Pare che i riflettori della stampa locale siano tutti puntati, per quanto riguarda la riforma regionale sanitaria, sulle liti fra universitari ed ospedalieri del polo udinese del Santa Maria della Misericordia, che davvero non sta facendo bella figura, almeno a mio parere. Si parlino fra loro, – come suggeriva l’urologo Pietro De Antoni, anche se in altro contesto – e la smettano di riempire delle loro beghe le pagine del Messaggero Veneto, dico io. Ed una volta tanto sono d’accordo anche con la dott. Telesca che ha dichiarato che trattasi, se ho ben capito, di «una serie di guerre condotte su basi personali che i cittadini non capiscono». (Alessandra Ceschia, Telesca sull’ospedale: Guerre e rivalità si pensi di più a curare, in: Messaggero Veneto, 31 maggio 2015). Mi pareva, inoltre, che in detto ospedale, definito Azienda Ospedaliero- universitaria, fosse previsto, da tempo, forse dal 2006, un organico unificato, ma a questo punto può darsi che mi sia sbagliata. Solo che fa davvero tristezza sapere che si trasformano in presìdi ospedalieri, senza più l’applicazione, quindi, delle norme vigenti per gli ospedali, i nosocomi di Cividale e Gemona del Friuli, con un’utenza disseminata sul territorio, mentre non solo si mantengono i doppioni udinesi, ma anche questi litigano tra loro per i primariati, dopo che ben altri problemi ci erano stati mostrati: mancanza di infermieri, turni di lavoro massacranti, intasamenti del pronto soccorso, anche pediatrico, ecc…
Per quanto riguarda, però, l’utilizzo del pronto soccorso, bisogna ricordarsi che il genitore, ma anche l’adulto che accudisce un anziano o vede una persona in chiara difficoltà dal punto di vista della salute,  non è, in genere, né medico né infermiere, e vi sono responsabilità civili e penali se un adulto non porta una persona, e peggio con peggio un bimbo, all’ospedale, quando questi dia segno di star male, o tenti il fai da te, ed i primi a dirlo sono proprio i medici.
E non si possono dimenticare i limiti del servizio di guardia medica ed il contratto dei medici di base che prevede che gli stessi possano intervenire, se chiamati dopo le 10 del mattino per visita domiciliare, fino alle ore 12 del giorno seguente, non prestando di fatto servizio di pronto soccorso.

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Nel frattempo i comitati gemonesi vanno avanti con la loro lotta per la salvezza del San Michele.

Infatti i Comitati per la difesa dello storico ospedale di Gemona si sono recati nel capoluogo giuliano per presentare un esposto alla Corte dei Conti nel merito del declassamento del San Michele, unica struttura ospedaliera antisismica in regione, e far intervenire la Magistratura nel merito della mancata acquisizione, prima dell’approvazione della riforma, delle valutazioni strutturali dei fabbricati, prevista dalla normativa nazionale. (Matteo di Prun, Gemona: esposto dei Comitati per difendere l’ospedale San Michele. E’l’unico antisismico presente in Regione e lo si vuole declassare, in: Ladins dal Friul, n.6, giugno 2015, p.3, traduzione dal friulano di Laura Matelda Puppini).

E sin qui non vi sono novità, rispetto a quanto pubblicato dal Messaggero Veneto a fine aprile. («Gemona. “L’ospedale è declassato”: esposto alla Corte dei conti». In: Messaggero Veneto, 29 aprile 2015, firmato con la sigla p.c.) , tranne la notizia che i gemonesi sono giunti a Trieste in corriera e con un nastro bianco legato ad un braccio.

Dal Messaggero Veneto del 29 aprile 2015, veniamo anche a sapere che, secondo i Comitati, 10 milioni di euro sono già stati stanziati dalla giunta regionale per ristrutturazioni e adeguamenti antisismici all’ospedale di Tolmezzo ma pure che: «Lo stesso direttore centrale alla salute Marcolongo ha affermato (…) l’inadeguatezza delle strutture ospedaliere regionali, annunciando che sarebbe cominciato un percorso di adeguamento con un investimento di 380 milioni di euro». («Gemona. “L’ospedale è declassato” », op. cit.).

