Un progetto per la Carnia già scritto a più mani.

Ho letto con attenzione il “Manifesto per la Carnia dopo la pandemia. ‘Ricostruire una comunità’”, proposto da Franco Corleone e Lugi Cortolezzis, e, pur apprezzando la buona volontà, ma non capendo il nesso con il coronavirus, lo ritengo, a livello propositivo, ancora sulla scia della vecchia concezione della montagna, con una apertura, per me discutibile, verso il mondo cattolico, che sogna di fare qui una nuova Riace, senza neppure aver analizzato la differenza tra la situazione presente qui e nel paese calabro, anche a livello climatico e culturale rispetto all’utenza interessata.

Quella Carnia abbandonata, ma perché?

La prima cosa da dirsi è che la Carnia è stata abbandonata dai suoi abitanti per la mancanza di lavoro e, successivamente, di servizi, oltre che per la carenza di una molteplicità di proposte economico – culturali che guardassero al territorio, all’innovazione e al rinnovamento.  Inoltre diceva mia nonna, a Tolmezzo tutto costava più che ad Udine. Così anche per voler mantenere affitti alle stelle, alcuni negozi hanno chiuso, mentre altri non hanno avuto il ricavo economico che si aspettavano, ora più che mai, ma è storia nazionale.

Gli interventi edilizi sono sempre costati molto in Italia, in rapporto agli stipendi medi di operai ed impiegati, e molto si è speso anche in Carnia nel post terremoto di liquido proprio per aggiustare le case ed i paesi, ma ci si è dimenticati poi di fare manutenzione sul territorio o di sistemare la statale 355 della Val Degano, dove se passano due tir rischiano di incastrarsi e chi è dietro di essere coinvolto in un incidente. (Cfr. Lettera aperta di Franco D’Orlando sulla viabilità in Carnia, in: nonsolocarnia.info), mentre si è abbellita oltre misura la Val del But, (Ivi) che, diciamocelo, è sempre stata la preferita dalla politica. Tralascio l’argomento dell’assurdo consumo di suolo e soldi per avere, in ogni villaggio, una scuola magari poi trasformata in casa per anziani ed una piccola zona industriale per fabbriche mordi e fuggi come la Miro di Ovaro o la De Longhi di Ampezzo, che rappresentò il sogno di un lavoro per molte giovani donne, infranto dalla scelta aziendale di un futuro cinese. Ma allora la Cina pareva il nuovo paese di Bengodi e forse lo fu. (Per la politica di sviluppo della Carnia negli anni sessanta – settanta cfr. Romano Marchetti Romano (a cura di Laura Matelda Puppini), Da Maiaso al Golico, dalla Resistenza a Savona, una vita in viaggio nel Novecento italiano, IFSML e Kappa Vu ed., 2013 e  https://www.nonsolocarnia.info/carnia-problemi-di-oggi-problemi-di-ieri-lintervento-di-tiziano-miccoli-al-i-convegno-sul-tema-la-cooperazione-nella-nuova-comunita-montana-tolmezzo-il-26-febbraio-1972/).

Intanto, puntando su non si sa quale turismo, si spendeva in bocciodromi e campi da tennis, magari indebitandosi, mentre lentamente sparivano punti di pubblica amministrazione, caserme, stazioni di polizia, ed invece restavano, in un modo o nell’altro, le servitù militari anche se non nella forma da guerra fredda degli anni cinquanta, ove molti orizzonti finivano con un filo spinato e un divieto di accesso e di fotografare, e comparivano pista guida sicura, motociclisti a frotte, il poligono di tiro.  

Insomma ed in sintesi, per anni ed anni abbiamo inseguito strane teorie privatistiche dello sviluppo, forse anche per non esser confusi con i comunisti ed i socialisti, totalmente sbagliate, guardando al becjut immediato, e dimenticandoci di analizzare quanto fatto nel vicino Trentino Alto Adige con mentalità austriaca, che molto ci avrebbe potuto insegnare, e di trarre ispirazione da esperienze estere, ed i risultati di 75 anni di errori si pagano e vedono oggi, mentre ancora non sappiamo guardare lontano. Diciamocelo pure: in questa Carnia asservita al pensiero catto- destrorso friulanista ed iper-liberista, abbiamo creduto all’uomo della provvidenza, al soldo piovuto dal cielo, abbiamo preso quello che c’era sul mercato e forse qualcuno ha pensato anche all’amico dell’amico, ma mi scuso subito per averlo pensato. Non da ultimo abbiamo accettato quello che ci dava il politico di turno ed il suo rappresentante di turno, senza valutarne l’impatto.

