Cammino lungo via della Vittoria a Tolmezzo alla ricerca di una abitazione: devo incontrare l’ing. Ottavio Villa, che conosco di nome ma non di fatto. Finalmente la trovo, nascosta dietro la recinzione, suono e mi viene ad aprire l’ingegnere in persona: abbastanza alto, magro, lievemente claudicante. Così inizia questo racconto di un partigiano osovano, di un altro uomo che ha lottato per la nostra Patria. Purtroppo non mi ha lasciato registrare, perché forse si sentiva intimidito dal mezzo tecnico parlando di sé stesso, ma per alcuni è così. Non solo: spesso l’emozione incide sulla narrazione e permette di ricordare, essendo passato tanto tempo, solo alcuni fatti. Ed era il 2011, ed egli non era giovanissimo, ma aveva già 89 anni. In questo modo inizio questo racconto non mio.

Ottavio Villa. Da: https://necrologie.messaggeroveneto.gelocal.it/necrologi/2021/882120-villa-ottavio.

Sono nato a Pirano d’Istria il 15 aprile 1922. Mia madre si chiamava Nacinovich Francesca, mio padre Villa Giovanni. Nel 1928 la mia famiglia si è spostata in Carnia dove ho frequentato, a Tolmezzo, la prima classe dell’Istituto Magistrale. Ma, avendo saltato la seconda classe, rischiavo di essere chiamato sotto le armi, in quanto bisognava avere la terza per chiedere il rinvio. Così ho ripreso in mano i libri e mi sono diplomato. Ma poi un piccolo problema di salute, che mi aveva portato a più operazioni alla gamba destra in età giovanile, ha fatto sì che fossi considerato revedibile per l’arruolamento nelle FF.AA.

Quindi andai ad insegnare come maestro elementare prima ad Ampezzo, per un anno scolastico, con una paga di 700 lire al mese, ove conobbi il segretario comunale Daniele Fedele, che divenne mio carissimo amico. L’anno seguente ottenni un incarico sempre di insegnamento a Villa Santina, che abbandonai però dopo tre mesi per prepararmi a sostenere, da privatista, l’esame di maturità scientifica presso il liceo Guglielmo Oberdan di Trieste, che superai. Ed era il mese di giugno dell’anno scolastico 1942-1943.

Quindi mi iscrissi, nel settembre 1943, alla Facoltà di ingegneria all’ Università di Padova, e mi trovavo lì quando si verificò il primo bombardamento alla città, che distrusse la stazione ferroviaria ed altri edifici adiacenti.

E mentre mi trovavo a Padova, Concetto Marchesi, allora rettore dell’Università, scrisse e divulgò, clandestinamente, il famoso “appello agli studenti” (1), che invitava gli studenti a “Unire i propri labari” contro l’oppressore. Sa, all’epoca non si aveva cognizione alcuna della diversità di idee politiche e di cosa fossero i partiti.

Arcella Padova. Case Scaroni in via P. Selvatico dopo il bombardamento del 16 dicembre 1943. Solo questo quartiere, a ridosso dello scalo ferroviario ebbe, nel corso della seconda guerra mondiale, dal 16 dicembre 1943 ben 400 morti e centinaia di feriti. (La foto è tratta da: https://www.difesapopolo.it/Media/OpenMagazine/Il-giornale-della-settimana/ARTICOLI-IN-ARRIVO/16-dicembre-1943-75-anni-fa-il-bombardamento-che-sconquasso-l-Arcella-e-i-sogni-degli-arcellani; il numero dei morti da: https://it.wikipedia.org/wiki/Bombardamenti_di_Padova.

A causa dei bombardamenti abbandonai la città patavina e ritornai in Carnia, portando con me un congruo numero di volantini che riportavano l’appello di Concetto Marchesi. Io ed altri ne facemmo ulteriori copie e quindi iniziammo a diffonderle fra i giovani. Ma questa mia attività antifascista fu notata da qualcuno, e finii arrestato dai Militi Repubblichini e portato alla caserma della Milizia, che allora si trovava nel palazzo detto ex-D’ Orlando. In un primo momento mi collocarono in una stanza al piano superiore, con la paglia per terra ed in attesa di non si sa che cosa, ed avendo con me ancora dei volantini, li mangiai.

Quindi furono sbattuti nella stanza anche Giampiero Boria (2), che aveva distribuito materiale antifascista come me, e Nino Pizzo (3), che allora era un ufficiale degli alpini. Proprio quella notte, alle 23 circa, venne lanciata contro la Caserma della Milizia una bomba a mano, che finì nel cortile. E la milizia pensò ci fosse un legame tra il nostro arresto e la bomba, ma io non sapevo assolutamente chi fosse stato a gettarla. In seguito mi dissero che la bomba ed una bottiglia incendiaria facevano parte di una azione che aveva come scopo bruciare l’anagrafe del comune, per cancellare i nomi dei chiamati alla leva. (4).

Lo scoppio della bomba quando era già in auge il coprifuoco, che fu impressionante, fece pochi danni e molto rumore, creando un notevole movimento di militari nella caserma. Il risultato fu che vennero a prelevarmi nella stanza prigione e mi portarono al piano superiore, dove iniziarono a bastonarmi.
Mi fecero denudare, mi fecero stendere nudo sopra una scrivania e continuarono a battermi e picchiarmi, anche con un righello sul dorso dei piedi, cercando di farmi rivelare il nome dell’autore della bomba ed i suoi possibili complici.
Poi fui riportato in cella, e lì Boria mi disse, candidamente, che era contento della scelta fatta dalla Milizia e che non avessero portato lui alla tortura, perché io ero robusto mentre lui era più gracile ed esile, e non avrebbe saputo resistere. 

Comunque poi fummo liberati e non finì lì, perché dopo la fine della guerra ci fu un processo in Corte d’ Assise a chi mi aveva selvaggiamente picchiato, che io sapevo chi era, ed il responsabile fu condannato a sette anni di reclusione. Non scherzavano mica, prima dell’amnistia Togliatti!

E verso quella caserma, quella della Milizia, si lanciò anche Renato Del Din con il suo gruppo. Venivano da Verzegnis e cantavano sul cavalcavia. Avevano messo pure un mitragliatore puntato verso la porta dell’edificio …. 

Ma per ritornare a me, andò a finire che quando accadeva qualcosa suscettibile di creare preoccupazione alla Milizia, mi venivano a cercare preventivamente e mi mettevano in galera cautelativamente.

