Quel referendum e Carniacque.

È noto che mi sono impegnata in prima persona, nel 2011, a promuovere il voto favorevole all’abrogazione della norma che prevedeva l’inclusione, nella tariffa per l’erogazione dell’acqua, anche della remunerazione del capitale investito dal gestore, ed in sintesi all’abrogazione della gestione privata dell’acqua. Il referendum fu vinto da chi detta abrogazione voleva, ma tutto continuò come prima. È noto che sono contraria all’erogazione dell’acqua da parte di una società per azioni come Carniacque, anche se partecipata da soggetti pubblici, perché: l’acqua è un dono di Dio per la vita e non può essere oggetto di remunerazione, l’acqua ci è stata donata da Dio per sopravvivere e non può essere oggetto di mercato. Senza acqua non si beve, non ci si lava e non si lava, non si fa da mangiare, senza acqua si muore di sete, fame, malattie. E persone che non possono garantire a se stesse i livelli minimi di igiene possono diventare pure portatrici e diffusori di virus e batteri.

E che Carniacque gestisca l’acqua e non solo le tubature, come qualcuno andava dicendo in giro ai tempi del referendum, non ci sono dubbi, se la stessa ha steso un Regolamento per la gestione del servizio di distribuzione dell’acqua potabile.

La società Carniacque, s.p.a. venne fondata il 15/12/2000 da: B.I.M., Comunità Montana della Carnia, AMGA, e dai comuni di Ampezzo, Socchieve, Preone, Enemonzo, Raveo, Villa Santina, Cavazzo Carnico, Forni Avoltri, Rigolato, G.T.A. di Giovanni Valle& C., Snc., studio tecnico ing. Renato Zigotti, S.I.L.S. Società Industriale Lavori Sauris, con fine la gestione del servizio integrato delle risorse idriche, captazione, distribuzione e vendita acqua potabile, raccolta convogliamento e depurazione delle acque reflue, servizi di fognatura e depurazione.

Detta società, riconosciuta come gestore del servizio idrico integrato dal 2005, diventava, nel 2006, sulla base dell’ art. 153 del D.L. 152/2006, gestore delle infrastrutture idriche di proprietà dei comuni. Ma già nel 2008 la Società dichiarava un passivo di 130.000 euro per il 2007, e non rosee previsioni.

Tre comuni della Carnia non aderirono mai a Carniacque, ponendosi contro la privatizzazione dell’acqua: Cercivento, Ligosullo e  Forni Avoltri, poi costretti a farlo dalla Corte di Cassazione che, nell’autunno 2014, respinse il ricorso proposto dai sopracitati comuni sia contro la Consulta d’ambito per il servizio idrico integrato centrale Friuli (subentrata all’Ato), sia contro Carniacque spa, il Comune di Zuglio e la Regione Fvg. (“La Cassazione pone fine alla guerra dell’acqua” in: Messaggero Veneto, 18 settembre 2014, senza autore).

Primi problemi con Carniacque.

Leggendo la storia dei rapporti fra Carniacque e l’utenza, si nota subito ci furono dei problemi.

Carniacque è una s.p.a. partecipata da soggetti pubblici, ma resta una s.p.a.. Come tale essa ha una sede, un consiglio di amministrazione e del personale alle dipendenze che devono essere pagati, fa pubblicità, in questo caso non si sa perché, e tutto questo costa.

Nel 2011, a ridosso del referendum, Carniacque donava ai bimbi di alcune scuole un kit astuccio, pagato ovviamente con i soldi dei contribuenti, con la scusa di promuovere una “campagna di educazione al risparmio dell’acqua”, definita, a ragione, dai Coordinamento dei Comitati dell ‘Alto Friuli per l ‘acqua pubblica, «una operazione di marketing propria delle società commerciali».(Carniacque: bollette salate ai genitori e regalini pubblicitari ai bambini delle scuole, volantino del Coordinamento dei Comitati dell’ Alto Friuli per l’acqua pubblica “Aghe di Mont”, 19 maggio 2011, www.peraltrestrade.it/documenti_varie.htm).

