Bene ha fatto Laura Matelda Puppini su “Non solo Carnia” https://www.nonsolocarnia.info/laura-matelda-puppini-avasinis-2-maggio-1945-e-fu-una-strage-di-vecchi-donne-bambini/  a cercare di riportare l’attenzione sul tragico eccidio di Avasinis, occorso a guerra praticamente finita, 73 anni fa, il 2 maggio 1945.

Essendomi occupato a lungo della vicenda ed avendo cercato di portare un contributo alla ricostruzione dei fatti, mi permetto di aggiungere alcune considerazioni.
Si tratta di una pagina dolorosa dai contorni non del tutto chiariti.
A più di settant’anni di distanza,  se conosciamo abbastanza bene le dinamiche dell’eccidio, non sappiamo ancora  con precisione quali siano state le forze in campo né soprattutto quali siano state le motivazioni scatenanti. E’ forse semplicistico parlare di “attacco alle truppe nazi – fasciste in ritirata e da cui originò la rappresaglia” poiché  non si sa ancora se tale atto ci sia stato, né quando, né dove; non si sa se l’azione su Avasinis sia stata una rappresaglia, una reazione istintiva o preventivamente deliberata: vi sono indizi ed elementi che sembrano ora spingere in una direzione ora in un’altra.

Per comprendere le diverse fasi legate alla ricostruzione dell’episodio e le varie ipotesi in campo, è forse opportuna una premessa cronologica per ricordare quali siano state le principali tappe delle ricerche sul 2 maggio di Avasinis.

La notizia dell’avvenuta strage di Avasinis è comparsa per la prima volta sulla stampa in un articolo sul quotidiano “Libertà” del 12 maggio 1945 e poi nell’inchiesta giornalistica, di  Chino Ermacora,  che ne ha dato poi relazione nel suo “La Patria era sui monti”. Una prima ricostruzione articolata dei fatti è stata pubblicata nel 1965 sul Bollettino Parrocchiale di Avasinis, contestualmente alle commemorazioni per il ventesimo anniversario dell’eccidio; nello stesso anno G.A. Colonnello nel suo “Guerra di Liberazione in Friuli” ha dedicato un capitolo ai fatti di Avasinis.. Nel 1968 è uscito il primo volume dell’Enciclopedia dell’Antifascismo e della Resistenza che ha fatto conoscere, a diffusione nazionale, i tratti essenziali della vicenda, riportando anche l’elenco dei nomi delle vittime. Ricerche a più riprese sulla dinamica della strage sono state compiute da Pier Arrigo Carnier, che ne ha dato conto nel volume Lo sterminio mancato del 1982 ed in diversi contributi successivi. In ambito locale, la vicenda di Avasinis è stata illustrata, oltre che sul citato numero speciale del Bollettino Parrocchiale del 1965,  attraverso la pubblicazione del diario di don Zossi quando don Terenzio Di Gianantonio, che lo aveva ricevuto in consegna, ne ha autorizzato la pubblicazione: è uscito un volume edito nel 1996 (con una successiva riedizione aggiornata nel 2015) dal Comune di Trasaghis di cui ho curato la documentazione integrativa e in cui, soprattutto, il diario è stato proposto integralmente, addirittura con riproduzione fotografica dell’originale manoscritto, per evitare l’insorgere di ricostruzioni fantasiose.

Accanto alla pubblicazione del Diario, va ricordata la realizzazione del video “Avasinis luogo della memoria” di Dino Ariis (distribuito dal Comune a tutte le famiglie) con lo spazio dato alle testimonianze dirette di quei dolorosi momenti. Per inciso, va sottolineato come il video “Avasinis luogo della memoria” e, soprattutto, il materiale pubblicato a corredo del Diario di don Zossi facciano ampio uso delle testimonianze orali, su cui si è discusso più volte anche su “Non solo Carnia (v. p. es. https://www.nonsolocarnia.info/l-m-puppini-lu-ha-dit-lui-lu-ha-dit-iei-luso-delle-fonti-orali-nella-ricerca-storica-la-storia-di-pochi-la-storia-di-tanti/ ). Nei due casi citati le testimonianze non sono prese e accettate acriticamente bensì suddivise per argomenti e momenti, confrontate e raffrontate, proprio per offrire una forma di “filtro” capace di tentare di arrivare alla sostanza e all’effettiva modalità di svolgimento dei fatti.

