C’ è una testimonianza, se non erro di Elio Martinis, poi il partigiano Furore, in cui narra che la cosa che facevano capire i vecchi sopravvissuti ad altre guerre precedenti, senza quasi parlare, ai giovani era che quando si andava soldati, e quando si andava alpini, si poteva non tornare più a casa. Insomma la narrazione popolare sugli alpini (perché era il corpo militare in cui si veniva più facilmente arruolati in Friuli) era triste, era un racconto di volti conosciuti, di compagni con cui si era condivisa fame, sete, fatiche assurde, paura, che non erano più ritornati.

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Guardate per esempio cosa scrive Romano Marchetti, davanti alla bara aperta dell’Ors di Pani, ricordando la guerra partigiana:

«Giù il cappello! È morto L’Ors di Pani. Partigiani… venite…portiamo in trionfo Toni Zanella; in trionfo portiamolo in cimitero… (…).

[…] tu pesavi il formaggio che Anna ti porgeva […]. Tu pesavi la misura, la giusta misura nel freddo vestibolo della casera mentre fuori il caldo sole di settembre illuminava con gli ultimi raggi, […] la meravigliosa valle del Tagliamento, ottenebrata dall’apprensione dei giorni a venire.

Tagliavi e pesavi sul grande tavolo, amministrando con il sudore rappreso la tua giustizia […].

Così ora soltanto è possibile capire perché tu non chiedessi il prezzo che tutti gli altri pretendevano. Capisco perché tu non volessi mai regalare; perché tu vendessi al prezzo infamante di ammasso, tu non facevi commercio, vecchio mio Orso, […].» Egli mastica tabacco: è un passatempo che ogni tanto egli si concede, ma è un lusso; (…). Guarda tutti lungo l’intero orizzonte delle ciglia, con il capo abbassato al suo solito modo; il sorriso può anche essere nella barba e negli angoli degli occhi; l’ira può anche essere negli occhi e nella bocca sepolta. […]. La sua voce rimbomba nel cavo del portico riempito di luna e larve […]; dietro gli abeti compatti svettano più neri».

Ed intorno all’Ors a Marchetti par di vedere le figure di partigiani con cui ha condiviso lotta e paura, che accompagnano l’Ors. «La figura di Marco s’è fatta più attenta e piccina, confusa tra tutti: solo la fronte e le guance spiccano; Arturo, accanto, domina il suo gruppo ma i suoi occhi hanno tradito l’interesse professionale. La rossa barba di Sernio e quella di Garibaldi (…) brillano perché simpatizzate dal bagliore degli occhi di Lupo; arriva da una miniera del Belgio la bruciante barba di Lampo e si affianca; in un vuoto, denso di aspettativa, passa veloce e molesto il riso squittente di Barba Livio, il massacrato dell’ultimo giorno, in una cantina, dalle scimitarre cosacche, assieme a venti compagni, come se fossero mele da pelare per il mosto; si sente la predica di Gracco, cucinato nel fieno della casa circondata dai Mongoli; si sente il tacere di Aso, l’anarchico morto con la palla in fronte, di Nembo struggentesi nella propria, buona, voce sotto gli occhi ribelli; compare il cupo Prospero, viandante transoceanico, pellegrino in fuga continua, fuggente innanzi ai propri ricordi ed al proprio fato cattivo che lo costrinse ad amministrare l’estrema Giustizia ed a dannarsi l’anima. (…).

Le punte degli abeti ondeggiano e così le larve e gli uomini, ed il riso di tanti; piovono da tutte le parti i morti in guerra, gli assassinati, i cremati vivi da irresponsabili e megalomani; piovono e vengono a ridere ed a scaldarsi con il ridere assieme: le ombre dei pilastri del chiostro ondeggiano, si plasmano, si trasformano variabilmente (…). E piombo in un altro giro di ricordi». (1).

Credetemi, così ricordavano anche gli alpini che erano stati in guerra, flash di vita, volti, ambienti.

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Nelle adunate attualissime non vi è ricordo reale ma solo agiografia, politica, immagine, speranza di lauti guadagni per il settore della ristorazione ed alberghiero, tanta prosopopea e goliardia.

Ma questo non è lo spirito antico di questo corpo, sempre mandato avanti, in Russia con equipaggiamento indecente come scrive Revelli, in Grecia a sparare sui patrioti, come ricorda Romano Marchetti. E rammento la pietas di mio nonno Emidio, che fu sempre un uomo retto e caritatevole, poi colonnello degli alpini, che si era avvicinato ad un soldato austriaco morente forse per bagnarli le labbra, ed ascoltare, egli che era di madre lingua tedesca, le ultime sue parole, “Vai a pregare per me a Maria Zel”.

Altri racconti su cosa vissero i soldati nella prima guerra mondiale lo trovate nel mio “O Gorizia tu sei maledetta. Noterelle su cosa comportò per la popolazione della Carnia, e non solo, la Prima Guerra Mondiale, detta «la Grande Guerra”. Ma non scrivo questo per far propaganda al mio libro, ma per far capire le situazioni disastrose che vissero migliaia di italiani soldati, alpini, che invece la sola sfilata ed il riempire le strade di cibo e vino, di quel cibo e vino che in guerra mancano a tutti, non rendono.

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Sorridevano radiosi i nostri politici anche di alto rango alla sfilata alpina di Udine. Ma non sorridevano gli alpini in guerra, e non desideravano certo finire fra i militi ignoti, nei sacrari, in un cimitero di guerra. 

Cantavano gli alpini della Grecia: “Sul ponte di Perati bandiera nera”, con riferimento ai tantissimi soldati che vi avevano perso la vita. Queste le prime frasi del canto: Sul ponte di Perati/ bandiera nera/ l’è il lutto degli Alpini/ che va a la guera/. L’è il lutto della Julia/che va a la guera/ la meglio gioventù/ che va sot’ tera./.

E molti soldati anche alpini rientrarono dopo anni e trovarono i figli grandicelli, la giovane moglie ingobbita da lavoro ed età, un paese in cui facevano fatica a riconoscersi, conoscenti e parenti morti. Ed alcuni rimasero menomati diventando un peso per la famiglia, ed alcuni impazzirono o restarono sfigurati per sempre.  Io credo che alle adunate si dovrebbe avere anche un momento di raccoglimento, un discorso sulla guerra vista pure dalla parte di chi vi perse la vita e raccolse un mare di sofferenza, ed almeno mandare davanti al palco delle autorità “Sul ponte di Perati bandiera nera”, per non dimenticare.  

Senza voler offendere alcuno ma solo per rendere visibili alcune mie considerazioni sull’adunata di Udine, questo ho scritto. 

Laura Matelda Puppini

(1) Romano Marchetti, l’Ors di Pani, copie numerate.

L’immagine che accompagna l’articolo è stata scattata nel corso della prima guerra mondiale e fa parte del fondo Albino Candoni giacente presso l’isis “F. Solari” di Tolmezzo. Il suo utilizzo per pubblicazione su ‘O Gorizia tu sei maledetta, Noterelle su cosa comportò per la popolazione della Carnia, e non solo, la Prima Guerra Mondiale detta «la Grande Guerra”, A. Moro ed., è stata concessa dalla dirigente dell’ Istituto Manuela Mecchia. La riproduzione degli originali da me trovati e su mia proposta, è stata fatta dal fotografo De Monte di Tolmezzo. Laura Matelda Puppini.  

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