Desidero qui porre due righe relativamente all’articolo di Gian Luigi detto Gigi Bettoli, “Val Resia: guerriglia nella “piccola Russia” al confine orientale d’Italia”, in: http://www.storiastoriepn.it.

In primo luogo, benché il titolo sia direi ‘affascinante’, non credo che la storia della resistenza nella Val Resia friulana (esistono pure il paese di Resia, ed il passo di Resia che lo domina al confine tra Italia e Svizzera, in Alto Adige, per la precisione alla fine della Val Venosta, mentre la Val Resia friulana non ha paese alcuno che porti il solo nome Resia) possa essere vista al di fuori del contesto della situazione creatasi in Benecija, o Slavia Veneta ma anche Slavia friulana, che comprende le Valli del Torre, del Carnappo, del Natisone e relativi affluenti oltre la valle di Resia.  

Per precisione, quindi, quando parliamo della Val Resia di cui mi occuperò qui brevemente, ci riferiamo ad un territorio ora di confine tra Italia e Slovenia, zona italiana dal 1866, poi nazifascista poi libera rioccupata ai primi di gennaio 1945, formata dalle frazioni di San Giorgio, Prato di Resia, Gniva, Oseacco e Stolvizza e dalle borgate di Lipovaz, Crisacis, Gost, Lischiazze, Coritis e, da Uccea, che si trova in altra valle ma fa parte del Comune di Resia la cui sede si trova a Prato di Resia. (1).

Ed ancora: «La Val Resia è situata nella parte nord-orientale della regione Friuli-Venezia Giulia: è una valle pre-alpina che si estende in direzione ovest-est per 20 km: ad est è chiusa da un massiccio montuoso, del quale il Monte Canin (2587 m) rappresenta il punto più alto, segnando il confine fra l’Italia e la Slovenia; l’aspetto più importante della valle, oltre all’indiscussa importanza linguistico-culturale, è il profilo naturalistico». (2).

La Val di Resia fa parte della Slavia veneta o friulana o Benecija che dir si voglia, e quest’ ultima veniva e forse viene anche oggi, non lo so, convenzionalmente divisa in Benecija occidentale formata dalla Valle del Torre e da quella del Cornappo, e in Benecija orientale cioè le Valli del Natisone. La Val Resia, contermine a quella del Torre, è attraversata dal torrente dall’omonimo nome, che si getta direttamente nel fiume Fella, e viene ritenuta, almeno da mons. Qualizza, facente parte della Benecija occidentale. Detto sacerdote precisa ulteriormente che la Salvia veneta è divisa in due settori: quello occidentale che va dal Natisone al Fella, e quello orientale che va dal Natisone allo Judrio, al Collio. (3).

All’interno della Slavia friulana, ed in particolare delle Valli del Natisone, la Val di Resia rappresenta un’isola linguistica e di tradizioni estremamente importante. La singolare lingua locale a tutt’oggi parlata, il resiano, riconosciuta dall’Unesco, è stata ed è tuttora oggetto di molti studi, i quali hanno favorito pure la custodia e la perpetuazione di tradizioni (costumi, canti, balli, cerimonie) di grande interesse. (4).

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Ma l’importanza della lingua antica, mantenutasi, come per Sauris, essendo state per molto tempo le due valli spesso isolate, anche se sotto diversi governi, non giustifica la definizione, da parte di Gigi Bettoli, della Val di Resia come ‘piccola Russia’, tanto più che il problema è già stato studiato e non risulta che tale affermazione risponda a verità.

Inoltre non si capisce bene, da Bettoli, da dove derivi per lui quel ‘piccola Russia’ a meno che non si prenda in considerazione questa frase riportata, citando fonti slovene, da Monsignor Marino Qualizza: «Qualcosa di meglio c’è in Resia, perché i Resiani si considerano discendenti dei Russi e di ciò sono orgogliosi». (5).

Però non vi sono per ora altre fonti o studi che suffraghino questa teoria, ma invece il contrario, ed al momento attuale si ritiene che la Val di Resia sia stata inizialmente abitata da un gruppo slavo, ma non è chiaro quando questo si sia ivi insediato. Forse però era già presente in zona nell’ XI secolo, (6), forse la valle era abitata anche prima.  