Il 7 maggio 2011 scrivevo su carnia.la in merito: «Non ho capito poi perchè Carniacque debba fare una campagna informativa su se stessa. Ha concorrenti? A me pare agisca in regime di monopolio essendo unico venditore di un servizio. Vuole che l’amiamo? Non è previsto dal contratto. Carniacque teme che i genitori non insegnino ai figli un uso coscienzioso dell’acqua? E come si insegnerebbe, tra l ‘altro, attraverso un astuccio, un corretto utilizzo dell’acqua degli alunni? A me no nviene proprio in mente!»

Carniacque si comportava verso i cittadini talvolta come ente privato, talaltra come ente pubblico, dimenticando di essere s.p.a.. Nell’inverno 2012 la Società chiedeva ai suoi utenti di porre dei contatori a proprie spese. Così scrivevo sempre su carnia.la: «Carniacque metta i contatori a sue spese se li ritiene tanto necessari. Infatti trattasi di un rapporto privato con privato, fra l ‘altro in regime di monopolio e senza possibilità di scelta per l’utente. Carniacque è una società privata, che no npuò chiedere al cittadino ciò che poteva chiedere un’amministrazione pubblica».

Inoltre pare proprio Carniacque abbia dimostrato, in passato, alcuni limiti anche relazionali con l’utenza, dato quanto si legge sul volantino del 19 maggio 2011 già citato: «Non hanno nulla da insegnare, ma solo da imparare, quelli di Carniacque, che alle proteste di una allevatrice di Lauco destinataria di una bolletta di 1.788,85 Euro hanno risposto che non è colpa loro se le sue mucche bevono, che hanno ignorato i cittadini delle frazioni alte di Enemonzo che lamentavano acqua torbida dai rubinetti, presentandosi solo dopo tre giorni con un grande mezzo, ma senza un piccone.» (Carniacque: bollette salate, op. cit.).

Carniacque, inoltre, pose la sua sede a Tolmezzo, e, mentre gli abitanti dei paesi montani, spesso anziani, prima potevano rivolgersi ai comuni per informazioni e pagamenti, poi dovettero iniziare a recarsi a Tolmezzo, con spese pure di trasporto. Inoltre il 7 ottobre 2010 il Comitato acqua libera di Paluzza denunciava «un diffuso disservizio, con carenza di interventi di manutenzione, sia nelle tubature idriche che nelle vasche di raccolta di acque, per non parlare poi della carente attività funzionale dei depuratori». (Tanja Ariis, Servizio idrico integrato, Paluzza dice no: tariffe raddoppiate con Carniacque, in: Messaggero Veneto, 7 ottobre 2010).

Altro problema segnalato dai più fu ed è il lievitare delle bollette per il servizio idrico.

Nel 2010, sempre il Comitato acqua libera di Paluzza precisava che:«Si sapeva benissimo (…) già nel 2007 che la zona montana presentava le maggiori difficoltà e richiedeva i maggiori costi di investimento, e si sapeva che tali costi non avrebbero potuto essere totalmente a carico della Comunità Civile che vive in montagna» e sottolineava come sarebbe stato doveroso, prima di dare avvio a un piano complessivo, che fosse stato chiarito su chi sarebbe dovuto gravare il relativo onere finanziario». (Tanja Ariis, Servizio idrico integrato, Paluzza dice no, op. cit.).

E se qualcuno non fosse riuscito a pagare le bollette di Carniacque?

Già anni fa mi ponevo il problema: e se qualcuno non fosse riuscito a pagare le bollette di Carniacque che gli sarebbe accaduto? Infatti senza acqua non si beve, non ci si lava e non si lava, non si fa da mangiare, senza acqua si muore di sete, fame, malattie. Inoltre il problema della gestione dell’acqua implica altri problemi, come quello della salute pubblica; incide sulla qualità della vita, ed un aumento delle bollette per l’acqua potrebbe comportare, a rimorchio, aumenti in altri servizi e settori economici.