 Ma bisogna dire che non tutte le scelte che ci hanno travolto sono state nostre, ma anche della politica regionale, nazionale, dell’Europa della finanza, come l’accentramento rispondente alla logica del risparmio, che ha trasformato la Carnia in un deserto. Poi fatto questo, dopo i soliti: mi dispiace ma … mentre la Carnia non era più capace di parlare o protestare, si è cercato di aggiustare un po’ la situazione parlando di mancanza di comunità, che neppure prima di fatto c’era, se non fino al primissimo secondo dopoguerra, e trasformando, con successivi passaggi, la gloriosa Comunità Carnica nell’Unione territoriale, spostando l’ottica dal concetto di  Comunità a quello di Unione territoriale, che è cosa completamente diversa, sperando poi di ricostruire astratte e fittizie comunità locali partendo dall’esistente e per mano di terzi.  (Cfr. l’intervento di Claudio Pellizzari ed altri intitolato: Lo stato dell’arte. Intrecci e mappe di comunità attiva, tenutosi a Paluzza il 14 luglio 2018). 

Ora se si vuole ripartire si deve iniziare a credere nelle potenzialità del nostro territorio montano, non a viverlo o pensarlo solo come una zona depressa e spopolata riprendendo in mano il testo “la montagna come risorsa”, (Cfr. Dalla montagna perduta alla montagna risorsa, in: www.nonsolocarnia.info), che è un piano di intenti progettuali e di valorizzazione della montagna, partendo dalla ricostruzione nel territorio dell’economia e dei servizi, e pretendendo una nuova delocalizzazione degli stessi unita ad una rete sovrastrutturale che si possa definire tale.  Perché che ci chiamiamo area interna o zona sottosviluppata, la sostanza è sempre quella e non è cambiato niente di niente, tranne che si sta svuotando anche la pedemontana. La sola variante è che, con i soliti balzelli, si è riusciti a dividere anche i comuni carnici di quattro gatti in quelli che sono andati a formare l’area detta interna, e quindi candidati ad avere il soldino piovuto dall’alto, e quelli no, il che a me è parso invero ridicolo, mentre Eberhard l’austriaco comperava i nostri boschi alpini, (L.M. Puppini, Marco Lepre. Eberhard, il padrone di ettari ed ettari di bosco carnico, e l’impianto della Vinadia, in: nonsolocarnia.info), veniva chiuso il Cesfam di Paluzza, e centraline si univano alle centrali ad alterare l’assetto idrogeologico delle nostre valli. Unica consolazione, si fa per dire: siamo in Italia in buona compagnia con il Molise, una Calabria spopolata, la Sardegna e via dicendo. E ci siamo sinora lasciati depredare o ci hanno costretto a farci depredare, dandoci solo, forse, i ‘frucions’, presi pure dal nostro amore per il ‘forest’ mentre le nostre migliori intelligenze se ne andavano per sempre ad arricchire altre terre.

Ora siamo giunti alla resa dei conti finale con questa mentalità catto-destrorsa che ci ha ucciso, con quel liberismo tanto qui adulato che non ci ha dato nulla di nulla, con quel sogno di arricchimento mutuato dal periodo del post- terremoto. E scusatemi per quanto ho scritto e se erro correggetemi.

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Dobbiamo credere nella nostra terra, e ricostruire la rete infrastrutturale ed economica in modo nuovo. Quando ero piccola qui prosperavano i frutteti, e negli anni novanta ma forse anche poi, si trovava la mela florina da acquistare, ed ancor oggi quattro valorosi che tutti conosciamo tentano di produrre e vendere fagioli, farina, prodotti della terra. Ma sono soli, non hanno mezzi, hanno chiesto e tornato a chiedere il frigo detto Rilcto Aco, per mantenere i loro prodotti, promesso ma, pare, mai giunto. Ed in questo modo non si andrà oltre il mercato contadino del lunedì o sabato. Perché bisogna unirsi, creare cooperative altrimenti il piccolo, da solo, è destinato a morire ed a lavorare molto per produrre poco, e bisogna studiare forme di comunione degli strumenti di lavoro, e la scissione fra produzione e vendita in campo agricolo. E se andate in Trentino Alto Adige, in val di Non vedete terrazzamenti che si inerpicano sui monti pieni di frutteti, ed in Carnia anche le susine potrebbero ottenere un buon risultato. Ma qui lavorare la terra è ancora considerata un’attività secondaria.