Invece un altro aspetto avrebbe potuto far definire la Val Resia “piccola Russia” è il fatto che, nel periodo in cui la Slavia friulana fece parte della zona libera slovena, prima inserita nella Repubblica di Caporetto, poi, dopo i rastrellamenti che la distrussero, come oasi libera sotto amministrazione O.F. (o S. L italianizzato) a sé stante, la popolazione della Val Resia fu l’unica, pur non essendoci stato un vero e proprio plebiscito, ad esser stata, in Benecija occidentale, favorevole a rimanere, anche in futuro, sotto l’OF. «La Val Resia -si legge sempre sull’articolo di Mons. Qualizza citato – è la più impegnata nella lotta a favore dell’O.F. Dei 4000 abitanti i 3/5 sono per la Jugoslavia». (7).

Da qui, per derivazione politicamente connotata, in periodo post- bellico o da elementi ‘italianissimi’ presenti in loco, avrebbe potuto discendere: pro- Jugoslavia- comunisti – favorevoli alla Russia, Resia = “piccola Russia” ma non vi sono fonti, sinora, per sostenere una tesi o l’altra.   

Così scrive Mons. Qualizza relativamente alla Benecja occidentale, Valle del Torre e del Cornappo: «In questa zona l’erosione della lingua slovena era più marcata e quindi l’opera di sensibilizzazione (degli sloveni n.d.r.) appariva più difficile. Tuttavia in Val Resia le cose andavano meglio, se anche lì fu costituita la Compagnia di Resia (Resijska četa)» (8), a sottolineare come Resia fosse talvolta un caso a sé stante, pur trovandosi a ridosso della Valle del Torre.

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Ed un taglio netto alla possibilità che, per fattori linguistici, la Val Resia sia considerata una ‘piccola Russia’ viene fornita da un articolo comparso nel 2016 su Novj Matajur. (9).

In esso di legge che l’11 giugno 2016 è venuta a visitare Prato di Resia e la Val Resia una delegazione del comune russo di Fryazino, «invitata dall’amministrazione comunale locale, con l’intento di dare avvio ad un gemellaggio per possibili sviluppi di natura economica – turistica. La motivazione principale per la quale si è addivenuti a questa iniziativa, così come è stato affermato durante l’incontro promozionale avvenuto alla Camera di Commercio di Udine il giorno precedente, è che vi sia un diretto legame linguistico del resiano col russo. La Val Resia è stata infatti definita “… il piccolo paese russo d’Italia…”.

Non è la prima volta che ci troviamo davanti a simili affermazioni, ma a questi livelli destano qualche perplessità, considerata la realtà dei fatti, che non è proprio così. Già nella seconda metà dell’Ottocento il noto linguista polacco Jan Baudouin de Courtenay, che visitò e studiò la Val Resia e le altre valli contermini del Torre e Natisone negò il legame diretto del resiano alla lingua russa. Infatti, leggendo il suo libro “PEЗҌЯ И PEЗҌЯHE”, stampato a San Pietroburgo nel 1876, nella versione italiana “RESIA E I RESIANI – PEЗҌЯ И PEЗҌЯHE” a cura di Aldo Madotto e Luigi Paletti, editrice Cleup pag. 104 (pubblicazione realizzata dal Comune di Resia nel 2000) troviamo queste sue parole: “La tradizione da me ricordata di una più stretta parentela della lingua resiana colla russa o delle parlate resiane colle parlate russe è contraddetta in pieno dallo stato reale delle cose. Se le parlate resiane appartenessero alla famiglia russa delle parlate slave, in tal caso dovrebbe essere loro propria, tra l’altro, la pienezza delle vocali – “polnoglasie” – esclusivamente russa, …”. Dopo l’illustre linguista polacco molti studiosi si sono interessati del resiano che è stato classificato, come è noto ormai da decine di anni, tra i dialetti sloveni. In questo un riferimento scientifico importante è, tra gli altri, anche la commissione scientifica che cura la redazione dell’Atlante delle lingue slave (OLA), fondata a Mosca nel 1958 e composta da slavisti di tutti i paesi di lingua slava. Anche qui il resiano è collocato all’interno del contesto linguistico sloveno (www.slovatlas.org)». (10).

