Pongo qui la seconda parte dell’ interessantissimo incontro con Davide Conti, tenutosi ad Udine il 4 febbraio 2023. E rigrazio anche il prof. Andrea Zannini, dell’ Università di Udine, che ha colloquiato con lui permettendogli di esplicitare il suo pensiero. Potete leggere la prima parte di questo incontro su www.nonsolocarnia.info nell’articolo: Sull’uso politico della storia. Un filo nero unisce passato remoto e prossimo d’Italia, ed il gomitolo si sta srotolando verso il futuro. Davide Conti ad Udine e Gorizia.

_________________________

Le ricorrenze di carattere storico e la politica della memoria pubblica.

Continuo qui a riportare, inframezzando il testo, se del caso, con commenti miei, ma se lo faccio lo segnalo, l’interessantissima relazione tenuta da Davide Conti presso la libreria Tarantola di Udine il 4 febbraio 2023, di presentazione del suo volume “Sull’uso pubblico della storia” Collana Multiverso, incrocio di Saperi, Forum ed. 2021.

Il volume che ho scritto – ha detto Davide Conti- «è un tentativo di ragionamento che muove attorno all’uso pubblico della storia, che è questione antica, perché nel nostro tempo contemporaneo ha assunto una funzione […] sempre più radicata intorno ad un passaggio che lo qualifica: “le politiche memoriali”.

I Parlamenti susseguitisi in Italia negli ultimi venti anni, hanno prodotto una quantità di leggi sulla memoria storica, di leggi sulla storia […] che hanno svolto la funzione di ipotizzare, definire e praticare un uso pubblico della storia attraverso una retorica celebrativa, con l’indicazione e la scelta di alcune date del calendario civile nazionale ed internazionale, che si sono proposte con l’intenzione di ridefinire il  perimetro dei processi che informano le nostre istituzioni e la cittadinanza che abita lo spazio pubblico». (1).

E la qualificazione dell’uso pubblico della storia, sempre per Conti, è rappresentato proprio da questo strumento: dalla scelta delle giornate celebrative con cui scandire la storia nazionale recente, attraverso le politiche delle memorie promossa dai parlamenti, e l’Italia, – ha aggiunto Davide Conti – «è un paese particolarmente significativo da questo punto di vista, ed ha un calendario fittissimo di date che esprimono una lettura del rapporto dialettico tra il nostro passato ed il nostro presente». (2).

«All’indomani della fine della guerra l’Italia è responsabile delle invasioni militari che hanno scatenato la guerra totale assieme alla Germania nazista. È responsabile dell’invasione dell’Albania, della Grecia, della Jugoslavia, della Russia, della Francia, dell’Etiopia, della Libia. Alla fine della Seconda Guerra Mondiale le Nazioni Unite stilano un elenco di criminali di guerra italiani, colonnelli, generali, alti funzionali, capi dei Servizi Segreti, alti ufficiali della Pubblica Sicurezza, dell’Arma dei Carabinieri che devono rispondere di crimini contro l’umanità, di rappresaglie indiscriminate, di fucilazioni, di torture contro Partigiani e civili, di deportazioni, di stupri di massa.
Ma neanche uno, uno soltanto, degli italiani iscritti in quella lista, verrà portato a processo. Non ci sarà nessuna Norimberga italiana nel nostro Paese e questo determinerà un elemento di contraddizione, di torsione della Storia, che ci porteremo dietro nei decenni successivi». (3). E questa ‘torsione della storia” – secondo Davide Conti- si rifletterà anche sulla scelta di cosa pubblicamente ricordare.

27 Gennaio. 

«Rispetto al calendario civile italiano- ha proseguito il noto storico –  io sono molto critico, perché ritengo che questo calendario civile non abbia rappresentato dei passaggi fondamentali di elaborazione del nostro passato. Per esempio la giornata della memoria posta il 27 gennaio, nella ricorrenza della liberazione del campo di Auschwitz da parte dell’Armata Rossa, e che viene celebrata in tutto il mondo, è stata un’occasione perduta, da parte dell’Italia, (di ricostruire la sua storia), perché si nota l’assenza in quella legge istitutiva di una parola fondamentale, che ha permesso di praticare un uso pubblico della storia distorto anche di quella giornata, e la parola che manca, che è stata elusa, è: fascismo»! (4).

E il nostro paese è quello che ha dato i natali al fascismo, che abbiamo fondato ed esportato in tutto il pianeta, e non abbiamo una giornata di ricordo dei crimini del fascismo, ma in compenso abbiamo – e questo lo ricordo io –  un mausoleo, costruito con soldi pubblici, dedicato a Rodolfo Graziani, noto fascista inserito dalla Commissione delle Nazioni Unite preposta nella lista dei criminali di guerra su richiesta del governo etiope, ma mai processato (5), autore di stragi efferate e della gassificazione di popolazioni intere, ed abbiamo la tomba di Mussolini a Predappio che abbiamo permesso che diventasse una specie di santuario ed un luogo di processioni memoriali, e persino consigliata da tripadvisor fra i luoghi da visitare (6)!

