In Italia ci sono 532 dighe di interesse nazionale, che sono, per lo più, di Enel, Edison, A2A, Iren, Erg, e il governo che fu ne aveva messe 130 sotto rigido controllo. [1]. Chissà perché? – vi domanderete voi lettori. Facciamo un po’ di zapping, e capiremo perché.

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Disastri esteri recenti.

Giugno 2020. Regione cinese del Guangxi. La diga di un piccolo bacino idrografico crolla, dopo giorni di forti piogge per fortuna creando danni relativamente ridotti e nessuna vittima. Ma quel che si inizia a temere è che quello che è successo nello Guangxi, possa ripetersi con le altre dighe cinesi, alcune delle quali molto vetuste. «In tutto si tratta di 94.000 dighe che per di più insistono su aree che, al tempo della loro costruzione (gli anni ‘60) erano quasi completamente disabitate, mentre ora sono popolate da migliaia di persone». [2].

5 giugno 2020. Michigan, Usa. Crolla la diga di Edenville. La furia dell’acqua travolge tutto quello che si trova sotto, un po’ come ai tempi del Vajont. Ma non è la sola: infatti cede, a causa degli stessi eventi atmosferici,  anche la diga di Sanford, nello stesso stato americano. [3].

Gennaio 2019. Brasile. Crolla la diga di Brumadinho facendo 250 vittime [4], mentre nel marzo 2020 a Heilongjiang, in Cina, una diga che serviva una grande miniera di molibdeno, che veniva utilizzata per lo smaltimento dei rifiuti, ha subito un serio incidente e le sue acque, inquinate, hanno rischiato di contaminare l’approvvigionamento idrico locale. [5].

Maggio 2018. Colombia. Massima allerta per il possibile crollo della super diga di Hidrohituango. Già migliaia gli sfollati, la vicinanza dei vescovi alle popolazioni. Bogotà ha chiesto aiuto all’ Onu. [6].
«Si tratta del più grande progetto idroelettrico colombiano, i cui lavori, non ancora terminati, sono iniziati nel 2010. Nelle scorse settimane le frequenti piogge hanno innalzato il livello del fiume Cauca, lungo il quale è prevista la costruzione del bacino idroelettrico, e si sono ostruite alcune gallerie che permettevano il passaggio del fiume. In tal modo l’acqua, non riuscendo a defluire, ha iniziato a filtrare dalla diga in costruzione ed ad erodere parte del muro. Nel frattempo il livello del fiume a monte della diga si è innalzato: una scuola, un ospedale e diverse abitazioni di Puerto Valdivia sono andate distrutte e sono state evacuate migliaia di persone, novemila in dodici comuni, secondo le cifre più aggiornate». [7].
E per salvare la diga, per salvare l’impianto è stato necessario riversare migliaia di metri cubi d’acqua nel fiume Cauca con conseguente distruzione, finale, del villaggio di Puerto Valdivia [8], abitato dagli indigeni Mutabe, che sono rimasti pure esclusi, visto che non hanno prodotto le debite domande, dagli indennizzi economici previsti. [9].
Per inciso questa mega diga comporta elevati costi ambientali, quali la perdita di biodiversità e l’amputazione dell’ecosistema, letteralmente tagliato in due dalla mega opera. [10].

Ma sono oltre 800mila le dighe funzionanti al Mondo, il 50% dei grandi fiumi ha subito alterazioni profonde e spesso irreversibili e sono 80 milioni i profughi ambientali scacciati dal loro territorio a causa dell’allagamento. Il tutto, molto spesso, per ottenere una manciata di megawatt a costi proibitivi. Inoltre, sempre nel mondo, già nel 1999 risultavano demolite ben 467 dighe, di cui 28 grandi dighe. [11].