Palazzo d’Orlando a Tolmezzo, sede della Milizia. (Foto da Fabio Verardo, Giovani combattenti per la libertà, Gaspari ed. 2013, p. 64, che pone come fonte: A. Buvoli, C. Nigris, Percorsi della memoria civile. La Carnia. La Resistenza, Ifsml, Ud, 2004.

Così decisi, infine, di abbandonare Tolmezzo e di raggiungere mio padre che allora gestiva la filiale della Cooperativa Carnica di consumo a Tarvisio. Quindi andai a lavorare per la Todt a Stazione per la Carnia senza stipendio però, perché ero stato inserito abusivamente nella lista degli operai.

Poi accadde un episodio un po’ particolare. A casa di mio padre (in quanto allora mancavano collegamenti fra i paesi, ed era vietato transitare verso e uscire da Tolmezzo), era ospite una giovane di Enemonzo che era stata inviata per prendere lezioni di matematica e fisica. Si chiamava Giulia Nassivera (5), ed era parente di un aderente al P.c.i..
Ed attraverso Giulia, che era una attivista antifascista, ricevetti anch’io manifestini del P.c.i. firmati Ercole Ercoli, cioè Palmiro Togliatti. E proprio attraverso Giulia, io e Ferruccio Cattaino (6), che lavorava con me alla Todt, decidemmo di passare alla resistenza armata.

Ancora sporchi per il lavoro e con i capelli impastati, passammo, zaino in spalla, il Tagliamento diretti ad Enemonzo, come concordato con Giulia Nassivera, ove avremmo dovuto avere un incontro programmato per arruolarci nella Garibaldi. Ma detto incontro non si realizzò.

Allora io e Ferruccio Cattiano ci spostammo verso Sutrio, dove conoscevamo dei partigiani della Osoppo. Ed a questo punto ci tengo a precisare che per noi non vi era grande differenza fra Garibaldi ed Osoppo, in quanto nulla sapevamo di politica, essendo vissuti sotto il fascismo (7).

Prima di giungere a Sutrio trovammo delle persone che ci indirizzarono verso Salvins, da don Zaccomer (8), che ci presentò Prospero (9). Quindi fummo inviati nuovamente a Sutrio ed inquadrati nel battaglione Val But, allora in formazione, dove conobbi Enzo Moro (10), e fummo spediti nella zona operativa di Naunina di Paluzza. (11). Io presi il nome di battaglia Franco. Ci tengo a precisare che allora, ai tempi della Zona Libera di Carnia e dello Spilimberghese, il centro logistico osovano per automezzi era locato presso l’albergo Rossi ad Arta, ed avevamo un’automobile che era guidata da Primo De Crignis. (12).

Successivamente fummo assegnati alla compagnia guidata da Teobaldo Di Ronco. (13). Per inciso ricordo che con noi, nella Osoppo, c’erano anche Franco Fiorini, figlio del capostazione di Tolmezzo (14) che proveniva dalle file dell’RSI ed era stato distaccato con altri in zona malga Promosio a controllare il confine con il Terzo Reich, ed il giovane Poiani, figlio del giudice. Infine, nel corso di una riorganizzazione, fui nominato delegato politico. E rivestiva questa mansione anche Vinicio Talotti, Ettore, di Arta Terme. (15).

Poi, fra una attività di guerriglia/presidio e l’altra, giunse l’invasione cosacco-caucasica.

 

Giulia Nassivera. (Foto da Pierpaolo Lupieri con pdf).

Mi ricordo che, durante il rastrellamento, iniziato ai primi di l’ottobre 1944, mi trovavo a Sutrio. E lì, in quei giorni terribili, incontrai Marco, Ciro Nigris (16), uno dei comandanti della Garibaldi/Carnia, che mi chiese che ordini avevamo ricevuto. «Nessuno» – risposi. Quindi io ed altri ci ritirammo dietro i monti di Sutrio in attesa degli eventi.

E all’inizio del rastrellamento, giunse l’ordine (17) di recarsi a Tramonti per un corso di preparazione per i delegati politici. Così io, Ettore e Fiorini ci mettemmo in viaggio e, fra mille peripezie, giungemmo ivi. Il corso era sul significato del termine ‘democrazia’ ed aveva come relatori un ufficiale alleato ed un professore di filosofia. (18). Ma il corso fu improvvisamente interrotto dall’attacco nemico. Ed i nemici, facendo muro, avevano bloccato l’accesso ai monti e la discesa dei partigiani verso la pianura. Ma noi non potevamo restare a Tramonti e dovevamo cercare di raggiungere i nostri, in Carnia.

Potevamo scegliere di passare in una galleria, non senza pericoli, ma mentre Fiorini e Gorna (19), che era con noi, ci riuscirono per un pelo, io e Vinicio Talotti fummo costretti a abbandonare questa idea, a scendere, a guadare il Tagliamento e salire le alture dalla parte opposta, passando fra un presidio nemico e l’altro. Quindi attraversammo la strada Ampezzo- Forni di Sopra. Ed infine arrivammo a Passo Pura. Qui fummo raggiunti da Walter (20) ed altri compagni di lotta, e dividemmo insieme una scatola di sardine, come pasto. Infine ci portammo a Lateis, dove c’era anche Romano Marchetti. Eravamo stanchissimi, distrutti ed io ed Ettore eravamo tutti bagnati dall’acqua del Tagliamento che avevamo dovuto attraversare.

Qui si trovava il Comando osovano, provvisoriamente, e io, Bidoli (21) e Gorna dormimmo nella sua sede, mentre Fiorini ed Ettore furono spediti in uno stavolo, con grande ira di quest’ ultimo. Il battaglione fu sciolto e nascondemmo pure le armi in tre casse che furono interrate in un locale lontano dal paese.

Poi mi ricordo che dovevamo proteggere la missione inglese, giunta a Sauris. La missione fu salvata calando i suoi membri in un dirupo ove, ad una certa quota, c’era una piccola costruzione che era servita a nascondere dei giovani saurani disertori. Fra loro c’era il Maggiore Mosdell (22), che era un egoista ed il subordinato, un militare polacco della divisione Sander o Vander (23), e della missione faceva parte anche un militare neozelandese (24).

