Grazie al Messaggero Veneto che ha dato notizia della presentazione della ‘Lettera di Natale’ dei preti di frontiera, qui, in Fvg, l’ho lungamente cercata, sino a trovarla con non poche difficoltà. La propongo qui perché per me il Natale è tempo di spirito più che di doni, anche se non nego la loro valenza, è momento di riflessione più che di cenoni. Tanti auguri di buone feste a tutti. Laura Matelda Puppini

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Anche quest’anno, avvicinandoci al Natale e ricordando Pierluigi Di Piazza, compagno di strada di tanti uomini e donne appartenenti alle varie tribù della terra, vogliamo condividere qualche proposta di riflessione e confronto con ciascuna e ciascuno di voi.

La ricorrenza del Natale si celebra in concomitanza con il solstizio d’inverno, tempo che tutte le culture dell’emisfero settentrionale del pianeta hanno percepito come portatore di un’immensa speranza proprio nel momento in cui le tenebre e il freddo sembrano aver sopraffatto la luce e il calore del sole. Da quel momento le giornate si allungano e i raggi della nostra stella sembrano lentamente risvegliare i semi e i germogli di una nuova vita apparentemente sepolti nella terra.

È questo il significato dato dai credenti alla celebrazione della notte del Natale e alle suggestive luminarie che decorano alberi, davanzali, vie e piazze cittadine.

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La parola chiave è per questo speranza: non un facile e incosciente ottimismo, incapace di riconoscere i problemi e costretto a minimizzare le tragedie personali e collettive che coinvolgono ogni aspetto del creato, piuttosto la certezza che la forza dell’intelligenza, della volontà, della fede profonda in una trascendenza, alla quale si possono attribuire diversi nomi, può interrompere la corsa verso la catastrofe che sembra caratterizzare il nostro tempo.

La speranza è poi legata all’attesa che coltiviamo dentro di noi e che condividiamo con coloro che accompagnano il nostro cammino: anche la nostra speranza si rinnova nel momento in cui ci accorgiamo di chi incontriamo, quando siamo pronti ad ascoltare e a riconoscere le sue attese.

Se oggi la guerra appare a molti non solo legittima, ma anche utile e, a suo modo, “razionale”, e sembra che a doversi giustificare sia piuttosto la pace, la speranza si trasforma nell’impegno attraverso il quale ognuna e ognuno di noi, individualmente e insieme, permettono al bene di contrastare il male, alla giustizia di vincere l’iniquità, al perdono di cancellare il desiderio di vendetta.

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In una società che presenta gravi fenomeni di “violenza diffusa”, quale segno di una profonda crisi delle dimensioni valoriali e relazionali, che invece dovrebbero qualificare la vita delle nostre comunità, ci sentiamo impegnati a dar vita a una speranza caratterizzata da una “lotta” quotidiana, combattuta con le armi della nonviolenza attiva, nella disponibilità – come scriveva Gandhi – a essere colpiti piuttosto che colpire, anche a morire piuttosto che uccidere, nella consapevolezza di contribuire così a un cambiamento radicale di quegli interessi e di quei disvalori che conducono alla violenza e alla guerra.

Perché – lo ribadiamo a 60 anni dalla pubblicazione dell’enciclica di Giovanni XXIII “Pacem in Terris” – non esiste una “guerra giusta”; essa è “totalmente irrazionale” (“alienum a ratione”).

Per questo ci lasciamo provocare dalle parole e dalle azioni di tante donne e di tanti uomini che nel corso dei secoli hanno testimoniato con la loro dedizione e a volte anche con il loro sangue l’amore e la passione per la pace nella giustizia, rispettando la madre terra e servendo ogni giorno ogni creatura vivente. E ci lasciamo interpellare da quanti, da artigiani della pace, preparano il terreno per la riconciliazione e la coesistenza nella diversità, come la Commissione per la Verità e la Riconciliazione del Sudafrica, il cui contributo è stato cruciale nella fase di transizione democratica di quel Paese favorendo il processo di riconciliazione nazionale e divenendo strumento di superamento delle ingiustizie e delle divisioni del passato fondando ogni suo intervento su comprensione, riparazione e compassione.