Inoltre, nel febbraio 2017, in Usa, gli sfioratori della diga di Oroville in California, la più alta degli Stati Uniti, sono stati danneggiati durante forti piogge, provocando l’evacuazione in emergenza di oltre 180.000 persone a valle. Nel 2019, inondazioni record hanno suscitato una forte preoccupazione per la diga di Mosul, la più grande dell’Iraq, e si arrivò ad ipotizzare che sarebbe potuta crollare.

La Cina possiede 23.841 grandi dighe, che corrisponde al 40 per cento del totale mondiale, mentre 32.716 grandi dighe, ossia il 55 per cento del totale mondiale si trova in soli quattro paesi asiatici: Cina, India, Giappone e Repubblica di Corea, la maggior parte delle quali raggiungerà la soglia dei 50 anni relativamente presto.[12].

Secondo un’analisi dell’UNU (Università delle Nazioni Unite), entro il 2050, una grande quantità delle persone che vivranno sulla Terra si troveranno a valle di decine di migliaia di grandi dighe costruite nel ventesimo secolo, molte delle quali avranno un’età ben superiore a quella considerata come periodo massimo di vita.
Il rapporto, appena pubblicato, afferma che la maggior parte delle 58.700 grandi dighe presenti in tutto il mondo (che immagazzinano tra 7.000 e 8.300 chilometri cubi d’acqua) sono state costruite tra il 1930 e il 1970, con una vita progettuale compresa tra 50 e 100 anni, ma con la certezza che a 50 anni una grande diga in cemento «avrebbe iniziato, molto probabilmente, a manifestare segni di invecchiamento». Segni che sono già ben evidenti, in quanto sono ormai numerosi i casi di cedimenti di dighe, di interventi mastodontici con costi di riparazione e manutenzione in progressivo aumento, di una crescita della sedimentazione del bacino idrico e conseguente perdita di funzionalità della diga stessa. E l’Italia è uno dei paesi che ha dighe con un’età ben superiore ai 50 anni.

Il rapporto sottolinea che dighe ben progettate, costruite e mantenute con le procedure più avanzate, possono raggiungere anche i 100 anni di servizio, ma in tal caso i costi di manutenzione sarebbero tali che andrebbero contro ogni criterio economico.

È per questo che in Paesi ad alto reddito come Stati Uniti, Francia, Canada, Giappone, India, ma anche in Paesi a reddito più basso come Zambia o Zimbabwe lo smantellamento di vecchie dighe è sempre più comune. Spiega Vladimir Smakhtin, direttore di UNU-INWEH, uno degli autori dello studio: «Al pericolo dell’invecchiamento naturale delle dighe si deve aggiungere il fatto che la crescente frequenza e gravità delle inondazioni e di altri eventi ambientali estremi possono accorciare ulteriormente i limiti della vita di progettazione di una diga e accelerarne il processo di invecchiamento». [13].

L’acqua erompe dopo il crollo di una delle dighe in Michigan. (Da: https://www.corrieredicomo.it/michigan-crollano-dighe10mila-evacuati/).

Vajont, Ortigeto, Gleno, Val di Stava: catastrofi italiane.

Prima della tragedia del Vajont, sulla quale vi invito a leggere l’illuminante libro di Tina Merlin, “Sulla pelle viva”, vi erano state altre catastrofi prodotte da dighe, per esempio il disastro di Molare, detto anche catastrofe dell’Ortiglieto o della sella Zerbino, in Piemonte, avvenuto nel 1935.

«All’alba di martedì 13 agosto straordinarie precipitazioni iniziarono ad abbattersi improvvisamente sulle valli di Orba e Stura: in meno di otto ore, e con un periodo di relativa calma tra le 11 e mezzogiorno, caddero sulla zona oltre 40 centimetri di pioggia, e il livello dell’Ortiglieto salì in maniera preoccupante. Gli addetti ai lavori attivarono tardivamente l’unico scaricatore, dei due principali, utilizzabile, che si bloccò dopo poco tempo poiché intasato dalla melma; ebbero ancora il tempo di avvertire telefonicamente del pericolo le centrali elettriche delle vicinanze e le autorità locali. Verso le 13.15 il bacino non fu più in grado di contenere l’acqua.