Inoltre il nostro territorio montano, i nostri boschi, i nostri monti, i nostri rii, hanno bisogno di manutenzione prima che di centraline, di cercatori giornalieri di funghi od arrampicatori, e non necessitano, in modo alcuno, di motociclisti abusivi e non, di moto- cavalcate e quant’altro, e la realizzazione, nel 1921, dell’Ente Economia Montana da parte del grande Vittorio Cella ed altri aveva posto in primo piano, a livello economico, l’integrazione dell’iniziativa pubblica con quella privata nella messa in valore della proprietà terriera incolta e suscettibile di notevole aumento della produzione agraria, forestale, estrattiva e della pastorizia, avvalendosi, in particolare, delle Cooperative agricole esistenti; la compilazione  progetti su incarico degli Enti interessati; la predisposizione, nei limiti delle possibilità, su incarico di Comuni ed Enti Pubblici, di piani organici ed economici di miglioramento dei loro beni patrimoniali terrieri. Altre finalità dell’Ente risultavano: il finanziamento e miglioramento dell’attività delle latterie sociali; la creazione di stalle sociali; la facilitazione del credito a cooperative sociali che sostenessero l’agricoltura, la silvicoltura e la frutticoltura; l’appoggio alla creazione di un mutuo bestiame ed incendi; l’incremento della piscicoltura, della frutticoltura e dell’agricoltura; la sistemazione dei pascoli alpini e delle malghe; la cura dei sentieri, dei rii, dei boschi.

La progettualità per la Carnia espressa dai suoi abitanti.- 2016.

Acque problemi e proposte.

  • Un grosso problema è quello del prelievo del 75% delle acque senza controllo sul minimo deflusso vitale. Il Tagliamento appare come un fiume ormai finito ed i fiumi stanno assumendo carattere torrentizio. Vi sono evidenti cambiamenti di flora e fauna negli ecosistemi fiume della Carnia. Si chiedono: la revisione dell’attuale livello di minimo deflusso vitale, con mantenimento di acqua in superficie nei greti dei fiumi, con impossibilità a deroghe; opere di sistemazione meno impattanti. Si domanda un aumento degli interventi di pulizia degli alvei fluviali e torrentizi; di provvedere allo sghiaiamento dei greti secondo metodi scientifici e la costruzione di argini secondo regole definite. In particolare l’ing. Gianvittore Valent riferisce che le “roste” del But, nei pressi di Caneva di Tolmezzo, non sono state riviste seguendo le giuste norme ingegneristiche. Inoltre vi sono troppe leggi e norme (anche non convergenti) e troppi enti che intervengono sulle acque e sull’ ambiente.
  • Altro problema è quello dello sfruttamento dei rii per centraline in particolare private. Si chiede: di non concedere più utilizzo acque per centraline private e di acquisire, al termine delle concessioni, le centraline esistenti; di non permettere che uffici tecnici diano o.k. a interventi in ambito territoriale paesaggistico senza delibera della giunta o del consiglio comunale, impedendo così l’assalto selvaggio alle acque montane, come qualcuno ha definito il fenomeno in corso. Ci si domanda, inoltre, se si sia valutato l’impatto di alcune chiuse, come quella prevista a Caprizi.
  • Relativamente alla gestione sistema idrico, si chiede di gestire in proprio il sistema di erogazione dell’acqua potabile, e la ricaduta locale delle risorse economiche collegate alla produzione idroelettrica.

Tutela, valorizzazione e promozione del patrimonio storico, culturale, e architettonico, e archeologico e, in sintesi, dei beni artistici di valore storico e paesaggistico.

È stata ribadita l’importanza di tutelare beni paesaggistici di valenza storico-artistica per il territorio, come: il complesso detto La Fabbrica, con edifici del 1700 comprendenti Palazzo Linussio con i suoi affreschi e la cappella dell’Annunciazione, sito in Tolmezzo, ed altri edifici caratteristici e di valore storico nei centri abitati carnici, provvedendo pure, se necessario, al loro recupero, e come le chiesette carniche erette dal 1300 al 1500 e le loro opere d’arte, già catalogate dalla Curia e dal Centro Regionale di catalogazione Villa Manin di Passariano.

Inoltre si sono sottolineati: il valore e la necessità del recupero di stavoli e stalle, per esempio quelli presenti in località Valdie ed altri e loro possibile trasformazione in rifugi e bivacchi; la valorizzazione dei siti archeologici, finanziando adeguatamente il loro recupero ed impedendo il sovrapporsi di competenze che portino a problematiche e conflitti come accaduto, pare, per i siti di Raveo e Socchieve; la conversione, ove possibile, degli edifici militari dismessi.

Uno dei maggiori problemi, anche in detto settore, è il numero enorme di leggi che sono presenti, la loro scarsa conoscenza, la sovrapposizione di competenze, la mancata continuità nei procedimenti.

Tutela del paesaggio.