Invece la Francia- ha detto Davide Conti – «che non ha combattuto la guerra al fianco di Hitler, che non ha promulgato le leggi razziste, che non ha riempito vagoni piombati di esseri umani, ha deciso di istituire una ulteriore sua giornata della memoria che cade il 16 luglio di ogni anno, quando ricorda, pedagogicamente sul piano del discorso pubblico, il rastrellamento ebraico di Parigi, che coinvolse 10.000 ebrei» (7) detto “rastrellamento del velodromo di inverno” – e questa parte la aggiungo io- dal luogo ove essi furono ammassati per poi essere inviati ai campi di concentramento e sterminio, operazione che fu condotta dalla polizia politica del governo collaborazionista di Vichy, e per la quale hanno chiesto scusa sia  Jacques Chirac nel 1995, sia Emmanuel Macron nel 2017. (8).

Locandina per una manifestazione ad Affile contro il mausoleo a Graziani. (https://www.anpi.it/articoli/2688/il-21-maggio-ad-affile-sit-in-per-chiedere-labbattimento-del-mausoleo-dedicato-a-rodolfo-graziani. L ‘intervento in quella occasione di Gianfranco Pagliarulo è leggibile in https://www.anpi.it/media/uploads/files/2021/05/affile_28_maggio_2021.pdf;

«Invece in Italia, quando è stata proposta la mozione che, sul modello francese, avrebbe dovuto indicare una giornata della memoria in grado di sottolineare e ricordare le responsabilità degli italiani fascisti nelle politiche di sterminio, essa è stata bocciata in Parlamento con voto bipartisan.

Così è andato a finire che, nel nostro immaginario collettivo, la giornata della memoria rappresenta un carro armato russo che entra in territorio polacco e distrugge i reticolati di un campo di sterminio tedesco: l’elemento italiano è semplicemente sparito. Non c’è ed a tal punto si elude il problema dei conti con il fascismo, che nel 2011 il 27 gennaio, l’allora presidente del consiglio (Silvio Berlusconi ndr.) può permettersi di dire che Mussolini, fatte salve le leggi razziali e la guerra al fianco di Hitler, era stato un grande statista, aveva fatto del bene all’Italia.

Voi immaginate la cancelliera Merkel o il cancelliere Scholz che il 27 gennaio propongono una narrazione simile del nazismo? E il 27 gennaio non è l’unica data complessa e contradditoria del nostro calendario civile». (9).

10 Febbraio.

«Qualche settimana dopo il 27 gennaio abbiamo il 10 febbraio, ‘il giorno del ricordo’ che è stato istituito, già nella scelta della data, in una forma autenticamente ‘rovescista’ della storia. Perché quella giornata si propone di ricordare i morti delle violenze che emergono dal fuoco della guerra totale sul confine italo-jugoslavo, ma le foibe non c’entrano nulla. Le foibe si esprimono storicamente in un tempo definito: tra settembre ed ottobre 1943 e nel maggio 1945. Quindi, se si fossero voluti ricordare quegli eventi, si sarebbe dovuto, a rigore e ragione dei fatti, indicare una data che riportasse agli stessi: o alle foibe del 1943 o a quelle del 1945. Ma niente di tutto questo è stato fatto.

Con voto bipartisan la giornata del ricordo venne istituita il 10 febbraio, data che con le foibe non c’entra nulla, ma è una data in cui ricorre un anniversario fondamentale per l’intero pianeta, perché il 10 febbraio 1947, come certamente sapere, vennero firmati a Parigi i trattati di pace, che chiusero, anche dal punto di vista diplomatico, la seconda guerra mondiale, cioè il più grande massacro di massa della storia dell’umanità che l’Italia ha concorso a scatenare.

Ma quando il Presidente del Consiglio Alcide De Gasperi, a capo della delegazione italiana, ritorna da Parigi, dopo aver firmato quei trattati perché venissero ratificati in Parlamento, a considerare quel trattato un dictat, una mutilazione del territorio nazionale, era solo un piccolo sparuto gruppo di reduci di Salò, di fascisti che quella guerra avevano scatenato e perduto.
Ma invece oggi, con voto bipartisan, quella contestazione di legittimità di uno sparuto gruppo è diventata narrazione memoriale, in grado di rovesciare lo status dei soggetti in campo, trasformando cioè gli italiani da aggressori in vittime e gli aggrediti jugoslavi in carnefici». (10).

Articolo da ‘Il Manifesto’ del 18 febbraio 2006 relativo all’accordo tra fascisti e Berlusconi, aspetto peraltro non nuovo, da me scannerizzato. Il rafforzarsi dalla fine degli anni ’90 in poi di accordi di questo tipo hanno, a mio avviso, condizionato nonsolo la politica ma anche l’interpretazione di fatti storici. Per il revisionismo storico cfr. su www.nonsolocarnia.info il mio: Mode storiche resistenziali e non solo: via i fatti, largo alle opinioni, preferibilmente politicamente connotate.