Nonostante l’esondazione la diga maggiore, che preoccupava di più i tecnici e gli operai di Ortiglieto, evitò il crollo: resse per la robustezza del terreno sottostante, pur inumidito dall’acqua. Lo stesso non successe con lo sbarramento secondario, quello della sella Zerbino, che cadde riversando nell’Orba già in piena un fronte d’acqua fangosa largo due chilometri e alto venti metri, della portata di oltre 30 milioni di metri cubi. A Molare l’acqua risparmiò il centro abitato: persero la vita tre persone, ma ingentissimi danni riguardarono la centrale elettrica, alcune cascine, gli argini artificiali e tutti i ponti, compreso quello della ferrovia Asti-Genova, , sul quale pochi minuti prima era transitato un treno. Le località al confine con la città di Ovada (Le Ghiaie, Rebba, regione Carlovini, Monteggio, Geirino), a nord-est, furono in gran parte distrutte e l’ondata inghiottì in quella zona almeno venti persone e una settantina di case. Alle ore 14, l’acqua raggiunse il paese più grande della zona, Ovada, che all’epoca sfiorava i 10.000 abitanti. Furono danneggiati i ponti San Paolo e della Veneta (che collega Ovada ad Alessandria mediante la ferrovia), crollò il ponte che collegava piazza Castello al quartiere Borgo, che venne quasi completamente distrutto. Furono rase al suolo trentacinque abitazioni e perirono sessantacinque persone; successivamente l’Orba, alla confluenza con il fiume Stura, riversò in esso parte dell’esagerato carico, che andò a distruggere il ponte che collegava Ovada a Belforte Monferrato.

Dopo Ovada l’ondata colpì ancora i paesi di Silvano, Capriata (dove morirono quattro persone, tra cui il podestà) e Predosa, per poi riversarsi nella Bormida a Castellazzo. Con meno potenza furono allagati campi e abitazioni fino ad Alessandria; l’onda andò calmandosi dopo che, alle 14.30, la pioggia era cessata. Nel suo percorso aveva lasciato 111 morti e dispersi: i corpi di alcuni di questi furono trovati molti anni dopo». [14].

Invece a Gleno, il 1° dicembre del 1923, l’appena ultimata diga del Gleno, in val di Scalve, nelle Alpi Orobie, subì un catastrofico cedimento strutturale. La dinamica è nota. «Il 22 ottobre 1923, a causa di forti piogge, il bacino si riempì per la prima volta. Tra ottobre e novembre si verificarono numerose perdite d’acqua dalla diga, soprattutto al di sotto delle arcate centrali, che non appoggiavano sulla roccia. Infine, il 1º dicembre 1923 alle ore 7:15 la diga crollò. Sei milioni di metri cubi d’acqua, fango e detriti precipitarono dal bacino artificiale a circa 1.500 metri di quota, dirigendosi verso il lago d’Iseo.

Il primo borgo ad essere colpito fu Bueggio. L’enorme massa d’acqua, preceduta da un terrificante spostamento d’aria, distrusse poi le centrali di Povo e Valbona, il ponte Formello e il Santuario della Madonnina di Colere. Raggiunse in seguito l’abitato di Dezzo, composto dagli agglomerati posti in territorio di Azzone e in territorio di Colere, che fu praticamente distrutto. Prima di raggiungere l’abitato di Angolo, l’enorme massa d’acqua formò una sorta di lago – a tutt’oggi sono visibili i segni lasciati dal passaggio dell’acqua nella gola della via Mala – che preservò l’abitato di Angolo, che rimase praticamente intatto, mentre a Mazzunno vennero spazzati via la centrale elettrica e il cimitero.