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Questa la prima considerazione. Passiamo quindi alla seconda parte dello scritto di Gian Luigi Bettoli, relativo alla creazione di una Zona Libera slovena che comprendeva anche la Valle di Resia.

Sin dal periodo immediatamente successivo al 25 luglio 1943, ma in particolare dopo l’8 settembre 1943, partigiani italiani e sloveni cercarono di liberare un ampio territorio che andò a formare la Repubblica di Caporetto che aveva una popolazione di circa 55 000 abitanti; una superficie di 1 400 km² (11) e comprendeva territori dell’attuale Slovenia, il Collio, l’alta valle dell’Isonzo, la Benecia (Slavia Friulana, valli del Natisone e del Torre) e la Val Resia. (12).

Ma anche su www.nonsolocarnia.info si trova un mio articolo intitolato “La zona liberata dagli sloveni e la Repubblica di Caporetto” in cui riporto pure che essa fu creata il 10 settembre 1943 (13) e che «Il territorio libero, creatosi con la ritirata delle truppe italiane, si estendeva fra Karlocvac, Lubiana, Postumia, Tarvisio, Cividale, Gorizia e Trieste, ed il mar Adriatico a Sud, e comprendeva zone della Croazia, della Slovenia, della Venezia Giulia».  (14).  

 Ma poi, i tedeschi che avevano già creato l’OZAK, mandarono rinforzi alla loro 71a divisione di fanteria, che era già in loco, ed in particolare alla 162a divisione di fanteria turkestana. E venne impartito l’ordine, nell’attaccare la zona libera di Caporetto (Kobariška republika) che la popolazione non dovesse più rappresentare alcun problema. Insomma non si doveva avere alcuna pietà.
Le unità motorizzate, guidate dal secondo corpo corazzato delle SS e dei comandi della 71a divisione di fanteria e della 44a divisione granatieri eseguirono inizialmente due operazioni successive: la prima nella valle di Vipacco, sull’altopiano di Tarnova e della Bainsizza e la seconda in Istria, coronate da successo, stabilendo ivi propri presidi. Bisogna però ricordare che queste zone diverranno terreno operativo del IX° Korpus solo dopo la sua costituzione, che avvenne il 22 dicembre 1943. (15).

Per quanto riguarda i rapporti fra partigiani italiani e sloveni, così scrive Toni Ferenc: «La zona di operazione del IX° Korpus comprendeva la parte centrale e settentrionale del Litorale sloveno fino alla ferrovia Postumia Trieste, cioè la Carniola superiore; ad occidente tale zona raggiungeva il Friuli, cioè le Valli del Natisone; arrivava, in qualche modo, alle spalle della linea Tarvisio-Moggio – Gemona- Tarcento-Attimis- Faedis- Cividale-Cormons. Nello stabilire il confine occidentale della zona di operazione del IX° Korpus furono tenuti in considerazione soprattutto motivi etnici.

Proprio questi settori occidentali della zona di operazione del IX° Korpus, soprattutto il Collio, le Valli del Natisone e Resia, furono quelli dove le formazioni partigiane slovene e italiane non ebbero solo rapporti di vicinanza territoriale, ma vissero ed operarono una accanto all’altra e si aiutarono vicendevolmente». (16).

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Ma quando comparvero nella Slavia friulana i primi partigiani sloveni?

