Non avrei scritto queste righe se non avessi letto il titolo e l’articolo di Maurizio Cescon, Vergarolla 1946, la strage dimenticata. Serracchiani: eccidio etnico e ideologico. Le bombe sulla spiaggia di Pola uccisero 66 italiani, molti bambini. Il cantautore Cristicchi: fu un episodio decisivo per l’esodo, in: MessaggeroVeneto 18 agosto 2016, che riferiva le parole dell’avv. dott. Debora Serracchiani, che pare poco informata sui problemi del confine orientale, dandone una visione simile a quella della politica della destra e della lega, e preciso subito che non intendo offenderLa in modo alcuno ma solo intervenire nel merito citando alcuni testi.

Io non ho fatto studi specifici e dettagliati, da storica, su questi argomenti, ma mi pare interessante quanto scrivono Enzo Collotti nella prefazione, e Giacomo Scotti, in: Giacomo Scotti, “dossier foibe”, Manni 2005. Questo è uno dei volumi che ho acquistato per capire qualcosa sul problema dei morti italiani nel 1943 in Istria, ed in generale sui fatti definiti in modo generico “foibe” in questo caso istriane. Il libro andrebbe letto tutto, ma io prendo solo alcuni spunti che fanno riflettere. Ho acquistato e letto anche Raoul Pupo, Il lungo esodo, Istria: le persecuzioni, le foibe, l’esilio, Rizzoli, gennaio, 2005 e  Zdenko Cepic, Damijan Guštin, Nevenka Troha, La Slovenia durante la seconda guerra mondiale, ifsml, 2013, che pure citerò in queste mie righe.

Giacomo Scotti inizia il suo lavoro con un capitolo intitolato. “Venti anni di squadrismo e la guerra” e si sofferma, come del resto anche Raoul Pupo nel volume citato, sulla politica dei fascisti e del fascismo in Istria sottolineando come detto periodo fu: «particolarmente tragico per una larga parte della popolazione istriana venutasi a trovare inserita nel territorio periferico di frontiera del Regno d’Italia; di un’Italia per di più privata, quasi subito dopo il primo conflitto mondiale della democrazia parlamentare e della libertà, asservita al regime fascista; di un’Italia programmaticamente e politicamente negata a governare con giustizia territori plurietnici, plurilingui e multiculturali in quanto spinta dal suo governo fascista a realizzare un preciso programma di oppressione e snazionalizzazione dei propri sudditi cosiddetti allogeni e alloglotti nei territori italiani», in sintesi non italiani prima della prima guerra mondiale.  (Giacomo Scotti, op. cit., p. 19). Inoltre, scrive sempre Scotti, il fascismo, salito al potere, continuò ad imporre l’equazione Italia = fascismo e cercò in ogni modo di italianizzare e fascistizzare, il che per il regime era la stessa cosa, i territori annessi, (Ivi, p.40) facendo odiare i fascisti in particolare gli squadristi, visti, grazie alla propaganda del Duce, come “gli italiani”, autori di mille nefandezze verso la popolazione autoctona. Tra queste nefandezze ricordo: l’esproprio delle terre ai contadini, che così venivano ridotti in povertà, favorendo poi la loro emigrazione in modo da allontanarli dalle famiglie; la sostituzione di sacerdoti, maestri e sindaci sloveni con altri italiani, imponendo la lingua italiana, sino alla nazionalizzazione dei cognomi e dei nomi delle località. Si doveva impedire ogni acquisto di proprietà da parte degli slavi, prolungando i tempi per le pratiche burocratiche, e nel frattempo fare in modo di assegnare i terreni a famiglie venete, friulane, istriane italiane; minare la proprietà slava attraverso le operazioni di credito e fisco, trasferire minatori ed operai d’ufficio in centri lontani dal Regno e nelle Colonie e si doveva creare una fitta rete di informatori, in sintesi di spioni, pronti a comunicare ai fascisti ogni mossa o parola di più o meno presunti oppositori al regime. (Ivi, pp, 30-31). E ciò avvenne.

Attraverso il taglio del credito ed altre alchimie finanziarie, attraverso la vendita all’incanto per debiti, vennero espropriate ben settemila proprietà contadine, tutte di persone appartenenti all’etnia croata o slovena. «Nel Buiese, a Dignano, Fasana, Brioni e Pola si insediarono migliaia di agricoltori fatti venire dalle “vecchie provincie”, in prevalenza padovani e trevigiani.» (Ivi, p. 31). E chi tentava di aiutare gli slavi poteva finir male: «Alcune centinaia di democratici italiani, socialisti comunisti e cattolici che lottarono per la difesa dei più elementari diritti delle minoranze, subirono attentati, arresti, processi, e lunghi anni di carcere inflitti dal Tribunale speciale per la difesa dello Stato». (Ivi). A chi volesse approfondire l’argomento consiglio almeno la lettura di Teodoro Sala, Il fascismo italiano e gli Slavi del sud, ed.irsml, 2008, ma anche i pochi volumi sui campi di concentramento italiani fra cui quello di Gonars, ove certamente le internate non ricamavano ed andavano a vendere fazzolettini di bianca e fine tela in paese.

