sul lavoro e perde tre falangi della mano destra.

Un ragazzo così non può che odiare la guerra, la retorica nazionalista, sognare l’emancipazione dei lavoratori. Ma intanto il fascismo è salito al potere. Mario conosce i lavoratori comunisti della sua zona (gli altri partiti antifascisti sono ormai spariti), inizia a fare attività politica clandestina curando la stampa di volantini e la diffusione di opuscoli. Nel dicembre 1933, alla vigilia della grande retata che porterà in carcere un centinaio di comunisti friulani, viene avvisato dai compagni del pericolo. Espatria in Jugoslavia, dove viene arrestato, incarcerato, espulso in Austria dove viene nuovamente arrestato ed espulso. È a Zurigo, poi a Parigi. «Per arrivare ho fatto il più duro cammino -scriverà alla madre – (…) camminando, prigione, fame, senza dormire che sulla neve. Eppure sono arrivato al destino». Infine è inviato da Parigi in URSS probabilmente alla scuola leninista dove non arriverà. Era partito dall’Italia con un compagno che in Francia era “caduto in disgrazia”. Mario aveva ricevuto dal partito l’ordine di non avere contatti con lui ma lo incontra ugualmente. Nella rigida mentalità militare dei comunisti di allora questo fatto era una mancanza grave. Quando a Mosca si sa, Mario non viene più inviato a scuola ma in fabbrica. Da questo momento viene accompagnato dalla fama di essere “leggero” e “facilone”, per un episodio che caso mai rivelava una mentalità indipendente e pronta al confronto.

Nel maggio 1938 va in Spagna per arruolarsi nelle Brigate Internazionali ed è presente con la “Garibaldi” sul fronte dell’Ebro. In seguito finisce internato nei campi di concentramento francesi, compreso quello “punitivo” di Vernet. Nel gennaio 1942 è tradotto in Italia, interrogato alla Questura di Udine (possiamo immaginare con i metodi in uso allora), condannato a quindici anni di carcere dal Tribunale Speciale ed incarcerato a Roma. Viene liberato solo nell’agosto del 1943 e raggiunge nuovamente Cussignacco dopo dieci anni di esilio e vita clandestina, guerra, campi di concentramento.

Dopo circa un mese saluta nuovamernte i familiari e sale in montagna con i primi partigiani friulani. Quando viene arrestato dai cosacchi, il 28 febbraio 1945, ha trascorso in montagna quasi un anno e mezzo di guerra partigiana, la più logorante e difficile forma di guerra dal punto di vista fisico e psicologico. E’ arrestato all’alba del 28 febbraio, poi sappiamo con chiarezza che viene torturato. Alcuni lo ricordano a Tartinis caricato su un carro cosacco e coperto con un lenzuolo. Perché? Forse non si voleva che si vedesse come era ridotto? Altre testimonianze ricordano come le sue grida di dolore si udissero per tutto il paese di Enemonzo, uno dei luoghi dove fu seviziato. Mario ha certamente detto qualcosa sotto tortura, lo ammette lui stesso in una drammatica ed umanissima lettera scritta dal carcere il 15 marzo in cui chiede perdono ai familiari di “Grifo”, ucciso a causa del suo cedimento.

«Tentai di scappare, mi tirarono (…) avrei desiderato una pallottola ben messa nessuno più avrebbe parlato e io avrei finito più bella la mia vita. Invece mi hanno riconosciuto malgrado i documenti in regola. (…) Il caso più grave poi che mi trovarono un piccolo biglietto in tasca scritto in russo dal Comandante del Btg. Russo “Stalin” il quale diceva “Guerra vai a vedere dei miei sopra Tolvis da Grifo” questo fatto ha causato la mia tortura e la morte del compagno “Grifo” che io mi sento colpevole per ché ho ceduto dicendo che veramente 5 Battaglioni si trovavano in quella località. In realtà io tentai di salvare il resto che evidentemente non erano (tutti e cinque) in quel posto. Ritornarono alla carica ma più così non ricavarono nulla».(Raimondi Cominesi, p.71)

La sua resistenza sotto tortura ha però permesso di salvare i partigiani presenti nelle altre basi; anche “Grifo” aveva la possibilità di evacuare quella di Tolvis, ma evidentemente ha sottovalutato il pericolo. I cosacchi arriveranno a Tolvis ventiquattro ore dopo l’arresto di Foschiani, mentre Monfredda ed Avedrugno saranno sgombrate senza problemi.