Una prima risposta a che sarebbe avvenuto ai non paganti mi venne da un articolo di Alessandro Di Giusto, Aiuto ormai siamo in bolletta! (Il Friuli, 13 settembre 2013) che narrava come ad inadempienti si fossero stagnati rubinetti. E questi non avrebbero potuto neppure andare al fiume od alla sorgente, come un tempo, perché i fiumi sono ormai inquinati e ridotti a greto, le sorgenti non si sa dove siano, o sono in proprietà private o semplicemente non esistono più, o le acqua a monte, che le alimentano, sono state captate per piccole centraline anche private. E se uno si fosse ammalato, per esser senza acqua, per sporcizia ecc. o fosse andato a finire al pronto soccorso disidratato con danni alla salute permanenti e rischio di morire? Spiacenti ma non è di competenza di Carniacque.

E così mentre a Napoli, nel 2010, il comune, primo in Italia, aveva deciso di dare il minimo vitale di acqua garantito gratis ai poveri, cioè alle 40 mila famiglie che vivevano, allora, ai limiti della miseria, (Cristina Zagaria, L’acqua è gratis per gli indigenti niente bolletta per 40 mila famiglie. Il Comune approva, primo in Italia, una delibera che istituisce il “minimo vitale garantito” per il consumo idrico: ai più poveri 250 litri al giorno, piccoli aumenti per gli altri. Il bonus, firmato dagli assessori Riccio e Saggese, sarà operativo fin dalle prossime bollette, in: La Repubblica, 19 maggio 2010), Carniacque si appoggiava ad Equitalia per riscuotere i debiti.

Infine, dopo il veto a stagnare i rubinetti, vi è stato un recente ripensamento a livello nazionale. Il 13 novembre 2014 la Camera approvava il Collegato Ambientale alla legge di stabilità dell’anno, cancellando un articolo che impediva i distacchi del servizio idrico e garantiva il diritto all’acqua tramite il minimo vitale. (Comunicato stampa del Forum Italiano del Movimenti per l’acqua. La Camera cancella il diritto all’acqua e benedice i distacchi idrici, in: acquabenecomune.org.).

E questo riporta al problema di come, in Italia, si facciano in fretta e furia scelte epocali, e si indicano referendum, come da richiesta dei cittadini, per poi disattenderne l’ esito, come nel caso dell’acqua che ben pochi volevano privatizzata.

Quali alternative?

Io ritengo che ogni singolo comune non possa gestire totalmente la rete idrica e la depurazione e che alcuni aspetti possano esser gestiti non da società privata ma da un consorzio cooperativo o più fra comuni montani o da un Ente Pubblico, come a Napoli. E specificavo, su carnia.la il 2 dicembre 2011: «Non so ora come comuni possano consorziarsi, non conosco la normativa in materia, ma credo sia l’unica soluzione. Si mantengano o ripristinino, invece, gli operai comunali che conoscono la rete idrica ed i suoi problemi. Naturalmente plaudo all’esperienza di Cercivento ed altri comuni della Carnia. Ma possiamo tutti fare così? Se, dati alal mano, è possibile, non ci sono problemi, ma se non lo è?»

Tale mia posizione derivava anche da quanto ascoltato in incontri e convegni: mentre in pianura i costi sono coperti dall’alto numero di utenze e le tubature hanno raggi chilometrici ristretti, non così accade in montagna, dove l’utenza è bassa, i chilometri di tubature molti.

Guardando all’Italia del post referendum, ove il 54% degli elettori votò contro la privatizzazione dell’acqua, si può notare come l’Italia, da Nord a Sud, apparisse come un mosaico di situazioni differenti.