Cosacchi in perlustrazione. Da Alberto Buvoli, Ciro Nigris, Percorsi della memoria civile. La Carnia. La Resistenza. Ed. IFSML, 2004. Per gentile concessione dell’IFSML.

E pioveva, ed era autunno e poi venne l’inverno, e sui monti faceva freddo, e mi ricordo che alcuni partigiani erano vestiti in modo inadeguato. Per esempio il terzogenito del maggiore Paca aveva ai piedi dei sandali, non essendo riuscito a trovare altre calzature.  E se noi, i più validi, sopravvivemmo, fu grazie a Poiani che frequentava la famiglia Vanino (25) di Paluzza, che si premurò di fargli avere un discreto quantitativo di gallette mentre un’altra famiglia di Sutrio gli regalò un sacco di farina.

Nell’inverno 1944- 1945 pochi restarono in montagna a causa del proclama Alexander che diceva di smobilitare, come fosse facile. C’erano infatti anche nuclei di fascisti nei paesi. Come rientrare? Marchetti (26) ed altri accettarono il proclama, ma decisero di tenere in piedi un nucleo per poter continuare la lotta.
Quando l’Osoppo si riorganizzò per la primavera, riprese l’attività partigiana. Dopo la Liberazione continuai a studiare, mi laureai in ingegneria e svolsi attività in libera professione. (Da due colloqui di Laura Matelda Puppini con Ottavio Villa, novembre 2011 e 10 dicembre 2011).

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Questo si apprende invece dall’articolo di Tanja Ariis «Domani l’addio al partigiano Ottavio Villa. Fu protagonista della Resistenza in Carnia». (27).
Sulla sua vita da partigiano, raccontava alla figlia Giulia di quando avevano dovuto scappare dai rastrellamenti dei cosacchi. «Una volta da Lateis arrivò una ragazza a dare l’allarme. Sorpresi, dovettero fuggire subito. I suoi racconti erano vividi, forti, emergeva il rischio, il freddo, la fame. Anche andare alle riunioni fra partigiani per coordinare con paracadutisti inglesi i lanci era pericoloso». (28).
E – continua a raccontare Giulia – egli «Credeva nei valori per cui si era battuto, c’era un rigore che ha sempre mantenuto: le tasse si pagano, le regole si rispettano, la Costituzione bisogna viverla in tutti gli aspetti».  (29). «Da ingegnere elettronico, lavorò prima a Villa Santina, poi a Mestre e in Abruzzo, e dal 1969 esercitò la libera professione a Tolmezzo», dove progettò molte opere pubbliche e fece molti collaudi e ristrutturazioni nel post- terremoto e dove insegnò pure all’ Ipsia Albino Candoni. (30).

Mia madre, la dott. Maria Adriana Plozzer, conosceva l’ing. Ottavio Villa credo per averlo avuto come collega di lavoro, e lo ha sempre considerato una persona molto intelligente e capace, riservato e molto educato.

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Ottavio Villa mi ha anche precisato alcuni errori che i partigiani possono aver fatto narrando le loro storie resistenziali: alcuni possono aver esagerato ed ingigantito i loro vissuti; altri possono non ricordare in modo preciso, dopo tanti anni e dopo tanta sofferenza, (e questo lo diceva anche Romano Marchetti), fatti tempi e luoghi, ed allora essi non avevano orologi e calendari. Romano Marchetti mi diceva che spesso misuravano il tempo con l’alternarsi del giorno e della notte e che l’esistenza allora fu durissima. Non solo: i racconti di quella vita in guerra contro i nazifascisti, di cui un soldato sapeva solo la lotta quotidiana, potrebbero esser stati poi interpretati, magari dopo anni ed anni, sulla base di letture sulla resistenza anche a carattere politico o sulla base di abili intervistatori atti a far dire quello che vogliono loro, o di paure vissute allora e questo lo dico io. Perché non è vero che vi fu una frattura, in Italia, fra la fine della guerra ed il dopoguerra, e molte polemiche, (che fecero pure dimenticare il reale significato della resistenza ed i contesti generali ed Europei in cui avvenne), si consolidarono in particolare ai tempi della guerra fredda, e continuarono e continuano a vivere e sopravvivere anche per mano di presunti storici o giornalisti privi di conoscenze reali o di persone politicizzate, che facevano e fanno un uso politico e strumentale di storia e memoria. E anche questo lo dico io.

Racconto di Ottavio Villa. Appunti, trascrizione, note introduzione e chiusa di Laura Matelda Puppini.

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NOTE.

(1) Dopo il discorso inaugurale del 722° anno accademico, Concetto Marchesi, latinista ma anche comunista, emanò il famoso appello agli studenti. In esso, dopo aver premesso che rimaneva all’ Università per «mantenerla immune dall’offesa fascista e dalla minaccia germanica» e per difendere gli stessi studenti «da servitù politiche e militari», invitò gli studenti all’ insurrezione scrivendo: «Una generazione di uomini ha distrutto la vostra giovinezza e la vostra patria. Traditi dalla frode, dalla violenza, dall’ignavia, dalla servilità criminosa, voi insieme con la gioventù operaia e contadina, dovete rifare la storia dell’Italia e costituire il popolo italiano. Non frugate nelle memorie o nei nascondigli del passato i soli responsabili di episodi delittuosi; dietro ai sicari c’è tutta una moltitudine che quei delitti ha voluto e ha coperto con il silenzio e la codarda rassegnazione; c’è tutta la classe dirigente italiana sospinta dalla inettitudine e dalla colpa verso la sua totale rovina.
Studenti: mi allontano da voi con la speranza di ritornare a voi maestro e compagno, dopo la fraternità di una lotta assieme combattuta. Per la fede che vi illumina, per lo sdegno che vi accende, non lasciate che l’oppressore disponga della vostra vita, fate risorgere i vostri battaglioni, liberate l’Italia dalla schiavitù e dall’ignominia, aggiungete al labaro della vostra Università la gloria di una nuova più grande decorazione in questa battaglia suprema per la giustizia e per la pace nel mondo.». (https://it.wikipedia.org/wiki/Concetto_Marchesi).

(2) Qui non si capisce bene dove siano stati imprigionati Ottavio Villa, Giampietro Boria e Nino Pizzo. Io avevo capito alla caserma della Milizia, ma l’accenno alle liste di leva ed all’anagrafe farebbe pensare al municipio, dove però difficilmente c’era una stanza con paglia per i prigionieri. A meno che l’anagrafe, come invece poi, non si trovasse nel palazzo ex D’ -Orlando, ma non credo, essendo stato strutturato, in epoca fascista, a caserma.

