Riprendo, con questo articolo, gli interventi che si sono succeduti all’incontro “La montane dai sants: alluvione 2018” che ha avuto luogo presso l’isis Fermo Solari di Tolmezzo in data 1° dicembre 2018.

Dopo Marco Virgilio, ha preso la parola il geologo Massimo Valent.

L’INTERVENTO DI MASSIMO VALENT GEOLOGO.

Massimo Valent, geologo, esordisce dicendo che mentre il giornalista Marco Virgilio ha disegnato un quadro davvero preoccupante a livello climatico, egli proverà ad enucleare, invece, i dissesti geologici nel territorio carnico che si sono verificati nel mese di ottobre, rapportandoli a quella che è stata l’evoluzione dell’ambito montano negli ultimi dieci anni.
Quindi inizia il suo intervento parlando dei luoghi ove si sono manifestati maggiori dissesti nel mese di ottobre 2018, corredando la sua esposizione con immagini.

Il primo esempio è in territorio di Timau, in Val del But. Il torrente But a Timau, vicino alla frazione di Cleulis, ha prodotto un’erosione spondale, portandosi via un pezzo della strada statale. Ora questa erosione si è prodotta in una zona particolare, definita da una grande convessità, un conoide di accumulo prodotto dal torrente Moscardo, che scende verso il But.  Ora il torrente Moscardo è conosciuto perché è caratterizzato da frequenti colate detritiche, cioè ha un trasporto solido molto frequente e consistente. Queste caratteristiche hanno consentito al Moscardo di edificare il grande conoide di accumulo, che ha ostruito in parte il torrente But costringendolo a spostarsi sulla sponda opposta, modificandone, pure, il regime delle acque. Negli anni, dal 1700 in poi, si è cercato di frenare l’elevata dinamicità di questo corso d’acqua in vario modo, ma solo ultimamente, grazie ad opere costose e di elevata portata ingegneristica, il torrente Moscardo è stato costretto a correre sul lato meridionale del conoide. Questo è però accaduto fino agli anni settanta del secolo scorso, quando era ancora in grado di divagare, e la sua forza era ancora difficilmente controllabile. Questo per descrivere l’ambiente in cui si è verificata questa erosione.

L’erosione del torrente But ha inciso proprio parte degli accumuli che si sono verificati, nei secoli, grazie ai materiali trasportati dal torrente Moscardo. Ma come mai è avvenuta questa erosione? Dobbiamo guardare alla testata di alimentazione, cioè il punto da dove arriva questa grande quantità di detriti, formata da una testata rocciosa molto friabile, molto facile da erodere, e che produce questa grande quantità di detriti che il torrente Moscardo porta giù, verso valle.

Inoltre nel 1985 il But aveva un andamento quasi rettilineo nel settore dove è avvenuta l’erosione, ed il suo alveo era abbastanza sgombro da vegetazione. Ma vediamo cosa è successo poi. Nel 1998, ci sono degli indizi di accumuli proprio nel settore in cui è avvenuta l’erosione, ed è una zona che tende comunque ad accumulare materiale a causa dell’interferenza del Moscardo. Ma vediamo cosa è successo poi negli anni.

Si vede, a monte del punto ove è avvenuta l’erosione, che si è formata un’isola, che ha determinato una deviazione del corso d’acqua verso la sua sponda sinistra. L’isola è poi diventata stabile e si è vegetata e finché il corso d’acqua aveva delle portate abbastanza “normali”, esplicava una erosione solo in un settore limitato e controllabile. Ma quando è arrivata la botta del 2018, si nota, guardando il comportamento del torrente Moscardo da monte, come l’acqua dello stesso abbia dovuto fare una curva molto consistente, a causa dell’isolotto con vegetazione stabile, e così, invece che procedere, come prima, in forma quasi rettilinea, è andato ad erodere la parte più fragile che, sebbene protetta da una scogliera, non ha resistito alla piena dell’ottobre. E l’erosione ha prodotto lo smantellamento del depuratore comunale.
Ecco che diventa quindi importante ciò che si diceva prima: il controllo costante del territorio ed il suo monitoraggio, anche al fine di una manutenzione dello stesso.