«Ci sono città, tra cui Ferrara, che hanno ridotto la partecipazione pubblica nelle multiutility e Regioni, come la Toscana, che davanti alle richieste dei comitati hanno chiuso la porta al dialogo. Ma anche comuni come Reggio Emilia, Napoli e Palermo, che invece hanno aperto la strada alla ri-pubblicizzazione delle risorse idriche. Veri e propri “casi” diventati esempi per altre amministrazioni, a partire da quella appena nata di Roma, per arrivare fino a quella di Torino», si legge in un articolo del 3 luglio 2013. (David Marceddu, Giulia Zaccariello, Acqua pubblica, a due anni dal referendum poco (o nulla) è cambiato, Il Fatto Quotidiano, 3 luglio 2013, in: ilfattoquotidiano.it.).

Alla data dell’articolo, nella Roma post Alemanno si ritornava a sperare; a Torino, nel marzo 2013 il consiglio comunale aveva dato l’ok alla trasformazione della Smat. spa, azienda al 100% a capitale pubblico, che serviva acqua in 283 comuni della provincia, in un’azienda di diritto pubblico; in Toscana, invece, il dialogo post referendario, con l’apertura di un tavolo di lavoro sulla ri-pubblicizzazione del servizio idrico, non si era mai aperto; a Bologna il comune stava andando in senso contrario ai referendum, con l’approvazione della fusione di Hera, la multiutility emiliano-romagnola che si occupa di gas, rifiuti, energia e acqua, con la veneta Acegas – Aps, un colosso con affari anche in Bulgaria e in Serbia, con il rischio che, «aumentando le dimensioni della società diminuiscano i pacchetti azionari dei singoli comuni (da 52% a 41%), riducendo quindi anche il potere decisionale dei soci pubblici». (David Marceddu, Giulia Zaccariello, Acqua pubblica, op. cit.). A Ferrara, l’esito del referendum era, all’epoca, rimasto lettera morta. A inizio giugno 2013 il comune aveva, anzi, dato il via libera alla vendita di 5 milioni di azioni di Hera, in suo possesso,  passando così da una quota della multi-utility pari al 2,28% ad una pari a 1,8%. A Milano si era discusso per mesi della creazione di una multi-utility del nord, risultato della fusione tra Iren, Hera e A2, e, di fatto, all’epoca non si era andati oltre la modifica dello statuto comunale con il riconoscimento dell’acqua come bene comune.

In altre città, invece, qualcosa si era mosso, per rendere di nuovo pubblico il servizio idrico, grazie al referendum: a fare da apripista era stata Napoli. Pochi mesi dopo il referendum, il consiglio comunale aveva dato l’ok alla trasformazione dell’azienda Arin Spa in un ente di diritto pubblico, Acqua Bene Comune Napoli, azienda speciale con il compito di gestire le risorse idriche. Pochi mesi dopo Imperia, Palermo, Forlì, Savona, Vicenza, Varese e Piacenza ne seguivano l’esempio, fino ad arrivare a Reggio Emilia, dove, nel dicembre del 2012, i comitati per l’acqua bene comune avevano ottenuto l’ approvazione, in consiglio comunale, della mozione popolare che prevedeva di affidare il servizio idrico a un ente di diritto pubblico, mettendo di fatto la parola fine alla gestione da parte della multi-utility Iren.

La vendita da parte del comune di Ferrara, di quote Hera in suo possesso, sollevava un problema che mi ero già posta: in un s.p.a.i pacchetti azionari possono passare da una mano all’altra e alcune regole, interne all’assetto societario, possono venir modificate, come vedremo si è proposto in ABC Napoli.

Ma per superare gli italici confini, anche a Parigi, dopo la gestione dell’acqua in forma privata, si è passati, per scadenza del contratto, alla forma pubblica con molti benefici. (Roberto Cantoni, 1 marzo 2010, Acqua pubblica a Parigi è (di nuovo ) realtà. Su Oggiscienza).

Intanto in Carnia e per ritornare a Carniacque.

Nell’autunno 2014, si veniva a conoscenza dei seri problemi economici di Carniacque. Il Messaggero Veneto del 19 e 21 ottobre riportava i debiti della nota società che gestisce il servizio di acquedotto, fognatura e depurazione delle acque reflue per l’intero territorio montano del Friuli Venezia Giulia.