(3) Giampiero (ma anche Giampietro o Gian Pietro) Boria di Verzegnis, era figlio della maestra Fior, che molti libri regalò per creare la biblioteca della scuola elementare. Partigiano osovano, con nome di battaglia Mario, ed azionista, fu delegato politico nella Va Brigata Osoppo, poi unificata con i garibaldini nella Brigata Ippolito Nievo (di cui esistevano la A e la B. Qui A). Nel dopoguerra si laureò in legge, divenne avvocato, ed aderì al partito socialista, sedendo nel gruppo dirigente dello stesso. Ma fu sempre contrario a Craxi ed alla sua politica della terza via. È morto a Milano di cancro, forse negli anni ’90. Due righe biografiche su di lui sono riportate in: Renzo Biondo Il verde, il rosso, il bianco, Cleup ed., prima edizione 2002, pp. 241-243, sono scritte da Enore Deotto, e sono intitolate: Mario commissario della Va Brigata Osoppo, ma sono poca cosa. L’adesione di Giampietro Boria al Partito d’Azione, e la carica di commissario politico di Brigata sono ricordate, sempre da Renzo Biondo, nel suo: “Le brigate “Osoppo” ispirazione azionista e cattolica” in: Pagarono con la Vita per dare all’Italia libertà e democrazia, opuscolo che riporta i discorsi fatti a Milano per ricordare, il 1° novembre al cimitero, i partigiani caduti, senza data. (http://www.youblisher.com/p/926566-Lettera-n-5-2010). A p. 11, così Biondo, anche lui azionista, scrive: «Pure aderenti al Partito d’Azione erano nel 1945 il Commissario della Brigata (“Mario” -Boria Giampietro) […]».  Per quanto riguarda la sua posizione nel P.S.I., nel 1979 risulta fra coloro che inviarono un attestato di stima ad Agostino Viviani per la sua mancata candidatura. (I.n.s.m.l. Serie: Attività politica Sottoserie: Partito socialista italiano – Fascicolo: Mancata candidatura 1979 Busta 38, Fasc. 99).

(4) Giovanni (detto Nino), nato nel 1921, era di padre ligure (Albenga) madre friulana. Ufficiale effettivo del Regio Esercito Italiano, dopo l’8 settembre 1943 aderì alla Divisione Osoppo prendendo il nome di battaglia Carnico, e divenne il comandante del btg. Val Tagliamento dopo Mion (Giso Fior). Il 15 novembre 1981, così rispondeva a Romano Marchetti sul periodo svolto quale capo – partigiano: «Caro Romano, la tua lettera mi riporta indietro di tanti anni, forse troppi. I miei ricordi sono abbastanza offuscati, ma cercherò di risponderti con ordine. Il compito del mio battaglione era quello di impedire l’accesso alla valle dell’Arzino, bloccando la sella di Chianzutan. Abbiamo assolto sempre al nostro compito, oltre ad esercitare una pressione su Tolmezzo e sulla rotabile Carnia – Tolmezzo. Verso dicembre del 1944 il battaglione si è sciolto (Marchetti qui pone però una nota al testo di Carnico, scrivendo che non si era proprio sciolto e ciò risulta anche da altre fonti. Marchetti scrive che il battaglione svernò in val Agnel sopra Cjampaman. n.d.r.), ed io mi sono recato dai miei a Mortegliano, dove ho avuto il comando di un battaglione di pianura con il quale ho partecipato alla liberazione di Udine, occupando la caserma delle SS di Udine, che si trovava al Comando del Genio Militare, sulla piazza della Madonna della Grazie. Il battaglione è stato ricostruito da Italo Soranzo, che dovrebbe ancora fare il farmacista dalle quelle parti. (…). Mi dispiace che sorgano ancora polemiche (…).  –  Giovanni Pizzo».  Dopo la Liberazione Nino Pizzo continuò ad operare nell’Esercito Italiano come ufficiale, fino a raggiungere i massimi gradi all’interno dello stesso. Inoltre ad Albenga aveva una sala artistica. La scheda di Giovanni Pizzo detto Nino di Laura Matelda Puppini, è stata pubblicata nella terza appendice di Marchetti Romano (a cura di Laura Matelda Puppini), Da Maiaso al Golico, dalla Resistenza a Savona, una vita in viaggio nel ‘900 italiano, IFSML e Kappa Vu ed., 2013, p.p.406-407.

(5) Giulia Nassivera figlia di Olinto e di Anita Longhino, la macellaia di Enemonzo, era nata in quel paese il 9 ottobre del 1925. Staffetta partigiana e portaordini del btg. Friuli comandato da Mirko, operativa prevalentemente sul terreno, morì dopo la fine della guerra il 16 ottobre 1946, a soli 21 anni, all’ospedale di Udine di tisi, malattia che aveva contratto durante il periodo partigiano. Diplomatasi maestra, era presumibilmente cugina di Mansueto Nassivera. (https://www.nonsolocarnia.info/472-schede-di-partigiani-garibaldini-uomini-e-donne-che-scrissero-la-storia-della-democrazia-operativi-in-carnia-o-carnici/).

(6) Ferruccio Cattaino era nato nel 1925, e si era diplomato presso l’Istituto Magistrale di Tolmezzo. Aderì alla resistenza e fu partigiano della Osoppo con nome di battaglia Valanga. Dopo la Liberazione, trovò lavoro come impiegato presso l’Ospedale Civile di Tolmezzo, diventando, poi, dirigente amministrativo dello stesso. Fu pure presidente dell’A.N.P.I. – sezione tolmezzina. Morì nel 1989. (Fonte: Giovanni Battista Cattaino, figlio di Ferruccio). La scheda di Ferruccio Cattaino di Laura Matelda Puppini, è stata pubblicata nella terza appendice di Marchetti Romano, op. cit., p. 383.

(7) La stessa considerazione viene fatta da Bruno Cacitti, nome di battaglia Lena, osovano. (Cfr. https://www.nonsolocarnia.info/uomini-che-scrissero-la-storia-della-democrazia-bruno-cacitti-lena-osovano-perche-resti-memoria/).

