Stamattina sono rimasta di stucco quando ho letto della morte, improvvisa ed inattesa, di Nereo Peresson, che ho visto l’ultima volta al cinema David di Tolmezzo, in occasione dell’incontro sul turismo montano. Nereo, perito agrario, è morto ieri, 5 agosto 2022, a Resia, fra le montagne, dopo aver parlato di malghe ed allevamento qualche giorno prima, e mentre si accingeva a seguire un progetto relativo all’aglio resiano, famoso urbi et orbi. Il suo cuore ha improvvisamente ceduto, ma è strano come problemi cardiaci improvvisi, ammesso che sia così, dagli esiti infausti stiano colpendo la popolazione carnica negli ultimi anni.

Forse qualcuno dovrebbe fare una riflessione nel merito …. penso fra me e me, perché, che io sappia, Nereo non beveva, Nereo non fumava (mai visto con una sigaretta od un sigaro in bocca), Nereo sicuramente non si drogava. Ma qualcuno mi ha detto che qualche problema di salute lo aveva già avuto, però tanti anni fa.

Nereo Peresson con Ira Conti, ispettore forestale, durante un incontro a Forni di Sotto. (Da: https://www.peraltrestrade.it/old/foto_unesco_incontro_forni_sotto_10_09.htm, 4 ottobre 2009).

Nereo Peresson era un perito agrario, un ambientalista, un amante di piante e coltivazioni autoctone, un esperto di terreni e foraggi. Vice-presidente della sezione carnica di Legambiente, nel 1978 era stato tra i fondatori della Confederazione italiana coltivatori della provincia di Udine, ed aveva lavorato prima per la Comunità Montana della Carnia, poi presso il Centro regionale per la sperimentazione agraria di Pozzuolo del Friuli, seguendo, in particolare, aspetti legati alla foraggicoltura, e partecipando a diversi progetti internazionali sull’argomento, con riferimento specifco alla montagna. Ultimamente aveva insegnato all’isis “F. Solari” di Tolmezzo, e da poco era andato in pensione (1).

In suo ricordo e perchè resti memoria, voglio riportare quanto ha detto su malghe, ambiente, turismo, regione Fvg, il 26 luglio 2022 a Tolmezzo, accompagnando un filmato. Il discorso può apparire frammentario proprio perché seguiva delle immagini, ma ho cercato di fare del mio meglio per renderlo fruibile, riportando quello che egli ha detto.

Malga sotto le dolomiti pesarine. Foto di Laura Matelda Puppini 1988 o 1989.

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Dopo il ringraziamento a Marco Lepre per averlo invitato al tavolo dei relatori, Nereo ha esordito così: «Vi presenterò ora un argomento che pare si discosti da quelli presentati fino adesso, ma non è proprio così. Infatti i pascoli alpini sono e saranno in futuro una componente ambientale importante che ha a che fare sia con il territorio sia con il turismo montano.

Diciamo che, relativamente alla zona montana dell’Alto Friuli che comprende la Carnia ed il Canal del Ferro, negli anni che vanno dall’Unità d’Italia alla prima guerra mondiale, abbiamo dei dati raccolti da illustri studiosi del tempo come Marchettaro, Santori, Tosi, i quali ci raccontano cos’era l’agricoltura di montagna in quel periodo. Essi dicono che, in quell’ambito geografico, allora c’era un numero di animali bovini che andava dai 17.000 ai 24.000 capi, e che tutti questi animali venivano alloggiati, d’estate, nelle 100- 110 malghe distribuite sul territorio. Gli animali portati in alpeggio per la gran parte venivano dalle valli sottostanti, e quindi c’era una grande unione tra le malghe ed i paesi in fondovalle, tanto che potremmo dire che l’alpeggio era una propaggine delle aziende domestiche paesane.

Gli altri animali condotti in malga provenivano da distretti contigui a quelli di Ampezzo, Tolmezzo e Moggio Udinese (2), e quindi dal distretto di Gemona e da quello di Spilimbergo, ma anche dai comuni di Bordano, di Trasaghis, di Forgaria e, soprattutto, da quelli della Val d’Arzino.

Ma dov’erano questi pascoli e come funzionavano?

Mucche al pascolo in Valdaier. Foto di Laura Matelda Puppini. 2017.

La zona dei pascoli, in Carnia ed in Alto Friuli occupa una fascia altimetrica che va dagli ottocento ai duemila e cento metri sul livello del mare. La parte di pascoli ivi locata si trova da un lato all’interno della fascia boscata, cioè di quella fascia dove crescono ancora piante arboree, dall’altro in zone più alte dove queste ultime non crescono più. E questo è aspetto importante e bisogna ricordarsi che, anche in alta montagna, possiamo parlare di ambiente antropizzato.

Infatti abbiamo la parte più bassa della fascia dei pascoli malghivi dove, in un modo o nell’ altro, l’uomo è intervenuto disboscando, vuoi volontariamente vuoi per problemi di dissesti, e dove, se il pascolo viene abbandonato, tende a ritornare come era prima, ed abbiamo le zone più alte dove, grazie ai decespugliamenti o alle concimazioni o alla stabbiatura (3) degli ovini, si è riusciti a cambiare l’acidità del terreno, e quindi alcune piante sono sparite ed altre sono cresciute. E questo non ha fatto altro che creare il paesaggio che oggi vediamo e troviamo.