«Non sono rose e fiori – si legge su di un articolo di Tanja Ariis, pubblicato il 19 ottobre 2014 – la società è debitrice verso alcuni Comuni suoi soci per quasi 4 milioni di euro totali, tra mutui precedentemente accesi dai Comuni e poi passati a Carniacque e il 30% delle tariffe che alcuni Comuni hanno concordato di farsi dare da Carniacque, con un accordo antecedente alla legge Galli. Debiti che la società oggi non è in grado di onorare, schiacciata com’è tra questo peso sul groppone e gli interventi da effettuare. Se i Comuni creditori esigessero ora le loro spettanze, per Carniacque sarebbe il tracollo, ma anche per i Comuni sarebbero grane: più problemi a riscuotere quei crediti, crollo del valore delle loro azioni in Carniacque, problemi al bilancio comunale e incognita sul servizio. Un ginepraio, insomma». (Tanja Ariis, Carniacque tra debiti e polemiche, in: Messaggero Veneto, 19 ottobre 2014).

Ed in proposito, Franceschino Barazzutti, noto esponente del Comitato per la tutela delle acque del bacino montano del Tagliamento, dichiarava che serviva un piano alternativo a Carniacque per la gestione delle risorse idriche in montagna.

Quello che preoccupa è il possibile passaggio di Carniacque ad Hera, multi-utility leader nei servizi ambientali, idrici ed energetici
con sede a Bologna, che sta coprendo, secondo Barazzutti, sempre più gli spazi relativi ai beni essenziali, quali acqua ed energia, in un regime che si potrebbe configurare come un monopolio.

«Si è già presa Amga, Acegas e anche il gestore di Padova – sottolinea Barazzutti – È chiaro quale è lo scopo finale. Ma bisogna ritornare al modello di montanità, non si possono affrontare i problemi della montagna con cultura e criteri cittadini». (Michela Zanutto, Piano alternativo a Carniacque: «Tutto ritorni ai Comuni» I comitati all’attacco: la montagna ha paura di finire in Hera «Non si affrontano i problemi con cultura e criteri cittadini», in Messaggero Veneto, 12 dicembre, 2014).

E sempre secondo Barazzutti:

«Ogni Comune dev’essere proprietario della propria acqua – spiega Barazzutti – Se vogliamo evitare che Hera entri in Carnia, dobbiamo passare alle gestioni comunali. Non certo mantenere in piedi Carniacque, che ha già notevoli difficoltà. Per esempio, nella valle del But, Sutrio, Cercivento, Paluzza, Treppo e Ligosullo possono anche mettersi assieme e hanno già una base sociale importante con la Società elettrica Alto But. Questi sono i modelli che dobbiamo portare avanti in montagna», allontanandosi dalla strada tracciata con gli investimenti del maxi-piano della Consulta d’ambito per il servizio idrico integrato Centrale Friuli (Cato) che, per Barazzutti, va in una sola direzione: la multi-utility sovraregionale. (Michela Zanutto, Piano alternativo a Carniacque, op. cit.).

Franceschino Barazzutti si riferisce agli investimenti previsti da Carniacque come gestore all’interno del Piano d’ambito della Consulta d’ ambito per il Servizio idrico integrato del Friuli Centrale di cui per ora solo una piccola parte risulta posto a finanziamento pubblico. (Si rimanda comunque alla lettura di: Regione Autonoma Friuli Venezia Giulia – Consulta dell’autorità d’ambito “Centrale Friuli”, Piano d’ambito della consulta d’ ambito per il servizio idrico integrato centrale Friuli – Piano investimenti complessivo e bilanciato – dettaglio interventi previsti nel primo piano quadriennale 2014 – 2017 – gestore Carniacque S. p. A., in: www.atocentralefriuli.it/sites/default/files/FTP/…/GN-007).