(8) Don Francesco Mario Zaccomer (anche Zacomer), era nato a Tarcento il 12 ottobre 1911. Osovano, nome di battaglia Franzac, all’epoca vicario di Vinaio, fu il promotore, assieme a Barba Livio, del taglio di un bosco a Vinaio, che fece scalpore. Le versioni dei motivi, che portarono a tale scelta, sono state variabilmente interpretate. Il taglio del bosco- secondo quanto riportato da Luciano De Cillia, – ebbe, peraltro, nel dopoguerra, conseguenze giudiziarie per Franzac, accusato di essersi appropriato dei relativi fondi. Sulla spiacevole vicenda don Zaccomer, nel frattempo divenuto parroco di Nogaredo di Corno, fornì, nel luglio 1969, esaurienti spiegazioni nella deposizione contenuta nel fascicolo medesimo.  (De Cillia Luciano, La chiesa in Carnia, in Storia contemporanea in Friuli, ed. a cura I.F.S.M.L., n.15, 1984, p. 169). Nel dopoguerra don Francesco Zaccomer fu trasferito a Villanova delle grotte Lusevera, ove si adoperò per creare una specie di stalla sociale, nonché per aggiustare, facendo pure il muratore, la chiesa del paese. (Alfarè Brunello, Carnia Libera, guida al museo di Ampezzo, ed. Kappa Vu, 2006. p.37). La scheda di don Francesco Zaccomer, di Laura Matelda Puppini, è stata pubblicata nella terza appendice di Marchetti Romano, op. cit., p. 412.

(9) Prospero era il nome di battaglia di Fermo Cacitti, fratello di Bruno Cacitti, Lena. Fermo era nato a Caneva di Tolmezzo il 16 ottobre 1914, da Giovanni Bartolomeo e Regina Chiapolino. Tenente degli alpini, sposò, il 30 dicembre 1937, Silvia Damiani e spostò, il 3 gennaio 1942, la propria residenza a Villa Santina. Salì in montagna con il fratello, dopo essersi recato, anche a nome di questi, a Pielungo per associarsi alla brigata Osoppo/Friuli, ed entrò a far parte del btg. Carnia, comandato da Barba Livio, a cui fu fedele come Carletto Chiussi. Dopo l’allontanamento di Livio, Fermo Cacitti andò con il btg. val But. Prospero svolse sia attività come intendente sia come delegato politico in seno al btg. Carnia, e varie mansioni con il val But. Dopo la Liberazione emigrò in Venezuela ove lavorava pure come gruista. Negli anni ’70, durante un lavoro di carico, la benna di un mezzo meccanico lo colpì alla schiena, rendendolo invalido per sempre. Morì a Caracas il 10 febbraio 1985. La scheda di Fermo Cacitti, di Laura Matelda Puppini, è stata pubblicata nella terza appendice di Marchetti Romano, op. cit., p. 382.

(10) Enzo Moro, osovano, nome di battaglia Max, nacque a Sutrio nel 1924, da nota famiglia di professionisti. Dimostrò presto un temperamento esuberante fantasioso e svincolato dalle norme rigide di comportamento. Gli antichi allievi del Liceo Classico Jacopo Stellini di Udine, che lo ebbero compagno di classe, lo ricordano d’intelligenza prontissima, dispersivo, libertario, preso da mille altri interessi, ma pure accorto, disponibile, sentimentale. Si iscrisse a Bologna alla facoltà di Giurisprudenza sotto il Regno d’Italia e si presentò al primo esame universitario quando la Repubblica era stata proclamata da un pezzo, come raccontava con qualche istrionismo all’Albergo Roma di Tolmezzo agli amici: evidentemente le rilevanti esperienze, che aveva vissuto nel frattempo, contavano per lui molto più della laurea. Infatti, nel 1944, ventenne, aderì alla Resistenza osovana militando nel Battaglione Val But, e quando Giovanni De Mattia Lupo, ne divenne il comandante, egli venne nominato Commissario.
Nel dopoguerra, Enzo Moro incominciò a percorrere la strada della politica, per la quale pare avesse istinto, vocazione, entusiasmo. Fu eletto consigliere regionale nel 1964.  Rieletto con largo suffragio popolare nel 1969, diventò Vicepresidente della Regione Friuli Venezia Giulia e Assessore al Turismo. In tale veste sostenne gli insediamenti industriali locali, favorì le attività produttive tipiche della montagna e i progetti utili allo sviluppo economico sociale e culturale del territorio, pretese i necessari contributi per l’ospedale civile di Tolmezzo e per i servizi che si direbbero ora di prossimità. Diplomatico nato, ottenne le massime onorificenze civili dal Governo Jugoslavo, allora presieduto da Tito, e dal Governo Austriaco per la sua abilità nell’utilizzare, coltivare ed intessere relazioni internazionali.
Stava lavorando all’ipotesi di trasformare in polo turistico la Val Bertat, in comune di Paularo, quando il male che ormai da tempo lo estenuava, si inasprì al punto da costringerlo a rallentare la corsa. Lucidamente, consapevole di non essersi mai risparmiato, si arrese alla morte il 13 aprile del 1973, a soli 49 anni. (“Enzo Moro”, in: I cavalieri erranti a cura di Maria Rosa Chiarot in: www.donneincarnia.it). Enzo Moro viene descritto come un uomo che voleva “un domani diverso dal passato” e che cercò di rompere l’isolamento della Carnia favorendo l’inserimento della gente carnica in un mondo più aperto. Se nuove realtà turistiche furono da lui volute per la Carnia, non dimenticò, però, il tarvisiano e la destra Tagliamento. «Fu uomo politico non burocratizzato, seppe conservare, con rara istintività il contatto umano e promuovere il dialogo costruttivo». (Burelli Ottorino, La morte di Enzo Moro benemerito della Carnia, in: Friuli nel mondo, mensile a cura dell’Ente Friuli nel Mondo, n. 224, 1973.). La scheda di Enzo Moro, di Laura Matelda Puppini, è stata pubblicata nella terza appendice di Marchetti Romano, op. cit., pp. 401-402.

(11) Naunina è una frazione del comune di Paluzza.