La fiumana discese quindi velocemente verso l’abitato di Gorzone e proseguì verso Boario e Corna di Darfo, seguendo il corso del torrente Dezzo e mietendo numerose vittime al suo passaggio. Quarantacinque minuti dopo il crollo della diga, la massa d’acqua raggiunse il lago d’Iseo. I morti furono ufficialmente 356, ma i numeri sono ancora oggi incerti». [15].

Infine il disastro di Val di Stava, in Trentino, avvenuto il 19 luglio 1985. In questo caso a cedere furono gli argini dei bacini di decantazione della miniera di Prestavel, che crearono la fuoriuscita e discesa a valle di circa 180 000 m3 di fango, che travolsero violentemente l’abitato di Stava, nel comune di Tesero, provocando la morte di 268 persone. «Al di sopra dell’abitato di Stava, in località Pozzole, venne costruito nel 1961 il primo bacino di decantazione, dove veniva fatto decantare il materiale di scarto della miniera. L’argine di tale bacino, dai progetti iniziali che lo limitavano a 9 m, superò i 25 m. Dal 1969 fu realizzato un secondo bacino di decantazione, a monte del primo. Complessivamente, tra bacino inferiore e superiore si arrivò a circa 50 m di argine. Alle ore 12:22:55 del 19 luglio 1985 l’argine del bacino superiore cedette e crollò sul bacino inferiore, che cedette a sua volta. La massa fangosa composta da sabbia, limo e acqua scese a valle a una velocità di quasi 90 chilometri orari spazzando via persone, alberi, abitazioni e tutto quanto incontrò fino a che non raggiunse la confluenza con il torrente Avisio. Poche fra le persone investite sopravvissero». [16].

Questo per dire che non è vero che incidenti non possano succedere alle dighe, magari in presenza di forti piogge, ora come allora.

La colata di fango che ha riempito la Val di Stava. (Immagine in pubblico dominio per copyright scaduto. https://it.wikipedia.org/wiki/Disastro_della_Val_di_Stava).

E in Italia …

L’Italia possiede 541 grandi dighe, con un’altezza media di 42 metri, di cui il 62% sono utilizzate a scopo idroelettrico o industriale; il restante 38 % ha finalità irrigua, idropotabile. La loro vita media è di 67 anni, ma diverse di esse che si stanno avvicinando ai 100 anni di vita. Il loro controllo, affermano le Società che le hanno in gestione, è molto elevato e per questo sono numerosi gli interventi eseguiti e in fase di esecuzione per mantenerle efficienti. I principali interventi riguardano carenze strutturali (come l’impermeabilità delle strutture, lesioni o deformazioni per sollecitazioni di vario tipo o altro) l’inadeguatezza delle opere di scarico e instabilità del territorio (quali frane di varie dimensioni che gravitano sugli invasi). [17].

Negli ultimi 10 anni sono stati fatti interventi su 176 dighe, fatto dovuto sicuramente non solo all’incremento di età degli impianti, ma anche alla maggiore attenzione dedicata da parte delle Società coinvolte al prolungamento della vita utile degli stessi. [18].

Purtroppo, secondo i dati attualmente disponibili, delle 532 grandi dighe di interesse nazionale e con vigilanza statale, il 60% ha più di 50 anni, alcune hanno ormai compiuto il secolo di vita ed un centinaio fra esse non sono ancora operative al 100% perché non collaudate in modo definitivo, con tutto ciò che ne deriva.

Inoltre, il 90% è stato costruito prima dell’entrata in vigore delle attuali norme tecniche e il 70% è stato progettato senza prendere in considerazione l’attività sismica, perché al momento della costruzione, non esistevano norme in tal senso. Aggiungiamo a questi dati la forte concentrazione demografica del territorio italiano e possiamo intuire l’alto livello di pericolosità, non di rado trascurata, ma anche i segnali di cambiamento climatico in corso – con l’aumentato rischio di piogge improvvise ed estremamente abbondanti -, il disboscamento, la scarsa cura di spazi rurali una volta agricoli e – non ultimo ed altrettanto grave – il fatto che il passaggio alle Regioni del controllo di una parte di tali infrastrutture ha prodotto norme di controllo e sicurezza diverse da un luogo all’altro.