Ed ancora, nel merito, il noto esponente dei comitati carnici così affermava: «Il piano prevede quasi un miliardo di investimenti: 30 milioni l’anno per trent’anni (2014-2043) ripartiti fra Cafc (658), Acquedotto Poiana (100) e Carniacque (85). Da qui passano il rifacimento di seimila chilometri di acquedotti (al momento la perdita d’acqua media è al 30%), il completamento del sistema fognario (la rete passa da 2.500 chilometri a tremila) e la riorganizzazione dei depuratori che da 600 diventano 40. Ridimensionamento che va nel senso della qualità per venire incontro ai nuovi standard europei e garantire la pulizia di residui organici, metalli pesanti e veleni. Cinque le fonti finanziarie del Piano d’ambito: bollette, mutui, risorse pubbliche (dalla Regione 2,5 milioni in 20 anni), auto-risparmio (taglio dei depuratori) e sinergie (la fusione in tre gestori riuniti sotto la regia della Consulta d’ambito). Il debito creato dev’essere per legge ripianato. E i garanti sono gli utenti». (Michela Zanutto, Piano alternativo a Carniacque, op. cit.).

E giungiamo all’oggi italiano.

E giungiamo all’oggi ed alle ultime prese di posizione. A Napoli vi è in corso un tentativo di modificare lo statuto di ABC (Acqua Bene Comune) Napoli, azienda speciale di diritto pubblico, nel senso di permettere alla stessa l’imbustamento e la vendita, in contenitori non inquinanti e a prezzi calmierati, dell’ acqua captata alla sorgente ovvero attinta al serbatoio principale. «Già oggi – si legge nella lettera inviata dal Comitato ed altri al Presidente della Commissione Affari Istituzionali, dott. Gaetano Troncone ed alla Commissione Consiliare Affari Istituzionali del Comune di Napoli – ABC Napoli è una delle maggiori aziende idriche del Mezzogiorno e serve direttamente o indirettamente (Comuni subdistributori) 2 milioni di cittadini distribuiti oltre che nella città di Napoli, nel suo hinterland e nelle Province di Avellino, Benevento e Caserta. (…). Si ritiene che l’Azienda Speciale consortile sia il modello gestionale più congruo con la caratteristica di ABC Napoli quale ente di diritto pubblico e sia coerente con l’ organizzazione a livello metropolitano dei servizi». ABC Napoli, pertanto, secondo i firmatari della lettera, non può vendere acqua, per la sua natura di azienda speciale che gestisce un bene comune e ha come obiettivo il pareggio di bilancio. Inoltre gli stessi si ritenevano contrari «alla costituzione di società di capitali e a tutti i meccanismi speculativi ad essa collegati come l’assunzione di partecipazione».(Comitato Acqua Pubblica Napoli, L’acqua è un Diritto non una merce, in: il dialogo.org., 23 dicembre 2014).

Ma in altro senso paia vadano Governo e Confindustria.

Riporto, dal sito del Forum Italiano dei movimenti per l’acqua, sia questa presa di posizione contro Confindustria, che vorrebbe la cancellazione dell’esito del referendum sia il testo della petizione contro la privatizzazione dell’ acqua, nei progetti di Matteo Renzi.

« Confindustria chiede al Governo Renzi di cancellare l’esito del referendum sull’ acqua e sui servizi pubblici.

Il referendum sull’ acqua e su iservizi pubblici locali del 2011 “ha peggiorato i servizi” e per aprire questo settore al mercato bisogna “mettere in discussione gli esiti di quel referendum.”

Questi sono alcuni passaggi dell’intervento che la direttrice generale di Confindustria, Marcella Panucci, ha svolto il 1° dicembre al convegno “Competizione e mercati: Uk e Italia nel contesto europeo.

Finalmente Confindustria ha deciso di calare la maschera rispetto al tema delle privatizzazioni, giungendo a sostenere la necessità di cancellare la volontà popolare chiaramente espressa il 12 e 13 giugno 2011 […]. Appare, dunque, palese la gravità di tali dichiarazioni.

In primis perchè viene attaccato frontalmente uno strumento di democrazia diretta, quello referendario, garantito dalla costituzione. In seconda battuta perchè si sostiene una bugia enorme, quella che il peggioramento della qualità del servizio offerto sarebbe colpa dei referendum.