Comeglians: un altro esempio di interruzione stradale, in questo caso sul ponte. La situazione qui è stata un po’diversa da quella sopra descritta e certamente è stata causata anche dall’ uomo. Il ponte aveva alcune luci attraverso le quali passava l’acqua. In un punto, per congiungere il ponte alla sponda opposta, è stata realizzata una muratura, in una posizione, però, in cui andava ad interferire con il corso d’acqua.
I lavori iniziati dopo l’alluvione dell’ottobre novembre 2018, hanno avuto come scopo quello di cercare ampliare la sezione del corso d’acqua, anche demolendo una parte dello sperone roccioso presente sulla sponda di sinistra. Infatti esso aveva costretto il Degano, soprattutto nei momenti di piena, ad incidere la sponda opposta. Nel caso qui in esame, l’incidenza del filone d’acqua che è andato a sbattere contro questo sperone roccioso, ha determinato il rimbalzo dell’acqua dalla parte opposta, andando a colpire la muratura edificata dall’ uomo sulla spalla destra del fiume, che è stata spazzata via. I lavori per la ricostruzione del ponte, diretti dal dott. Cuffaro, hanno comportato la demolizione dello sperone roccioso, proprio per cercare di ampliare la sezione del fiume.

Immagine da: https://www.triesteallnews.it/2018/10/31/maltempo-dal-zovo-m5s-servono-politiche-contro-il-cambiamento-climatico-basta-soluzioni-tampone/maltempo-fvg-carnia/

Il terzo caso rappresenta la formazione di una frana vera e propria, ad Avaglio, in comune di Lauco.
C’è una strada, appena fuori le ultime abitazioni di Avaglio. In questa zona, anche parlando con le persone più anziane, nessuno si ricorda la presenza di una frana in questo tratto di strada. In realtà la strada passa attraverso una frana di accumulo molto vecchia, originatasi non si sa quando e che adesso, in occasione dell’alluvione di ottobre, si è messa nuovamente in moto. E qui qual è il problema? Che un fianco della frana si trova al di fuori delle case ma l’altro a ridosso delle stesse, e tutta la parte compresa tra loro, sia a monte che a valle, strada compresa, si sta muovendo lentamente, coinvolgendo pure alcune abitazioni. Sono visibili fratture sul terreno, ed è evidenziabile dai tecnici l’”orlo di scarpata” che ha prodotto l’accumulo della frana. Si stanno facendo, quindi, per la Protezione Civile, dei sondaggi del terreno, e si stanno posizionando dei sensori per verificare la profondità e l’entità del movimento.

Infatti dopo una prima rottura del versante che ha determinato le fratture che abbiamo visto, ora siamo in una fase di assestamento, e movimenti stanno avvenendo anche ora in quella zona, e stanno continuando, come avviene in presenza di fenomeni di questo tipo.

Noi ci troviamo in una zona: Fvg parte montana, che è caratterizzata da un alto rischio idrogeologico, perché ci troviamo in una situazione in cui le cause esogene, esterne, determinano questi cambiamenti. L’entità e la velocità con cui detti cambiamenti avvengono, dipende dalle caratteristiche geologiche e geomorfologiche del territorio. E la zona montana del Friuli è una zona particolarmente vocata al rischio idrogeologico. È una zona fragile, caratterizzata da masse rocciose frequenti e da superfici con masse rocciose fratturate scadenti che determinano un’elevata produzione di detriti, come a Rivoli Bianchi di Tolmezzo.
Fenomeni franosi sono estremamente diffusi sul territorio montano e pedemontano friulano, caratterizzato, pure, da una forte torrenzialità dei corsi d’acqua, con una variabilità nei regimi che cambia molto nell’arco stagionale.

Prendiamo come esempio il parcheggio del “Girarrosto” di Venzone. Nell’alluvione del 2006, un camionista aveva lasciato il rimorchio proprio sotto il conoide che ora è stato in parte sistemato, e lo ha trovato sepolto dai detriti. Ecco cosa producono le colate detritiche: tagliate che, se analizzate in senso verticale, mostrano detriti grossolani che, per questioni di peso, si accumulano alla base e poi tutto il resto cioè detriti con granulometria decrescente, si dispongono verso l’alto. E si tratta di depositi che, come i corsi d’acqua, possono raggiungere velocità molto elevate.