  • Valorizzazione della risorsa bosco, non dandola in gestione a privati, commassando ma lasciando la proprietà e non dandola in uso a grossi gruppi. Evitare il taglio raso dei boschi e la vendita di grosse proprietà boschive e malghe a privati anche esteri.
  • Valorizzazione parchi già esistenti come quello delle Colline Carniche, finanziato e poi di fatto abbandonato quando sono terminati i finanziamenti, e creazione di nuovi parchi.
  • Recupero siti degradati.
  • Eliminazione del poligono del Bivera.
  • Divieto transito di moto su sentieri e di attività motoristiche che possano disturbare la fauna, distruggere la flora, rovinare i sentieri, che vengono, tra l’altro, mantenuti dal C.a.i. attraverso l’opera di volontari.
  • Creazione del catasto tavolare previsto.
  • Continuità nei procedimenti e non approvazione di progetti come quello del villaggio turistico previsto sullo Zoncolan da parte di privati, che possono togliere servizi a valle per portarli in quota.

Viabilità e servizi.

  • Predisposizione di una adeguata manutenzione delle strade esistenti e del manto stradale, sia all’interno dei paesi che per quanto riguarda strade Anas e Fvg strade.

Per quanto riguarda i sentieri si chiede:

  • Aumento dell’intervento anche privato nella manutenzione, nella segnaletica, nell’arredamento dei sentieri, in particolare per quanto riguarda quelli vicini ai centri abitati.
  • Omologazione della segnaletica, sull’esempio di Torino.
  • Creazione di percorsi tematici.

Inoltre si domandano:

  • La conversione, ove possibile, degli edifici militari dismessi.
  • Servizi essenziali per tutti, anche per le piccole frazioni, fra cui: punto vendita alimentare; servizio comunale recupero foraggi dei privati; banda larga per permettere studio e telelavoro.
  • Progettualità comprensoriale e non comunale., anche per i poli sciistici.
  • Attenzione all’impatto paesaggistico per gli elettrodotti.

Richieste per l’ambito relativo al patrimonio agro-silvo-pastorale.

  • Pianificazione della gestione pubblica- privata del bosco condivisa, ed anche in funzione dell’utilizzo locale di biomasse a fini energetici.
  • Piani agricoli e commassazione mantenendo la proprietà.
  • Valorizzazione dell’agricoltura non intensiva.
  • Incentivi per il mantenimento delle specie autoctone ed il recupero di varietà locali.
  • Creazione di filiere di produzione con adeguato marchio.
  • Contenimento della fauna selvatica.

Alpeggio.

  • Semplificazione normativa per produzioni malghive.
  • Favorire forme di co- investimento, gruppi di acquisto solidale, marketing dei prodotti locali.
  • Si richiedono, inoltre: figure che si curino del territorio con forme specifiche di contratto e la creazione di cooperative per la pulizia e manutenzione del territorio.

Tutela delle specie vegetali autoctone.

Si chiede la tutela delle specie vegetali autoctone e la creazione, in collaborazione con l’Università di Udine, di una “banca” dei semi autoctoni, per non giungere a problemi, come già accaduto, di contaminazione delle specie autoctone con altre importate, per esempio foraggi, ed al fine di valorizzare la biodiversità.

Valorizzazione e recupero attività legate al territorio.

Si lamenta che alcune attività artigianali, anche di costruzione, rigurdanti il territorio stiano andando perdute, come le conoscenze collegate, e si auspica, come visto in Giappone, la creazione di corsi professionali che riprendano ed insegnino, sotto la guida di artigiani anziani esperti, dette attività salvandone il bagaglio culturale legato allo specifico ambientale. (Fonte per tutte queste proposte: Piano paesaggistico regionale e richieste della popolazione carnica, di Laura Matelda Puppini, in: nonsolocarnia.info.).

Queste indicazioni, secondo Lino Not, allora commissario straordinario della Comunità Montana della Carnia, riassunte nell’ incontro del 2 aprile 2016 tenutosi presso la Comunità Montana della Carnia, erano sortite da un capillare lavoro di incontri fatto sul territorio. E così diceva: «Ai tavoli hanno partecipato 500 persone, 1.500 famiglie degli studenti della Carnia sono state interpellate con questionari su questo tema, è stato promosso un incontro al liceo Paschini al quale hanno preso parte 300 studenti, senza contare le segnalazioni sul sito, che saranno possibili fino a fine maggio. “Sono particolarmente soddisfatto del risultato – prosegue Not – in quanto dimostra che quando si vogliono far partecipare la popolazione e gli studenti, la risposta c’è ed è considerevole: questa è la vera Carnia, che vuole essere coinvolta nei processi di sviluppo del proprio futuro”». (Piano Paesaggistico Regionale, pronto il contributo della Carnia, in: http://news.rsn.it/presentazione-del-contributo-della-carnia-al/). (Piano paesaggistico regionale, op. cit.).