E così scrivevo, citando anche Raoul Pupo e il Corriere della Sera, su www.nonsolocarnia.info il 4 febbraio 2021, nell’articolo intitolato: “Problemi dati dal “Giorno del ricordo” come attualmente celebrato, e problemi diversi nella Venezia Giulia del dopoguerra: «È avvenuto quindi, anche nel caso del giorno del ricordo, che esso, come in altri casi di “memorie dolenti”, si sia strutturato come memoria di divisione, e che sia diventato un monopolio della destra anche estrema, che ormai ne rivendica, assieme ad associazioni di esuli e profughi, l’esclusiva. Non solo: esso sembra davvero configurarsi come la solenne commemorazione dei caduti in Istria e Dalmazia nella lotta contro il comunismo partigiano, considerati Martiri, colpevoli di essere solo italiani, voluta dal Duce nella giornata del 30 gennaio 1944, e improntata dalla mistica fascista e repubblichina, e da una lettura tutta di parte.

Inoltre, all’istituzione in Italia del Giorno del ricordo ha risposto a stretto giro l’istituzione in Slovenia di una Festa del ritorno del Litorale sloveno alla madrepatria da tenersi ogni 15 settembre, data dell’entrata in vigore, nel 1947, del trattato di pace di Parigi, che assegnava alla Jugoslavia la sovranità su buona parte del Litorale. Inoltre vi è stato un duro scontro verbale, nel 2007, tra l’allora presidente della repubblica, Stipe Mesić e Giorgio Napolitano. Attorno alla data fatidica del Giorno del ricordo si sono infatti succedute alcune dichiarazioni dei vertici delle due repubbliche che rispolveravano un linguaggio che si credeva sepolto, almeno a quei livelli […]». (11).

Ed in ogni caso Davide Conti ha anche ricordato, ad Udine, che il 10 febbraio si dovrebbe ricordare, correttamente, la pace conquistata non la guerra.  Quindi il noto storico, dopo aver terminato di parlare del ‘giorno del ricordo’ ci ha rammentato pure che c’è una altra festività civile, nel mese di marzo, direi poco nota.

17 marzo.

«Il 17 marzo – ha continuato Davide Conti ad Udine- celebriamo la nostra giornata dell’unità nazionale. Qui l’Italia non è solamente elaboratrice, è un caso unico al mondo. Ma perché celebriamo la nostra ‘giornata dell’unità nazionale’ il 17 di marzo? Perché è il giorno in cui ricorre la promulgazione dei decreti che unificarono i territori del meridione al regno dei Savoia.  Ora se la ragione dei fatti della storia non ci inganna, ma in questo caso sarebbe sufficiente una cartina geografica, il 17 di marzo del 1861 per l’unità d’ Italia mancavano: Roma capitale, con i territori della Stato Pontificio; e una parte del Regno lombardo -veneto. (12).

Ora sarebbe stato più logico indicare come data il 20 settembre, la breccia di Porta Pia, la fine del potere temporale della Chiesa, come giorno dell’Unità nazionale, ma questo avrebbe creato un conflitto memoriale con lo Stato Vaticano.

E quindi l’Italia, caso unico al mondo, celebra la propria unità nazionale in una giornata in cui la propria unità nazionale non esisteva affatto, perdendo anche l’occasione di ripristinare il 20 settembre come festa civile, abolita nel 1929 dal fascismo dopo la firma del Concordato».  (13).

9 Maggio.

«E giungiamo al 9 maggio.  (Sapete di ricorrenze civili ne abbiamo molte, purtroppo).
Il 9 maggio celebriamo la giornata delle vittime del terrorismo nel nostro paese. In quella giornata ricorre, lo sapete, l’anniversario del ritrovamento del corpo di Aldo Moro, sequestrato ed ucciso dalle Brigate Rosse dopo 55 giorni, lasciato in via Caetani, una via di Roma che si trova tra la Direzione Nazionale della Democrazia Cristiana e quella del Partito Comunista.

Ora: se lo sviluppo storico della democrazia nel nostro paese fosse stato lineare, non ci sarebbe stato nulla da eccepire per l’indicazione di quella data per la giornata del ricordo delle vittime del terrorismo, ma noi sappiamo che, pur volendo, ma non si può fare, non si può enucleare come fatto a se stante la strage del 1°maggio a Portella delle ginestre, per esempio, non si può negare il fenomeno del terrorismo come elemento caratterizzante ed incidente sulla qualità della nostra democrazia repubblicana, che emerge almeno dal 12 dicembre 1969, il giorno della strage di piazza Fontana e dei contestuali attentati dinamitardi di Roma. E il terrorismo caratterizzerà tutto il decennio successivo.

Foto della strage a causa di un attentato terroristico dinamitardo neofascista, sul treno Italicus, che stava percorrendo la tratta Roma – Monaco di Baviera il 4 agosto 1974.  (Da. https://www.osservatoriorepressione.info/4-agosto-1974-la-strage-dellitalicus/).