Non solo, alcune Regioni non hanno completato il censimento delle piccole dighe per cui, incredibilmente, il numero esatto non è noto. I nomi di Gleno, Vajont, Molare, Val di Stava – per citare i più noti – si associano in Italia ad eventi abnormi, a danni molto ingenti, a centinaia di morti, ma anche a controlli tecnici non adeguati, a scarsa cura per l’ambiente, a norme di gestione del territorio carenti e poco omogenee (attualmente solo le grandi dighe sono sotto controllo statale). Il rischio connesso con la presenza sul territorio delle dighe minori è spesso trascurato, ipotizzando che esso sia direttamente proporzionale alla dimensione dell’opera. Tale ipotesi è fuorviante: in territori con alta densità d’insediamenti urbani e/o infrastrutturali sarebbe opportuno prestare grande attenzione anche alle piccole dighe (che aumento di numero), il cui esercizio non è sempre accompagnato dalla raccolta di adeguate informazioni.

Eppure i principali motivi di cedimenti e crolli di dighe sono noti. In base alla casistica internazionale si può affermare che le principali cause di collasso sono dovute a: 1) materiali e tecniche di costruzione non adeguati; 2) errori di progettazione; 3) instabilità geologica; 4) cattiva manutenzione; 5) afflusso eccessivo di acqua; 6) scivolamento di grandi masse da pendii circostanti; 7) terremoti; 8) erosioni interne; 9) errori umani. Per definire le strategie operative di azione per allertamento, prevenzione, gestione dell’emergenza e assistenza alla popolazione si formulano dei Piani di emergenza dighe (Ped) che devono prevedere il ventaglio di rischi ed interventi in caso di collasso dell’invaso o di emergenze minori. [19].

«Con la Direttiva del presidente del Consiglio dei ministri “Grandi Dighe” del luglio 2014, finalmente si è previsto che preliminare alla redazione dei piani di emergenza sia l’aggiornamento di tutti i documenti di protezione civile che governano la gestione delle dighe.  Inoltre, si sono distinte due tipologie di rischio:

il “rischio diga”, cioè rischio idraulico indotto dalla diga, conseguente ad eventuali problemi di sicurezza della diga, ovvero nel caso di eventi, temuti o in atto, coinvolgenti l’impianto di ritenuta o una sua parte e rilevanti ai fini della sicurezza della diga e dei territori di valle;

il “rischio idraulico a valle”, cioè rischio idraulico non connesso a problemi di sicurezza della diga ma conseguente alle portate scaricate a valle, ovvero con portate per l’alveo di valle che possono produrre fenomeni di onda di piena e rischio esondazione.

Due anni dopo, nel 2016, è stato varato il “Piano di messa in sicurezza delle grandi dighe”. Con il suo aggiornamento, avvenuto nel 2018, sono previsti e finanziati oltre 130 interventi, ma le procedure di attuazione, ad oggi, sono ancora molto lente e poco uniformi nelle varie aree d’Italia». [20].

La diga di Sauris. (Da: https://www.greenme.it/viaggiare/lago-di-sauris-borgo-la-maina/).

E in Carnia?

In Carnia esistono due grandi dighe. Quella di Sauris e quella di Verzegnis. Non so se abbiano problemi né quale ‘manutenzione’ sia stata fatta, ma so che sono state costruite negli anni ’40-50, ed hanno fra i 60 ed i 70 anni.

La diga di Sauris è alta 136 metri, con struttura a volta e doppia curvatura. «Nel corpo della diga e nella roccia circostante è stata installata una vasta rete di controllo e misura comprendente fra l’altro 9 clinometri, 54 estensimetri elettroacustici, 48 sedi per estensimetri removibili, 14 sedi per dilatometri removibili, collimatori, una completa stazione sismografica. Gli spostamenti della roccia sono controllati mediante rete di triangolazione a postazioni fisse.

