Io credo che si possa parlare a più voci, non però a casaccio o su chiacchiere da bar,  su di una persona dello spessore di Romano Marchetti, intellettuale, di cui ho curato le memorie ed ho dato le linee interpretative del pensiero (1), ma bisogna aver letto anche qualcosa di suo, per esempio ‘Da Maiaso al Golico …”, averlo conosciuto, parlarne con rispetto, non voler forzare il suo pensiero, magari prendendo spunto da un concetto o due da lui espressi per proiettarli all’interno di un discorso filosofico complesso che ben poco gli apparteneva, come ho sentito fare una sera ad un incontro, uscendone piuttosto perplessa. E non si può utilizzare Romano ed alcuno a proprio uso e consumo, non si può pensare che bastino due parole per descriverlo od averlo frequentato un paio di volte per un suo compleanno ed aver scattato una foto con lui.  

E per quanto riguarda i suoi compleanni, vi racconto, per inciso, quanto accadutomi per i suoi 92 anni. Era stata organizzata una festa, fra pubblico e privato, con più invitati per quell’occasione, a cui non potei, per motivi di lavoro mi pare o altro, partecipare. Così, incontratolo per strada e per caso un paio di giorni dopo, mi scusai con lui e gli feci gli auguri ed egli mi disse, non certo con voce dolce: «Anche tu mi fai gli auguri per i miei 92 anni? Ma sai cosa vuol dire avere ormai 92 anni?» intendendo che gli sarebbe rimasto ben poco da vivere ancora. Era legato Romano alla vita, che tante volte aveva rischiato da militare e partigiano.  

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Ma per riprendere il filo del discorso iniziato su Romano, dopo questo inciso, bisogna ricordare che non era un filosofo anche se parlava pure di concetti metafisici, era steineriano, era un riflessivo anche se ogni tanto si adirava, era un uomo più pratico di quanto non sembrasse, era un acuto osservatore, ed ebbe tutta la vita un problema, come molti: quello di procurare il pane per sé e per la famiglia e dare un futuro ai figli. Ed il come fare a mangiare ed a sopravvivere interessò ampiamente la Carnia e non solo pure all’alba del secondo dopoguerra (si pensi alla fame che attanagliava, per esempio, la Jugoslavia, ma anche gran parte dell’Europa, accanto ai movimenti di uomini ed alle migrazioni anche per lavoro). E le contingenze pratiche ebbero, sul pensiero ed azione di Romano Marchetti, una forte influenza. Egli, dopo una fase iniziale di apprendimento e sviluppo del suo pensiero, che andò via via arricchendosi, credo abbia proceduto sempre dal particolare all’universale, per poi ritornare alla pratica, per cercare di dare od almeno ipotizzare soluzioni ai problemi della vita e della società. E non a caso il perito agrario Sandro Menegon intitola un paragrafo del suo scritto sempre pubblicato su Storia Contemporanea in Friuli n. 55 – 2020, relativo a Romano Marchetti,: “Agronomia ed attenzione sociale”. (2).

E, per capire l’agire di Romano, bisogna soffermarsi sulle finalità che egli dava al suo operare, spesso legate al miglioramento della situazione civile del territorio: «Per ottenere l’incivilimento o rincivilimento di una zona dimenticata da secoli, occorre per prima cosa informare, progettare, sognare» (3), scriveva riferendosi alla Carnia.

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E non a caso, sempre nelle sue memorie, sottolinea come, a fine guerra, a lui pareva «che il problema di fondo fosse quello di affrontare la miseria italiana, e quindi, in sintesi, di offrire all’agricoltura, settore allora dominante, uno strumento di bonifica integrale». (4). E quando narrava il sogno di Angelo Cucito Tredici, come glielo aveva riferito il partigiano comunista veneziano, pareva quasi partecipare di quel clima di pace e prosperità che presupponeva, e per cui lottavano i partigiani tutti.  «… “te vedi? – gli disse Tredici– Un monte de roba di tutti i zeneri e la zente che se la prende quando vòl…» (5).  

Questo era il sogno principalmente di chi aveva sofferto la fame e aveva “stretto la cinghia”. E Romano stesso non solo ai tempi della guerra soffrì la fame ma, per sua ammissione, anche a Savona, dove scrive di aver saltato numerose cene e di aver furtivamente assaggiato qualche albicocca dimenticata nei frutteti vendemmiati, o qualche pomodoro, con la scusa di verificare il risultato di una sperimentazione agricola. (6).  Ma egli era in buona compagnia, infatti come ricorda relativamente ai primi anni del secondo dopoguerra: «Per quanto riguarda i soldi, la si tirava un po’ tutti con i denti, o peggio» (7).  

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A livello di struttura sociale, dopo la fine del fascismo, Romano sogna il circondario e guarda alla Svizzera, mentre vorrebbe «una Europa unita fondata sull’assetto confederale nei termini propugnati dal Cattaneo» (8), senza le province, perno, secondo lui, di concentrazione del potere in alcuni luoghi e di emarginazione per altri. Da ciò egli derivava che i carnici erano più vicini agli emarginati neri del Ruwenzori, dimenticati da governo e politica, che alla borghesia udinese (9).