Probabilmente il mese trascorso in carcere a Udine prima della fucilazione è stata un’altra tortura tra condanna a morte, rinvio dell’esecuzione, progetti di evasione e scambio di prigionieri che non vanno in porto, notizie sempre peggiori che arrivano a singhiozzo. “Guerra”, assieme al comandante garibaldino Mario Modotti “Tribuno”, sono ricordati da molti per il loro comportamento straordinario, di aiuto a tutti i detenuti sia garibaldini che osovani, di organizzazione dei contatti con l’esterno, di solidarietà. Il trucco messo in atto dagli osovani per far evadere una decina di membri del loro comando che si trovavano anch’essi in carcere (di cui per l’intervento forte dei garibaldini potranno fruire anche tre loro comandanti) mette probabilmente fine alle loro speranze di evadere o almeno posticipare l’esecuzione della pena di morte. Forse per rappresaglia contro l’evasione, forse per altri motivi “Guerra” viene fucilato assieme ad altri 28 compagni (un 29° verrà impiccato) tra cui notissimi comandanti partigiani comunisti come Modotti, il 9 aprile 1945, una ventina di giorni prima della ritirata definitiva dei tedeschi dal Friuli Il 2 aprile, di fronte alla certezza che la pena sarebbe stata eseguita perché “Franco” (Modesti) gli aveva scritto che il partito non poteva fare più niente, scrive tra l’altro «Sono orgoglioso di morire per la mia patria libera e indipendente» e di vergognarsi per «avere fatto troppo poco per la causa».(Raimondi Cominesi p.78)

Cosa avrebbe potuto fare un uomo così di più per il suo paese e per la causa? Stando a Conedera, il colonnello Emilio Grossi, ufficiale degli Alpini lombardo aggregato alla Garibaldi nei Servizi di Informazione ed autore nel dopoguerra di dichiarazioni a volte sconcertanti (Un esempio: ha dichiarato di aver celebrato come comandante partigiano il matrimonio “fasullo” – la Resistenza riteneva però il matrimonio celebrato da un comandante quale ufficiale di stato civile della Italia liberata, perfettamente legale – tra il comandante Mirko e Katia perché obbligato con le armi. Vedi: Conedera p.169 che non cita però l’archivio dove è possibile reperire la fonte) avrebbe scritto a mano su un foglio in cui ricordava le «giuste leggi di guerra» contro i traditori, che Mario era «reo confesso» di tradimento (Messaggero Veneto 1 ottobre 2015). Non so che giuste leggi avesse in mente Grossi (e sarebbe interessante capire il tragitto di questo documento). Le direttive del CVL sono state molte, assolutamente severe ad esempio contro chi trattava con il nemico alle spalle degli alleati, cosa che hanno fatto alcuni comandanti della Osoppo senza conseguenze. Sono stati giustiziati dalle formazioni alcuni ex partigiani passati armi e bagagli al servizio dei tedeschi, come in questa regione il noto “Bleki”, o “Falce” ed altri. Non so se è vero, come afferma Conedera (che non cita dove è possibile reperire la fonte), che Grossi abbia sostenuto di avere casualmente incrociato Guerra sulla piazza di Colza mentre i cosacchi lo portavano via (Conedera, p. 154). Guerra avrebbe chiesto tre volte aiuto a Grossi, che gli avrebbe dato l’assurdo consiglio di scappare perché i cosacchi che lo scortavano erano vecchi e non avrebbero potuto inseguirlo: i cosacchi forse erano vecchi ma sicuramente armati.
Grossi in ogni modo rischiava la vita per combattere chi usava sistematicamente la tortura e occupava militarmente la nostra terra. Consigli sbagliati o rigidità a senso unico si possono anche valutare all’interno di questo contesto. Conedera no. Sarebbe bello leggere qualche riga sua di critica anche contro chi ha torturato ed ucciso Mario Foschiani, non solo insolenze sul comandante partigiano “traditore”. Resto pazientemente in attesa.

Marco Puppini

L’immagine che correda l ‘articolo è tratta da: www.anpigiovaniudine.org.

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