Così scrivevo, il 18 maggio 2016, all’Ufficio storico dell’Arma dei Carabinieri, con sede a Roma:

«Sto cercando informazioni sulla nobile figura di Santo Arbitrio, Capitano della caserma dei Carabinieri di Tolmezzo il 25 aprile del 1944, nel corso del funerale al patriota Renato Del Din, primo caduto della Osoppo in Carnia. Il funerale del Del Din, ufficiale dell’esercito, ma allora ignoto in quanto non si sapeva chi fosse, fu maestoso e contravvenne a quanto stabilito dai tedeschi per le esequie ad un per loro, “bandito”, che avrebbe dovuto essere sepolto alla chetichella, senza passaggio in duomo e nel centro cittadino. A seguito di questo fatto, che fece inferocire i tedeschi, vi furono inchieste e punizioni». In questa comunicazione erravo solo nel fondere la data di morte di Renato Del Din con quella del suo funerale, avvenuto il 27 aprile 1944, alle ore 7 del mattino.

Ora grazie all’Ufficio storico dell’Arma dei Carabinieri, che sentitamente ringrazio per la documentazione e la gentilezza, sono in grado di completare questa mia breve ricerca.

Santo Arbitrio, di Rocco ed Anna Aloi, era nato a Catanzaro il 4 agosto 1899.

 Il 18 maggio 1917 viene chiamato alle armi, e quindi risulta, l’11 ottobre dello stesso anno, dopo breve periodo presso il Deposito del 75° Reggimento Fanteria, frequentare la scuola Militare di Caserta per allievi ufficiali di complemento. Il 31 ottobre 1918 è a tutti gli effetti sotto-tenente di fanteria in servizio presso il 120° Reggimento, dopo esser stato pure comandato presso la Scuola di Perfezionamento di Alonte, allora frazione del comune di Lonigo, in provincia di Vicenza.

Nel 1923 ha raggiunto il grado di tenente nell’arma della Fanteria, ed è in Servizio Attivo Permanente; nel gennaio 1924 viene trasferito all’arma dei C.C. R.R. (Carabinieri Reali) ed assegnato, inizialmente alla Legione allievi di Roma, quindi alla Tenenza di Siracusa (Legione Messina). Nel 1926, si sposa con Scullo Camilla, da cui non ha, però, da che si sa, figli.

Nel luglio 1939 è già Capitano, nel 1941 è inviato, per breve periodo, in Albania, quindi, il 16 maggio 1943, viene trasferito alla Compagnia di Tolmezzo, Legione Padova. (Stato di servizio di Santo Arbitrio, Ufficio Storico dell’Arma dei Carabinieri, Roma). Viene allontanato da Tolmezzo e dall’Ozak (Zona d’Operazioni del Litorale Adriatico) per non essersi dato da fare per impedire il grande funerale al Tenente partigiano Renato Del Din e, dopo mille peripezie più avanti descritte, nel 1948 raggiunge il grado di Maggiore dell’Arma dei Carabinieri e risulta essere in servizio a Rovigo. Nel 1951 viene trasferito a Palermo.

Nel 1952 è Tenente Colonnello dei Carabinieri, nel 1953 viene trasferito al Comando dei Carabinieri della Marina di Roma, nel 1956 ha raggiunto il grado di Colonnello dell’Arma. Nel 1969 viene posto definitivamente in quiescenza, con il titolo onorifico di Generale di Brigata.
L’ anno dopo, il 3 aprile 1970, muore a Roma. (Stato di servizio di Santo Arbitrio, op. cit.).

Ma come ero giunta al suo nome? A Tolmezzo si mormorava del Capitano Santo Arbitrio, del suo comportamento al funerale Del Din, dell’ira dei tedeschi verso di lui. Le testimonianze concordavano sul fatto che il Capitano dei C.C. R.R. Santo Arbitrio non aveva impedito in modo alcuno il grandioso funerale di Renato Del Din, allora ancora senza un nome ma con un grado militare, con gran accorrere di folla, e deviato verso il centro presumibilmente dal conduttore del carro funebre, Augusto Vidoni, costrettovi da alcune donne, e poi precipitosamente fuggito da Tolmezzo e diventato partigiano osovano. Santo Arbitrio avrebbe potuto far sparare sulle donne che avevano fatto girare i cavalli; Santo Arbitrio avrebbe potuto far sparare sui partecipanti al funerale; Santo Arbitrio avrebbe potuto arrestare qualcuno o avrebbe potuto invitare Monsignor Pietro Ordiner a presentarsi immediatamente al Comando, facendo in modo che non fosse in grado di  celebrare il rito funebre; Santo Arbitrio avrebbe potuto impedire in mille modi quel funerale …. Ma non lo aveva fatto.  Non aveva ostacolato quel funerale che segnò in modo indelebile la Resistenza carnica, pagando di persona.

