Confesso che trovo come minimo curioso che una persona anche solo diplomata citi un libro senza averlo letto. Ma così accade, forse, nel mondo della politica, almeno a me pare, dopo le pubbliche esternazioni su un volume pubblicato da Kappa Vu. Perché se l’assessora Gibelli, laureata, e Roberto Novelli, deputato e diplomato, avessero letto “Fenomenologia di un martirologio mediatico”, si sarebbero accorti che è un libro serio e che raccoglie quanto si sapeva allora sull’ argomento degli arresti ed uccisioni, contestualizzati, per mano jugoslava nel 1943 – 1945, e quindi non certo negazionista di quegli eventi che, impropriamente vengono definiti ‘foibe’.  Ma potrebbero averlo magari anche letto, e mi scuso con loro per averlo messo in dubbio, ma con una visione preconcetta. Comunque, sia come sia, li ringrazio davvero per avermi dato l’opportunità di conoscere questo volume ben fatto ed interessante.

E per l’ampiezza dei temi trattati con uno stile scarno, essenziale ed asciutto, che si sorreggono su di una serie di note di tutto rispetto, io lo proporrei, e perché no, alle quinte delle scuole superiori come lettura anche in senso critico in quanto presenta argomenti di discussione a diversi livelli. Inoltre se si permette di leggere, senza colpo ferire e senza possibilità di discussione dei contenuti, persino il ‘Mein Kampf’ di Hitler [1], che si può scaricare anche on line nella sua traduzione italiana fatta da un anonimo, è davvero strano che una assessora punisca (compito non suo) una casa editrice per un libro di tutto rispetto che riporta la tesi di un laureando. Ma così va il mondo. 

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Dal punto di vista bibliografico e delle fonti, Federico Tenca Montini cita autori che vanno da Renzo De Felice a Raoul Pupo, da Capodigreco a Collotti e Cernigoi, da Ferenc Tone a Kacin Wohin Milica, da Alessandra Kersevan a George Mosse, da Gianni Oliva a Marco Pirina, da Roberto Spazzali a Giacomo Scotti, per terminare con Vinci, Volk e Vratuša. Inoltre non mancano di certo i documenti e gli archivi visti, i siti consultati, oltre la conoscenza analitica di film e spettacoli, come si evince dalla noiosa descrizione particolareggiata della trama del film “Il cuore nel pozzo” alle pp. 109-127. E credo che le Regione Fvg non possa negare ad alcuno di criticare una fiction.

È quella presentata da Tenca Montini in questo suo volume, una bibliografia di tutto rispetto per un volume che l’autore divide in tre parti: ciò che, sulla base delle fonti consultate ed allo stato delle ricerche allora, si riteneva fosse accaduto, una seconda parte relativa alla presenza del tema ‘foibe’ nel dibattito politico italiano e sull’uso politico della storia, davvero molto interessante, (tenendo conto però del fatto che la tesi di laurea di Federico Tenca Montini, “Fenomenologia di un martirologio …. “è stata scritta nel 2011), una terza su quanto trasmesso dai mass media in un preciso contesto nazionale. E credo che il diritto di critica sia ancora in vigore in questa mia Patria, di cui, nonostante tutto, vado ancora fiera, come mi ha insegnato ad esserlo mio padre.

Del resto lo stesso Raoul Pupo [2] ricorda, nel suo “Due vie per riconciliare il passato delle nazioni? Dalle Commissioni storico culturali italo-slovena e italo-croata alle giornate memoriali, in ‘Italia Contemporanea’, dicembre 2016, a p. 250 come, sul piano comunicativo, relativamente agli avvenimenti successi al confine orientale d’ Italia nel 1943-1945, ci fossero stati non pochi beceri esempi di uso pubblico della storia, sostenuti anche da iniziative mediatiche di dubbio gusto. Al riguardo, a suo avviso, «la palma in negativo va certo assegnata alla fiction ‘Il cuore nel pozzodedicata alle foibe istriane dell’autunno 1943, prodotta nel 2005 dalla Rai: un vero coacervo di luoghi comuni, guardando il quale lo spettatore assai poco poteva capire di quanto accaduto, e quel poco era pure sbagliato». Ma, «Con pervicacia degna di miglior causa, la Rai continua a infliggerlo agli spettatori ogni 10 febbraio, moltiplicando i danni» [3].