Tornando ai più recenti contributi bibliografici, si può ricordare che l’episodio è stato ampiamente citato nella corposa ricerca di Stefano Di Giusto “Operationszone Adriatisches Kustenland” (Ifsml 2005), nella Enciclopedia Tematica del Friuli V.G. (2006), nel libro di Giorgio Liuzzi “Violenza e repressione nazista nel Litorale Adiatico” (Irsml 2014) e, infine, nell’ampio progetto dell’Insml dell’Atlante delle stragi nazifasciste, per citare le edizioni maggiormente rilevanti.

C’è dunque una bibliografia abbastanza ricca, eppure… i dubbi non sono stati ancora del tutto risolti, nonostante siano stati oggetto di diverse ricerche storiografiche.

Alla base di tutto, c’è un intervento in zona di reparti tedeschi (concordemente indicati come SS) che, nel mattino del 2 maggio 1945, penetrano in paese e compiono una strage.
La prima domanda che ci si pone è dunque “perché”.

Un primo filone di ricerca porta a definire la strage come una reazione, forse istintiva, forse obbligata (c’è chi parla di “legittima rappresaglia”) a un attacco partigiano. C’è infatti chi dice che gli autori dell’eccidio siano arrivati ad Avasinis dopo un attacco partigiano sulla strada statale, chi sostiene che siano stati attaccati mentre si erano fermati a Trasaghis, chi afferma che siano stati attaccati sulla strada, mentre si ritiravano in direzione di Tolmezzo.
Va comunque senz’altra smentita l’ipotesi avanzata su “Non solo Carnia”: “gli uomini erano andati in montagna; vi erano sui colli partigiani e qualcuno di loro forse sparò sui tedeschi in ritirata sulla strada Nazionale, facendoli volgere ad Avasinis, tanto da far dire a don Zossi, prete del paese, che si doveva rispettare il detto «Al nemico in fuga, ponti d’oro»”.
È impossibile, dai colli sopra Avasinis, colpire qualcuno sulla Nazionale: lo impediscono la balistica e l’orografia.

Altre versioni, più recenti, ribaltano il problema ritenendo che la strage di Avasinis sia stata preordinata, individuandola come un’azione punitiva verso il complesso delle attività partigiane nella zona, oppure per contrastare alcune azioni partigiane avvenute nei giorni immediatamente precedenti.
Tante versioni, tante ipotesi, dunque, di fronte alle quali risulta difficile individuare quella maggiormente valida.

Da dove sono partiti? E’ probabile vi sia una relazione con le colonne in ritirata sulla Statale Pontebbana, in particolare con le SS transitate per Gemona e Ospedaletto (nell’ipotesi di un ordine partito da lì). A proposito delle cause scatenanti, il ricercatore P.A. Carnier sostiene che l’azione su Avasinis fu una reazione ad un attacco partigiano sulla Statale:  “fu a quell’altezza [Ospedaletto] che, sulla nazionale, dei partigiani che poi furono visti ritirarsi in direzione di Avasinis con degli attacchi sporadici causarono diversi morti nelle colonne in ritirata. Di conseguenza, nel pomeriggio del primo maggio 1945, una parte delle forze di protezione venne spostata, come misura di sicurezza e per dare una lezione punitiva, motivata dalle vittime, verso Avasinis e si appostò nei dintorni” (Il Gazzettino, 14 novembre 2005).