Mons. Aldo Moretti, il partigiano osovano Lino, nel suo “La Slavia Friulana fra Italia e Jugoslavia”, scrive, citando le fonti, che già il 2 ottobre 1942 partigiani sloveni erano giunti sino a Tribl e Podresca, creando allarme fra le forze dell’ordine di tutta la Benecija a tal punto che, avendo scambiato un pover’uomo per un ribelle, lo uccisero. (17).
Ma la presenza massiccia di partigiani sloveni si ebbe nella Slavia Friulana a partire maggio 1943, quando si sciolsero presumibilmente le nevi. «Da Luico la Va Brigata, composta da circa 300 (trecento) elementi prese la strada del Matajur. Malgrado la fama poco buona che li precedeva, a Maseris fecero buona impressione col loro contegno educato e devoto. La loro intenzione era di portarsi ai limiti della Slovenia. Il Matajur è per loro l’espressione della “Slovenska Benecija”; perciò il loro arrivo sulla cima fu celebrato con una certa solennità per mezzo dei canti e di qualche discorso». (18).  E nel libro storico parrocchiale di Taipana, si legge pure che detti ribelli ovvero partigiani, erano «cittadini jugoslavi datisi alla macchia dopo l’occupazione della Jugoslavia». (Moretti, p. 15).
La stessa notizia del passaggio per quei paesi di 300 partigiani sloveni è confermata pure da don Antonio (o Anton) Cuffolo, nel suo “Cronaca. La seconda guerra mondiale vista e vissuta dal focolaio della canonica di Lazis”. (Ivi). Contro questi partigiani furono inviati soldati della fanteria e gli alpini, ed avvenne una prima battaglia che contò 3 morti e 5 feriti.
Poi don Moretti così continua, sempre citando le fonti: «Anche a Resia partigiani sloveni arrivarono nel maggio o giugno 1943». Per quanto riguarda la Benecija, il noto prete osovano riporta pure che alcuni militari disertori italiani, da 15 a 25, formarono il gruppo partigiano guidato da Mario Karis (Maks) del Distaccamento Garibaldi, che posero la loro zona operativa e stanziale fra Clap, Canebola e Faedis. (20).

Quindi i rapporti fra partigiani italiani, sloveni, popolazione, nel periodo di massima espansione della Repubblica di Caporetto, leggendo le fonti già citate, ebbero un carattere altalenante e locale e non posso qui descriverli. Certamente tutti ritengono che la popolazione della Benecija volesse la pace e vivere in pace, come del resto quella della Carnia (21) e dell’Italia intera. Quello che si può dire, però, sempre riprendendo da don Moretti ma non solo, è che le autorità militari slovene, che erano giunte anche in Val di Resia, liberandola dal nazifascismo, si dettero da fare anche lì per creare gruppi di abitanti dei paesetti organizzati in ‘cete’ cioè compagnie di combattenti coordinati dall’ O.B.B. (Briško-Beneski Order, Dipartimento del Collio e della Bencija). (21).

E pare che sia stata una di queste ‘cete’, creatasi in altra zona formata da 30 uomini, ad entrare in Resia, liberandola, nel settembre 1943. Alcuni però non sono d’accordo su questo aspetto – scrive sempre don Lino ma è certo che con l’arrivo dei partigiani sloveni venne a formarsi anche in Val di Resia un gruppo di resistenti formato da locali, «sollecitato e guidato da sloveni venuti dalle parti di Caporetto ed oltre». (22).

Inoltre Tone Fenec ci ricorda che anche nei territori sul Collio, in val di Resia, nelle Valli del Natisone liberati, gli sloveni favorirono la creazione di organismi democratici locali, come i consigli locali distrettuali e circondariali e indissero elezioni con voto diretto e segreto, mentre i rappresentati dell’O.B.B.  venivano nominati dalle autorità superiori. Ed anche nella Val Resia furono eletti consigli locali di liberazione. Inoltre fu promossa un’ampia attività culturale in tutta la zona libera. (23).

Ed livello culturale con l’arrivo di partigiani jugoslavi, che parlavano sloveno, pur essendo i giovani dei paesi della Bencija allevati all’italianità, non pochi di loro, ragazzi e ragazze, – secondo Mons. Qualizza – furono «galvanizzati dall’idea della recuperata coscienza dell’identità etnica anche se non si parlava di appartenenza alla Jugoslavia». (24). Ma anche in un rapporto del Pcs, del 9 ottobre 1943, si legge che pur essendo confluiti beneciani in due battaglioni sloveni, la Benecija «non appartiene in nessun modo alla futura Slovenia». (25).

Infatti gli sloveni avevano a loro dire, trovato nella Benecija, una popolazione con scarsa istruzione, priva di qualsiasi formazione politica, (come Bruno Cacitti ci insegna era per tutti coloro che avevano vissuto sotto il fascismo (26)), ove chi aveva quattro mucche era considerato un possidente. (27). Ma non solo qui si legge della povertà e della fame che avevano caratterizzato queste popolazioni.