(12) Primo De Crignis era nato a Tolmezzo il 28 dicembre 1923, e fu il partigiano osovano, con nome di battaglia Jegor, (in alcuni testi, pare erroneamente Igor), comandante dell’autoparco della brigata poi divisione Pal Piccolo/Carnia. Andò in montagna dopo l’8 settembre 1943, per evitare l’arruolamento obbligatorio. Terminata la guerra, nel 1946 si sposò ed ebbe due figli. Svolse diverse attività lavorative, fra cui l’impiegato in diversi uffici, il dirigente aziendale, il commerciante all’ingrosso, e quindi, iscrittosi all’albo dei ragionieri, fu il primo ad esercitare come commercialista a Tolmezzo ed in Carnia. Morì il 26 maggio 1997. (Fonte: Roberto De Crignis, figlio di Primo).  Romano Marchetti si ricorda che riusciva a far funzionare automezzi di fortuna con abilità e che possedeva una berlina rossa, che mise a disposizione anche di Bruno Cacitti, Lena, dell’intendenza osovana. La scheda di Enzo Moro, di Laura Matelda Puppini, è stata pubblicata nella terza appendice di Marchetti Romano, op. cit., p. 387.

(13) Teobaldo Di Ronco (detto Baldo), nome di battaglia Il Moro, era nato a Casteons di Paluzza il 6 febbraio 1923. Frequentò le scuole magistrali di Tolmezzo e prese, successivamente, il diploma di ragioniere. Molto sportivo e amante della montagna, con una particolare passione per la caccia e le armi, nel 1941 si iscrisse all’Accademia Militare di Torino e frequentò i primi due anni, rivelando particolari doti negli studi di balistica. Lasciò l’Accademia dopo l’8 di settembre 1943 e rientrò in Carnia aderendo al Movimento resistenziale. L’adesione alla Resistenza era connaturata al suo spirito libero e alla sua storia personale che registrava, in famiglia, esperienze di emigrazione operaia in Francia a contatto con le idee del socialismo. Nel giugno 1944 egli comandava, secondo Gian Carlo Chiussi, un gruppo autonomo di resistenti non garibaldini in Val But che aderì, poi, alla Osoppo, confluendo nel btg. Carnia di cui formò la VIa compagnia. (Chiussi Gian Carlo,Con l’ Osoppo in Carnia, memorie del periodo partigiano, Udine, ottobre 1982, p. 5 e p. 8). Comandò anche, per un periodo, il btg. val But, dopo l’allontanamento di Barba Livio dalla guida del btg. Carnia, ma fu sostituito, su richiesta dei suoi uomini, in quanto propendeva per un’alleanza con i garibaldini. Al suo posto venne nominato Silvio, Olivo Ortis. (Venier Albino, Dalla Carnia al fronte russo…e ritorno, Tolmezzo 1991, p. 184). Nell’aprile 1945 Mario Candotti pone Teobaldo Di Ronco come Intendente del gruppo Battaglioni Est della 5a Divisione “Osoppo – Friuli”. (Candotti Mario, La lotta partigiana in Carnia, nell’inverno 1944-45, in. Storia Contemporanea in Friuli, ed. I.F.S.M.L., n. 11, 1980, p. 55). Antifascista e amante della libertà, rimase sempre fedele ai suoi ideali aderendo politicamente all’area socialista. Morì il 10 ottobre 1995. La tumulazione, segnata dai colpi di fucile dei giovani amici della riserva di caccia di Paluzza, fu accompagnata dal commiato di Romano Marchetti, suo riferimento ideale nel progetto di una nuova società. (Fonte: Marina di Ronco, figlia di Teobaldo Di Ronco, ed integrazione di Laura Matelda Puppini). Romano Marchetti ricorda che Di Ronco era rosso di capelli e che un maggiore inglese lo aveva trattato come un disprezzabile “galego”, il che aveva fatto sorgere, in Marchetti, il dubbio che fosse stato razzista. (Fonte: Romano Marchetti). La scheda di Teobaldo Di Ronco, di Laura Matelda Puppini, è stata pubblicata nella terza appendice di Marchetti Romano, op. cit., pp. 391-392.

(14) Franco Fiorini proveniva dalle file dell’RSI ed era stato distaccato con altri in zona malga Promosio a controllare il confine con il Terzo Reich (Fonte Ottavio Villa), ma non si sa quando, presumibilmente dopo la strage.

(15) Vinicio Talotti era nato ad Arta Terme il 25 aprile 1925. Durante la Resistenza aderì alla Osoppo e prese il nome di battaglia Ettore. Egli era democristiano e divenne commissario di battaglione, ma per un periodo, alla fine, fu anche comandante di btg.. Dopo la Liberazione diventò sindacalista Cisl presso la cartiera di Tolmezzo, ove non si fece amare da tutti. Politico democristiano, fu presidente della Comunità Carnica dopo Libero Secondo Martinis, consigliere dell’Ente Friuli nel Mondo e cofondatore dell’Istituto Friulano per la Storia del Movimento di Liberazione. Fece pure parte del consiglio di amministrazione del CO.S.IN.T. dal 1971 al 1983 e fu presidente IACP di Udine e venne insignito del titolo di commendatore. Morì il 29 marzo 2000. La scheda di Vinicio Talotti, di Laura Matelda Puppini, è stata pubblicata nella terza appendice di Marchetti Romano, op. cit., p. 409.