Ma dal punto di vista istituzionale è più semplice e meno contradditorio e complesso raccontare il terrorismo attraverso una immagine che rappresenta un soggetto esterno allo Stato: le Brigate Rosse, che attaccano ‘il cuore dello Stato’ per parafrasare la grammatica brigatista del tempo, piuttosto che spiegare, soprattutto alle giovani generazioni, che il terrorismo, con le stragi, è nato, in questo paese, proprio dal cuore dello Stato». (12). E vi è pure un legame tra stragi ed aspetti politici della vita italiana. Infatti, continua Conti, la strage di piazza Fontana, avvenuta il 12 dicembre 1969, coincise con l’approvazione in prima lettura al senato – ricordava sempre Conti ad Udine – dello Statuto dei lavoratori. Ma anche l’attentato di via Fani, il 16 marzo 1978, coincise con la presentazione, per la prima volta, in Parlamento di un governo con l’astensione del Partito Comunista Italiano. (14).

E, secondo Conti, queste due date «rappresentano due linee di faglia della nostra storia repubblicana, due passaggi davvero drammatici. La strage di piazza Fontana […] rappresenta l’esito, a seguire, in Italia, della più grande mobilitazione sindacale della storia della Repubblica: oltre 300 milioni di ore di sciopero, l’approvazione in prima lettura dello Statuto dei Lavoratori che portava la Costituzione nelle fabbriche e dentro i posti di lavoro, e che sanciva in maniera straordinaria la rottura di una ideologia. Lo spiega benissimo un grande giurista dell’epoca: Barcellona, in un saggio ripubblicato da Stefano Rodotà qualche anno fa. Egli spiega, in pochissime righe, che cosa significò l’approvazione dello Statuto dei Lavoratori, e quale ideologia ruppe, quella dell’uguaglianza dei cittadini di fronte alla legge, e per la prima volta vi fu un testo legislativo che non si proponeva di tutelare il cittadino in quanto tale, ma si proponeva di promuovere i diritti di una classe di cittadini a detrimento degli interessi di un’altra classe di cittadini: una rivoluzione copernicana.

Agguato di via Fani. AP Photo – Via Fani, Roma, 16 marzo 1978, ore 9, su ilpost.it, 16 marzo 2018., Pubblico dominio, https://it.wikipedia.org/w/index.php?curid=839994.

L’urto che un passaggio di questo genere determinò in un paese peculiare come l’Italia avviò la stagione delle stragi. E 4 ore dopo l’approvazione dello statuto dei lavoratori al senato, scoppiavano le bombe di piazza Fontana. E iniziava un processo che sarà di lungo corso che non ha uguali nelle democrazie a capitalismo avanzato: una costante immissione dell’elemento paramilitare dentro il cuore della democrazia conflittuale disegnata dalla Costituzione. (…). E piazza Fontana è una operazione paramilitare compiuta in tempo di pace contro civili inermi, e non rivendicata […]. (…) Ed è contro l’identità di quella democrazia conflittuale scritta in Costituzione che si esprime una operazione come quella del 12 dicembre 1968 […] che, fin dalla sua elaborazione, si proponeva di far ricadere le responsabilità del massacro sull’avversario politico. Il terrorismo di oggi presenta una differenza sostanziale con quello che allora si definiva di Stato: un minuto dopo un attacco terroristico oggi noi sappiamo chi è stato. Perché chi compie quell’attentato ha volontà politica ed interesse a che, immediatamente, si conoscano la natura del fatto, la ragione e l’autore. Ma allora … Noi stiamo celebrando il processo per la strage della stazione di Bologna del 2 agosto 1980, e non c’è uno, nemmeno tra i condannati a livello definitivo, che abbia mai ammesso o rivendicato una strage, così come per ‘piazza Fontana’ così come per ‘piazza della Loggia’, così per l’Italicus etc. etc. Insomma: le stragi (di allora) in Italia non hanno padri e madri, non furono rivendicate perché non sono rivendicabili perché sono una operazione psicologica, una spyop […] di pressione sull’opinione pubblica, indirizzata ad invertire […] il riassestarsi degli equilibri politici e sociali di questo paese in maniera difforme e diversa dagli assetti solitamente dati». (15).

26 Gennaio.

«Pensavamo di aver finito il calendario civile – ha proseguito Davide Conti – ma, nello scorcio ultimo della legislatura appena terminata, sempre con voto bipartisan, con un solo astenuto, è stata istituita la giornata del ricordo del sacrificio del corpo degli alpini. Ora: ammesso ma non concesso la necessità, l’urgenza della istituzione di una giornata per un singolo corpo delle forze armate, aspetto sottolineato criticamente anche dal Presidente della Repubblica Sergio Mattarella, che si è chiesto quale sia  l’utilità di una cosa di questo genere, l’aspetto interessante è che quella giornata è stata individuata non in un giorno in cui valorizzare la memoria del contributo degli alpini alla Resistenza ed alla guerra di Liberazione nazionale, così come ci è stato trasmesso dalle pagine di Mario Rigoni Stern e di Nuto Revelli». (16).