Infine come tutte le genti povere ed in lotta per la sopravvivenza, contro ogni possibile calamità, guerra compresa, anche quelle della Slavia veneta non si ponevano nell’immediato il problema di con chi andare a fine conflitto, ma ritenevano che per loro era importante andare «con il padrone migliore» (28), e tutti dicevano che «per loro è indifferente dove andranno; per loro è importante stare meglio». (29).  Ed ancora: «La popolazione ha detto: “Noi non siamo per nessuno; chi ci conquista quel tale ci avrà», (30) dimostrando un attendismo passivo funzionale alla sopravvivenza. Ed ancora i beneciani dicevano che avrebbero scelto «colui che offrirà migliori garanzie economiche», ma essi erano soliti scambiare in Friuli castagne con granoturco. (31).

Però anche gli Islandesi, secondo il poema “Edda”, quando giunsero predicatori cristiani, si sentirono ben disposti a fare propria la nuova religione, se il nuovo Dio avesse dato loro una vita migliore dei precedenti dei, e Remo Cacitti mi assicurò, in una telefonata, che era principio usuale anche per altri popoli aderire al cristianesimo seguendo un principio utilitaristico, se questo poteva garantire loro una vita migliore.

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Quindi vi furono i grandi rastrellamenti del settembre – ottobre – dicembre 1944 che durarono fino al febbraio 1945, nel corso dei quali i nazifascisti prima attaccarono sia la Zona libera del Friuli Orientale che quella di Caporetto, eliminando la prima e riducendo lo spazio della seconda al Litorale Sloveno, che però servì anche agli americani ed inglesi per muoversi e far partire ed arrivare aerei ed imbarcazioni in particolare verso e dal Sud Italia. La Val di Resia, che aveva dato origine al Rezianski Bataljon, cadde di nuovo sotto i nazifascisti con il tragico rastrellamento del 14 gennaio 1945. (32).

Invece gli abitanti di Drenchia, stanchi della guerra e pare ostili sia ai nazifascisti che ai partigiani jugoslavi, pur avendo mantenuto la parlata slovena più di altre comunità (33), secondo un rapporto sloveno datato 22 gennaio 1945, quando la Val Resia era già caduta in mano nemica, avevano «istituito una loro base, si sono armati, e sparano su chiunque si avvicini» (34). Di questa reazione popolare vengono accusati gli osovani ed il Partito d’Azione. (35).

Ma non posso, in questo articolo, trattare anche i rapporti, in quei luoghi, tra osovani da un lato e garibaldini e militari del IX° Korpus dall’altra, anche questi talvolta conflittuali, che non sempre però erano tragici, e sull’argomento molto è stato mistificato e confuso anche a causa di quanto detto da uno e dall’ altro nei processi per i fatti di Porzus e Bosco Romagno, che a mio avviso continuano ad inquinare la storia resistenziale in Ozak e relativa anche alle Zone libere. Pensate solo per quanto tempo è rimasta nascosta la Zona Libera del Friuli Orientale con comando unico Bolla/Sasso.

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Ma ritorniamo alla Benecija. Infine si giungeva alla fine della guerra ma, pur restando sotto l’Italia la Slavia friulana o veneta che dir si voglia, nuovi problemi sorgevano all’orizzonte. «Proprio negli ultimi giorni di guerra – scrive mons. Qualizza – avvennero dei cambiamenti che in seguito furono dannosi per la Benecia. I militati repubblichini di stanza a San Pietro al Natisone e a Spignon nel comune di Pulfero, dalla parte dei tedeschi fino a qualche giorno prima, si unirono ai partigiani, spartendosi così l’onore della vittoria. (36). Questa scelta opportunistica si trasformò in seguito in un ostacolo per tutte le richieste di valorizzazione della cultura slovena nelle Valli del Natisone». (37).

Non solo: nel secondo dopoguerra «preti sloveni si attivarono e reintrodussero la lingua slovena nelle chiese, ma l’opposizione degli ex- fascisti si fece sentire e in qualche parrocchia c’erano rumorose dimostrazioni appena il parroco iniziava a parlare in sloveno». (38). E sacerdoti locali si rivolsero pure alle autorità per chiedere il da farsi e provvedimenti nel merito, e giunsero a domandare perfino l’intervento di Ferruccio Parri, allora ministro dell’Interno, che rispose dicendo che il diritto al culto della nazionalità slava doveva venir rispettato. Ma invano. (39). Infatti la popolazione continuò ad esser condizionata dagli elementi ex-fascisti e «tutto impedì l’applicazione delle leggi che tutelavano i diritti degli sloveni nelle Valli». (40).