Ma per ritornare all’”eccidio etnico”, termine usato dalla dott. Serracchiani secondo il Messaggero Veneto, così si esprime uno studioso del calibro di Enzo Collotti, «Da parte della destra italiana […], si continua a stravolgere la verità ed ad insistere sul “genocidio nazionale” asseritamente subìto dagli italiani in Istria» (Ivi, p. 14). Egli poi continua citando Gianantonio Paladini, che, sul numero 1-2, gennaio-giugno 2001 della Rivista dell’Associazione Nazionale Dalmata, chiarisce che la tesi del genocidio nazionale «è nata da opere e personaggi provenienti dall’esperienza della Repubblica sociale italiana, ma si è poi diffusa e consolidata come giudizio di fondo di quanti hanno continuato a guardare alla questione delle Foibe esasperati dall’abbandono e dall’incomprensione che per decenni, fino agli anni ’90 hanno contraddistinto la storiografia ‘democratica’ italiana e la cultura, anche politica , di cui è stata espressione».  (Ivi, p. 14).

Però Collotti, che riporta la citazione, afferma che non è vero che delle foibe non si sia mai parlato sino al 2001, perché vi è stato mezzo secolo di pubblicistica immensa che ha puntato alla quantificazione dei morti, «esasperandola al punto da rendere, nel dibattito triestino e giuliano, dentro e fuori dai confini nazionali, ma anche tra gli esuli, quasi abitudinarie valutazioni diversissime». (Ivi). «Nel frattempo – continua Collotti – la destra post-fascista ha pressocchè monopolizzato l’argomento delle foibe anche per distogliere l’attenzione dal ruolo svolto dall’RSI e di quanti aderirono alle formazioni nere che in Istria e nella Zona di Operazione del Litorale Adriatico combatterono agli ordini dei comandi nazisti contro i resistenti […], seminando distruzione e morte fra la popolazione civile. Questa destra post-fascista, inoltre, soprattutto a Trieste, ha cercato di coprire con urli e fragori qualsiasi voce levatasi per ricordare violenze e stragi perpetrate dai fascisti italiani in Istria e nelle zone occupate della Dalmazia, del Montenegro e della Slovenia […] dall’aprile 1941 all’inizio del settembre 1943 e, ancor prima […]». (Ivi).

«Oggi, alla luce dei documenti, nessuno può né svuole sminuire il peso della strage istriana del 1943 – scrive sempre Collotti. Non si può permettere, però, nemmeno la moltiplicazione dei morti infoibati, il lurido abuso della tragedia, né tollerare la menzogna che le vittime furono tutte italiane e innocenti. Gli infoibati furono prevalentemente fascisti, e furono in maggioranza italiani perché gli italiani formavano la maggioranza dei gerarchi e dei militi fascisti, ed erano italiani i detentori del potere in Istria, ma non mancarono i Croati. In comune le vittime avevano una sola cosa: i loro cognomi suonavano tutti all’italiana dopo che il regime fascista aveva italianizzato la totalità dei cognomi slavi, trasformando i Knapic in Canapini e Nappi,i Matkovic in Matteoni, i Kmet in Metti, i Mihalic in Micali, gli Jugovac in Meriggioli, gli Jelenic in Gelleni, i Kral i in Re i Radosevic in Radossi, i Tomazic in Tommasini, i Filipic in Filippini e via, trasformando e/o traducendo. C’erano anche croati dal cognome italianissimo come gli Zuccon di Medolino, i Delbianco, i Deprato, ecc.». (Ivi, p. 15). Quindi termina Collotti, ricordando gli oltre 5.000 civili istriani massacrati nel giro di due settimane dai tedeschi all’inizio di ottobre del 1943, e le decine di villaggi incendiati nello stesso periodo in Istria sempre dai tedeschi, guidati dai fascisti, se è giusto denunciare le stragi delle “foibe” non si possono dimenticare fatti altrettanto gravi compiuti dai fascisti e nazisti verso popolazioni slave.