Le opere di scarico, sono costituite da quattro scarichi: di alleggerimento, di mezzofondo, di fondo e di esaurimento. Alle camere di manovra dei primi tre, situati in sponda sinistra, si accede mediante un unico pozzo verticale. Il quarto, (di esaurimento) è manovrabile ad un livello di minimo invaso, ed attraversa il corpo della diga. La portata complessiva dei primi tre scarichi, durante lo smaltimento delle piene, è di 400 m³/s. La diga è inoltre tracimabile nella parte centrale, per un tratto di 50 metri, diviso in cinque luci, capaci di una portata complessiva di 250 m³/s». [21].

La diga di Verzegnis è stata costruita negli anni ’50, e nel 2017 ha festeggiato il suo 60° compleanno, ha una altezza di 59 metri, spessore alla base di 5,50 e in sommità di 1,80, un volume di 29mila metri cubi di calcestruzzo; il lago raccoglie quasi 4milioni di metri cubi d’acqua. [22].

Ora cos’ è accaduto?

Che dal 1° febbraio 2021, A2A ha deciso di subappaltare il servizio di guardiania notturna presso le dighe di Sauris e Verzegnis, lavoro delicatissimo, che, in precedenza, veniva svolto da personale assunto tramite concorso, formato professionalmente per svolgere mansioni di controllo. A questo punto Furio Honsell, consigliere regionale, presentava una interrogazione alla Giunta Regionale Fvg nel merito, mentre i Comitati Acque della Valcellina, della Valmeduna e del Tagliamento producevano una lettera aperta da far sottoscrivere ai Sindaci e da inviare alla Giunta Regionale. In essa sottolineavano come, nella legge regionale 21/2020 che disciplina le grandi derivazioni idroelettriche, non fosse stata introdotta alcuna modifica sul presidio e sulla vigilanza delle dighe che potessero, in ipotesi, compromettere la sicurezza. Inoltre il Regolamento Dighe ancora vigente, per le modalità di guardiania, all’ art. 15 (DPR 1363/1959), dice che esse devono “essere costantemente presidiate da personale adatto che risiede nelle immediate vicinanze in apposite case di guardia”. Vale a dire personale qualificato, 5 per ogni diga, che si alterna 24 h su 24 sempre.

Inoltre i Comitati si chiedono quali siano le “particolari situazioni”, in assenza di modifiche normative, che inducono A2A a eliminare i guardiadighe se il fine della legge è proprio quello di garantire maggiormente la sicurezza, la manutenzione e la ispezionabilità della diga; il che è possibile solo se personale specializzato presidia e vigila sul posto continuativamente, in ogni tempo e circostanza. Ma forse è una questione di spesa.

Sia come sia, io credo che sia diritto di noi cittadini sapere se si sia valutata la vetustà delle grandi dighe regionali, e lo chiediamo alla Regione Friuli Venezia Giulia, a A2A, e a chi può dare una risposta tecnicamente valida, ed anche domandare che sia garantita, alla luce di quanto ho scritto sopra, una sorveglianza rigorosa delle stesse. Ed alla Regione diciamo pure: il futuro guarda ai piccoli impianti, non alle grandi dighe. Ma se Regione e comuni continuano a dare concessioni esclusive, super impattanti, che mettono in forse l’approvvigionamento idrico di acqua potabile a privati, per decenni …

Senza voler offendere alcuno, ma per porre alcuni problemi sul tappeto, come si suol dire.

Laura Matelda Puppini

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[1] https://www.ilsole24ore.com/art/le-130-dighe-mirino-governo-ricordando-tragedie-ieri-AEVRT0cF?fbclid=IwAR3fbbkzhrrFA04y53eJLXWGPfNZXBdTcaTxMdPEp3iowvNPQtYp-obIZvI

[2] https://it.businessinsider.com/cina-alluvioni-cigno-nero/.