E così don Cuffolo: «In Italia purtroppo continua la corruzione politica ereditata dal fascismo e la conclamata epurazione del fascismo è fallita. I fascisti, nella nostra zona dove nessuno s’è sognato di importunarli, si sono dati in massa alla Democrazia cristiana, anzi ne hanno preso le redini in mano, facendo marciare davanti a sé alcuni ingenui e giovani sacerdoti e calpestando gli altri». (41).

Il resto della storia della Slavia friulana o veneta è narrata pure su www.nonsolocarnia.info nell’articolo: Dall’intervento di Riccardo Ruttar al convegno “Una scuola per la pace”, uno spaccato dei problemi della Benečija nel 1984, ed altri spunti attuali., dal già citato reportage di Riccardo Toffoletti sulle Valli del Natisone, ed è segnata da emigrazione e spopolamento. E così termina questo articolo, ma mi riservo di scriverne un secondo su osovani e garibaldini, almeno in relazione a fatti specifici.

Preciso solo in chiusura a chi mi ha chiesto perché quando si parla di una valle in particolare, io tenda ad ampliare gli orizzonti: perché la storia di quella valle non può essere avulsa dal contesto in cui avvenne, anzi, in certi casi c’è da chiedersi se la storia di una sola valle, come nello specifico quella della Val di Resia dall’8 settembre fino alla fine della seconda guerra mondiale abbia un senso se non inserita, come hanno fatto anche gli autori che ho citato, in un contesto che implichi ciò che accadde allora nella Benecija, come minimo occidentale, allora.

Per quanto riguarda le fonti, bisogna saperle scegliere, ma anche internet dovrebbe vagliare certa spazzatura anche storica che pubblica.

Laura Matelda Puppini

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Note.