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Nella prima parte del libro, Tenca Montini offre una carrellata delle persecuzioni antislave ad opera del fascismo, riscontrabili, peraltro, anche in Raoul Pupo “Il lungo esodo”, Rizzoli ed., per quanto riguarda in particolare il periodo dopo la fine della prima guerra mondiale, e oggetto del libro di Teodoro Sala, “Gli Slavi del Sud”, Irsml, per quanto riguarda ciò accadde dopo l’invasione nazifascista del Regno di Jugoslavia del 1941.

 Le popolazioni ed i territori dell’Istria e delle isole de Quarnaro dopo la loro annessione all’Italia avvenuta con il trattato di Rapallo, e quelli del resto della penisola jugoslava dopo l’occupazione dell’aprile 1941, subirono sopraffazioni di diverso tipo da parte degli italiani. E l’equazione fascismo = italianità fu molto cara al Duce ed ai suoi. E «già prima del colpo di stato fascista, furono inaugurate politiche di snazionalizzazione che previdero il reinserimento di gruppi sloveni in altre zone d’Italia con intento di assimilazione» [4].

Dopo il trattato di Rapallo, sloveni e croati che abitavano nei territori annessi non poterono più utilizzare in luogo pubblico la loro lingua madre, neppure a scuola o per un canto alla Santa Messa di Natale (cfr. il caso di Lojze Bratuž, italianizzato in Luigi Bertossi, maestro di canto, torturato da fascisti e deceduto, dopo settimane di sofferenza, nel 1937, per aver diretto un coro natalizio in chiesa con canti in sloveno [5]). Ed ai bimbi a cui fosse sfuggito un termine in sloveno o istroveneto od istriota poteva accadere pure di essere obbligati ad aprire la bocca dal maestro, che poi gli sputava dentro, trasmettendo pure germi e quant’ altro [6].

I cognomi sloveni e slavi vennero italianizzati formalmente su richiesta, ma se questa non veniva fatta erano guai e povertà; la rete economica slovena, che si reggeva pure su cooperative, fu distrutta in vario modo, i terreni confiscati ed ai lavoratori autoctoni il fascismo sostituì agricoltori italiani immessi sui territori ad incominciare già dagli anni ’20. Non solo: emigrazioni di fatto coatte, politiche vessatorie nei confronti delle istituzioni culturali, verso le quali «la violenza quotidiana fece più delle leggi speciali» [7], lo scioglimento delle organizzazioni politiche locali, caratterizzarono l’agire italiano nei territori passati all’Italia nel periodo precedente all’invasione, mentre «le squadre fasciste assunsero il compito di portare la missione del regime laddove disposizioni e leggi non potevano arrivare» [8], lasciando dietro di sé una scia di sangue. Il ceto dirigente sloveno e croato venne decapitato, e per gli slavi non vi fu più possibilità di ascesa sociale.

E si poteva morire per un canto, come accadde al povero Bratuž, e per un nonnulla, e la derisione e varie angherie erano all’ordine del giorno, qui contro gli antifascisti, là contro gli ‘indigeni’.
Dopo l’invasione e l’occupazione nazifascista del 1941 ed ai tempi dell’Ozak non andò certo meglio. E si poteva finire vittime di una delle stragi nazistifasciste senza neppure sapere il perché.

Quanto subì la penisola jugoslava occupata e vessata dai nazifascisti dopo l’invasione, ce lo racconta in modo esemplare Teodoro Sala, che fu apprezzato docente di storia contemporanea all’Università di Trieste nel suo volume che ho già citato, mentre la nascita e lo sviluppo del movimento partigiano jugoslavo sono ben descritti nel volume  La Slovenia durante la seconda guerra mondiale’ di Zdenko Cepic, Damijan Guštin, Nevenka Troha, edito dall’I.F.S.M.L. di Udine.

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A fronte di quanto si sa esser accaduto in Jugoslavia per mano fascista, le reticenze italiane sul ruolo svolto dall’Italia fascista nella penisola balcanica durante la seconda guerra mondiale sono sottolineate da Teodoro Sala nel suo: “1939-1943. Jugoslavia neutrale. Jugoslavia occupata”, ove si legge che: «A fronte di contributi parziali ed indiretti, di quelli di Collotti contrassegnati da un’acuta e documentata interpretazione degli imperialismi nazista e fascista […], o di quelli […] di Valiani, prevale piuttosto la regola del silenzio» [9] e una arretratezza negli studi.