(16) Ciro Nigris, garibaldino, nome d battaglia Marco, insegnante, ufficiale degli alpini, nacque ad Ampezzo nel 1921 e qui frequentò la scuola elementare. Si spostò poi ad Udine dove, alloggiato presso il collegio Renati, completò l’iter scolastico seguendo prima i corsi dell’Istituto Tecnico Inferiore, poi l’Istituto Magistrale. Nel 1940 ottenne la maturità classica presso il liceo Stellini preparandosi da privatista, e subito dopo accettò l’incarico di maestro elementare prima a Mediis di Socchieve, poi a Sauris. Nel 1942 venne arruolato nell’Esercito Italiano ed inviato alla Scuola allievi ufficiali di Aosta, dove uscì con il grado di ufficiale e venne aggregato all’8° alpini. Il reggimento partì per la Russia ma egli rimase in Italia e venne inviato in Russia nel gennaio 1943 con la Julia. Visse la ritirata, con il freddo e con la fame e, una volta giunto in Italia, venne posto in quarantena a San Candido. Quindi, ristabilitosi, fu spedito in Friuli, in zona di confine, alla caccia di partigiani sloveni. Dopo la liberazione del medico Zagolin aderì alla resistenza aggregandosi alla Garibaldi, che disse di non aver scelto, come altri, per precise idee politiche. All’interno della Garibaldi egli assunse pure la carica di Capo di Stato Maggiore della Divisione Garibaldi Carnia. Dopo la fine della guerra si laureò e svolse attività di insegnante ed educatore. Per anni fu presidente dell’Istituto Friulano per la Storia del Movimento di Liberazione, di cui fu uno dei fondatori. Morì nel 2009. (Alla figura di Ciro Nigris l’I.F.S.M.L. ha dedicato un numero di Storia Contemporanea in Friuli, il n. 39, scritto a più mani e intitolato: In ricordo di CIRO NIGRIS. La scheda di Ciro Nigris, di Laura Matelda Puppini, è stata pubblicata nella terza appendice di Marchetti Romano, op. cit., p. 402-403, che si deve modificare, come qui ho già parzialmente fatto, con quanto testimoniato da Ciro Nigris a Jacopo Cipullo, Denis Guarente, Marco Martinis e pubblicato in due interviste su www.nonsolocarnia intitolate: “Ciro Nigris, il comandante carnico garibaldinoMarco’. Io, ufficiale del R.E.I., passato alla resistenza. Intervista di Jacopo Cipullo, Denis Guarente, Marco Martinis” e “Ciro Nigris, il comandante carnico garibaldino ‘Marco’. Resistenza, Costituzione attualità. Intervista di Jacopo Cipullo, Denis Guarente, Marco Martinis, anno 2001: parte seconda. Altra fonte importante è la testimonianza di Ciro Nigris resa ai ragazzi del liceo classico S. Bernardino intitolata: “Dove non si parla di libertà la libertà muore” pubblicata in: “Voci della memoria”, a cura del Liceo Classico “San Bernardino”, Tolmezzo, 2004, e ripreso da Roberto Burgos in: www.carnialibera1944.it/.

(17) Bisogna tener conto delle distanze, dei tempi, delle difficoltà perché un ordine giungesse da un posto all’altro. Pertanto poteva esser stato inviato quando c’era ancora la Zona Libera di Carnia e dello Spilimberghese, ed essere giunto quando stava iniziando l’invasione cosacco- caucasica. Inoltre i primi osovani che salirono sui monti lo fecero da casa Marzona nel marzo 1944, e nel luglio 1944 Romano Marchetti stava ancora organizzando la Osoppo in Carnia mentre la Garibaldi era già organizzata in Friuli ed in Carnia. Non solo: durante la resistenza i partigiani non avevano orologio calendari, e quando poi narrarono le loro vicende, almeno inizialmente, scandirono in grandi periodi, in prima e dopo la morte di Del Din, per esempio, o prima e dopo la strage di malga Promosio, prima e dopo la venuta dei cosacco -caucasici. E questo me lo disse anche Romano Marchetti, da cui tante cose ho appreso. Certamente, dopo la crisi di Pielungo, i democristiani anticomunisti come Vico volevano a tutti i costi formare in modo deciso tutti i delegati politici osovani, sperando nella fine immediata della guerra.

(18) Presumibilmente si trattava di Giovanni Battista Carron, nome di battaglia Vico. Giovanni Battista Carron nacque a Marostica (Vicenza) il 1° aprile 1910. Si laureò in Filosofia a Padova nel 1934 ed iniziò subito la sua carriera di insegnante presso la scuola tecnica industriale di Valdagno. Passò quindi all’istituto magistrale «Toniolo» di Bassano del Grappa e, nel 1939, al ginnasio liceo «Paolo Diacono» di Cividale, quale vincitore della cattedra di Storia e Filosofia. Nel marzo del 1941 partì per la guerra come volontario con il grado di tenente di artiglieria, prendendo parte prima alla campagna di Jugoslavia e, poi, a quella di Russia (giugno 1942-marzo 1943). Rientrato in Italia, dopo l’8 settembre 1943 entrò nella formazione «Osoppo-Friuli» come partigiano combattente con il nome di Vico. Conclusa la guerra, riprese il suo ruolo di insegnante a Cividale, poi nel 1953 si trasferì nel liceo «Stellini» di Udine e infine nel 1957 al «Tito Livio» di Padova, dove rimase sino al 1968 quando, vinto il concorso per preside, fu assegnato al liceo scientifico «Veronese» di Chioggia con successivi trasferimenti presso i licei di Mestre e di Castelfranco Veneto ove nel 1975 concluse la sua carriera scolastica. La scuola non fu tuttavia l’unico spazio d’azione di Carron. Fin dall’immediato dopoguerra aveva aderito al partito della Democrazia cristiana, assumendo vari incarichi, pur lamentando (come lasciò scritto) di essersi «trovato a contatto con troppi asti, con troppe ristrettezze di idee, con troppe meschinità di atteggiamenti». Nel 1948 fu eletto deputato e a quegli anni risalgono i suoi primi contatti con molti esponenti di rilievo della politica nazionale e in particolare con Luigi Gui. Alla fine degli anni ’50 fu nominato presidente nazionale dell’Opera nazionale di assistenza all’Italia redenta, poi Opera nazionale di assistenza all’infanzia delle Regioni di confine, (Onairc), e dedicò molte energie al buon funzionamento dell’ente. Carron morì a Padova il 7 aprile 1991. (http://dbe.editricebibliografica.it/cgi-bin/dbe/Scheda?489). Una scheda più sintetica di Giovanni Battista Carron di Laura Matelda Puppini è stata pubblicata nella terza appendice di Marchetti Romano, op. cit., p. 383.

(19) Gorna è il nome di battaglia di Davide Miconi, nato in Germania il 16 febbraio 1923, osovano, residente ad Ovaro. (Integrazioni da nota Anpi Udine di Stefano Perulli, datata 1 settembre 2021).