Quindi, se noi vogliamo mantenere il paesaggio qual è ora, e in quel rapporto tra bosco e radura che esiste sulle nostre montagne, bisogna continuare a pascolare queste zone. Ma se questa era l’attività che veniva svolta a fine Ottocento primi Novecento, ora non è più così.

Foto dalla piana del monte Tuglia. Foto di Laura Matelda Puppini. Anni ’80. 

Infatti la Regione Fvg, che è proprietaria di gran parte delle malghe, che ha acquistato da privati, pensa, nella sua rappresentazione di una linea strategica per l’utilizzo delle proprietà silvo- pastorali, delle malghe e dei pascoli, solo alla produzione di prodotti latteo- caseari di un certo tipo, all’agriturismo, all’ utilizzazione, in diversi modi, da parte della popolazione, di questi settori ma non parla quasi mai di alpeggio.

Vi è però anche una iniziativa che si può applaudire ed è quella di adeguarsi all’ articolo 3 del DL. 108 del 2001, laddove dice che, quando ci siano più partecipanti ad un bando pubblico per l’assegnazione di un pascolo o di un terreno agricolo di proprietà pubblica, ha la priorità la richiesta fatta da giovani agricoltori, indipendentemente dall’offerta finanziaria proposta. (…).  Ed è importante che i giovani vengano aiutati, favorendo così il ricambio generazionale.

Ma questo non è sufficiente, perché, per gestire il settore silvo pastorale e le realtà malghive ci vuole una serie di cose ben precise. Ci vuole innanzitutto la competenza, perchè bisogna saper fare; ci vuole un legame, quello storico, tra l’agricoltura in malga, quella della stagione dell’alpeggio, e l’agricoltura di fondovalle, in un territorio il più delimitato possibile. E bisogna creare una griglia di aspetti anche valoriali che riesca poi a far da base ad una graduatoria dove alcune prerogative siano ben definite. Tra queste vorrei ricordare: la provenienza del giovane che concorre; il carico bovino, cioè quanti animali sono sostenibili per ettaro; la necessità di conoscere la capriolìa sul territorio e le caratteristiche degli animali presenti in malga: perché è diverso il pascolamento che fa la mucca da latte od il bovino giovane da quello che fanno la capra o la pecora o gli equini, e le specie di piante utilizzate dai diversi tipi di animali non sono le stesse. E bisogna ricordare che si deve mantenere la biodiversità equilibrata, altrimenti perde le sue caratteristiche.

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Nereo Peresson animatore di Wigwam, Associazione Nazionale di Protezione Ambientale fondata in Veneto il 3 dicembre 1972, per la Carnia. (Particolare da: https://www.wigwam.it/2016/09/15/comunita-locale-della-carnia-nereo-peresson-animatore-wigwam/).

Questo discorso analitico è importante per il futuro, per quanto riguarda il turismo, per quanto riguarda l’ambiente. Si parlava prima degli impianti di risalita, dell’utilizzazione a scopo sportivo- turistico della montagna. Questo utilizzo della malga può rispondere, in alternativa a queste proposte, alle esigenze di sviluppare pure le potenzialità della montagna a fini di attrazione turistica, ma per periodi più lunghi di quanto non permettano altre soluzioni. Ed il discorso ambientale porta all’utilizzo di pascoli permanenti e folici per l’alimentazione del bestiame, siano essi pascoli di alta montagna o siano i prati conofiti della pianura padana, in particolare del reggiano.
Perché fare questo significa bloccare l’anidride carbonica a livello del terreno.

Quindi anche dal punto di vista ambientale il continuare a mantenere questa tradizione, che non è solo un aspetto della nostra storia e quant’ altro, serve pure a bloccare le emissioni anidride carbonica nell’ atmosfera.

Grazie.

Nereo Peresson.- Intervento all’ incontro sul turismo montano 26 luglio 2022.

Registrazione e trascrizione di Laura Matelda Puppini.

MANDI NEREO – Laura Matelda Puppini

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Note.

(1) Post di Aldo Rossi, con riferimento l’articolo: “Malore durante un incontro con il sindaco in municipio, professore muore a 67 anni” in: Messaggero Veneto, 6 agosto 2022, in “Sei di Tolmezzo se …”gruppo facebook.

(2) Fino al 1863 esistette anche il distretto di Rigolato, poi aggregato a quello di Tolmezzo. (https://it.wikipedia.org/wiki/Rigolato).

(3) La stabbiatura è una pratica di concimazione di pascoli (detta anche mandratura), che consiste nel tenere, durante alcune notti, nel tratto di terra che si desidera concimare, il bestiame, riunito in mandria e in un recinto, spostandolo successivamente e gradualmente in altre zone.

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L‘immagine che accompagna l’articolo è una di quelle che compaiono al suo interno. L.M.P.

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