Introduzione di Laura Matelda Puppini.

Marco Puppini, cioè il mio gemello, prende spunto da ciò che è accaduto allo stadio di Udine, nel corso della partita Milan – Udinese, per ricordare quanto successo tanti anni fa ai fratelli Valent, figli di un diplomatico italiano e di una principessa somala. Ma, in questa mia introduzione, vorrei precisare che la tifoseria dell’ Udinese, ed in particolare quella che assiepa la curva Nord, come purtroppo altre tifoserie italiane, non sia nuova a saluti fascisti e quant’ altro, e come in un articolo del Corriere della Sera si possa leggere che «Lo zoccolo duro degli Ultras Italia è nel Nordest — Udine e Verona, soprattutto — ma qualcuno arriva da Angri, nel salernitano, e poi da Latina, Como, Napoli, Bari, Reggio Calabria, fino raggiungere qualche centinaia. Sono gemellati con alcuni gruppi europei neonazisti, due anni fa — prima dei campionati in Germania — una delegazione ha partecipato ad un incontro con tifosi tedeschi, britannici e polacchi a Braunau am Inn, cittadina dove nacque Adolf Hitler. “Onorare la pezza tricolore” con il loro logo è l’obiettivo». (1).

Ed avevano trovato, (ma non so se abbiano ancora) proprio in Friuli, un avvocato figlio della nostra terra e residente ad Udine, Giovanni Adami, specializzato nei ricorsi al Tar contro i Daspo, i provvedimenti amministrativi che impongono ai tifosi più violenti il divieto di ingresso allo stadio, chi li poteva difendere. Infatti questo professionista aveva, nel 2008, stigmatizzato i «saluti fascisti e cori ‘Duce Duce’ avvenuti in Bulgaria da parte della tifoseria italiana (2), dicendo che «fa specie che di una trasferta da elmetto in testa, venga messo in risalto qualche braccio teso e alcuni cori “Duce Duce”». Ed ancora: «E le braccia tese? “Se qualcuno fa il gesto di stendere il braccio, non glielo si può fisicamente abbassare”». (3). Ditemi un po’ voi.

Non solo: sull’articolo di Pierfrancesco Albanese, intitolato: “Ultras e politica, una mappa del tifo nelle curve di serie A”, in: https://www.orizzontipolitici.it/ultras-e-politica-una-mappa-del-tifo-nelle-curve-di-serie-a-2/ e datato 22 aprile 2022, si può leggere, alla voce relativa all’Udinese: «Soprattutto in passato la tifoseria bianconera ha prestato il fianco a ideologie destrorse e azioni razziste, come i murales d’accoglienza con le scritte “Via gli ebrei” e “Vai nel forno” rivolte nel 1989 dagli Hoolingans Tedy Boys al neoacquisto Ronny Rosenthal, di nazionalità israeliana. Ma non mancano episodi più recenti, come il coro “Vesuvio lavali con la lava” rivolto ai tifosi napoletani nel 2018 a seguito della richiesta di provvedimenti nei confronti delle tifoserie razziste avanzata dall’allora allenatore partenopeo Carlo Ancelotti. Oltre agli Htb, storici gruppi con tendenze filo-naziste sono i disciolti Nord Kaos e i North Boys».  Ma anche lì la tifoseria della squadra friulana era in buona ed ampia compagnia.

E per quanto riguarda Ronny Rosenthal, calciatore israeliano, quando giunse ad Udine per sottoporsi alle visite mediche che precludevano alla firma di un contratto col club friulano, fu accolto dagli ultras dell’Udinese «con tre scritte dipinte sul muro della sede della società, “Rosenthal go home”, “Via gli ebrei dal Friuli” e “Rosenthal vai nel forno”». (4).

E sullo stemma della città di Tolmezzo, in versione ‘nera’ e presente sulla piazza della cittadina carnica dopo la proclamazione di Roberto Vicentini sindaco, così si è espresso lo stesso, fotografato dietro in posa asssieme al figlio ed altri due: «È un regalo di un amico, che è parte di un gruppo di tifosi dell’Udinese, amici da sempre, con cui vado allo stadio da decenni, ci andavamo pure con i figli piccoli. È venuto a portarmelo lunedì ed è legato solo alla nostra passione sportiva. Il mio soprannome è 1896, anno di nascita dell’Udinese», dicendo di dissociarsi dai saluti fascisti nel bar a due passi. (5). Questo per dire che allora incominciai a capire che il ‘nero’ girava, magari giocando sui colori della squadra, fra le file di alcuni tifosi dell’ Udinese. Quindi incominciai a ricercare. E se erro correggetemi.