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Inoltre nel lontano 2015, dopo aver seguito un interessantissimo incontro promosso sempre da Lino Not, di cui per questi aspetti almeno io sento la mancanza, e da me riassunto in: “Carnia. Per una progettualità futura di salvaguardia e promozione turistica dei musei e siti ecclesiali: l’incontro di Ovaro., in: www.nonsolocarnia.info, 16 maggio 2015, formulavo una proposta turistica ben poco costosa e più articolata nel mio, inviato alla Presidente della Regione Friuli Venezia Giulia,: “Carnia. Verso altre forme di turismo possibile che coniughino arte e paesaggio, recepita dalla stessa allora, come si può notare dalla risposta dell’ente a me, pubblicato con il dovuto consenso del mittente, in: La Regione Fvg risponde a: “Carnia. Verso altre forme di turismo possibile che coniughino arte e paesaggio”. E ora andiamo avanti. 2 ottobre 2015: la mia proposta per continuare.

E a dicembre del 2019 mi portavo ad Udine per incontrare il Presidente del Consiglio regionale dott. arch. Piero Mauro Zanin, che desideravo conoscere dopo la pubblicazione su www.nonsolocarnia.info del suo intervento a Confcooperative, e approfittavo per chiedere per noi della Carnia e della montagna più sanità e la realizzazione di questo progetto.

Esso implica delle brevi camminate festive, per famiglie o persone singole e di ogni età, di conoscenza del territorio sia dal punto di vista naturale che artistico, con visita ad una o più piccole chiese, illustrate da un volantino predisposto o narrate da una persona volontaria o pagata con forme tipo voucher. Quindi, in accordo con i ristoratori, i partecipanti avrebbero potuto fermarsi a mangiare qualcosa di tipico ma magari di non troppo pesante, in un locale del luogo prima del ritorno.

Risultato: attenzione del rappresentante della Regione allora e ora massima, interesse locale nullo. Eppure il numero di partecipanti ed il favore raggiunto dalla camminata proposta da Marco Lepre – Legambiente per conoscere il sentiero detto dell’Ors di Pani, od i campi di Legambiente che egli organizza ogni anno senza alcun grazie ufficiale, neppure nella giornata del ventennale degli stessi, dovrebbero far pensare di superare idee vetero testamentarie. ( Sentieri e percorsi di vita materiale, civile, partigiana. In occasione dell’inaugurazione del sentiero Feltrone – Astona, ed i vent’ anni di campi Legambiente/Carnia. in: nonsolocarnia.info).

Non da ultimo già anni fa Petris di Wolff – Sauris e Gortani di Gortaninox avevano sottolineato come in montagna, a livello industriale, fossero da privilegiare piccole fabbriche che producessero prodotti di nicchia, ed io avevo posto l’accento sull’importanza di sostenere la presenza di una industria di trasformazione di quanto si produce ed è presente sul territorio, per esempio la risorsa legno, non invece l’acqua, oro del domani, di cui, per quella potabile, nel passaggio da Carniacque a Cafc i nostri rappresentanti hanno accettato il prelievo per donarla alla popolazione udinese, e non dico altro, perché se scrivessi il mio pensiero nel merito sarei presumibilmente querelabile. (Cfr.Montagna, imprenditorialità, cooperazione: con l’anpi a Paluzza,Da Carniacque a Cafc: affare strategico, fusione obbligata, o privazione dell’acqua per la montagna e de profundis per la sua autonomia? ambedue di Laura Matelda Puppini, in: nonsolocarnia.info).

E così scrivevo allora: « Non nevica e non piove, eppure si parla e si è parlato, nella lettera di intenti del 10 ottobre 2016 per il passaggio di Carniacque a Cafc, disinvoltamente, di «eventuali opere idriche a valenza di area vasta, atte all’approvvigionamento idrico e dirette a portare risorsa idrica all’esterno dei confini del sub-bacino (area di competenza di Carniacque) o all’abbattimento dei costi a carico dell’ambito provinciale di gestione» (Lettera di intenti, cit.) da approvarsi a maggioranza relativa ZTO (non assoluta!), ma senza che Cafc, gestore provinciale,  possa opporsi a tali scelte da parte dell’E.G.A. l’Ente di Governo d’Ambito, che assomma la Regione intera (creato con decreto legge 133/2014 in sostituzione dell’Ato, Autorità d’ambito)». (Ivi).

«Con il taglio dei boschi fuori controllo, parti di montagna privatizzate e le acque gestite a livello di rendita e finalizzate ad un piano industriale e di fatto regalate, che potremo fare della Carnia, se non una riserva indiana di pochi dediti alla sopravvivenza, sperando che i giovani prendano la valigia?». (Ivi).