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Ma passiamo all’archivio di Marchetti. Noi in una biblioteca personale possiamo trovare diversi volumi, per esempio, ma cosa avremmo fatto, nel caso di Romano, per comprendere come i loro contenuti avessero influenzato via via il suo pensiero se egli non ci avesse dato la chiave di lettura? Questo scrivo per sottolineare i limiti di un archivio, o meglio delle carte e dei libri trovati in casa di una persona, il che non preclude però anche il suo valore. Ma i soli elementi di un archivio personale possono dare informazioni incomplete su di un soggetto se non si uniscono ad altri: un diario per esempio, come “Da Maiaso al Golico. Dalla Resistenza a Savona. Una vita in viaggio nel ‘900 italiano”, nel caso di Romano, la conoscenza personale, qualche incontro e nota biografica nel caso di Giorgio Ferigo, non avendo egli lasciato scritti personali sulla sua vita, (e non avendolo alcuno intervistato sulla stessa) ma solo la sua sensibilità intrisa di comunismo.

Ma nonostante l’intervento di Marino Zanier, fratello del ben più noto Leo a Comeglians, ad un incontro dell’Associazione Giorgio Ferigo, in cui aveva fatto presente il comunismo, dimenticato, di Giorgio, che aveva impregnato tutta la sua vita anche lavorativa, non permettendogli di esplicare completamente le sue capacità in un mondo tinto per lo più dal ‘bianco fiore’, non gli fu dato ascolto. E mi pare che forse l’allora presidente dell’Associazione mi disse che si poteva scindere, in sintesi, l’intellettuale dall’uomo politico e dal suo credo, che sarebbe come scindere Romano dal suo pensiero mazziniano. Così Giorgio dalla camicia bianca con la sciarpa rossa al collo, Giorgio con il pugno chiuso alzato, Giorgio il comeglianòt comunistàt è forse destinato a svanire, mentre si tende a spingere la sua figura, dopo la sua morte, verso una categoria superiore di superuomini intellettuali. E se erro correggetemi.

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Ma per ritornare a Marchetti, come già precisato a chi mi ‘guardava con occhio torvo’ pensando avessi documenti originali di Romano in casa, ma ho solo fotocopie, egli ha donato alcuni originali e due quaderni manoscritti, ripieni di notizie minuziose fin troppo, tanto da risultare noiose,  all’Istituto Regionale per la Storia del Movimento di Liberazione nel 1978, essendo egli legato da profonda amicizia ad Ercole Miani e Galliano Fogar e piuttosto ‘allergico’ diciamo così, almeno in un primo momento, all’Ifsml, come a tutto ciò che sapeva di ‘friulano’.  Pertanto presso l’Istituto triestino si trova un fondo contenente relazioni, verbali, documenti vari riguardanti momenti diversi della vita di Romano, il cui elenco si trova in: https://www.irsml.eu/archivio-bis/i-fondi/251-marchetti-romano.

Quindi il cosiddetto archivio di Marchetti, cioè la raccolta di carte, documentazione, riviste, libri personali che ci possono aiutare a conoscerlo, come in altri casi, (per es. nel caso del prof. Michele Gortani) non si trova tutto presso l’abitazione. Pertanto la dicitura corretta per l’insieme delle carte e dei libri reperiti in casa di un soggetto, potrebbe essere più propriamente ‘archivio domestico’, il cui contenuto dovrebbe incrociarsi, a livello telematico, con altra documentazione relativa alla stessa persona presente in altri luoghi, per permettere una visione di insieme.

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Inoltre uno può non vivere solo, e anche Romano era sposato e voleva molto bene a sua moglie Lyda ed ai suoi figli ma, nel caso specifico, le librerie di casa Marchetti, per quello che ho visto, contenevano solo carte, fotocopie e volumi suoi. Ma può darsi che in alcuni casi in una dimora non si reperiscano più pubblicazioni che avevano avuto una grande influenza per il pensiero e l’azione di chi vi abitava. Per fare un esempio, a casa Plozzer si trovano molti libri gialli che mia madre leggeva, fin da ragazza, per diletto, da lei tenuti gelosamente per il loro valore affettivo, mentre non si trova nulla di mio zio Umberto, o ben poco, benché avesse giornali, riviste, libri, ritagli di giornali, volumi di matematica fatti venire dall’estero, che mia madre ha giustamente donato, e leggesse regolarmente l’Espresso, anche quando io ero una adolescente. Inoltre, guardando sommariamente, non credo si trovino, in detta casa, copie di ‘La Rocca’ che però ha sicuramente influenzato il pensiero dei miei genitori più dei libri gialli di mia madre. Mio padre aveva poi un nutrito archivio di volumi settecenteschi, in una vecchi casa a Cavazzo Carnico, finiti, al tempo del terremoto del 1976, con suo grande dispiacere, sotto la pioggia e buttati via. Ma molto è andato perso a causa di quei tragici eventi.