E non è nemmeno una data in grado di conciliare la dimensione civile con la dimensione militare. Chi avrebbe avuto, infatti, qualcosa da eccepire nell’individuare una data che ricordasse, per esempio, il contributo degli alpini post terremoto in Friuli, post terremoto in Irpinia? Nessuno! (17).
Ma la data scelta è altra. La data scelta: guardiamola bene, è il 26 gennaio, giorno in cui ricorre l’anniversario di una battaglia vinta dal corpo degli alpini nel corso della seconda guerra mondiale nel quadro dell’invasione nazifascista dell’Unione Sovietica. Questa battaglia si combatte a Nikolajevka. Sapete dove si trova Nikolajevka? Si trova in Ucraina.» (18).  

E scusatemi, miei lettori, se riporto qui, da chi visse in prima persona la ritirata di Russia, cosa accadde lì quel 26 gennaio 1943: cioè nel corso della battaglia di Nikolajevka, che fu una ‘battaglia’ disperata nel corso della ritirata, ove a sfondare fu il btg. Tirano seguito dalla ‘Tridentina’. E così ricorda quei momenti Nuto Revelli, allora ufficiale effettivo del R.E. I.: «Ad Arnautowo il battaglione Tirano urta contro lo schieramento nemico e subisce gravissime perdite. Si parla di 800 uomini. Si caricano i feriti sulle slitte e si riprende il cammino. La colonna della Tridentina, con in punta i cosiddetti reparti organici, si infila nella breccia aperta dal Tirano e muove sulla grande piana verso Nikolajevka. La battaglia durerà 10 ore ed è una battaglia durissima. I russi sono ben trincerati, hanno artiglierie, pezzi anticarro. I reparti si susseguono nel tentativo di superare il trincerone della ferrovia a ridosso dell’abitato. Muore il generale Giulio Martinat, tra i primi lungo il declivio che unisce la piana al trincerone della ferrovia. (…). 

Ritirata di Russia, da quella Russia che avevamo invaso. Da: https://www.reportdifesa.it/ii-guerra-mondiale-il-fronte-orientale-1941-la-campagna-di-russia-e-il-ruolo-delle-ferrovie/.

L’attacco, la corsa verso Nikolajevka, è guidata dal generale Reverberi. È il sacrificio dei più generosi, è l’urto di 40.000 disperati che rotolano verso il trincerone della ferrovia, a sbloccare la situazione. Importante è il contributo dei 4 carri armati e delle due artiglierie semoventi del XXIV Corpo d’ Armata tedesco, quelli del generale Eibl […].
Ma a decidere la battaglia è la paura della notte all’addiaccio, a 40 gradi sotto zero, è la prospettiva delle isbe di Nikolajevka, dei ricoveri per la notte. 40.000 soldati rotolano l’uno sull’altro come un fiume in piena, mentre scende la notte. 40.000 disperati invadono Nikolajevka. Il 27 gennaio la Tridentina raggiunge Relieswka, seguita da una colonna di sbandati lunga 30 chilometri». (19).

E così Mario Candotti, ufficiale di complemento di artiglieria della Divisione Julia, che partecipa alla campagna di Russia dopo “essersi fatto” la Grecia, e poi comandante partigiano della Brigata Garibaldi/ Carnia. Egli giunge a Nikolajevka quando la Tridentina sta combattendo per aprire un varco per sé e per gli altri. I russi sono nella città, gli alpini sul terrapieno. «La marea degli sbandati- scrive – precipita verso il basso, invadendo tutto il fianco del colle: è una marea nera di uomini, di slitte, che si riversa allo scoperto. E contro questa massa si accanisce il nemico […]. Ma nulla può ormai arrestare il movimento verso la ferrovia. (…). […] la Tridentina è riuscita ad aprire il varco per sé e per gli altri». (20). Poi il rientro in patria di battaglioni decimati, come anche la Julia, che «ha subito perdite gravissime a Popowka e a Novo Postojalowka», (21) e l’isolamento che raggiunge in patria i superstiti, sia perché si teme abbiano contratto infezioni o malattie contagiose, sia perché non si vuole che parlino, che dicano cosa è accaduto loro. (22).

Ed è interessante quanto dice Nuto Revelli, che è andato in Russia da ufficiale effettivo non di complemento del Regio Esercito Italiano: «È stata una pagina tremenda quella della guerra di Russia. Noi eravamo degli aggressori, noi eravamo gli alleati dei tedeschi che sul Fronte russo ne hanno combinate di tutti i colori. I tedeschi hanno fatto morire di fame e di stenti tre milioni di prigionieri sovietici. Nella guerra contro il fascismo e il nazismo i sovietici hanno avuto 20 milioni di morti, di cui parecchi milioni tra la popolazione». (23).  Questo vogliamo ricordare come un vanto, mi chiedo? O la scelta di questa giornata è il frutto di ignoranza e di fretta, di tentativo di rilettura di fatti chiari? Non lo so, chi lo sa per cortesia mi ragguagli.