[3] https://www.ilmeteo.it/notizie/meteo-cronaca-diretta-video-usa-crolla-diga-in-michigan-la-furia-dellacqua-travolge-tutto-le-immagini-201428, e https://www.corrieredicomo.it/michigan-crollano-dighe10mila-evacuati/

[4] https://www.rinnovabili.it/ambiente/inquinamento/heilongjiang-diga-miniera-contaminazione-idrica/

[5] Ibidem.

[6] https://www.tio.ch/dal-mondo/cronaca/1259871/super-diga-a-rischio-crollo-chiesto-l-aiuto-all-onu.

[7] https://www.agensir.it/quotidiano/2018/5/18/colombia-sale-lallerta-per-il-pericolo-di-crollo-della-diga-di-hidrohituango-gia-migliaia-gli-sfollati-la-vicinanza-dei-vescovi/

[8] https://www.rsi.ch/news/oltre-la-news/La-tragedia-di-Hidroituango-12072339.html

[9] https://www.osservatoriodiritti.it/2019/09/11/indigeni-colombia/. Sui diritti violati cfr. anche: Dossier Legambiente, Roma, 2006: “Ambiente violato e diritti calpestati.  Le 10 grandi dighe più devastanti del mondo”.

[10]  https://www.rsi.ch/news/oltre-la-news/La-tragedia-di-Hidroituango-12072339.html.

[11] https://www.sergioferraris.it/se-diga-insostenibile/

[12] https://it.businessinsider.com/le-dighe-fanno-paura-troppo-vecchie-e-malconce-e-ora-di-smantellarle-ma-in-italia-sono-piu-di-500/. Tutte le considerazioni dalla nota 12 alla nota 13 sono riprese da questa fonte.

[13] Ivi.

[14] https://it.wikipedia.org/wiki/Disastro_di_Molare.

[15] https://it.wikipedia.org/wiki/Disastro_del_Gleno.

[16] https://it.wikipedia.org/wiki/Disastro_della_Val_di_Stava.

[17] https://www.msn.com/it-it/notizie/other/le-dighe-fanno-paura-troppo-vecchie-e-malconce-e-ora-di-smantellarle-ma-in-italia-sono-pi%C3%B9-di-500/ar-BB1d9CvO?ocid=msedgdhp.

[18] Ivi.

[19] https://www.affarinternazionali.it/2019/09/dighe-quando-acqua-nasconde-rischi/

[20] Ivi.

[21] https://it.wikipedia.org/wiki/Diga_di_Sauris.

[22] http://www.comune.verzegnis.ud.it/uploads/media/Articolo.pdf.

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L’immagine che accompagna l’articolo rappresenta la diga di Sauris, ed è tratta da https://it.wikipedia.org/wiki/Diga_di_Sauris. Attribuzione: VENET01, CC BY-SA 4.0 <https://creativecommons.org/licenses/by-sa/4.0>, via Wikimedia Commons. Laura Matelda Puppini

https://i0.wp.com/www.nonsolocarnia.info/wordpress/wp-content/uploads/2021/02/DIGA_DI_SAURIS-scaled.jpg?fit=768%2C1024&ssl=1https://i0.wp.com/www.nonsolocarnia.info/wordpress/wp-content/uploads/2021/02/DIGA_DI_SAURIS-scaled.jpg?resize=150%2C150&ssl=1Laura Matelda PuppiniAMBIENTEIn Italia ci sono 532 dighe di interesse nazionale, che sono, per lo più, di Enel, Edison, A2A, Iren, Erg, e il governo che fu ne aveva messe 130 sotto rigido controllo. . Chissà perché? – vi domanderete voi lettori. Facciamo un po’ di zapping, e capiremo perché. ______________________________________________ Disastri esteri...INFO DALLA CARNIA E DINTORNI