Insomma i documenti, libri, riviste, giornali presenti in un archivio personale domestico si inseriscono nella vita di una persona nei suoi vari momenti, ma è difficile farli parlare da soli, e parte degli stessi possono essere andati perduti.

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Non da ultimo, spesso la collocazione di volumi e documenti danno una idea dell’importanza che essi rivestivano per il de cuius. I più preziosi sono spesso celati agli occhi dei più, gli altri sono collocati a seconda della loro importanza anche affettiva. Così è accaduto pure, ma sto parlando a memoria mentre il ricordo si fa sempre più  sfumato, per volumi e carte dell’archivio domestico di Romano Marchetti.

Alla sua cantina, ma era un garage sotterraneo, ove si trovavano, da quanto mi ha narrato, le carte per lui più preziose, non ho mai avuto accesso in anni ed anni, ma potrebbero esser state oggetto di una pulizia domestica, poi vi erano le piccole librerie di casa. Quella del suo studio, a memoria, conteneva forse un paio di volumi di agraria, risalenti ai tempi dell’università, forse qualche altro libro e carte e fotocopie strette da elastici, relativi alla comunità carnica ed altro ancora. Altri volumi erano invece posti sia nella piccola libreria, sempre aperta, in corridoio, sia in una più grande mi pare in sala, dove però era più facile trovare volumi a lui donati, seppur considerati interessanti. Ma se qualcuno ha mantenuto ricordo della disposizione meglio di me, magari può aiutarmi.

E con queste righe termino questo articolo, l’ennesimo su Romano, chiedendomi pure, come ultima provocazione, cosa serve in Carnia avere tutto l’archivio storico della Coop-ca nel magazzino comunale, buttato in scatoloni, senza che possa esser consultato ma anche salvaguardato, e gli archivi domestici di Ferigo e Marchetti sepolti in casa del ‘Botér’ dove, almeno quando ci sono stata io, non c’è un impiegato, neppure per qualche ora a settimana, rendendo difficile la consultazione, manca una fotocopiatrice, c’è una luce artificiale pessima per fotografare, mentre l’archivio ‘Gortani’, che il professore voleva fosse donato alla consultazione di giovani e studiosi all’interno della sua grande sala,  pare svanito nel nulla. Scusatemi amici dell’Associazione Giorgio Ferigo ed altre, ma di questi temi dobbiamo pur parlare, come del dimenticato museo della pieve di Gorto, posto in un luogo umidissimo.

Ma a mio avviso, con tutte le sale vuote che ci sono a Tolmezzo ed in Carnia, un dovere si impone: quello di creare un centro culturale a Tolmezzo, adeguato o da adeguarsi, con un impiegato a tempo pieno, ove gli archivi sia della Coop Ca (che è un patrimonio anche a livello monetario) sia di Ferigo e Marchetti trovino giusta collocazione, siano salvaguardati in ogni senso, e siano consultabili. Inoltre carte dell’antico archivio di Tolmezzo giacciono pure negli ex capannoni militari, che io sappia, ma bisogna far attenzione che non si rovinino. Dovreste vedere in Austria come tutelano un solo dipinto, se di valore! Persi foto ed archivi sarà cancellata parte della nostra storia e sopravviveranno solo le piste per motoslitte, e qualche nuovo stradone già destinato a franare. La Regione Fvg ha 4 miliardi di entrate, cerchiamo almeno che ci diano due lire per proposte serie culturali sul nostro territorio, che potrebbero aiutare anche altre forme di turismo possibili ed ulteriore occupazione in loco. (Cfr. su www.nonsolocarnia.info anche, nel merito,: Carnia. Per una progettualità futura di salvaguardia e promozione turistica dei musei e siti ecclesiali: l’incontro di Ovaro.

Laura Matelda Puppini

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Note.

1 – Romano Marchetti (a cura di Laura Matelda Puppini) “Da Maiaso al Golico, dalla Resistenza a Savona. Una vita in viaggio nel ‘900 italiano, Kappa Vu ed., 2013 e Laura Matelda Puppini: “Romano Marchetti mazziniano e partigiano, in Storia Contemporanea in Friuli, n. 51 – 2020, ed. Ifsml, pp. 216-230, che riporta quanto ho detto nell’ incontro di Paluzza, tenutosi il 19 settembre 2020, dedicato a Romano Marchetti.

2 – Sandro Menegon, Libertà, professionalità e lungimiranza. Romano Marchetti, agronomo nella Carnia del secondo dopoguerra, in Storia Contemporanea in Friuli, n. 51 – 2020, ed. Ifsml, pp. 256- 266.

3 – Romano Marchetti (a cura di Laura Matelda Puppini) “Da Maiaso al Golico, cit.’ p. 185.

4 – Ivi, p. 192.

5 – Ivi, p. 138.

6 – Ivi, pp. 255-256.

7 – Ivi, p.197.

8 – Ivi, p. 192.

9 – Ivi, p. 192.

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L’ immagine che accompagna l’articolo rappresenta Romano Marchetti che mostra la sua mappa sulle distanze possibili per i pendolari perché chi lavora no se ne vada, è stata scattata ad Ampezzo ed è tratta da carnia.la. L. M.P.

 

 

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