Foto di Giulio Bedeschi. Da Mario Candotti, Ricordi di un uomo in divisa: naia, guerra, Resistenza, Ana Pn e Ifsml, 1986, pagine con fotografie non numerate.

E così continua Davide Conti: «Dovete capire che questi elementi, queste torsioni della storia, questo uso pubblico della storia non restituiscono né una resa di complessità, né la ragione dei fatti, né come questi si siano realmente svolti e quindi fanno venir meno il senso della storia, cioè la costruzione di quell’orizzonte di senso che è indispensabile strumento di questa straordinaria disciplina».  (24).

1° Maggio.

Il discorso sul 1° maggio è stato introdotto dal prof. Andrea Zannini, preoccupato dal fatto che il lavoro, come elemento costitutivo della Repubblica, abbia subito uno scivolamento deciso verso il basso. Ora pare quasi che il lavoro sia un elemento accessorio, non un pilastro fondante dello Stato italiano- ha detto-. Ma ora spesso il lavoro manca e le condizioni di lavoro possono essere terribili, come quelle del precariato. Si parla tanto ora del 25 aprile e un po’ poco di primo maggio. E così ha risposto Conti alle peeplessità di Zannini: «Io credo nella centralità del primo maggio, ed un dibattito sul suo senso sarebbe importante oggi perché la distonia che esiste fra la retorica celebrativa del 1° maggio e le condizioni materiali di lavoro delle persone che, ripeto, per vivere hanno bisogno di lavorare, produce dei meccanismi torsivi per cui le classi ed i ceti subalterni sono oggi più vicini alla destra ed estrema destra che ad altri. E le periferie culturali e sociali diventano terreno di scorribanda dell’estrema destra, perché la democrazia non è più in grado di intervenire sulle questioni fondamentali.

Quindi, se l’Italia è una Repubblica fondata sul lavoro, e questo lavoro non c’è o è un lavoro precario, e se esistono i lavoratori poveri, questo produce uno iato, una frattura tra la retorica, e quindi anche la celebrazione simbolica del primo maggio, e la realtà materiale delle persone, che non ne comprendono più, minimamente, l’addentellato con la realtà. Questo aspetto ha fatto del nostro paese un paese dalle straordinarie risorse culturali e sociali negli anni sessanta e settanta, quando c’era una diretta connessione tra la vita materiale ed i principi della Costituzione. Quando lo Statuto dei Lavoratori entra in vigore, il 20 maggio del 1970, dopo il voto definitivo della Camera, il commento è stato: “La Costituzione è entrata in fabbrica”. Ed è un commento che dice tutto, perché significa che i principi della Costituzione si sono ‘fatti carne’ sono diventati carne viva addosso alla pelle delle persone, conferendo tutele e dignità sul posto di lavoro che prima non esistevano. Di nuovo l’antifascismo e la Costituzione hanno portato così i diritti dove essi erano assenti, creando coesione sociale. (25).

Sul ruolo della storia e sulle tre feste civili che ricordano i fondamenti della nostra repubblica.

Quindi sono intervenute, fra il pubblico, sia Alessandra Kersevan, che io e Bianca Minigutti che ha sottolineato il moltiplicarsi, a livello scolastico, di linee guida di interpretazione di fatti storici da parte della politica, come quelle del Miur per la giornata del ricordo, o la circolare dell’assessore del Veneto Donazzan rispetto agli alpini in Russia, che stanno creando una fuorviante interpretazione dei fatti storici. Ma purtroppo siamo un paese dove si può raccontare tutto perché, appunto, non abbiamo mai avuto un processo di Norimberga.

Alla fine dell’incontro è intervenuta una studentessa che ha chiesto come si possa procedere in ambito storico per valorizzare ogni festività civile. Davide Conti ha risposto: «Secondo me è la ricostruzione il più possibile attinente alla ragione dei fatti che contribuisce a valorizzare ed a dare significato e dignità al nostro ragionare sul tempo trascorso. E il tentativo fatto con questo libro è proprio quello di ragionare su come, eludendo alcune questioni di fondo intorno alla ricostruzione della storia, di sia sostituita ad essa una narrazione che non rappresenta ciò che è accaduto e che, anzi, determina addirittura una competizione tra le date. Il 10 febbraio non è uguale al 25 aprile. Infatti il 25 aprile è la giornata della Liberazione del nostro paese, fondativa della nostra Repubblica, ed il 25 aprile, il 2 giugno, festa della Repubblica, ed il 1° maggio, come giustamente ha ricordato Liliana Segre nel suo intervento in Senato in apertura di questa legislatura, sono, e non sono state scelte a caso, le tre date significative del nostro calendario civile […]. In questo senso, quindi, dare centralità alle fondamenta della nostra Repubblica, significa ridare dignità alla storia.