Per quanto riguarda ciò che accadde in Istria nel 1943, dopo l’8 settembre, Federico Tenca Montini scrive che detto territorio, vi giunse «reduce da un ventennio di oppressione razzista e violenza squadrista» [10], ricordando pure il famigerato campo di internamento di Rab (Arbe).

Nelle città della costa sorsero immediatamente comitati di salute pubblica, retti da italiani, mentre il movimento popolare emerso nell’Istria interna «ebbe i caratteri dell’improvvisazione, della disorganizzazione e della vendetta. Nel repentino e inaspettato vuoto di potere, […] si inserirono elementi eterogenei per preparazione e modalità operative, e di cui pochissimi potevano dirsi propriamente comunisti al di là di un vago anelito per una società più equa di quella plasmata dalla dittatura fascista» [11].

Invece «Nelle zone interne, laddove la presenza croata era più massiccia, il cambio della guardia assunse […]  la forma di una rivolta contadina, con assalti a presidi delle vecchie autorità, incendi degli archivi della burocrazia fascista ed esecuzioni sommarie»[12].

Il 13 settembre venne espressa la volontà che l’Istria venisse a far parte della Jugoslavia ed il 20 dello stesso mese il “Consiglio di Stato antifascista della liberazione popolare della Croazia” sancì l’integrazione della Croazia nel nuovo stato nazionale che si doveva ancora creare [13].

Nel clima esistente, e mentre veniva formandosi la Zona libera del Litorale  Sloveno e la Repubblica di Caporetto, (quando già nella primavera del 1942 i partigiani sloveni erano riusciti  a creare una zona libera, la prima, nella regione di Lubiana la resistente, di Lubiana la circondata da filo spinato), «al furore della prima ora era subentrata un’ondata di arresti cui fecero seguito le prime esecuzioni comminate dal tribunale del popolo di Pisino», e successivamente circa 200 prigionieri fascisti vennero uccisi lì, mentre i tedeschi avanzavano, ed i loro corpi furono gettati nelle foibe, nelle cave o seppelliti in fosse comuni [14]. Ma coloro che furono catturati e poi imprigionati erano volti conosciuti del fascismo, e così «oltre ai noti squadristi caddero funzionari pubblici e di polizia, insegnati e quadri». Ma la vendetta investì anche croati e sloveni italianizzati, che avevano preso parte attiva alla persecuzione dei loro ex- connazionali [15]. Pertanto comprendere chi, fra le vittime, allora era italiano purosangue, diciamo così, prendendo un termine caro al nazismo, e chi era un italianizzato non è cosa semplice.

Scritto questo, non so come si possa affermare che Tenca Montini è un negazionista di quanto accaduto nel corso della seconda guerra mondiale in Jugoslavia nel 1943.

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Quindi l’invasione nazista che fece da sola 5000 morti in Istria nel giro di una settimana.  E, contro gli slavi, i tedeschi insediatisi nell’ Ozak da loro creata, incominciarono ad usare le ‘foibe’ istriane, a scopo propagandistico, «suggerendo surrettiziamente che si sarebbero nuovamente verificate senza la loro presenza in qualità di garanti dell’ordine» contro gli ‘slavo comunisti’ [16] (che inglobavano tutti quelli che erano slavi e al tempo stesso antifascisti, antinazisti e partigiani) presentati come «dei barbari assassini» e «rinfocolando gli stereotipi di marca fascista»[17].  Ed incominciarono ad estrarre dalle foibe istriane i cadaveri, circa 204, tra cui quello di Norma Cossetto, persona su cui ben poche informazioni certe si hanno.

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Poi la guerra di Liberazione che l’Esercito Popolare di Liberazione della Jugoslavia condusse al fianco degli alleati, e da cui uscì fra i vincitori, senza che però l’Italia, a differenza di quanto era stato convenuto, consegnasse mai alla Jugoslavia i considerati criminali di guerra. Ed iniziarono le prime epurazioni e gli arresti sulla base, come da un documento pubblicato da Pupo e Spazzali, dell’appartenenza attiva al fascismo [18].  «I primi ad essere arrestati, come da normale prassi di guerra, furono gli appartenenti alla formazioni militari e paramilitari sconfitte, ma anche i corpi di polizia che l’amministrazione nazista aveva a vario titolo destinato a funzioni repressive […]» [19].  A questa prima ondata di deportazioni – scrive Tenca Montini – si aggiunsero, con particolare virulenza nei primi giorni, uccisioni scaturite da quell’atmosfera da resa dei conti che attraversò brevemente l’Europa liberata tutta» [20]. E ci furono pure, alla fine di quella lunga guerra che aveva riempito il mondo di terrore ed orrore, episodi di giustizia sommaria in cui «rimasero coinvolti sia personaggi collusi con il fascismo e l’occupazione nazista che vittime accidentali di errori burocratici e vendette personali».  E vi furono pure criminali comuni che si spacciarono per partigiani per razziare e compiere crimini e infiltrati che lo fecero per screditare il movimento partigiano [21].