Ma ben altro veniamo a sapere da Matteo di Prun. Non solo vi è un’ enorme sperequazione numerica fra le strutture ospedaliere a sud di Udine e quelle a nord ( solo Tolmezzo con al centro fra il nosocomio carnico e quello della città friulana, San Daniele) ma anche che, per quanto riguarda l ‘Aas3 Alto Friuli e Collinare, sono stati decisi tagli per 12 milioni di euro di cui 7 milioni per il personale. In tale situazione ci si chiede come saranno garantiti i servizi in territorio montano. (Matteo di Prun, op. cit.).

Intanto noi della montagna continuiamo ad avere proposte di visite ambulatoriali “dai monti al mare” senza assicurazione di continuità medico/ospedaliera; ci troviamo le liste di attesa dell’ospedale più vicino riempite dagli udinesi che sono, certamente, più di noi e ora possono andare in ogni ospedale o presidio che eroghi le stesse; e per una visita ortopedica con priorità, non riuscendo quasi a camminare, ti viene proposto Palmanova, dove nulla sanno di te, quando abiti a Tolmezzo, (esperienza personale della scrivente), in una situazione in cui i medici ben poco parlano fra loro, ed ognuno ha il suo reparto di riferimento.

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Inoltre, per riprendere vecchi problemi, noi di Tolmezzo non sappiamo nulla sul laboratorio analisi, sul quale tutto tace, ed il silenzio non è mai, da mia esperienza, un buon segno.

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Per ora non so di più, tranne che ad Udine possono permettersi di scioperare e litigare, mentre qui … a Gemona, a Tolmezzo.., e che l’ospedale nuovo di Udine è straziante: ha spazi vuoti anche stile reception a gogò, non si sa per chi, come riscaldabili e con che spesa, ambulatori piccoli e senza adeguata tenda che copra le nudità dei pazienti durate la visita, se per caso qualcuno dovesse entrare od uscire nel mentre ( pessima abitudine presente dovunque) essendo il lettino posto di fronte alla porta, e questa si apre sulla fila delle sedie d’ attesa. In alcune stanze per due pazienti della chirurgia non stanno neppure i due letti e le due poltrone per far sedere il malato; gli infermieri, almeno quelli di una chirurgia, sono assemblati in uno spazio in vetro- resina o che ne so, praticamente in vetrina, almeno questa è l’impressione, senza sedie sufficienti; i gabinetti per i non ricoverati di fatto non si sa dove siano, e per uscire dall’ edificio devi scoprire la porta che si apre. Può darsi, però che così ci si mantenga in esercizio e si prevenga l’ alzheimer.
I corridoi sotterranei sono ben colorati e lunghissimi, e d’inverno fa un tale caldo,dovunque, che ci si chiede se i batteri vadano così a nozze; le finestre non si sa se si possano aprire, forse a causa dei possibili aspiranti suicidi, che troverebbero più comodo però buttarsi dai parapetti delle scale, numerosi ed agibilissimi; le luci sono per lo più artificiali e gli spazi di attesa, talvolta anche poco illuminati, ricordano più un carcere che un ospedale. Insomma io mi sono chiesta, e scusate l’ardire, chi ha approntato il progetto e chi lo ha approvato, perché il nuovo ospedale è tutto, secondo me, e ben contenta se verrò smentita, tranne che spazialmente funzionale all’uso che ne deve venir fatto, senza tener conto dei problemi già sottolineati l’ anno scorso: difficoltà del sistema smaltimento dei gabinetti e quant’altro. Quando guardo i vecchi padiglioni, che dovevano solo esser sottoposti, nel tempo, a manutenzione, penso a come essi fossero più funzionali ,anche se, probabilmente non esenti da pecche; penso al costo enorme dell’ospedale nuovo, ed a chi lo ha progettato, senza offesa per nessuno.

Laura Matelda Puppini

Laura Matelda PuppiniECONOMIA, SERVIZI, SANITÀPare che i riflettori della stampa locale siano tutti puntati, per quanto riguarda la riforma regionale sanitaria, sulle liti fra universitari ed ospedalieri del polo udinese del Santa Maria della Misericordia, che davvero non sta facendo bella figura, almeno a mio parere. Si parlino fra loro, - come suggeriva...INFO DALLA CARNIA E DINTORNI