E bisogna quindi ripristinare la funzione della storia che è quella della formazione critica del sapere, la formazione alla cittadinanza critica negli uomini e nelle donne della Repubblica. E la storia deve svolgere questa funzione, deve uscire dai circuiti canonici e dobbiamo andare lì dove non ci aspettano, dove non siamo attesi, perché è lì che la storia può svolgere una funzione di formazione, raccontando quali sono le radici dei diritti di cittadinanza che esistono nel nostro paese e che non sono caduti dal cielo, che sono costati fatica, lotte, morti; e questa à la carne viva della storia. E vi è un modo di raccontare che chiaramente diventa popolare perché racconta la storia delle famiglie, delle generazioni, non taglia fuori nessuno ma restituisce, invece, ed in questo caso mi permetto di dirlo, identità al nostro modo di stare insieme, alla ragione del nostro patto collettivo, che abbiamo stipulato tra uomini liberi, come ha sottolineato Calamandrei». (26).

Quando Davide Conti ha terminato il suo incontro si era fatto tadi, ed è stato circondato da coloro che volevano un autografo dopo aver acquistato il suo libro che è leggero, chiaro, fruibile da tutti per riflettere un po’.
Davide Conti è stato da me registrato, la trascrizione della registrazione è anche mia. Non sapendo come contattare Conti ho pubblicato questi due articoli relativi al suo intervento senza averli a lui proposti.

Laura Matelda Puppini.

_________________________

Note.