(20) Albino Venier, nome di battaglia Walter, era nato a Zuglio di Tolmezzo nel 1921. Dopo l’istituto tecnico inferiore Albino frequentò l’Istituto Magistrale a Tolmezzo e quindi conseguì una maturità superiore che gli permise di iscriversi alla facoltà di ingegneria a Torino. Raggiunto dalla cartolina precetto, fu costretto ad interrompere gli studi intrapresi. Nel novembre 1942, quale ufficiale di artiglieria alpina, fu inviato sul fronte russo come il fratello Ferdinando. Quest’ultimo non fece più ritorno e venne dato per disperso. Albino, invece, riuscì a ritornare a casa. Dopo l’8 settembre 1943, Albino Venier scelse la resistenza, ed il 21 aprile 1944 compì, con altri 5 compagni, la prima azione partigiana. Intorno a lui si andò formando un nucleo partigiano, che, successivamente, confluì nel battaglione osovano Carnia. Fu anche vice- comandante della Brigata Osoppo/Carnia. Il 27 dicembre 1944, Walter e Paolo Pitti vennero catturati, dai cosacchi mentre si stavano dirigendo ad Ovaro, e quindi furono liberati. Albino Venier continuò quindi la lotta fino alla liberazione, trattando per l’Osoppo la resa dei cosacchi nell’aprile 1945. La guerra in Russia e la guerra partigiana sono state da Venier descritte in due diari pubblicati in: Albino Venier, Dalla Carnia al fronte russo…e ritorno, Tolmezzo 1991, prima ed. e in: Albino, Luigi, Teresina Venier, Una famiglia nel turbine della guerra, Aviani Aviani ed. 2013, seconda edizione, a cui si rimanda per notizie più analitiche.  Nel secondo dopoguerra Albino Venier terminò gli studi universitari interrotti e si laureò in ingegneria a Pisa, diventando, poi, tecnico di spicco nel settore dell’infortunistica nucleare. Come ingegnere nucleare pubblicò: Radiazioni ionizzanti, dosimetria, protezione, prevenzione, tipografia Colombo, 1971, per tecnici in radiologia in vari settori, che ottenne un notevole successo. Morì l’8 aprile 1997.
A proposito di Walter, Mario Candotti in data 2 settembre 1944 scrive: «I giorni passati ho incontrato il comandante Walter. È un mio compagno di scuola e con lui posso ragionare e discutere i nostri problemi che non sono solo quelli di buon vicinato.». (Mario Candotti, Ricordi di un uomo in divisa, op. cit., p. 180).

(21) Pierino Bidoli, osovano, nome di battaglia Romeo, figlio di Regina Cimenti e Marcellino Bidoli residenti a Lauco, nacque a Paluzza il 31 agosto 1920. Emigrato a Roma, ritornò nuovamente in Carnia, da quello che si sa, in fuga dai bombardamenti sulla capitale. Era fedele amico e cugino di Silvio, Olivo Ortis, già nella cooperativa elettrica Alto But  – Secab . Nel 1948 sposò, a Roma, Carmela Lazzara, e lavorò nella capitale per 25 anni come impiegato presso il genio civile. Morì ad Udine nel 1973. (Fonti: Carmela Lazzara, moglie di Pierino Bidoli, Romano Marchetti, Roberta Mentil, comune di Paluzza.). La scheda sintetica di Pierino Bidoli di Laura Matelda Puppini è stata pubblicata nella terza appendice di Marchetti Romano, op. cit., p. 380.

(22) Veniva chiamato capitano Mosdell il Maggiore inglese Patrick Mortimer, che guidava una unità di appoggio alla Missione ‘Nicholson’. (Albino, Luigi, Teresina Venier,op. cit., p. 323). Il tenente ritornò in Carnia vent’ anni dopo la fine della guerra e fu ricevuto con tutti gli onori da Enzo Moro, allora vice- presidente del consiglio regionale. (Ivi, p. 324).

(23) Presumibilmente un militare conosciuto come Anders. (Ibidem).

(24) Presumibilmente il sergente maggiore conosciuto come Rage. (Ibidem).

(25) Trattasi di Giovanni Battista Vanino nato a Paluzza l’11novembre 1896. Aveva frequentato le scuole elementari a Paluzza e, successivamente, durante la prima guerra mondiale, si arruolò in aviazione conseguendo il brevetto di pilota da caccia. Nel 1917, durante una missione in Crimea, venne abbattuto da contraerea nemica. Si salvò ma rimase cieco per due anni. Ricoverato in ospedale militare a Torino sino alla riabilitazione, recuperò la vista solo parzialmente. Rientrato a casa, venne assunto dalle ferrovie dello stato in qualità di capotreno. Non partecipò alla seconda guerra mondiale né come soldato né come partigiano. Dopo la liberazione si occupò in qualità di responsabile, del vivaio di Cercivento, che si trovava ove ora è locato il ‘Bosco di Museis’. All’epoca vi lavoravano circa 100 donne della zona, coltivando piantine di alberi. Si dedicò a tale attività sino al 1959 anno in cui, nel mese di aprile, morì. (Fonte: Nicola Vanino, nipote di Giovanni Battista, 17 settembre 2012). La scheda di Giovanni Battista Vanino, di Laura Matelda Puppini, è stata pubblicata in: Marchetti Romano, op. cit., p. 212. Una fotografia della famiglia di Giovanni Battista Vanino che era di Casteons di Paluzza, è stata pubblicata dal Messaggero Veneto in data 28 agosto 2008.

(26) Romano Marchetti. Egli ha narrato ampiamente la sua vita e la lotta partigiana in: Da Maiaso al Golico, op. cit.

(27) Tanja Ariis «Domani l’addio al partigiano Ottavio Villa. Fu protagonista della Resistenza in Carnia», in: Messaggero Veneto, 24 agosto 2021.

(28) Ivi.

(29) Ivi.

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L’immagine che accompagna l’articolo ritrae l’ingegnere Ottavio Villa ed è una di quelle presenti nell’articolo. Se si vuol riprendere anche dalle mie note e schede vi prego di citare la fonte. Laura Matelda Puppini 

 

 

 

 

 

 

 

https://i0.wp.com/www.nonsolocarnia.info/wordpress/wp-content/uploads/2021/08/villa-o-in-bn-Immagine1.png?fit=1024%2C919&ssl=1https://i0.wp.com/www.nonsolocarnia.info/wordpress/wp-content/uploads/2021/08/villa-o-in-bn-Immagine1.png?resize=150%2C150&ssl=1Laura Matelda PuppiniSTORIACammino lungo via della Vittoria a Tolmezzo alla ricerca di una abitazione: devo incontrare l’ing. Ottavio Villa, che conosco di nome ma non di fatto. Finalmente la trovo, nascosta dietro la recinzione, suono e mi viene ad aprire l’ingegnere in persona: abbastanza alto, magro, lievemente claudicante. Così inizia questo...INFO DALLA CARNIA E DINTORNI