In realtà il tentativo sotteso a questa dichiarazione è quello di nascondere le evidenti responsabilità dell’attuale sistema di gestioen privatistico del servizio idrico e dei servizi pubblici locali.
Da tempo come movimento per l’acqua denunciamo che la gestione dell’acqua e dei servizi pubblici attraverso società per azioni, di cui le grandi multiutilities (A2A, IREN, ACEA, HERA) già quotate in borsada diversi anni, danneggia i cittadini e gli utenti.

Opacità della gestione, aumenti tariffari insostenibili, negazione del diritto umano all’acqua, peggioramento delle condizioni di lavoro e aumento del lavoro in appalto, scarso controllo delle amministrazioni pubbliche, diminuzione degli investimenti, erogazione dei dividendi agli azionisti tramite indebitamento, impoverimento della risorsa idrica e amncato coordinamento della gestione della risorsa. Questi sono gli effetti del processo strisciante della privatizzazione in atto in questi anni.

Il Governo, attraverso il combinato disposto del decreto Sblocca Italia e legge di stabilità, ha inteso rilanciare con forza la privatizzazione dell’acqua e dei servizi pubblici locali incentivando esplicitamente le dismissioni di quote dei comuni e favorendo economicamente i soggetti privati e i processi di aggregazione.
Oggi questa accelerazione, si configura come un processo definitivo di espropriazione degli Enti e delle comunità locali. (…)».

Roma, 03 Dicembre 2014».

Petizione del Forum italiano dei movimenti per l’acqua: «Il governo Renzi vuole la privatizzazione dell’acqua: fermiamolo!»

Il Governo Renzi sta tentando di raggiungere il risultato cui sinora nessun governo era riuscito ad arrivare: la privatizzazione dell’acqua e dei servizi pubblici locali.

Lo fa attraverso due provvedimenti: il decreto “Sblocca Italia” e la legge di stabilità.

Con il primo, impone ai Comuni l’obbligo di aggregare le società del servizio idrico per arrivare ad un gestore unico per ogni ambito territoriale ottimale, spesso coincidente con il territorio regionale.

Con la seconda, rende sempre più onerosa la gestione pubblica dell’acqua e spinge gli enti locali a privatizzare, permettendo loro di spendere fuori dal patto di stabilità i soldi ottenuti dalla cessione delle proprie quote ai privati.

Il Governo Renzi vuole in questo modo mettere una pietra tombale sul risultato referendario che nel 2011 ha visto la maggioranza assoluta del popolo italiano pronunciarsi per una gestione pubblica, partecipativa, territoriale e senza profitti dell’acqua e di tutti i beni comuni.

Il Governo Renzi vuole affidare l’acqua e tutti i servizi pubblici locali a quattro grandi multiutility collocate in Borsa: A2A, Iren, Hera ed Acea, consegnando i beni comuni delle comunità territoriali agli interessi dei grandi capitali finanziari.

In questi anni, in ogni luogo del paese, abbiamo detto a gran voce: “si scrive acqua, si legge democrazia”.

Per questo diciamo al governo Renzi: INDIETRO NON SI TORNA!

Si attui il referendum, si affidi la gestione dell’acqua pubblica, partecipativa e senza profitti alle comunità locali». (Forum Italiano dei movimenti per l’acqua – petizione www.acquabenecomune.org/petizione).

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Nel tentativo di evitare la privatizzazione dell’acqua, vi invito a firmare la petizione sopra riportata.

in: http://www.acquabenecomune.org/petizione.

Come firmare.

Entra in: http://www.acquabenecomune.org/petizione.

Dopo il testo della petizione c’è un pulsante con scritto “FIRMA LA PETIZIONE”, cliccandovi sopra si riempiono tre campi e poi si clicca ancora su “FIRMA LA PETIZIONE”.

Laura Matelda Puppini.

L ‘immagine che correda l’articolo è tratta da http://www.acquabenecomune.org. Laura Matelda Puppini

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