Così scrive Michele Gortani nel suo “Il Martirio della Carnia”, premettendo che il carro funebre che portava le spoglie di Renato Del Din era stato fatto deviare per la via centrale del paese, mentre avrebbe dovuto imboccare la circonvallazione: «Il Capitano dei Carabinieri Santo Arbitrio, redarguito per non essersi opposto con le armi alla deviazione del corteo, rispose che mai avrebbe fatto sparare sulle donne; e venne trasferito pochi giorni dopo». (Michele Gortani, Il Martirio della Carnia dal 14 marzo 1944 al 6 maggio 1945, seconda edizione, Stabilimento grafico “Carnia” 1980, nota 3, p. 88).

E riprendeva la notizia nel suo “La Resistenza in Carnia”, pubblicato postumo: «L’Arcidiacono fu chiamato a render conto della solennità del rito, il capitano dei Carabinieri, il calabrese Santo Arbitrio, venne fatto trasferire per essersi rifiutato di obbedire all’ingiunzione di far sparare sul corteo, allorché questo imboccò la via centrale in luogo della circonvallazione». (Michele Gortani, La Resistenza in Carnia, pubblicazione curata dalla presidenza del Consiglio Regionale della Regione Autonoma Friuli Venezia Giulia, per onorare la memoria del senatore Michele Gortani, scomparso il 24 – 1- 1966, Trieste, tipografico nazionale, 1966, p. 4). Detta versione dei fatti viene ripresa pari pari anche da Ermes Dorigo, che però non riporta la fonte, nel suo: Michele Gortani, Edizioni Studio tesi, 1993, p. 67.

Nel volumetto inedito di Tranquillo De Caneva, I Carabinieri nella Resistenza Friulana, Archivio storico Anpi, a p. 3 viene ricordato il funerale Del Din come narrato da Michele Gortani, nel suo: Il Martirio della Carnia, op. cit., pp. 10-11, e quindi Tranquillo De Caneva, curatore, specifica che «tra gli ufficiali puniti fu il Capitano Santo Arbitrio, trasferito perché i nazifascisti lo videro in piazza a rendere omaggio al primo caduto partigiano della Carnia e non a far servizio d’ordine perché venisse impedita la grandiosa manifestazione del cordoglio popolare». (Tranquillo De Caneva, I Carabinieri nella Resistenza Friulana, Archivio storico Anpi, p. 3).

A p. 7 dello stesso scritto, si legge alla voce: “I protagonisti”: «Arbitrio Santo Capitano dei CC. trasferito da Tolmezzo perché si rifiutava di impedire alla popolazione di Tolmezzo di tributare solenni onoranze alla salma del partigiano R. Del Din medaglia d’oro alla memoria. Presenziava invece alle solenni esequie rendendo il saluto militare all’Eroe. Di lui non si seppe più nulla in Carnia». (Ivi, p. 7).

Per quanto riguarda il fatto che Santo Arbitrio abbia potuto salutare la salma di Del Din, che si sapeva essere un tenente del R.E.I., al passaggio della bara, è possibile, ricordando che egli, fra l’altro, era stato tenente di Fanteria.

Il lettore si potrebbe chiedere, a questo punto,  chi potesse punire il capitano della stazione dei Carabinieri per questo fatto, ma bisogna ricordare che Tolmezzo come l’intera provincia di Udine faceva parte dell’Ozak, (Cfr. https://it.wikipedia.org/wiki/Zona_d’operazioni_del_Litorale_adriatico) sotto il diretto controllo militare ma anche civile dei Tedeschi. Non esisteva più, dopo l’8 settembre, il R. E. I., e le truppe fasciste erano formate da aderenti alla MVSN, come pure nella Repubblica di Salò.

Il Capitano dell’Arma dei Carabinieri Santo Arbitrio nel 1939. Immagine da Ufficio Storico dell’Arma dei Carabinieri Roma.