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Consapevoli della complessità del nostro tempo, ci riconosciamo nei principi fondamentali del Vangelo di Gesù di Nazareth che c’invita a compiere il gesto sanamente provocatorio di “porgere l’altra guancia” a chi ci percuote, a “donare anche la tunica a chi chiede il mantello”, a “percorrere due miglia con chi domanda la compagnia per un miglio” (cf. Mt 5,38-41).

Restano alcuni fondamentali punti interrogativi: come conciliare il principio che reclama una pace fondata sulla nonviolenza con la volontà di ostacolare la potenza del male che vuole inghiottire ogni parvenza di bene?

A queste condizioni, come poter coniugare l’accorata constatazione della realtà con l’appello iniziale alla speranza? In primo luogo guardiamo con immensa angoscia alla guerra, che sembra essere ritenuta ancora l’unica possibile soluzione alle controversie fra i popoli e le persone. In decine di Paesi, in tutti i continenti, l’umana intelligenza è umiliata dal fragore delle armi e l’umanità constata quotidianamente il proprio fallimento.

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Il sistema mediatico, dominato dai medesimi interessi di chi tiene le fila dell’imperante potere economico e finanziario, s’interessa soltanto alle situazioni che più da vicino possono minacciare il Nord del mondo e per questo l’anno 2023 sarà ricordato soprattutto per l’assurdo perdurare della guerra tra Ucraina e Russia e, dopo gli sconvolgenti attentati del 7 ottobre scorso, la recrudescenza sanguinosa del conflitto tra Israele e Palestina.

Si può ancora tardare nel riconoscere le giuste istanze di libertà e autodeterminazione del popolo palestinese, come del resto già indicato negli Accordi di Oslo del 1993?

Cosa può fare ciascuno di noi, per partecipare in qualche modo all’impresa di pacificazione e costruzione di nuovi rapporti? Prima di tutto è necessario informarsi, azione non semplice nella confusione estrema d’informazioni che quotidianamente riceviamo. È importante conoscere persone che possano trasmettere notizie “in diretta”, che vivono e condividono le situazioni delle realtà in guerra, così come è importante informarsi su coloro che, sperando contro ogni speranza, già cercano di attivare e perseguire percorsi di riconciliazione.

È poi necessario “essere di parte”, cioè portare in ogni luogo frequentato la proposta di sostenere ogni negoziato e trattativa contro ogni forma di violenza destinata inevitabilmente a produrre altra violenza. Crediamo che la partecipazione democratica, nei luoghi previsti per le decisioni istituzionali come pure nelle manifestazioni pubbliche assembleari, possa costituire una valida pressione per orientare l’opinione pubblica e far sentire la propria voce rafforzata dall’elevarla insieme agli altri.

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Tutto ciò non toglie l’impegno personale di ciascuno, nei propri ambiti di esistenza e di lavoro. A volte anche un sorriso, un gesto di accoglienza, una mano stretta, una richiesta di perdono offerta o ricevuta potrebbero essere dei piccoli momenti in controtendenza in grado di alleviare, anche se in minima misura, l’immenso peso del dolore che grava sul mondo.

Da questo punto di vista sosteniamo con convinzione le persone che nelle nostre città si adoperano, giorno e soprattutto notte, per aiutare le migliaia di migranti che giungono dalle nostre parti, dopo aver seguito soprattutto la Rotta balcanica. A Trieste da anni c’è chi cura le piaghe e le ferite di chi è riuscito ad arrivare in Italia, a Gorizia c’è un appuntamento quotidiano con chi è costretto a dormire all’addiaccio, a Udine e Pordenone ci sono altri volontari che si impegnano fino al limite delle loro forze.

Continua nel frattempo il lavoro dei Centri di accoglienza come il “Balducci” di Zugliano, dei Consorzi e delle Cooperative, delle Associazioni riunite nella Rete Dasi del Fvg per i Diritti, l’Accoglienza e la Solidarietà Internazionale. Con azioni competenti ed efficaci propongono costantemente a livello politico e agiscono sui territori per promuovere l’accoglienza diffusa.