Ora, di un attacco a colonne tedesche sulla Statale accenna solo, nel suo diario, il parroco di Avasinis dell’epoca, don Zossi: non esistono riscontri documentari che confermino tale episodio. Se vi fosse stata effettivamente un’azione partigiana di tale portata, di essa sarebbe rimasta memoria nella memorialistica resistenziale. Senza contare che, da Ospedaletto, è impossibile dire che qualcuno fu visto “ritirarsi in direzione di Avasinis”: dalla statale si poteva, nella stessa direzione, raggiungere indifferentemente Bordano, Trasaghis, Peonis, Osoppo… numerose località, quindi. Perché proprio Avasinis?
Il comportamento delle SS, una volta valicato il Tagliamento, contrasta con l’immagine di un inseguimento istintivo e rabbioso.

Le SS che giunsero nel Comune di Trasaghis nel pomeriggio del 1° maggio (e che compirono poi il giorno successivo la strage di Avasinis)  tutto erano infatti fuorché un reparto lanciato all’inseguimento di un gruppo partigiano: transitarono infatti ordinatamente sul Tagliamento all’altezza del ponte di Braulins (senza dimostrare eccessiva preoccupazione per alcuni spari partigiani tirati dalle alture sovrastanti), giunsero nel paese di Trasaghis dove si organizzarono per trascorrere la notte, non prima di avere piazzato dei mortai sulla collina del Montisel, sopra il paese, e di avere spinto un plotone, con armati e salmerie, a compiere una vasta azione di accerchiamento sulle montagne al lato opposto della valle, lungo il Col del Sole.

Non è mai stato chiarito esaurientemente se le truppe stazionanti a Trasaghis e sulle alture del Montisel siano state attaccate dai partigiani: esistono al proposito versioni assai contrastanti.

Nella prima mattinata del giorno successivo, 2 maggio, l’azione delle SS scattò comunque implacabile: il paese venne fatto segno di colpi di mortaio e circondato; alcune postazioni partigiane sulle alture sovrastanti vennero accerchiate ed i pochi uomini della Resistenza presenti costretti ad una fuga precipitosa; di lì a poco i soldati penetrarono in paese da direzioni diverse e compirono la strage di cui si è detto.

Relativamente alle prime azioni precedenti la strage, la stessa “fonte primaria”, don Zossi, non è univoca: tanto per fare un esempio, il sacerdote nel Libro storico dice “al mattino del giorno 2 maggio i nostri partigiani cominciano a tirare dal ciglione sopra il cimitero“, mentre nel Diario dice   che “i tedeschi raggiungono il paese dopo una piccola resistenza opposta dai partigiani“; nella versione raccolta da Francesco Cargnelutti nel libro “Preti Patrioti” si dice che “i tedeschi puntano decisamente sul paese“, azione cui fa seguito “una sparatoria precisa“.

Le vittime della  strage furono 51, tra le quali 18 uomini e 26 donne, alcuni in età piuttosto avanzata (75, 76, 80, 81, 83 anni), nonché 7 tra ragazzi e bambini, da 2 a 11 anni: un’azione, dunque,  che sconfinò nel crimine  venendo a configurarsi come una vera e propria  “strage di innocenti”. Le esecuzioni avvennero infatti a casaccio, per le strade, all’esterno ed all’interno delle case, indifferentemente.

Il comportamento delle truppe nelle fasi successive desta ancora qualche perplessità: se la strage fosse stata il frutto di un’azione istintiva per rappresaglia contro azioni perpetrate su una colonna in ritirata, come si dice di solito, sarebbe stato normale che la colonna stessa avesse poi ripreso rapidamente la marcia; invece le truppe che avevano effettuato la strage provvidero a sgombrare le strade dai cadaveri, trasportandoli in alcune rogge fuori dal paese e, dopo aver piazzato delle sentinelle in posti strategici sulle alture sovrastanti e rinchiuso in alcune stanze i superstiti, si accinsero tranquillamente a passare il pomeriggio e la notte in paese (due ragazze, chiamate a preparar loro da mangiare, vennero poi seviziate e uccise anch’esse). Nella prima mattinata del 3 maggio, la partenza, verso il nord (vi sono testimonianze sul passaggio della colonna per Cavazzo, Tolmezzo, Paularo e quindi verso l’Austria).  Probabilmente non tutti seguirono però la colonna: che la formazione che aveva eseguito la strage era estremamente composita, essendo composta, oltre che da tedeschi, – per testimonianza concorde dei superstiti dell’eccidio – da altoatesini, istriani ed anche friulani (una composizione multietnica tipica, per esempio, delle Waffen SS Karstjäger, fortemente indiziate quali autrici del massacro).