Comunque il 21 maggio 1945 le truppe dell’Esercito Popolare di liberazione Jugoslavo si ritirarono oltre la linea Morgan, ed iniziarono le trattative riportate sempre da Federico Tenca Montini nel suo: La Jugoslavia e la questione di Trieste, 1945-1954, edito da Il Mulino nel 2020.

Infine in questo suo ‘Fenomenologia di un Martirologio mediatico’, Tenca Montini si sofferma pure sull’esodo, che assolutamente non nega. I primi trasferimenti di massa – scrive – iniziarono nella primavera del 1945, e quindi lo stesso CLN di Fiume, formatosi senza i comunisti, invitò gli italiani all’esodo generale dalla città, senza peraltro essere seguito. Invece una grande ondata migratoria avvenne dopo il trattato di Parigi del 1947, che «consentì alle persone “con lingua d’uso italiana” di optare per la cittadinanza italiana e ottenere il trasferimento nella penisola» [22]. Dopo la creazione della zona A e B e successivamente con la creazione del territorio libero di Trieste, l’esodo continuò tanto che, nel 1956, termine ultimo per poter lasciare la Jugoslavia, gli italiani od italianizzati che avevano preso la via della penisola dalla zona B erano circa 40.000, mentre il dato globale fu di circa 200 – 250mila persone [23], ma una parte delle stesse andò pure in Canada, Stati Uniti ed Australia [24] a cercare quel lavoro e quel pane, e questo lo dico io, che non sempre era facile trovare nella nuova Jugoslavia e neppure in Italia.

Infine sappiamo che i profughi godettero in Italia di una serie di leggi a loro favore [25] e del sostegno della Dc, partito al potere dopo il 1948 [26].

Quindi, ritornando a noi, si può forse dire che Tenca Montini nega l’esodo o quanto avvenne a fine guerra nella Venezia Giulia? Non direi proprio, ma se, magari, ci si fida di un titolo e di una glossa …

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Il resto del libro parla della vulgata di questi fatti che parti politiche poco attente allo studi relativi ai fatti realmente accaduti ed altri vorrebbero far passare per la verità, e quindi della veicolazione mediatica della stessa e di aspetti inerenti la politica italiana e l’uso politico della storia, che nulla hanno a che fare con il negazionismo.

Infatti Tenca Montini analizza dapprima i motivi, a suo avviso tutti politici, per cui di ‘foibe’ non si sentì parlare per molti anni in Italia, e cioè,  il «desiderio di trascurare una narrazione collegata al fascismo» e per non disturbare un paese non più filo Urss [27], e quindi si sofferma a confrontare tre spettacoli, tre fiction, prodotte dal 2005 al 2007 in Europa e cioè l’italiana “Il cuore nel pozzo” del regista Negrin (2005), la polacca ‘Katyn’ di Andrzej Wajda (2007) e la tedesca ‘Die Flucht’ (2007), che narrano tre storie soggiaciute per un motivo o per l’altro in precedenza, ma le raccontano in modo diverso, in particolare nella ricostruzione dei contesti. Secondo Tenca Montini il peggiore è “Il cuore nel pozzo” perché, da quanto ho capito leggendo il libro, si presenta come un polpettone del peggiore romanticismo nazionalistico ottocentesco. I personaggi ci sono tutti: i cattivi, che risultano essere i partigiani jugoslavi privi di personalità, che vogliono solo uccidere, saccheggiare, stuprare; i buonissimi, che sono gli italiani che uccidono solo per cause di forza maggiore [28]; le giovani vittimizzate; i bambini, che sono però degli adulti in miniatura. Inoltre, scrive sempre Tenca Montini, «l’insistenza sul corpo della donna quale depositario della purezza della nazione è sorprendente […]» [29].

“Il cuore nel pozzo” creò clamori oltre confine, con rigetto della pellicola, che comunque venne presentata sia in Slovenia che in Croazia, da parte dell’opinione pubblica e portando ad una accelerazione dell’iter di approvazione della “Festa del ritorno del litorale sloveno alla madrepatria”[30].