Dopo l’alluvione dell’83, sono stati fatti in Carnia degli studi per capire qual era la quantità di pioggia critica, cioè che quantità di pioggia è necessaria per produrre le frane. Ovviamente questa è differente a seconda di dove questa pioggia cade. Si è visto che in Carnia, generalmente, precipitazioni che nel corso delle 24 ore superano la soglia dei 250 mm, generano comunque una calamità notevole. Si stima che, dal 1925 ad oggi, ci siano stati 22 eventi che hanno superato i 200 mm nell’arco delle 24 ore, quindi uno ogni tre anni, con eventi che hanno superato questa soglia fino ad arrivare alla soglia proprio critica, quella che determina un evento catastrofico, con caduta di 250 mm di pioggia nelle 24 ore, ogni 5 – 10 anni. Fin qui dall’analisi dei dati storici. Ma aggiornando la stima si è visto come il tempo di ritorno per questi eventi catastrofici si stia accorciando, come ha anche evidenziato Virgilio. Siamo in presenza di una tendenza ad avere eventi più consistenti con tempi di ritorno più bassi.

Articolo di Laura Matelda Puppini sull’alluvione del 1692, su InCarnia n.7, settembre 2014.

Ma per ritornare all’ambiente particolare della Carnia, essa ha già subito negli anni eventi naturali anche particolarmente catastrofici. Nel 1692, per esempio, nel corso di un evento alluvionale piuttosto consistente, si è staccata una frana, quella denominata frana di Borta, che ha preso il nome dall’abitato che ha investito, e che ha prodotto anche dei morti. Il villaggio si trovava in località Caprizi, sopra Socchieve, sul Tagliamento, e fu travolto da un distacco dal monte Auda, che avvenne nell’arco di poche ore, ad incominciare dalla mezzanotte. Esso ostruì il Tagliamento che andò a colpire Borta, posta ai piedi della frana. Detto sommovimento causò un accumulo di circa 30 milioni di metri cubi di materiali, e si può dire che fu un fenomeno paragonabile a quello del Vajont, ma di origine naturale. Anche in questo caso, come in quello del Vajont, la massa che è si è staccata è risalita sul versante opposto, ed ha determinato la morte di 55 persone. Così questo piccolo villaggio è sparito e la frana ha determinato un lago a monte di questo sbarramento, dalla lunghezza di 7 chilometri, e da una profondità stimata intorno ai 50 metri.

E se andiamo a vedere oggi cosa è rimasto di quella catastrofe, vediamo ancora i limi lacustri che si sono formati sul fondo di quel lago, e che testimoniano quell’evento. Più di recente, nel 1966, si è verificata un’altra alluvione che ha determinato molti danni, ed anche in questo caso ci sono state delle vittime, 12 solo in Carnia. Nel corso di quell’alluvione, la passerella che unisce Pioverno a Venzone, fu smantellata dal colmo di piena.

E passiamo al 1983. In quell’anno vi fu un’altra alluvione che colpì la Valle del But, quella di Arta Terme, Paularo e Paluzza. Vi fu allora anche una casa in cemento armato che fu scalzata dal corso d’acqua, che ne provocò il ribaltamento nell’alveo.

Perché fatti di questo tipo non accadano bisogna fare prevenzione, in particolare anche perché i cambiamenti climatici portano ad un aumento di caduta di piogge fortissime in breve arco di tempo. Si sa già, dal passato, che questi eventi calamitosi si sono presentati con una certa frequenza, e che la Carnia è un territorio estremamente fragile. Ma questa situazione idrogeologica richiede pure una attività di pianificazione, accanto a quella di progettazione. Questo vuol dire che la conoscenza del territorio, per esempio attraverso il censimento degli eventi passati, e la conoscenza di qual è la dinamica, la velocità con cui questo territorio cambia, ci consente di fare una pianificazione corretta, individuando quelli che sono i fattori di rischio, ed andando a tradurre tutto questo nei piani regolatori comunali.