Ora – è un’ipotesi che ho avanzato ancora nel 1996 e che spiegherebbe molte cose – non è improbabile supporre che, essendosi il 2 maggio stata comunicata la notizia della capitolazione delle armate naziste in Italia, i responsabili della formazione abbiano, proprio ad Avasinis, nelle ore successive alla strage, sciolto dall’obbligo di giuramento i militari non di nazionalità tedesca e che gli stessi siano stati lasciati liberi di proseguire con la colonna oppure di cercarsi  autonomamente una via di salvezza.
Ecco quindi la razzia di abiti civili effettuata nelle case, il successivo rinvenimento di divise abbandonate lungo i corsi d’acqua, la cattura, frammisti a colonne di ex prigionieri che cercavano faticosamente di rientrare ai propri paesi di residenza, di persone in abito borghese che indossavano ancora gli scarponi da soldato …
Diversi di questi fuggiaschi, o sbandati, vennero catturati dai partigiani e riportati ad Avasinis. Qui  un primo gruppo venne linciato dalla popolazione sulla piazza del paese. Nei giorni successivi altri catturati vennero passati per le armi fuori dall’abitato, nei pressi di corsi d’acqua (Leale e Tagliamento) della zona. Riguardo alla nazionalità dei catturati, dalle testimonianze dei presenti, non si parla infatti di tedeschi ma di istriani, goriziani, altoatesini.

Comunque, per anni non si è parlato  concretamente di indagini per accertare le responsabilità della strage. Si può forse ipotizzare che facesse più “comodo”  il diffondersi della “vulgata” che attribuiva ai partigiani la totale responsabilità  o che, anche, non si volesse riprendere la discussione sulla strage per non fare emergere discussioni  sulle uccisioni degli sbandati nazisti e dei prigionieri cosacchi avvenute dopo.

La strage di Avasinis, avvenuta il 2 maggio 1945 è parsa per un periodo riemergere dall’ombra, in quanto sia la Magistratura tedesca sia la Procura Militare di Padova hanno aperto istruttorie sul caso. Tali decisioni sono state prese dopo che il Comune di Trasaghis aveva segnalato nell’agosto 1995 al Documentationzenter di Vienna (il noto centro, diretto da Simon Wiesenthal, impegnato da anni nella individuazione e nella ricerca dei criminali di guerra nazisti) la presenza del caso, insoluto, di Avasinis, inviando contemporaneamente del materiale documentario sul fatto.  Tale materiale è stato inviato dal centro viennese alla magistratura tedesca che, esaminatolo, ha deciso di aprire un’inchiesta assegnandola, nel 1997 alla Procura di Wurzburg, che stava già compiendo indagini su eccidi nazisti commessi in Slovenia. Nelle indagini tedesche, nell’agosto del 2002 è venuto ad Avasinis un ispettore della Bundeskriminalact per effettuare indagini specifiche. Va ricordato anche che il “caso Avasinis” non pare essere presente tra i fascicoli contenuti nel famoso “armadio della vergogna” e che la Procura militare di Padova che effettua indagini sulle stragi naziste nel nord Italia, dopo aver ricevuto specifica richiesta da parte del Comune di Trasaghis nell’agosto 1996,  ha aperto una indagine, archiviandola però poi nel 2000, non avendo trovato riscontri probanti in merito alle responsabilità.