Idroelettrico.

La Regione gestisca in proprio le grandi centrali che la legge dello stato le dona. Ed è completamente condivisibile l’accorato appello di Franceschino Barazzutti in:

Franceschino Barazutti. Grande Idroelettrico: un’occasione per la montagna.

Per quanto riguarda il no deciso a centraline si vedano i diversi articoli sulle stesse pubblicati su www.nonsolo.carnia.info.:

Su centrali e centraline e su quella montagna violata. Sintesi dell’incontro del 26 gennaio 2019. Prima parte.Tematiche ambientali, tra centraline, motocavalcate ed il Tagliamento.Udine 26 gennaio 2019. Silvio Vuerich in difesa del rio Zolfo e delle proprietà del Consorzio Vicinale di Bagni di LusnizzaIl caso della centralina sul torrente Pecol in comune di Paularo in Carnia, raccontato da Gaia Baracetti ad Udine, il 26 gennaio 2019Franceschino Barazzutti. Perché no alla centralina sul rio Pecol, in comune di Paularo –  Acqua diritto o profitto? Il caso del rio Chiaradia a Forni di Sotto e del rio Fuina in Val PesarinaFranceschino Barazzutti. Attenti a quella rupe e no a quella centralina! Relazione/appello sulla zona di San Candido di Somplago Dario Tosoni, geologo. La situazione dell’idroelettrico nel Friuli Venezia Giulia.

Sanità.

Inoltre nessuno vive in un paese montano senza sicurezza di avere un servizio sanitario adeguato dovunque. E qui casca il palco. Perché oggi, sia grazie ai tagli Serracchiani Telesca, sia grazie a quello che non sappiamo più ed a quello che ci viene ancora tolto con Riccardo Riccardi e con la distruzione dell’Aas3 ed il passaggio all’ Azienda del Friuli Centrale, non abbiamo certezza alcuna, tranne che tutto il sistema è saltato.  E gli immobili anche tolmezzini dell’Aas3 sono passati de iure e de facto all’Asufc, arricchendo Udine.

Giustamente diceva Gianni Borghi nel lontano 2016, rivolgendosi alla dott. Telesca per la prima ed unica volta a Tolmezzo per parlare di sanità: «Nessuno ha pensato di porre attenzione, nel legiferare, alla montagna, ai suoi problemi specifici. E si è legiferato “erga omnes”, per tutti nello stesso modo. E questa non è solo una mia considerazione, è soprattutto la mia preoccupazione. Perché ciò implica la necessità da parte nostra, dei Sindaci, di vigilare e difendere i servizi essenziali nei territori più critici (presenze grandi territori e poca popolazione quindi di diseconomie = costo / opportunità)». (Gianni Borghi su: “La nuova proposta per la salute in territorio montano”, in: www.nonsolocarnia.info).

E così continuava: « Vede assessore, siamo molto preoccupati perché come sempre, relativamente alla montagna: tutti teoricamente sanno cosa si dovrebbe fare, ma nessuno fa quello che si dovrebbe fare, perché nessuno o quasi, poi, alla fine, vive in montagna.
Secondo me vi è poca consapevolezza nel pensare che ciò che vale per un centro, non equivale a ciò che vale per una periferia!
Se poi la periferia è montagna, la cosa si complica sia per gli aspetti orografici che per quelli finanziari. Questo, per dirLe, Assessore, che non vogliamo 2 sanità, ma due modelli organizzativi intelligenti che rispondano ai bisogni di salute di una città come di un ambito rurale/montano». (Ivi).

Ed ancora: «Quali aspetti tangibili della riforma percepirà quindi il cittadino della montagna, che non siano solo quelli di una mera suddivisione territoriale (peraltro molto critica e discutibile di cui non mi addentro perché oggi il tema è un altro)?
Quali vantaggi percepirà il cittadino della montagna, riscontrabili in questa LR17/2014 nell’: assistenza primaria, assistenza ospedaliera, nella rete dei servizi socio assistenziali, nella sanità privata?» (Ivi). E, aggiungo io, quali possibilità di salute percepirà il cittadino della montagna dagli ulteriori tagli, assorbimenti, centralizzazioni, incertezze donatici dalle ulteriori norme restrittive della destra al potere e da Riccardo Riccardi in particolare?  Infatti l’unica sensazione che avevamo già prima del covid era quella di una perdita irrefrenabile di servizi e strutture che furono nostre (cfr. Ospedale di Gemona) date a terzi regionali (Gervasutta), senza tener conto delle nostre priorità per poi parlarci della tragedia dello spopolamento montano che deriva pure dalla mancanza di servizi decentralizzati, unita a quella dell’incertezza più totale, perché nulla trapela e nulla si sa, mentre il solito mito del medico di base, che tutto fa, continua, in Italia, ad infrangersi contro il muro del contratto lavorativo, che permette pure di visitare, anche a pediatri, unicamente per appuntamento e questo non certo da ora. E questo porta, qui in montagna, ad una disaffezione verso la sanità, porta al fai da te, al ricorso, per mancanza di alternativa, al pronto soccorso.