Alcuni Comuni, troppo pochi nella nostra regione, hanno accettato di amministrare il Sai – Servizio Accoglienza Immigrati, alternativa ai centri affollati.

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Questi motivi di speranza inducono a chiedere che finalmente ci sia un impegno da parte dei Paesi dell’Unione Europea non nel cercare i modi per “difendersi” da tanta gente inerme che vuole soltanto trovare il modo di continuare a vivere, ma nell’affrontare serie e importanti politiche del lavoro, della casa, dei ricongiungimenti familiari.

 Coordinando un nuovo modo di concepire anche la stessa Comunità Europea, sarà possibile contrastare le mafie internazionali, assumendo il controllo dei flussi migratori, attualmente gestiti dalla potenza dell’illegalità mondiale, attraverso lo sfruttamento che coinvolge non solo i migranti, ma anche i poveri.

Certo, ci sembra di essere ancora molto lontani da queste prospettive, anzi, si ha la sensazione di un progressivo, ulteriore peggioramento della situazione. Le persone che ogni notte dormono all’addiaccio nelle nostre città, spesso sotto la pioggia, quasi sempre al freddo, pongono serie domande sul grado di civiltà delle nostre regioni.

Al di là delle legittime diversità di opinione, il rifiuto di cercare un tetto da mettere a disposizione, la mancata volontà di soccorrere coloro che sono nella necessità, addirittura la denigrazione dei volontari che spendono tempo ed energie per stare accanto ai nuovi venuti, sono segnali molto preoccupanti di un degrado del concetto stesso di “umanità”. Dire poi che “aiutare” significa incentivare le migrazioni, oltre che manifestazione d’ignoranza, è inquietante segnale d’insensibilità.

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Un bel segnale di speranza per la Slovenia, per il Friuli Venezia Giulia, il Veneto e le regioni contermini, è la proclamazione e il percorso di avvicinamento di Nova Gorica con Gorizia a capitale europea della Cultura 2025. Luoghi, che per una parte del secolo scorso hanno visto scorrere tanto sangue nelle guerre e hanno sperimentato l’oppressione della dittatura, diventano esempio a livello continentale di come sia possibile crescere insieme, nell’armonia e nella disponibilità a trasformare le incomprensioni del passato in occasione di costruzione di un nuovo modo d’intendere il fondamento europeo dell’unità nella diversità. La differenza linguistica e culturale può essere davvero una straordinaria spinta verso l’amicizia fra i popoli.

Ci si augura che questo eccezionale riconoscimento non sia interpretato solo come una semplice opportunità di arricchimento dei Comuni coinvolti oppure come la motivazione per un momentaneo abbellimento degli arredi urbani o al massimo per moltiplicare iniziative teatrali o musicali. La capitale europea della Cultura sarà tale, se diventerà capitale europea dell’accoglienza e laboratorio internazionale di giustizia e di pace. Potrebbe essere il luogo in cui s’incontrano le delegazioni di Paesi in conflitto per avviare percorsi verso i trattati di pace. E, con l’aiuto delle Facoltà universitarie e degli altri Centri accademici in Slovenia come in Italia, potrebbe essere la sede della preparazione dei Corpi civili di pace europei.

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Giovani da tutta Europa e dal mondo potrebbero raggiungere Nova Gorica e Gorizia per formarsi a essere professionisti capaci e competenti, pronti a impegnarsi con l’arma della nonviolenza, come forze di interposizione tra i belligeranti. Il sogno sarebbe la trasformazione di una delle caserme dismesse e abbandonate, in campus di studio e convivenza per i giovani impegnati in tali percorsi formativi.

Continuando a ritenere indispensabile il superamento delle anacronistiche divisioni tra le Chiese cristiane riteniamo un segno dei tempi l’impegno di riconoscimento reciproco fra tutte le forme religiose esistenti nel mondo. Esemplare, in questo tempo appesantito da gravi conflitti, il momento prolungato di silenzio vissuto alcune domeniche fa a Trieste dai rappresentanti di tutte le religioni presenti nel capoluogo regionale e protesi sul mare verso il Medioriente su un Molo Audace affollato da più di millecinquecento persone, per fare un passo incontro all’altro e accorgerci del suo dolore, per dire che Dio, in qualunque modo lo si chiami, non vuole alcuna guerra tra i suoi figli ed è tempo di essere audaci e osare la fraternità, imparando a vivere da fratelli e sorelle.