Ma vediamo cosa racconta nel merito lo stesso Santo Arbitrio, nella sua: “Memoria difensiva” e quanto riportato in due documenti presentati a favore del Capitano, sotto inchiesta per possibile connivenza con il nemico della Patria nel 1946, rese da Mons. Pietro Ordiner, Arcidiacono della Carnia e Parroco di Tolmezzo, e da Carlo Pepe, veterinario ma soprattutto Commissario Prefettizio del capoluogo carnico, fornitemi dall’Ufficio Storico dell’Arma dei Carabinieri. Altre testimonianze vennero presentate, ma non vi è rimasta traccia presso detto Ufficio archivistico, e quindi non ho potuto consultarle. Fra quelle elencate in calce alla “Memoria difensiva”, risultano pure le testimonianze del prof. Michele Gortani, – Deputato alla Costituente; del signor Gioacchino Larice; della patriota Sara Menchini, osovana, nome di battaglia Rododendro, che aveva partecipato all’azione che aveva portato il carro funebre del Del Din a volgere verso la via principale. (“Memoria difensiva del Capitano Santo Arbitrio”, dallo stesso firmata in modo autografo, senza data, in 4 facciate, Ufficio storico dell’Arma dei Carabinieri, Roma).

Santo Arbitrio racconta che, dopo l’8 settembre 1943, era rimasto al comando della Compagnia a cui era stato assegnato per senso del dovere, non essendo state smobilitate le Legioni dei Carabinieri di Padova e di Trieste da cui dipendeva, e ritenendo, tra l’altro, che una sua eventuale diserzione, «che peraltro avrebbe costituito eccezione nelle anzidette legioni», avrebbe potuto portare all’internamento dei carabinieri da lui dipendenti.

Anche lui aveva sperato, allora, in una vicinissima avanzata degli alleati, con cui collaborare alla cacciata dei tedeschi, e sottolineava di non aver mai prestato giuramento alla «sedicente r.s.i. o al governo germanico».  Inoltre era rimasto al suo posto anche per tutelare la popolazione civile della  giurisdizione e rendersi utile al movimento patriottico. E quindi precisava, pure, che: «Il Litorale Adriatico fu considerato – di fatto –  come territorio occupato – e pertanto rimasi al mio posto per seguire il criterio già affermato in Sicilia e nelle Colonie dove i Carabinieri, all’atto dello sbarco delle truppe angloamericane – non si sbandarono […]».

Sottolineava, poi, come i suoi sentimenti antifascisti fossero noti, (per inciso molti ufficiali del R.E.I., di cui egli aveva fatto inizialmente parte, erano contrari al fascismo ed alla MVSN, che avrebbe dovuto creare una specie di esercito parallelo, n.d.r.), ed egli aveva arrestato, il 25 luglio 1943, gli squadristi della sua giurisdizione, venendosi così a trovare in una posizione difficile.
«[…] ero attentamente vigilato dai repubblichini i quali, nel caso avessi disertato, avrebbero – non rintracciandomi- usato sicure gravi rappresaglie in danno di mia moglie che come me di Catanzaro (Calabria) non contava nell’Italia settentrionale parentele od appoggi».

E continuava:
«La mia posizione, però, non fu delle più semplici e divenne sempre più insostenibile. Malgrado fossi privo di aiuti e di mezzi, cercai di allontanarmi dal servizio non appena mi convinsi che la dominazione tedesca si protraeva, e la pseudo repubblica sociale italiana accennava ad avere ingerenze nel Litorale Adriatico. (…).
Intanto, non essendomi opposto alle solenni onoranze funebri rese alla Medaglia d’oro Tenente Renato Del Din, morto in seguito a ferite riportate in combattimento con i nazi-fascisti, (funerali della cui organizzazione io ero a conoscenza) fui in un primo tempo fermato dal comando tedesco di Tolmezzo e poi dalla gestapo di Udine. Sottoposto anche ad inchiesta che la legione Trieste esperì a mio carico per ordine del Comando Generale, il 28 maggio 1944 fui espulso dal Litorale Adriatico e trasferito al G.N.R. di Verona. (…).
Giunto a Verona, non intendendo di prestare servizio nella G.N. R. né di giurare alla pseudo R.S.I., brigai, ottenendo, dopo infinite difficoltà, di farmi ricoverare in quell’ospedale militare […]. Mentre ero là ricoverato, ed evidentemente perché non ritenuto di fede fascista, era la pura verità, fui collocato in congedo di “autorità”, […], della cui cosa approfittai per rendermi irreperibile.
Mi stabilii prima a Verona – ove non ero conosciuto – e poi nelle circostanti colline, ospitato prima dal dottor Marcovecchio – medico provinciale di Verona – e poi dal signor Eugenio Masiero […].
Le mie peripezie – come è facile comprendere – furono molteplici per sottrarmi ai richiami, alla cattura (nell’ agosto 1944 tutti coloro che militavano od avevano militato nell’Arma furono rastrellati ed internati in Germania) ed al lavoro obbligatorio.