Quindi Tenca Montini dedica poche note in senso critico anche a “Magazzino 18”, che, come ho ricordato in altra sede, ad alcuni non era piaciuto per i messaggi veicolati [31].

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Inoltre non credo sia errato, rispetto ad una visione acritica e non sufficientemente documentata di quanto accadde in Venezia Giulia e Regno di Jugoslavia nella prima metà del Novecento, asserire, come fa l’autore di Fenomenologia di un martirologio mediatico, che «Il macabro armamentario delle dicerie sulle foibe […] produce narrazioni che, per lo più disdegnate dalla storiografia, continuano a fiorire nella memorialistica e nel lussureggiante sottobosco di internet» [32].

Ma per far comprendere ai più il messaggio che desidera veicolare ai lettori, Tenca Montini sottolinea come, per esempio, vi sia una distanza abissale tra la trattazione del tema delle foibe all’interno della puntata monografica di “Correva l’anno” dedicata al Maresciallo Tito, realizzata con la collaborazione degli storici Pirjvec e Pupo, rispetto agli episodi approntati espressamente per il giorno del ricordo [33].

Infine l’autore del volume qui preso in considerazione, propone, in questa sua ricerca, l’analisi di alcuni aspetti della politica italiana in diversi periodi, da opinionista informato ed esercitando il diritto di critica, allegando documenti nel merito o citando fonti attendibili, per chiudere con una rigorosa ed asciutta cronistoria dell’iter per l’intitolazione di un parco alle vittime, non ai martiri delle foibe ad Udine.

Come fare poi, a non concordare con Tenca Montini quando sostiene che «le foibe vanno interpretate come uno dei vari aspetti dell’epilogo del secondo conflitto In Europa» [34]? Inoltre egli scinde quanto accaduto dalla «monumentalizzazione delle foibe», su cui prende posizione ma volgendo la sua analisi agli aspetti mediatici e politici di cui è figlia, e che limitano una volontà di comprensione reciproca fra paesi confinanti[35].

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Senza voler offendere alcuno, questa recensione ho scritto e ben vengano da lettori del volume, non aprioristicamente o per partito preso, anche critiche fondate a questo mio testo.

Ringrazio la biblioteca civica di Tolmezzo per avermi procurato il volume grazie al prestito interbibliotecario, una grande opportunità per tutti.

Laura Matelda Puppini                                               

[1] Cfr. https://annamariavolpi.files.wordpress.com/2019/02/mein-kampf.pdf

[2] Raoul Pupo, Due vie per riconciliare il passato delle nazioni? Dalle Commissioni storico culturali italo-slovena e italo-croata alle giornate memoriali, in ‘Italia Contemporanea’, dicembre 2016, p. 250.

[3] Citazioni da: Laura Matelda Puppini, Problemi dati dal “Giorno del ricordo” come attualmente celebrato, e problemi diversi nella Venezia Giulia del dopoguerra, in: www.nonsolocarnia.info).

[4] Federico Tenca Montini, Fenomenologia di un martirologio mediatico, Kappa Vu, 2014, pp. 21-22.

[5] Per la nobile figura di Lojze Bratuž, cfr.: https://it.wikipedia.org/wiki/Lojze_Bratu%C5%BE; https://www.dizionariobiograficodeifriulani.it/bratuz-lojze/; https://www.isonzo-soca.it/2021/04/07/ljze-bratuz-non-era-un-antifascista/; https://www.gorizia3-0.it/l/bratuz-lojze-1902-1937/ ed altri. Egli, morto a causa delle torture dei fascisti, che lo avevano costretto a bere olio di macchina misto ad olio di ricino, dopo settimane di agonia, lasciò la giovanissima moglie, la maestra elementare e poetessa Ljubka Šorli, ed una figlia che poi divenne la nota poetessa Lojzka Bratuž. (https://amp.it.google-info.org/7946775/1/lojzka-bratuz.html).

[6] Federico Tenca Montini, op. cit., p. 26. Qui l’autore cita il caso dei coniugi Giovanni, pure seniore dell’MVSN, triestino, e Francesca Renzi di +Messina, maestri a Podhum, che ai ceffoni univano questa pratica. Essi, malvisti dalla popolazione per quanto facevano ai bambini, ed accusati di spionaggio, dopo un processo sommario, furono uccisi il 14 o 16 giugno 1942 da jugoslavi si presume locali. Come ritorsione per questo fatto e per la morte di 16 soldati, il paese di Podhum fu bruciato dai fascisti, per ordine del prefetto Temistocle Testa, e una serie di maschi dai 16 ai 64 anni fu fucilata, mentre donne vecchi e bambini furono internati nei campi di concentramento fascista, e spesso non fecero più ritorno. (https://www.anpi.it/media/uploads/patria/2012/27-34_SCOTTI.pdf).