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Inoltre, guardiamo con speranza anche all’attuale momento della Chiesa cattolica. L’inconfondibile impronta della parola e dell’azione di papa Francesco ha portato fino alla celebrazione del “Sinodo sulla sinodalità”, una specie di gioco di parole che sottende la coraggiosa decisione di mettere in discussione alcuni finora apparentemente indiscutibili capisaldi della teologia e della prassi della Chiesa.

Sulla scia, ma con maggior consapevolezza rispetto allo stesso dettato del Concilio Vaticano II, vengono finalmente messi sotto la lente temi come la costituzione gerarchica della Chiesa, la differenza “essenziale” tra sacerdozio ordinato e battesimale, il riconoscimento e la valorizzazione della presenza delle donne, la libertà di coscienza e la capacità di accoglienza, la compartecipazione alle gioie e ai dolori dell’umanità contemporanea. La scelta per la pace e il disarmo sembra una strada intrapresa e si spera senza possibilità di ripensamenti, come proposto dall’autorevole magistero dell’attuale vescovo di Roma.

In questa linea vorremmo riproporre ancora l’ormai ultraventennale Via Crucis da Pordenone ad Aviano, in questi ultimi anni non troppo frequentata, soprattutto dai giovani. Forse con nuove formule e metodi, vorremmo ancora camminare insieme per denunciare la presenza di decine di armi di distruzione di massa ad Aviano e in altri centri militari regalati dall’Italia agli Usa e alla Nato e preclusi alla libera fruizione delle cittadine e dei cittadini.

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A fronte di tutto ciò l’augurio di un buon Natale non può non partire dall’immagine di Umberto Galimberti nella quale ci rispecchiamo profondamente: è quella del “viandante”. Come da viandante celebriamo la nascita stessa di Gesù di Nazareth e il prosieguo della sua vita. A dispetto del viaggiatore, interessato alla meta, il viandante incontra il prossimo che è altro da sé, è costretto a fare i conti con il cammino e le periferie, con la differenza e l’alterità… e trova nella “convivialità delle differenze” il suo futuro, che è il futuro dell’umanità, il futuro di una terra segnata dallo shalom.

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In questo spirito e con l’obiettivo di alimentare una cultura della cura e delle relazioni solidali, invitiamo alla 56a edizione della Marcia nazionale per la pace che, promossa da Conferenza Episcopale Italiana, Azione Cattolica, Caritas Italiana, Movimento dei Focolari e Pax Christi, quest’anno si terrà nel pomeriggio di domenica 31 dicembre: sarà un cammino transfrontaliero da Gorizia alla Cattedrale slovena di Nova Gorica, accompagnati da interventi e testimonianze per riprendere il passo da viandanti e assumerci la responsabilità di divenire ciascuno nel suo mondo autentico architetto e artigiano di pace e fraternità.

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I firmatari: i preti Alberto De Nadai, Albino Bizzotto, Antonio Santini, Fabio Corazzina, Fabio Gollinucci, Franco Saccavini, Giacomo Tolot, Gianni Manziega, Luigi Fontanot, Mario Vatta, Nandino Capovilla, Paolo Iannaccone, Piergiorgio Rigolo, Pierino Ruffato, Renzo De Ros; p. Bogdan Knavs (Sveta Gora – SLO); Andrea Bellavite; Lisa Pelletti Clark (Beati i Costruttori di Pace); Associazione “Esodo” di Venezia; Centro “Ernesto Balducci” di Zugliano (Ud); Gruppo “Camminare Insieme” di Trieste.

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L’immagine che accompagna l’articolo è quella di presentazione del volume di Umberto Galimberti: “L’etica del viandante”, ed è stata tratta e quindi elaborata da me, da: https://www.galatina.it.

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