Non ricevendo assegni o pensione, e non disponendo di oggetti da vendere avendo lasciato le masserizie e tutto quanto altro possedevo a Tolmezzo da dove – come ho detto – dovetti allontanarmi d’urgenza (tornarvi non era possibile perché mi avrebbero  arrestato i tedeschi ed i fascisti) vissi con mia moglie nella più stretta indigenza, provvedendo a stento all’indispensabile per vivere con i pochi risparmi che avevo e con prestiti fattimi dai miei ospiti dato che, ripeto, la famiglia di mia moglie e la mia risiedevano e risiedono in Calabria.
Nei giorni della liberazione, trovandomi a Pigozzo (Verona) contribuii con i patrioti del luogo al rastrellamento dei tedeschi ed il 27 aprile 1945, e, dopo aver ricostituita la stazione di Montorio Veronese, mi presentai alla legione Verona presso la quale tuttora mi trovo».

In detto memoriale, Santo Arbitrio citava pure alcune fonti a sostegno di quanto aveva dichiarato, ed aggiungeva che, alla luce di questi fatti, non sapeva  come egli potesse esser stato accusato di aver prestato servizio alle dipendenze del tedesco invasore, non avendo egli mai fatto parte di unità militari germaniche; avendo svolto, nel territorio occupato dai Tedeschi,  solo compiti di polizia diretti alla tutela della popolazione civile, come obbligo sancito dalla Convenzione dell’Aja del 12 ottobre 1907; non avendo mai prestato giuramento all’invasore e non avendolo mai agevolato; essendosi sempre adoperato per difendere i cittadini dai nazi-fascisti ed avendo aiutato, nei limiti del possibile, il movimento partigiano. (“Memoria difensiva del Capitano Santo Arbitrio”, dallo stesso firmata in modo autografo, senza data, in 4 facciate, Ufficio storico dell’Arma dei Carabinieri, Roma).

Il Maggiore dell’Arma dei Carabinieri Santo Arbitrio nel 1951. Immagine da Ufficio Storico dell’Arma dei Carabinieri Roma.

Quanto ricordato da Santo Arbitrio viene puntualmente confermato, per quanto riguarda il funerale Del Din, e quanto accaduto poi al Comandante della Caserma dei Carabinieri di Tolmezzo, fino al suo trasferimento, anche dall’allora Commissario Prefettizio, veterinario Carlo Pepe, in una sua testimonianza scritta, datata 30 maggio 1946.

Carlo Pepe, affermava di aver avuto all’epoca, proprio in quanto Commissario Prefettizio, frequenti contatti con i C.C. R.R. in particolare con il loro comandante Santo Arbitrio, che aveva sempre mantenuto un contegno dignitoso e fermo verso i capi della Milizia fascista e verso i Comandi dell’Esercito invasore.

«Nel triste avvenimento della morte del valoroso partigiano tenente Del Din, Medaglia d’Oro, pur conscio di andare incontro alle minacce nazi- fasciste, si adoperò in modo da non intralciare il grandioso funerale svoltosi in Tolmezzo per l’eroe, colla partecipazione di tutto il popolo, suscitando l’ira dei capi della milizia repubblichina e del comando tedesco.
La sera stessa del funerale, il sottoscritto ed il Sig. Capitano Arbitrio furono chiamati in caserma e da un ufficiale tedesco sottoposti ad un lungo e minaccioso interrogatorio; ad un certo punto il capitano fu rimproverato per il suo mancato intervento nell’impedire la grandiosa manifestazione inscenata in odio a tedeschi e fascisti, ed alla risposta del capitano che fu tutta la popolazione e specialmente le donne ad organizzare l’imponente corteo, l’ufficiale tedesco irritato aggiunse che si doveva ricorrere alla forza, al che il Capitano Arbitrio  rispondeva che non si ricorre alla forza per disperdere un corteo composto di donne inermi e doloranti». (Testimonianza di Carlo Pepe, allegato 2 alla “Memoria difensiva, op. cit.).
Quindi, mentre la popolazione veniva punita con l’imposizione del coprifuoco, in attesa di evidenziare singole responsabilità (Ivi e Relazione della Prefettura di Udine, datata 3 maggio 1944, indirizzata al Ministro Interni Sicurezza Valdagno, avente come oggetto Attività ribelli in provincia, Div. Gab prot. 09846, Archivio Centrale, Roma), Carlo Pepe e il Capitano Arbitrio furono nuovamente chiamati dai tedeschi e rimproverati per il comportamento tenuto durante i funerali di Del Din, e, successivamente, il Capitano Arbitrio subì altri interrogatori, fu sottoposto ad inchiesta, ed infine trasferito altrove (Testimonianza di Carlo Pepe, op.cit.) lasciando, come già scritto, ogni cosa che aveva a Tolmezzo.