Ho scritto questa introduzione per sottolineare che la purezza diamantina dei friulani e degli abitanti del Friuli non esiste, e che alcuni tifosi dell’ Udinese, come di altre squadre di calcio, hanno già manifestato la loro propensione per il fascismo ed il nazismo, utilizzandone frasi e simboli. Ed è inutile nascondere la testa sotto la sabbia, come fanno gli struzzi, o giustificare, minimizzando, o dicendo che in fin dei conti “Così fan tutti”. E preciso che braccia alzate nel saluto fascista sono state da me viste anche in una scuola, tanti anni fa, e che un pensiero di matrice fascista credo alberghi molto più di quanto si pensi nella nostra Regione da anni ed anni e forse non è mai morto, grazie al fatto che viene vissuto come l’alternativa al comunismo, che nessuno sa più, però, che cosa sia. Almeno discutiamo su questi aspetti, e grazie a Marco per avermi permesso di scrivere queste righe. E se Luciano Canfora ha appena pubblicato un volume dal titolo “Il fascismo non è mai morto”, qualche motivo per scriverlo l’avrà avuto. Ma passo ora al testo di Marco, che racconta una storia triste, davvero triste, di quelle che non si possono sentire

Laura Matelda Puppini

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Marco Puppini. Razzismo friulano. In ricordo di Dacia e Giacomo Valent (6).

«In occasione degli insulti razzisti rivolti da alcuni tifosi dell’Udinese al portiere del Milan durante la partita del 20 gennaio allo stadio Friuli, è ritornato all’attenzione dei media il tema del razzismo. I friulani hanno goduto di importanti difese d’ufficio; è stato lo stesso Fedriga, governatore della regione, ad affermare che “Questa terra non è razzista” (Il Messaggero Veneto 21 gennaio 2024).

È vero solo in parte, un breve ripasso a memoria di vicende passate dice il contrario. Non parlo degli anni di guerra, delle colonne dei prigionieri jugoslavi condotte nel campo di concentramento di Gonars mentre alcuni friulani assiepati sul bordo della strada (pare fossero in ogni modo alcune decine, altri si davano da fare per portare aiuto e solidarietà ai prigionieri) sputavano loro addosso (Alessandra Kersevan, Lager italiani. Pulizia etnica e campi di concentramento fascisti per civili jugoslavi, Nutrimenti, 2008 p. 337). Certo, in questo caso giocava la propaganda fascista e le notizie che ricevevano queste persone, magari con familiari sul fronte orientale, sulle “barbarie” dei partigiani jugoslavi. Non parlo delle famiglie ebree deportate in massa dalle cittadine friulane (San Daniele, Udine, Gorizia, Gradisca d’Isonzo ecc.) probabilmente per l’intervento di qualche spia che lo faceva magari per tornaconto personale. Parlo di momenti più recenti. Di quel Friuli (e di quella Italia) degli anni Settanta ed Ottanta, appena uscito dal cosiddetto boom economico, che presentava, accanto ad altre meno inquietanti, anche una faccia oscura, violenta, razzista, maschilista.

Riguardo quest’ultimo, ricordo solo brevemente che dal 1971 al 1991, nel corso di vent’anni, ha luogo in Friuli una strage di donne, quasi tutte prostitute. Ne sono state uccise quattordici, una ad una singolarmente e con regolarità, accoltellate, strangolate, a volte sezionate con una tecnica perfetta, almeno in quattro casi le uccisioni erano riconducibili ad una persona singola, versione friulana del più conosciuto mostro di Firenze. Per due di questi casi sono stati arrestati a suo tempo altrettanti sospetti, un terzo è stato scagionato, per le altre dodici vittime i colpevoli non sono mai stati né individuati né trovati, non hanno mai avuto giustizia (In un ventennio 14 omicidi e 3 arresti, Messaggero Veneto 27 gennaio 2012).