Anche la Procura tedesca, dopo aver effettuato altre indagini tra le quali l’interrogatorio di parecchi reduci della Divisione Karstjager, sospettata di avere responsabilità dirette nell’eccidio, ha archiviato il procedimento nel 2007.

All’azione della magistrature tedesca si è accompagnato parallelamente un interesse da parte dei mezzi di informazione in Germania, con articoli di Peter Engelbrecht e di Jim Tobias e con la realizzazione del documentario “Tatort Avasinis” trasmesso da una televisione bavarese.
Se è chiuso l’aspetto giudiziario, non si è certo conclusa la ricerca storiografica. Opportunamente, Laura M. Puppini segnala la recentissima uscita sull’ultimo numero di Storia Contemporanea in Friuli, rivista dell’Ifsml,  di un interessante articolo di Stefano Di Giusto e Tommaso Chiussi sull’incendio di Forni di sotto, la strage di Lipa e quella di Avasinis, alla ricerca di colpevoli e motivi unificanti  (Stefano Di Giusto e Tommaso Chiussi, Forni di sotto, – Lipa- Avasinis: nuovi elementi su tre rappresaglie fasciste, in Storia contemporanea in Friuli, n.47, pp. 93-136).

La citazione non è però precisa quando riferisce di una  “possibile attribuzione della strage ad un gruppo comandato da Pjesz (nome non reperito) di cui facevano parte pure 34 italiani”. (Stefano Di Giusto e Tommaso Chiussi, op. cit., nota 72, p. 133). Di Giusto e Chiussi, riprendendo quanto esposto nel libro “Globocnick’s men”, uscito negli Stati Uniti l’anno scorso, ipotizzano che “potrebbe essere plausibile che elementi dell’Abteilung R e delle SS-Wachmannschaften fossero aggregati ai reparti della Karstjager-Division dislocati nella zona di Trasaghis per proteggere ‘accesso alla Valle del Lago, o che siano stati inviati come rinforzi quando divenne chiara la presenza di elementi partigiani attestati presso Avasinis” e che quindi questi reparti “potrebbero aver effettuato la strage per ‘punire’ la popolazione civile per l’appoggio dato ai partigiani”. I due autori sottolineano, comunque, con onestà, che “tutte le ipotesi sui reparti che parteciparono alla strage sono basate solo su elementi indiziali, senza che vi sia alcuna prova concreta per identificare univocamente i responsabili o le loro unità”. (Stefano Di Giusto e Tommaso Chiussi, op. cit., p. 136),

 

Dunque, nessuna prova concreta, a 73 anni di distanza. Il fatto è che, in fondo, di fronte ai fatti di Avasinis, si è assistito e si assiste ancora al permanere di posizioni preconcette, nel confronto – spesso caratterizzato dall’incomunicabilità – tra chi ritiene si debba dare solo e sempre addosso ai “todescs sassìns” o, d’altro canto,  ai “partigjans laris” e questo non ha certo aiutato né la serenità dei confronti né lo svolgersi delle ricerche.

Il lavoro è comunque complesso: è per esempio attivo da anni anche un Blog sull’argomento (http://blog.libero.it/2diMaj/) che presenta testimonianze, indicazioni bibliografiche, materiali di approfondimento (obiettivamente diradati, negli ultimi periodi, proprio per lo “stallo” in cui sta versando la ricerca).
Ormai, però, più che nelle aule giudiziarie, la vicenda va analizzata, nelle sue diverse, complesse  componenti, sul piano storico, per conoscere quello che è successo , per cercare di capirne  il perché.

La finalità ultima è comunque quella di evitare che possa essere considerata veritiera, col passare del tempo  e la perdita dei testimoni diretti, la frase di Longanesi: “Quando potremo conoscere la verità, essa non interesserà più a nessuno“.

Pieri Stefanutti

Le immagini inserite nell’ articolo mi sono giunte da Pieri Stefanutti che ringrazio, e rappresentano la copertina della pubblicazione del diario di don Zossi, il monumento alle vittime ad Avasinis, don Francesco Zossi. Laura Matelda Puppini 

 

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