E così dichiarava Mons. Pietro Ordiner, Arcidiacono di Tolmezzo, nella sua testimonianza scritta datata 5 giugno 1946: «Il sig. Santo Arbitrio, capitano dei R.R. C.C. di Tolmezzo, ha dato pieno aiuto a questa parrocchia per lo svolgimento solenne e religioso dei funerali del partigiano defunto Ten. Renato Del Din, avvenuti in questa Parrocchia il 27 aprile 1944. Ha difeso inoltre il sottoscritto sia presso il locale comando tedesco di Polizia, sia presso il Comando Italiano del Presidio per aver celebrato il detto funerale. In conseguenza di ciò il sig. Arbitrio venne trasferito da Tolmezzo come punizione. In fede di quanto sopra. Sac. Pietro Ordiner». (Testimonianza di Mons. Pietro Ordiner, allegato 3 alla “Memoria difensiva, op. cit.).

Bisogna ricordare, pure, che Mons. Pietro Ordiner era nato a Colza di Enemonzo il 28 luglio 1863, ed all’epoca del funerale Del Din aveva 80 anni. «Uomo intelligente e pio – come mi narrava mia madre –  durante il fascismo difese la sua libertà di pensiero ed azione e più di una volta il cappellano don Egidio dovette precipitarsi dalle autorità locali, temendo qualche provvedimento nei suoi confronti, a chiedere che lasciassero perdere il suo comportamento, adducendo a scusa il fatto che era anziano». (Testimonianza orale di Maria Adriana Plozzer, cl.1924, abitante a Tolmezzo dal 1927, Tolmezzo 10 aprile 2011).

E qui termina questa storia, con l’avanzare di grado di Santo Arbitrio nell’Arma dei Carabinieri, fino a raggiungere il grado di Colonnello e di Generale di Brigata.

La storia della Resistenza non fu fatta solo da partigiani e nemici dei partigiani, o da “Cosacchi contro Partigiani” come qualcuno, che ben poco ha analizzato gli eventi e studiato i contesti vorrebbe, ma ne furono coinvolti tutti, perché una guerra, nel caso specifico la seconda guerra mondiale, tutti coinvolge, solo in modo diverso anche in base a scelte personali.

Ho voluto scrivere la storia di Santo Arbitrio perché di lui si erano perse le tracce, perchè entri nella nostra memoria, per doverosamente ricordare cosa fece per la popolazione tolmezzina, per rendergli l’onore dovuto.

 

Laura Matelda Puppini

La fotografia che correda l’articolo è la seconda di quelle che si trovano all’interno dello stesso, e ritrae Santo Arbitrio, Maggiore dell’Arma dei Carabinieri, nel 1951. Laura Matelda Puppini 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

https://i0.wp.com/www.nonsolocarnia.info/wordpress/wp-content/uploads/2017/01/santo-arbitrio-busto-Immagine1.png?fit=350%2C431&ssl=1https://i0.wp.com/www.nonsolocarnia.info/wordpress/wp-content/uploads/2017/01/santo-arbitrio-busto-Immagine1.png?resize=150%2C150&ssl=1Laura Matelda PuppiniSTORIACosì scrivevo, il 18 maggio 2016, all’Ufficio storico dell’Arma dei Carabinieri, con sede a Roma: «Sto cercando informazioni sulla nobile figura di Santo Arbitrio, Capitano della caserma dei Carabinieri di Tolmezzo il 25 aprile del 1944, nel corso del funerale al patriota Renato Del Din, primo caduto della Osoppo in Carnia....INFO DALLA CARNIA E DINTORNI