Inoltre la sanità ridotta qui, tra i monti, ad una sanità ‘on the road’, dovrebbe almeno avere un efficientissimo sistema di ambulanze di cui alcune con medico a bordo, mai viste in Aas3 e Ass3, ma se erro chiedo venia e correggetemi, e di taxi per trasporto per visite programmate ed urgenti, copiando il sistema da me già descritto per la Normandia, mentre puntare a settori iper-specialistici (trasformando l’ospedale di Tolmezzo in un centro per il tumore al seno, per nascite e radiologico può servire ad Udine ma non a noi, come il donare il San Michele di Gemona al Gervasutta per farne, di fatto un hospice) non risponde per nulla alle esigenze del territorio. A noi mancano posti letto in medicina interna, ed a gran voce abbiamo chiesto che venisse mantenuta la medicina interna di Gemona, e di detta richiesta si è fatto portavoce il dott. Pietro De Antoni (Cfr. Messaggero Veneto del 25 marzo: il dott. Pietro De Antoni sul San Michele di Gemona. Ospedali: destini legati in Alto Friuli, in: wwwnonsolocarnia.info), che venga mantenuto il pronto soccorso in area Gemonese, che vengano mantenuti l’ospedale di Tolmezzo e quello di Gemona come ospedali territoriali (Walter Zalukar. Ripensare la sanità regionale, in: www.nonsolocarnia.info).

Riporto qui solo i titoli dei paragrafi da me posti nell’articolo, perché indicano delle problematiche non di poco conto, e richiedono risposta da anni ormai, perché anche qui si va da Natale a Pasqua, da Pasqua a Natale senza vedere nulla di positivo e propositivo.

Paragrafi dell’articolo che riporta l’intervento di Walter Zalukar:
–          “L’ospedale di Gemona del Friuli chiude. Quale prospettiva?”
–          Fra pronto soccorso e punti di primo intervento: un pasticcio all’italiana che pesa sui cittadini.
–          Limiti di assetto aziendale, e la riproposizione delle aree vaste, come elemento di territorialità.
–          Anche sul territorio l’assistenza deve essere rivista e deve essere riportata al distretto.
–          Ancora sui problemi dell’emergenza – urgenza.
–          L’importanza di costruire un piano fattibile.
–          Il problema di ridisegnare il ssr implica un approccio tecnico valutativo, non ideologico.

Ed a questo punto sono io che voglio spezzare una lancia a favore del ripristino locale e sviluppo di alcuni servizi territoriali come i Sert, i Csm, i consultori, che dovrebbero permanere sia a Gemona che a Tolmezzo non essere accentrati, per loro stessa natura, ed essere potenziati.
Tagliare, fare zac zac è facile, pensando in particolare al risparmio, ripensare un modello di sanità territoriale è difficile stando in alto a tavolino, e doveva esser fatto prima, già ai tempi di Serracchiani – Telesca, in un’ottica di intervento sistemico.
Insomma piano piano quella progettualità che si è iniziata a portare avanti nel secondo dopoguerra da “Udine, palla al centro”, si sta realizzando anche e sempre grazie alla nostra classe politica o parte della stessa. E quando i sindaci, finalmente avevano, per il mantenimento del tribunale, deciso di togliersi la fascia tricolore restituendola per protesta, andarono ad Udine per farlo ma poi non lo fecero.

Inoltre vi è un grande disagio sociale nelle nostre terre, che andrebbe analizzato ed affrontato non dal punto di vista medico ma principalmente psicologico, che ha trasformato il cosiddetto ‘popolo duro’ in un popolo senza identità, legami, spaesato e solitario, muto e talvolta dedito ad alcool e droga. I nostri nonni avevano le palle, e le nostre nonne forse anche più degli uomini, è mai possibile che ormai subiamo tutto, facendoci prendere per i fondelli? Sapremo ritornare ad essere i custodi delle nostre montagne con intelligenza e conoscenza?

Perché ora come ora è difficile per la Carnia trasformarsi in una nuova Riace.