In proposito mi vorrei soffermare su quello che è accaduto nel 1983 a Paularo, frazione di Villamezzo.
In questo caso vi è un torrentello che scende a monte delle prime case di Villamezzo, e che si getta nel Chiarsò. All’altezza di alcune case il corso d’acqua è stato tombato alle spalle di un negozio. Questa attività di regimazione delle acque, è stata fatta pensando di riuscire in qualche modo a contenere le portate di del torrentello che, come gli altri corsi d’acqua in Carnia, è asciutto quasi tutto l’anno ma, in occasione di questi eventi si riempie. Ma questo tentativo di contenimento ha creato una fuoriuscita forte di acqua all’altezza del negozio, che ha subito gravissimi danni.

Nell’ ottobre 2018, a Ravascletto, è successa una cosa simile. Un piccolo ruscelletto attraversava il manto stradale sotto la strada attuale per poi scendere verso valle. Purtroppo gli attraversamenti non erano adeguati e si è determinato, co l’alluvione, il dislivellamento del corso d’acqua, con il trasporto di materiale sulla strada. Ecco che, quindi, in un territorio fragile come la Carnia, va ben valutato il rischio Dobbiamo cercare di diminuire la pericolosità del territorio con degli interventi mirati, ma anche diminuire il rischio, che è la pericolosità per la vulnerabilità per il valore degli elementi di rischio.

Siamo spesso noi, sono le nostre attività, è quello che costruiamo, che diventano elementi di rischio. Ovviamente se noi andiamo a realizzare opere e strutture in ambienti particolarmente pericolosi, può essere che il rischio aumenti. Quindi se andiamo verso una situazione in cui questi alluvioni avranno un tempo di ritorno più breve e saranno ancora più intensi, noi dobbiamo confrontarci con questa situazione, e soprattutto i geologi dovranno e devono essere in grado di leggere come il territorio cambia e cosa muta in particolare, perché cambia, per esempio, la dinamica dei corsi d’acqua e la dinamica dei versanti. Però questo cambiamento avviene con diverse velocità, per cui per noi è fondamentale conoscerle per porre in atto le misure necessarie.

Alluvione in Val Canale, 29 agosto 2003, da: http://www.pompierivolontari.it/Sito/Corpi%20in%20regione/Ugovizza/X%C2%B0alluvione03a/valcanale2003/valcanale2003.html

 

Vi è una tabella incisa dopo l’alluvione del 2003 nella val Canale. Il proprietario che aveva ricostruito una casetta di legno, aveva scritto questa frase: «I ricorrenti eventi idrogeologici hanno sempre un solo imputato: l’incuria dell’uomo con la sua ingombrante presenza e la sua drammatica assenza. Ecco questa era la sua riflessione. In realtà io direi che i fenomeni naturali sono catastrofici, e non sono eccezionali, nel senso che si sono presentati nel tempo e certamente rappresentano l’evoluzione dell’ambiente che ci circonda. Ma se questa dinamica cambia frequentemente, sta a noi comprendere cosa sta accadendo e rapportarci al meglio con queste trasformazioni mettendo in atto le misure necessarie».

Laura Matelda Puppini

La relazione del dott. Massimo Valent, riportata in questo articolo, è stata da me registrata il 1° dicembre 2018. L’immagine che accompagna l’articolo è quella già proposta dell’alluvione del 29 agosto 2003 in Val Canale, da: http://www.pompierivolontari.it/Sito/Corpi%20in%20regione/Ugovizza/X%C2%B0alluvione03a/valcanale2003/valcanale2003.html. Laura Matelda Puppini

 

 

 

 

https://i0.wp.com/www.nonsolocarnia.info/wordpress/wp-content/uploads/2018/12/Alluvione-val-canale-2003image13.jpg?fit=500%2C339&ssl=1https://i0.wp.com/www.nonsolocarnia.info/wordpress/wp-content/uploads/2018/12/Alluvione-val-canale-2003image13.jpg?resize=150%2C150&ssl=1Laura Matelda PuppiniAMBIENTERiprendo, con questo articolo, gli interventi che si sono succeduti all’incontro “La montane dai sants: alluvione 2018” che ha avuto luogo presso l’isis Fermo Solari di Tolmezzo in data 1° dicembre 2018. Dopo Marco Virgilio, ha preso la parola il geologo Massimo Valent. L’INTERVENTO DI MASSIMO VALENT GEOLOGO. Massimo Valent, geologo,...INFO DALLA CARNIA E DINTORNI