  1. https://it.wikipedia.org/wiki/Resia.
  2. Ibidem.
  3. Marino Qualizza, L’atteggiamento della popolazione delle Valli del Natisone di fronte alla questione nazionale”, in: AA.VV., Estate – autunno 1944. La Zona libera partigiana del Friuli Orientale, a cura di A. Buvoli R A. Zannini, il Mulino, 2016 (d’ora in poi Marino Qualizza, op. cit., il Mulino 2016) p. 149 e p.132.
  4. https://it.wikipedia.org/wiki/Resia.
  5. Marino Qualizza, L’atteggiamento della popolazione delle Valli del Natisone di fronte alla questione nazionale secondo documenti sloveni, in AA.VV., Resistenza e questione nazionale, vol. 1, Del Bianco ed., 1984, (d’ora in poi Marino Qualizza, op. cit., Del Bianco 1984), p. 171.
  6. https://it.wikipedia.org/wiki/Resia.
  7. Marino Qualizza, op. cit., Del Bianco 1984, p. 171.
  8. Marino Qualizza, op. cit., il Mulino 2016, p. 149.
  9. “Resia non è un paese russo in Italia”, in: https://novimatajur.it/attualita/resia-non-e-un-paese-russo-ditalia.html.
  10. Ibidem.
  11. https://it.wikipedia.org/wiki/Repubblica_di_Caporetto. Per la repubblica di Caporetto, cfr. anche: Laura Matelda Puppini, La zona liberata dagli sloveni e la Repubblica di Caporetto, in: nonsolocarnia.info.
  12. https://it.wikipedia.org/wiki/Repubblica_di_Caporetto.
  13. Laura Matelda Puppini, La zona liberata dagli sloveni e la Repubblica di Caporetto, in: nonsolocarnia.info, citazione da: Luciano Marcolini Provenza, La Zona liberata dal IX Korpus d’armata sloveno nella Venezia Giulia, Patria Indipendente il 16 novembre 2018.
  14. Citazione da: Tone Ferenc, La Zona Libera del IX° Korpus d’armata sloveno nella Venezia Giulia, in Rassegna di storia contemporanea n.2/3, anno 2, 1972, p. 106.
  15. Tone Ferenc, La Zona Libera del IX° Korpus, op. cit., p. 112.
  16. Ivi, pp. 112-113.
  17. Aldo Moretti, La Slavia Friulana fra Italia e Jugoslavia, in: in Storia Contemporanea in Friuli 1977, n.8, pp. 14-15.
  18. Ivi, p. 15. Alla nota 6 precisa però di aver tratto queste considerazioni da uno testo anonimo di persona ben informata sui fatti, intitolato “Relazione sull’attività dei partigiani (Maggio 1943- marzo 1944)” in Archivio Osoppo G1, 17.
  19. La stessa notizia del passaggio per quei paesi di 300 partigiani sloveni è confermata pure da don Antonio Cuffolo, nel suo “Cronaca. La seconda guerra mondiale vista e vissuta dal focolaio della canonica di Lazis”. (Ivi). Contro questi partigiani furono inviati soldati della fanteria e gli alpini, ed avvenne una prima battaglia che contò 3 morti e 5 feriti.
    Poi don Moretti così continua, sempre citando le fonti: «Anche a Resia partigiani sloveni arrivarono nel maggio o giugno 1943». Per quanto riguarda la Benecija, il noto prete osovano riporta invece che alcuni militari disertori italiani, da 15 a 25, formarono il gruppo partigiano guidato da Mario Karis (Maks).
  20. Ivi, p. 16. Per le fonti cfr. nota 12.
  21. Ivi, pp. 16-17.
  22. Ivi, p. 17.
  23. Tone Ferenc, op. cit., p. 115.
  24. Marino Qualizza, op. cit., il Mulino 2016, p. 133.
  25. Ibidem, p. 134.
  26. Uomini che scrissero la storia della democrazia: Bruno Cacitti, Lena, osovano. Perché resti memoria”. In: www.nonsolocarnia.info.
  27. Marino Qualizza, op. cit., il Mulino 2016, p. 147.
  28. Ivi, p. 140.
  29. Marino Qualizza, op. cit., il Mulino 2016, p. 146.
  30. Marino Qualizza, op. cit., Del Bianco 1984, p. 173.
  31. Marino Qualizza, op. cit., il Mulino 2016, p. p.141 e p. 147.
  32. Aldo Moretti, op. cit., p.25. Marino Qualizza, op. cit., Del Bianco 1984, p. 173.
  33. Marino Qualizza, op. cit., Del Bianco 1984, p. 175.
  34. Marino Qualizza, op. cit., il Mulino 2016, p. 146.
  35. Ibidem.
  36. Il riferimento è presumibilmente al passaggio concordato di numerosi militi collaborazionisti del Rgt. Alpini Tagliamento alla Osoppo. (Cfr. nel merito su nonsolocarnia.info L.M.P. Storie partigiane e non, fra un avvicendarsi al comando della formazione Osoppo ed il passaggio, all’ultimo momento, di militi filonazisti del Rgt. ‘Tagliamento’ alla Osoppo. Secondo Romano Marchetti sfilarono poi a fianco dei partigiani osovani nel momento della liberazione.
  37. Marino Qualizza, op. cit., il Mulino 2016, p. 152. Dal secondo diario di don Anton Cuffolo, parroco di Lasiz, in comune di Pulfero, che altro non è che il primo diario rivisto e tradotto anche in sloveno, dopo la fine della guerra, intitolato: “Moj Dnevnik – La seconda guerra mondiale vista e vissuta nel ‘Focolaio’ della canonica di Lasiz”, prima edizione Società Cooperativa Editrice Dom, Cividale del Friuli, 1985, seconda edizione Most ed., Cividale del Friuli, 2013.
  38. Marino Qualizza, op. cit., il Mulino 2016, p. 152. Dal secondo diario di don Anton Cuffolo, cit.
  39. Ivi, pp. 152-153. Dal secondo diario di don Anton Cuffolo, cit.
  40. Ivi, p. 153. Dal secondo diario di don Anton Cuffolo, cit.
  41. Ivi, p. 153. Dal secondo diario di don Anton Cuffolo, cit.

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L’immagine che accompagna l’articolo rappresenta la Val Resia è di Alberto Madrassi, è tratta da me solo per questo uso da: https://commons.wikimedia.org/wiki/File:Val_Resia.JPG. ed è stata scattata nel 2013. L.M.P.

 

 

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