Il problema base per la Carnia non è lo spopolamento, ma quello che fa in modo che la Carnia si sia spopolata e continui a spopolarsi, e cioè la mancanza di lavoro e di servizi, ed alcuni limiti di viabilità, come per esempio quelli presenti nella statale della Val Degano. E i carnici se ne sono andati per questo, oltre che per la fissa che se di sinistra potevano nuocere al pensiero dominante liberalistico, liberistico e cattolic-destrorso, mentre la mancanza di qualsiasi vincolo che dicasi tale e di progettualità svendeva territorio e ricchezza, ed anche la cultura reale, tranne rare eccezioni, prendeva la valigia. E attualmente mancano persino preti e parrocchie che servivano da collante, come anche le sedi del Pci.

Ora mi chiedo perché persone venute da un mondo per noi lontano, prive di qualsiasi legame con il territorio e desiderose di altre realtà e che sognano Francia e Germania dovrebbero abituarsi a vivacchiare nei nostri paesi, circondati da persone che non li amano, avendo un modo di vivere e di cercar di sopravvivere diverso dal nostro, senza lavoro, senza sanità, senza riferimenti, solo per riempire le case. Inoltre il clima qui non è quello della Calabria, di Riace, diciamocelo, la cultura meridionale è più vicina a quella di alcuni popoli africani piuttosto che la nostra, ora tutta casa e chiesa, ed io ho visto giovani migranti abbandonarsi all’alcol per non saper che fare, in particolare in zona autostazione Tolmezzo, un giorno dopo l’altro, un giorno dopo l’altro … Ove non vi è comunità come il mondo cattolico può pensare di inserire terzi ancor più spaesati? Su che tessuto connettivo li inserirebbe? Su quello che porta i carabinieri a fare, hic et nunc, retate per droga nei nostri paesi?

E con questo termino questa mia, avendo davanti a me l’immagine di quello sciopero del 1967, con in testa due donne di tutto rispetto e mio padre. (La Carnia tace. Ma non fu sempre così. Il grande sciopero del 29 novembre 1967).

Queste sono mie opinioni personali, tranne quelle riportate da altri, criticabilissime, e se ero correggetemi.

Vi invito pure a leggere su www.nonsolocarnia.info:

Laura Matelda Puppini

L’ immagine è tratta da: http://www.comunitamontanacarnia.it/index.php?id=3633.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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di Laura Matelda Puppini

Laura Matelda Puppini, è nata ad Udine il 23 agosto 1951. Dopo aver frequentato il liceo scientifico statale a Tolmezzo, ove anche ora risiede, si è laureata, nel 1975, in filosofia presso la facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università degli studi di Trieste con 110/110 e quindi ha acquisito, come privatista, la maturità magistrale. E’ coautrice di "AA.VV. La Carnia di Antonelli, Centro Editoriale Friulano, 1980", ed autrice di "Carnia: Analisi di alcuni aspetti demografici negli ultimi anni, in: La Carnia, quaderno di pianificazione urbanistica ed architettonica del territorio alpino, Del Bianco 1975", di "Cooperare per vivere, Vittorio Cella e le cooperative carniche, 1906- 1938, Gli Ultimi, 1988", ha curato l’archivio Vittorio Molinari pubblicando" Vittorio Molinari, commerciante, tolmezzino, fotografo, Gli Ultimi, Cjargne culture, 2007", ha curato "Romano Marchetti, Da Maiaso al Golico, dalla Resistenza a Savona, una vita in viaggio nel Novecento italiano, ed. ifsml, Kappa vu, ed, 2013" e pubblicato: “Rinaldo Cioni – Ciro Nigris: Caro amico ti scrivo… Il carteggio fra il direttore della miniera di Cludinico, personaggio di spicco della Divisione Osoppo Carnia, ed il Capo di Stato Maggiore della Divisione Garibaldi Carnia, 1944-1945, in Storia Contemporanea in Friuli, n.44, 2014". E' pure autrice di "O Gorizia tu sei maledetta … Noterelle su cosa comportò per la popolazione della Carnia, la prima guerra mondiale, detta “la grande guerra”", prima ed. online 2014, edizione cartacea riveduta, A. Moro ed., 2016. Inoltre ha scritto e pubblicato, assieme al fratello Marco, alcuni articoli sempre di argomento storico, ed altri da sola per il periodico Nort. Durante la sua esperienza lavorativa, si è interessata, come psicopedagogista, di problemi legati alla didattica nella scuola dell’infanzia e primaria, e ha svolto, pure, attività di promozione della lettura, e di divulgazione di argomenti di carattere storico presso l’isis F. Solari di Tolmezzo. Ha operato come educatrice presso il Villaggio del Fanciullo di Opicina (Ts) ed in ambito culturale come membro del gruppo “Gli Ultimi”. Ha studiato storia e metodologia della ricerca storica avendo come docenti: Paolo Cammarosano, Giovanni Miccoli, Teodoro Sala.

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