[7]Federico Tenca Montini, op. cit., p.27

[8] Ivi, pp. 23-25, e p. 26.

[9] Teodoro Sala, 1939-1943. Jugoslavia neutrale. Jugoslavia occupata, in: Italia contemporanea, marzo 1980, pp. 85 – 105. Il testo è leggibile in: http://www.italia-resistenza.it/wp-content/uploads/ic/RAV0053532_1980_138-141_04.pdf.

[10] Federico Tenca Montini, op. cit., p. 46.

[11] Ivi, pp. 46-47.

[12] Ivi, p.  46.

[13] Ivi, p. 47.

[14] Ivi, p. 48.

[15] Ivi, p. 49.

[16] Ivi, pp. 50-51.

[17] Ivi, p. 51.

[18] Ivi, p. 60. Il documento citato in nota 123 della stessa pagina, è riportato da: Raoul Pupo, Roberto Spazzali, Foibe, Rizzoli 2003 alle pp. 70-71.

[19] Ivi, p. 60.

[20] Ibidem.

[21] Ivi, pp. 60-62.

[22] Ivi, p. 66.

[23] Ibidem.

[24] Ivi, pp. 66-67.

[25] Decreto Legge (DL) n. 556 del 19.4.1948, Legge 4 marzo 1952, n. 137, avente come oggetto:  Assistenza a favore dei profughi, Legge 910 del 27 ottobre 1950, (citata in: Cristiana Colummi, Liliana Ferrari, Gianna Nassisi, Germano Trani, storia di un esodo, Istria, 1945-1956, Irsml, 1980); Legge n. 1080 del 28 dicembre 1950; Legge n. 9 del 4 gennaio 1951, Legge 1 luglio 1951 che per la prima volta prevedeva che gli IACP, l’UNRRA-Casas  e l’INCIS (quest’ ultimo solo per i profughi dipendenti statali) dovevano riservare ai profughi per quattro anni il 15% degli alloggi costruiti dopo il 1.1.1952; Legge 4 marzo 1952, n. 137; Legge n. 594 del 17.7.1954; Legge n. 240 del 31.3.1955; Legge n. 130 del 27.2.1958, avente come oggetto: “Norme per l’assunzione obbligatoria al lavoro dei profughi dai territori ceduti allo Stato jugoslavo con il trattato di pace e dalla zona B del territorio di Trieste e delle altre categorie di profughi”; Legge del 14.10.1960, e le cui associazioni  hanno ricevuto notevoli finanziamenti anche dalla Regione Friuli Venezia Giulia, fondi statali ex lege 72/2001 per pubblicare “Difesa Adriatica”, testata dell’ANVGD, diretta da Lorenzo Sereni, (http://www.anvgd.it/notizie/12361-mensile-difesa-adriatica.html) senza che i più riescano a capire, invero, da chi dovrebbe difendersi l’Adriatico o comunque il significato di questo titolo inquietante. (In: https://www.nonsolocarnia.info/25-aprile-e-giorno-del-ricordo-giornate-nazionali-e-non-di-associazioni-specifiche/).

[26] Federico Tenca Montini, op. cit., p. 72.

[27] Ivi, p. 182.

[28] Ivi, pp. 72-73.

[29] Ivi, p. 120.

[30] Ivi, pp. 132 e 136.

[31] Cfr. Laura Matelda Puppini, Considerazioni relative alla risposta dell’assessora Gibelli sul negazionismo Kappa Vu, in: www.nonsolocarnia.info.

[32] Federico Tenca Montini, op. cit., p. 98.

[33] Ivi, nota 72 p. 108.

[34] Ivi, p. 181.

[35] Ivi, p. 186.

L’immagine che accompagna questo articolo rappresenta la copertina, per me orrida, di ‘Fenomenologia di un martirologio mediatico, di Federico Tenca Montini, ed è tratta da: https://www.lafeltrinelli.it/fenomenologia-di-martirologio-mediatico-foibe-libro-federico-tenca-montini/e/….  L.M.P.

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