  1. “L’uso politico della storia” Intervista di Andrea Zannini a Davide Conti sul suo volume: “L’uso pubblico della storia” Forum ed. 2022, tenutasi ad Udine il 4 febbraio 2023 presso la Libreria ‘Tarantola’. Registrazione e trascrizione di Laura Matelda Puppini.
  2. Ivi.
  3. Davide Conti, “L’uso pubblico della storia”, intervento a Gorizia il 4 febbraio 2022 al mattino. Trascrizione di Luciano Marcolini Provenza.
  4. “L’uso politico della storia” Intervista, cit.
  5. Per Rodolfo Graziani e il monumento di Affile cfr. https://www.treccani.it/enciclopedia/rodolfo-graziani_%28Dizionario-Biografico%29/, https://it.wikipedia.org/wiki/Rodolfo_Graziani; https://www.anpi.it/media/uploads/files/2021/05/affile_28_maggio_2021.pdf; https://www.repubblica.it/venerdi/2021/08/13/news/durigon_latina_mussolini_graziani_filettino_mausoleo_affile-313715693/.
  6. https://www.facebook.com/watch/?v=1616090521770806; https://www.tripadvisor.it/Attraction_Review-g1180044-d12833401-Reviews-Cripta_di_Benito_Mussolini-Predappio_Province_of_Forli_Cesena_Emilia_Romagna.html; https://www.ansa.it/emiliaromagna/notizie/2019/10/27/predappio-in-tremila-a-cripta-mussolini_260b1a5a-8673-48bc-a7bb-127ddceae3fb.html.
  7. “L’uso politico della storia” Intervista, cit.
  8. https://it.wikipedia.org/wiki/Rastrellamento_del_Velodromo_d%27Inverno. Il rastrellamento e concentrazione di ebrei nel Velodromo di inverno avvennero nei giorni 16 e 17 luglio 1942.
  9. “L’uso politico della storia” Intervista, cit.
  10. Ivi.
  11. Ho descritto proposte e iter di approvazione del 10 febbraio come giorno del ricordo nel mio: Problemi dati dal “Giorno del ricordo” come attualmente celebrato, e problemi diversi nella Venezia Giulia del dopoguerra. su: www.nonsolocarnia.info. (https://www.nonsolocarnia.info/problemi-dati-dal-giorno-del-ricordo-come-attualmente-celebrato-e-problemi-diversi-nella-venezia-giulia-del-dopoguerra/).
  12. Il Regno Lombardo-Veneto cessò di esistere nel 1866, la breccia di Porta Pia a Roma è del 20 settembre 1870. Inoltre così si legge in: https://www.difesa.it/Content/150anniversario/Pagine/Unit%C3%A0dItalia.aspx. «Il Senato e la Camera dei Deputati hanno approvato; Noi abbiamo sanzionato e promulghiamo quanto segue: Articolo unico: Il Re Vittorio Emanuele II assume per sé e suoi Successori il titolo di Re d’Italia.
    Ordiniamo che la presente, munita del Sigillo dello Stato, sia inserita nella raccolta degli atti del Governo, mandando a chiunque spetti di osservarla e di farla osservare come legge dello Stato. Da Torino addì 17 marzo 1861″. Con queste parole che costituiscono parte del testo della legge n. 4671 del Regno di Sardegna aveva luogo la proclamazione ufficiale del Regno d’Italia, facendo seguito alla seduta del 14 marzo 1861 in occasione della quale il Parlamento aveva votato il relativo disegno di legge. Il 21 aprile 1861 quella legge diviene la prima del neocostituito Regno d’Italia. Quest’ultimo è il risultato di un percorso iniziato con un’Italia divisa in sette Stati, attraverso la 1^ guerra d’indipendenza (1848-49), la 2^ guerra d’indipendenza (1859- 1861) e la spedizione dei mille (1860) e conclusosi con la proclamazione di Vittorio Emanuele II Re d’Italia.
    Il processo di unificazione continuò con la 3^ guerra d’indipendenza (1866), la seconda spedizione di Garibaldi verso Roma (1867) e l’annessione di Roma (1870). Con la 1^ guerra mondiale (1915-1918) si concluse il processo di unificazione nazionale che portò all’Italia dei giorni nostri». Correttamente questo testo ricorda che Trento e Trieste vennero guadagnate dall’ Italia con la prima guerra mondiale.
  13. “L’uso politico della storia” Intervista, cit.
  14. Ivi.
  15. Ivi.
  16. A questi due personaggi noti a livello nazionale, si devono aggiungere i due ufficiali Mario Candotti e Ciro Nigris, giunto però solo alla fine dell’operazione Barbarossa, poi comandanti partigiani garibaldini in Carnia.
  17. Non essendo ancora stata creata la Protezione Civile, l’impegno del corpo degli alpini, in un periodo in cui esisteva ancora la leva obbligatoria, per aiutare le popolazioni del Friuli così fortemente colpite dai terremoti del 1976, fu notevole, come quello dell’Ana. Inoltre l’Ana di Varese, per esempio, attraverso l’ing. Davide Sironi, che aveva pure lui portato, da ufficiale, il cappello alpino, permise alla comunità di Cavazzo Carnico, dove aveva pure operato per liberare macerie, di trascorrere l’inverno al caldo in un albergo, tentando pure di alleviare la tragedia in vario modo. (nel merito cfr. su www.nonsolocarnia.info il mio: Agra (Varese), Natale 1976, immagini post- terremoto del Friuli: ultimi aneliti di grande solidarietà collettiva. Poi l’individualismo.
  18. “L’uso politico della storia” Intervista di, cit.
  19. Nuto Revelli, Le due guerre, Einaudi ed., 2003, pp. 110-111.
  20. Mario Candotti, Ricordi di un uomo in divisa: naia, guerra, Resistenza, Ana Pn e Ifsml, 1986, p. 123.
  21. Nuto Revelli, op. cit. p. 108.
  22. Sull’isolamento che seguì alla ritirata, per i pochi superstiti, vi sono le narrazioni sia di Nuto Revelli (Nuto Revelli, op. cit. pp. 123-126), che di Ciro Nigris (Ciro Nigris, Dove non si parla di libertà la libertà muore, in: Voci della memoria. Redento Bello, Romano Marchetti, Elio Martinis, Ciro Nigris. (Testimonianze della lotta partigiana in Friuli, a cura del Liceo Classico “San Bernardino da Siena”, Tolmezzo, Liceo Classico “San Bernardino da Siena”, 2004, pp. 91-92). Testimonianze da me citate anche su www.nonsolocarnia.info nei miei: Quell’assurda invasione della Russia voluta dai fascisti al fianco dei nazisti, e la battaglia di Nikolajevka: gennaio 1943.; Discutendo e ricordando di Alpini.; Terrificante! Il Parlamento italiano stabilisce il 26 gennaio festa nazionale in ricordo degli Alpini, in quel frangente invasori loro malgrado, di uno stato nazionale, beatificando l’invasione nazi-fascista dell’Urss! Ignoranza o … Ma non vi era altro modo? Liceo Classico “San Bernardino da Siena”, Tolmezzo, Liceo Classico “San Bernardino da Siena”, 2004, pp. 91-92.
  23. Nuto Revelli, cit. p. 121.
  24. “L’uso politico della storia” Intervista, cit.
  25. Ivi.
  26. Ivi.

_________________________

L’immagine che accompagna questa seconda parte dell’incontro ritrae Davide Conti ed è una di quelle che ho già utilizzato nell’ articolo precedente. Laura Matelda Puppini

 

 

 

https://i0.wp.com/www.nonsolocarnia.info/wordpress/wp-content/uploads/2023/02/davide-conti.jpg?fit=347%2C351&ssl=1https://i0.wp.com/www.nonsolocarnia.info/wordpress/wp-content/uploads/2023/02/davide-conti.jpg?resize=150%2C150&ssl=1Laura Matelda PuppiniETICA, RELIGIONI, SOCIETÀSTORIAPongo qui la seconda parte dell' interessantissimo incontro con Davide Conti, tenutosi ad Udine il 4 febbraio 2023. E rigrazio anche il prof. Andrea Zannini, dell' Università di Udine, che ha colloquiato con lui permettendogli di esplicitare il suo pensiero. Potete leggere la prima parte di questo incontro su...INFO DALLA CARNIA E DINTORNI