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Il 26 gennaio 2015, esattamente otto anni fa, moriva Dacia Valent. Figlia di un diplomatico friulano e di una principessa somala, era nata a Mogadiscio nel 1963. Nel 1980 la famiglia si era trasferita in Friuli. Non conosciamo le sue aspettative, dopo tutto era la terra di cui suo padre era originario. Certo non si aspettava che uno dei suoi fratelli, Giacomo, fosse ucciso cinque anni dopo in una casa abbandonata da due compagni di scuola con 63 coltellate, poi infilato in un sacco di plastica e malamente nascosto. Compagni di scuola di 14 e 16 anni, che frequentavano un liceo linguistico privato e che provenivano dagli ambienti della Udine “bene e agiata”, borghese. Perché lo avevano fatto lo avevano spiegato subito i compagni di classe: era uno sporco negro, a scuola lo deridevano, pensavano si meritasse una lezione (Giorgio Cecchetti, Era uno sporco negro. Per questo l’hanno ucciso, La Repubblica 30 luglio 1985 (archivio digitale).  Uno di loro confesserà quasi subito. Era il 10 luglio 1985, Giacomo aveva 16 anni. Non sarà la sola esperienza traumatica che Dacia dovrà vivere in Italia.

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Dacia inizia a studiare Giurisprudenza, si arruola nella polizia di stato, viene inviata per servizio a Palermo. Nel gennaio del 1989 denuncia di aver subito molestie sessuali ed un’aggressione da parte di un individuo, italiano, che si rifiutava di mostrare i documenti ad una “poliziotta negra”. I suo colleghi poliziotti non l’avevano difesa, e neppure avevano fermato l’energumeno che si era allontanato indisturbato. Un mese dopo trova nell’auto di servizio due preservativi usati, ed alcuni giorni dopo qualcuno la insulta dalla radio di servizio (Palermo today blog, Amarcord 1983. La poliziotta nera a Palermo e il razzismo. 35 anni fa il mondo scopre Dacia Valent, 11 gennaio 2024.). I fatti diventano pubblici, si mette in moto un grande movimento di solidarietà, il PCI, allora guidato da Achille Occhetto, la candida alle elezioni europee del giugno 1989 e Dacia viene eletta eurodeputata, la prima donna di colore in Italia. L’Italia, se ben ricordo, ha avuto solo una deputata di colore al Parlamento italiano, Cécile Kyenge, col governo Letta tra 2013 e 2014, ventiquattro anni dopo l’elezione di Dacia. Sappiamo che Kyenge venne definita una donna “con le sembianze di un orango” da Calderoli, che poi si salvò dall’incriminazione per istigazione al razzismo grazie al voto bi-partisan di destre e PD. Dal momento in cui viene eletta, la vita di Dacia diventa un susseguirsi di disgrazie, cadute, dolori.

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Nel 1991 il Partito Comunista si scioglie e nasce il Partito Democratico della Sinistra, Dacia non lo segue e si iscrive a Rifondazione Comunista. Nel 1992 diventa anche segretaria della sezione italiana dell’organizzazione antirazzista SCORE. Nel 1994 si candida alle politiche ma ottiene un numero bassissimo di voti e non viene eletta. Viene espulsa da Rifondazione, non conosco la ragione, ma certo che viene isolata nel mondo politico a causa delle posizioni prese contro Israele sulle colonne della rivista “Avvenimenti”. La carriera politica è finita nonostante una ulteriore e fallita candidatura alle europee del 2004 con la lista Di Pietro – Occhetto.

Ha difficoltà anche con la gestione finanziaria dello SCORE finendo rinviata a giudizio. Ma è sul piano personale che arrivano i problemi maggiori. Il 2 aprile 1995 finisce in carcere con l’accusa di aver tentato di uccidere a coltellate l’uomo con il quale aveva una relazione, e che lei aveva in precedenza denunciato dichiarando di essere stata picchiata nonostante fosse incinta. Nel 2003 si converte all’Islam e fonda la Islamic Anti Defamation Ligue, per tutelare gli islamici perseguitati a causa della loro religione. La sua vita continua tra problemi giudiziari e lotta accanita contro certi ambienti leghisti e berlusconiani condotta senza peli sulla lingua e forse troppa irruenza. Muore il 22 gennaio 2015, di infarto, in ospedale; era ancora giovane, aveva 51 anni (Morta Dacia Valent, fu eurodeputata: dalle lotte antirazziste al carcere, Il Fatto Quotidiano 26 gennaio 2015. Morta l’ex europarlamentare Dacia Valent, Il Messaggero Veneto 26 gennaio 2015).