Da studi sloveni successivi (Zdenko Cepic, Damijan Guštin, Nevenka Troha, La Slovenia durante la seconda guerra mondiale, ifsml, 2013, pp. 374-375) si viene a sapere, se ho ben compreso, per quanto riguarda il 1945, che molti condannati anche italiani dagli jugoslavi furono internati in campi di concentramento e non tutti infoibati. «La fine della guerra significò […] anche una resa dei conti e fu un periodo di vendette contro il nemico sconfitto. […]. Si sa che l’Esercito jugoslavo e i suoi servizi di sicurezza eseguirono le cosiddette operazioni di pulizia, comprendenti anche le uccisioni dei collaborazionisti catturati, nelle zone già liberate prima ed in Bosnia ed il Croazia. Si conservano però documenti in cui si ordina di consegnare i prigionieri di guerra alle truppe di retrovia e avviarli verso l’interno del paese. Ciò valse in particolare per i tedeschi catturati […]. Si trattò di circa 175.000 fra soldati e ufficiali. (…).
Nel gennaio 1946 la Croce rossa internazionale diffuse un elenco di italiani prigionieri di guerra o incarcerati in Jugoslavia che comprendeva complessivamente 9.892 uomini. Le condizioni dei campi per prigionieri di guerra furono nei primi mesi disperate e ciò causò la morte di molti di essi. Le ragioni stavano nel gran numero di prigionieri, nella penuria di cibo in tutto il paese e nella sua scarsa distribuzione, nelle condizioni igieniche e abitative precarie e anche nella crudeltà di alcuni militari di guardia. In particolare furono pessime le condizioni del campo di Borovnica, vicino a Lubiana in cui era rinchiusa la gran parte dei prigionieri di guerra italiani catturati nella Venezia Giulia. Il 21 giugno 1945 Boris Kraigher chiese che la situazione a Borovnica fosse sanata. Le autorità intervennero e le condizioni mutarono. Il 21 ottobre 1945 erano rinchiusi a Borovnica soltanto 352 prigionieri».

Secondo me, per capire bene ciò che accadde e quante persone vennero coinvolte in questo periodo di “resa dei conti” bisognerebbe scindere gli infoibati, dai prigionieri ecc., se possibile, perchè altrimenti non si comprende nulla, bisognerebbe uscire da letture ideologiche e studiare i fatti. E non vedo perchè qualcuno dovrebbe essere contrario. E vorrei ricordare il documento redatto dalla Commissione italo-slovena per una storia condivisa, che riporterò in un futuro articolo.

 

Sul fatto specifico della strage di Vergarolla, non mi pare proprio però che fino al 2016 sia stata una strage ignota, infatti Raoul Pupo la ricorda del suo volume, e scrive che «domenica 18 agosto una trentina di mine, residuato bellico, accatastate sulla spiaggia di Vergolla, esplose improvvisamente mentre l’arenile era affollato di bagnanti. Lo scoppio – avvenuto per ragioni mai del tutto chiarite, ma che gli italiani addebitarono immediatamente ad un attentato jugoslavo – costò la vita ad alcune decine di persone, ferendone e mutilandone moltissime altre, e colpì duramente un’opinione pubblica già prostrata da una sensazione di generale abbandono, diffondendosi la psicosi di una sorta di congiura a danno degli italiani» (Raoul Pupo, Il lungo esodo op.cit., p. 139).  

Pertanto essa resta una delle stragi senza autori processati e condannati, se vi fu intenzionalità e non si trattò di mine esplose per chissà quale motivo accidentale.

Si rimanda comunque per l’argomento specifico a: Gaetano Dato, Vergarolla, 18 agosto 1946, gli enigmi di una strage tra conflitto mondiale e Guerra Fredda, Gorizia, Leg, 2014, frutto di una ricerca finanziata dal Circolo di Cultura Istro Veneta “Istria” nonchè dal Ministero dei Beni Culturali e dalla Regione Autonoma Friuli Venezia Giulia.

E chiudo dicendo, in generale, che bisogna distinguere le strumentalizzazioni politiche di fatti ed eventi storici, presenti nel corso degli anni, e le visioni ideologizzate dalla realtà dei fatti, da ciò che è oggettivamente riscontrato in storia, la chiacchiera sempre più anche giornalistica dall’analisi storica di un problema. Inoltre ciò che è ignoto a livello divulgativo può esser noto a livello di studi storici. Questo non significa, naturalmente, non piangere ancora delle vittime, come quelle di Vergarolla. E mi fermo qui ricordando pure i corpi dei morti della Siria, degli ospedali distrutti, di cui ben poco parla la politica italiana. Per non dimenticare per iniziare a correttamente contestualizzare, e senza offesa per alcuno.

Laura Matelda Puppini

 

Laura Matelda PuppiniSTORIANon avrei scritto queste righe se non avessi letto il titolo e l'articolo di Maurizio Cescon, Vergarolla 1946, la strage dimenticata. Serracchiani: eccidio etnico e ideologico. Le bombe sulla spiaggia di Pola uccisero 66 italiani, molti bambini. Il cantautore Cristicchi: fu un episodio decisivo per l’esodo, in: MessaggeroVeneto 18...INFO DALLA CARNIA E DINTORNI