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Certo, la persona ha fatto e farà ancora discutere, la mia impressione è che sia stata una donna che ha vissuto esperienze laceranti e che ha lottato tutta la vita per trovare una posizione in un mondo che la rifiutava in quanto nera e donna, o che non la ha capita e supportata. In ogni caso, tornando al tema che mi ero proposto, la memoria, scomodissima, di Giacomo e Dacia ci riporta a quel filo nero, razzista, violento, fascista, che ha percorso e continua a percorrere, sia pure credo (spero) minoritario, la storia del Friuli.

Marco Puppini»

Note.

(1) Fiorenza Sarzanini, Il leader-avvocato: «Le braccia tese? Non si possono abbassare con la forza», in: https://www.corriere.it/cronache/08_ottobre_13/avvocato_ultras_italia_cori_fascisti_3fd93ede-98f2-11dd-bf8a-00144f02aabc.shtml. Sulla figura dell’ avvocato Giovanni Adami,  residente ad Udine, si trova anche in rete che egli è «Un personaggio, che gira l’Italia in giacca, cravatta, jeans e ventiquattrore per assistere «curve» e «brigate» d’ogni tipo, dalla Sicilia alla Liguria, dal Veneto alla Lombardia, passando per il Lazio e per tifoserie organizzate anche «minori». (https://bergamo.corriere.it/bergamo/notizie/cronaca/14_gennaio_18/giovanni-adami-avvocato-ultras-tifosi-processo-bergamo-b7024c40-801d-11e3-be9a-e1e430257234.shtml).

(2) Fiorenza Sarzanini, Il leader-avvocato, cit.

(3) Ivi.

(4) “Il razzismo che il calcio continua a tollerare, in: https://pallonateinfaccia.com/2018/12/27/il-razzismo-che-il-calcio-continua-a-tollerare/.

(5) Non solo carnia ma anche molte testate nazionali hanno riportato dei saluti fascisti per la festa del sindaco Vicentini, e quanto ho scritto qui è ripreso da: “https://www.studionord.news/polemica-per-i-video-e-le-foto-dei-festeggiamenti-per-vicentini-sindaco/.

(6) L’ assassinio di Giacomo Valent, avvenuto nel 1985, perchè era uno sporco negro, fece scalpore all’ epoca, e così si legge su: https://www.ilfriuli.it/territorio/friuli-1985-in-pillole/: «Due fatti di ‘nera’ scuotono il Friuli nell’estate ‘85, l’ultima del sindaco Angelo Candolini, il più amato primo cittadino del dopoguerra, che scompare il 2 ottobre dopo 10 anni a Palazzo D’Aronco. Il primo caso è l’ennesimo femminicidio del ‘mostro di Udine’ (sono gli anni di Pacciani e ‘compagni di merende’ nella campagna fiorentina): un killer senza identità, che tra il 1971 e il ‘91 avrebbe assassinato una quindicina di donne, in gran parte prostitute. A far rumore è però l’omicidio di Giacomo Valent, figlio 16 enne di un diplomatico friulano e di una principessa somala, attirato in una casa abbandonata vicino alla sua scuola da due compagni di classe e barbaramente ucciso con 63 coltellate. La provenienza degli assalitori – la ‘Udine bene’ – e il movente – il razzismo – cancellano il 10 luglio l’immagine della città e dell’intero Friuli come ‘isola felice’». Per quanto riguarda Dacia Valent, basta digitare il suo nome su di un motore di ricerca, per trovare diversi articoli su di lei e su quello che subì essendo donna, di colore, comunista, poi avendo aderito alla religione islamica e avendo accoltellato il marito che la picchiava. 

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L’immagine che accompagna l’articolo è tratta da: “https://www.strisciarossa.it/le-radici-profonde-del-razzismo-anche-nelle-istituzioni/” e correda un articolo di Pietro Greco «a ricordo di quanto accaduto a Beatrice Ion, atleta della nazionale italiana di basket in carrozzina, vittima insieme al padre, di una vergognosa aggressione fisica e verbale a sfondo razziale». (…). «Un episodio che dimostra due cose. Primo: il movimento mondiale nato dopo l’assassinio di George Perry Floyd avrà ancora molto da lavorare per sconfiggere il razzismo. Secondo: l’Italia non è al riparo da questo problema. Anzi. Cercando di negarne l’esistenza, è più esposto di altri». L.M.P. 

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