Prendo spunto dall’articolo di Repubblica intitolato: «G8 Genova, Corte Strasburgo condanna l’Italia: “Alla Diaz fu tortura, ma colpevoli impuniti», (Repubblica, 7 aprile 2015) per parlare di come, nel corso degli anni, l’Italia abbia evitato accuratamente di prendere posizione sul reato di tortura.

Il fatto che riporta alle prime pagine detto problema è la condanna dell’Italia, da parte della Corte europea dei diritti umani, per quanto compiuto dalle forze dell’ordine italiane alla Caserma Diaz di Genova il 21 luglio 2001. Ma davanti alla Corte di Strasburgo pendono ancora due ricorsi presentati da 31 persone per quanto accaduto, nella stessa data, presso la caserma Balzaneto ed uno per fatti avvenuti in una caserma di Asti, ove, come negli altri due casi, non ci fu punizione dei colpevoli per mancanza di reato.
E la Corte di Strasburgo ha sanzionato l’Italia anche perché non ha una legislazione adeguata a punire il reato di tortura. (“G8 Genova, Corte Strasburgo“,op. cit.).

Ma andiamo, brevemente, a Cesare Beccaria ed al suo “Dei delitti e delle pene” che fece, all’ epoca della sua pubblicazione, sicuramente scalpore.

Cesare Beccaria dedica un intero capitolo alla tortura, che definisce «Una crudeltà consacrata dall’uso nella maggior parte delle nazioni» (Cesare Beccaria, Dei delitti e delle pene, Universale Economica Feltrinelli, quindicesima ed. 2009, p. 60).
Il Beccaria si sofferma sulle motivazioni che si adducono per torturare: il costringere uno a confessare; scoprirne i complici;  a causa delle contraddizioni in cui un presunto reo incorre. (Ivi, p.60).
Egli sottolinea, pure, come la tortura abbia un “fine politico”: quello di terrorizzare altri uomini, e che possa esser eseguita su di un innocente, ponendolo in peggior condizione del reo. Non capisce, poi, a che serva torturare uno per conoscere il nome dei suoi complici: secondo Beccaria uno tende semmai a scaricare le colpe su presunti complici prima che su se stesso. (Ivi, pp. 60 e 64-65).
E sottolinea come la tortura non dovrebbe venir tollerata nel XVIII° secolo. (Ivi, p. 61).

Stiamo parlando del 1700. Siamo nel 2015, in Italia, un’Italia democratica nata dalla Resistenza, ma ancora legata, per alcuni aspetti, almeno pare, a vecchi retaggi patriarcali, e poco rispettosa dei principi della Costituzione 1948. Questa la riflessione di Amnesty International Italia in proposito.

«In Italia, nonostante i numerosi impegni internazionali presi, manca ancora oggi il reato di tortura. La Convenzione delle Nazioni Unite contro la tortura del 1984, ratificata dal nostro paese nel 1988, prevede che ogni stato si adoperi per perseguire penalmente quegli atti di tortura delineati all’art. 1 della Convenzione stessa.

Sono passati oltre 25 anni, ma in Italia il reato di tortura continua a essere un miraggio.

A 13 anni dal G8 di Genova del 2001, molti dei responsabili di gravi violazioni dei diritti umani sono sfuggiti alla giustizia e in Italia mancano strumenti idonei per prevenire e punire efficacemente le violazioni. Nel frattempo, molti altri casi che chiamano in causa la responsabilità delle forze di polizia sono emersi e, purtroppo, continuano a emergere, senza che vi sia stata una risposta adeguata da parte delle istituzioni.

Per fermare queste violazioni e a beneficio del ruolo centrale della polizia nella sua funzione di protezione dei cittadini, è urgente colmare le lacune esistenti al più presto.

Dopo il fallito tentativo della XVI legislatura, è stata positiva la presentazione di nuovi disegni di legge, poi confluiti in un testo unificato, sul reato di tortura. La discussione al Senato, iniziata il 22 luglio 2013 in seno alla commissione Giustizia, si è conclusa con l’approvazione del testo unificato lo scorso 5 marzo, con voto quasi unanime.

Il testo, positivamente, introduce un reato specifico di tortura e non richiama il requisito della necessaria reiterazione degli atti di violenza o minaccia perché si possa parlare di tortura. Quanto invece alle criticità, il reato viene qualificato come comune e quindi imputabile a qualunque cittadino, anche se si prevede l’aggravante se commesso da pubblico ufficiale; questo, è stato possibile grazie all’approvazione di un emendamento proposto in fase di discussione che ha modificato il testo originario, che invece mirava a qualificare il reato di tortura come reato proprio, oltre che specifico, punibile solo se commesso da un pubblico ufficiale. Un’altra criticità consiste nella non perseguibilità delle condotte omissive.

Inoltre, rispetto alla prima versione del disegno di legge, è stata purtroppo eliminata la parte dell’art. 5 che prevedeva l’istituzione di un fondo nazionale per le vittime della tortura». (“Il reato di tortura in Italia”, in: www.amnesty.it › Cosa facciamo › Campagne e temi › Stop alla tortura).

Ed è palese che, 65 anni dopo la convenzione UE nel merito e 31 da quella di New York, entrambe firmate dall’Italia, essa risulta inadempiente.                                                             

Ma vediamo cosa è accaduto dal 1988, quando l’Italia firmò la Convenzione dell’ Onu contro la tortura, dopo aver accettato la Dichiarazione Universale dei DirittiUmani.

«Più volte si è tentato di introdurre il reato di tortura attraverso proposte di legge che, per diversi motivi, non sono mai giunte all’approvazione definitiva.

Il primo disegno di legge per l’introduzione del reato nel nostro codice penale fu presentato dal senatore Nereo Battello il 4 aprile del 1989, subito dopo la ratifica della Convenzione; il secondo fu presentato il 19 febbraio 1991 da Franco Corleone. I due testi non furono mai sottoposti al voto dell’assemblea e negli anni successivi la tortura venne del tutto dimenticata.

Durante la XIII legislatura, l’attività parlamentare in materia sembrò intensificarsi: vennero presentati vari disegni di legge, tra cui il n. 7283, di iniziativa governativa (Dini – Fassino) che però, diversamente dagli altri, aveva lo scopo di introdurre non un reato specifico di tortura ma una circostanza aggravante. Nessuna proposta fu discussa in aula.

Durante la XIV legislatura, i progetti presentati in parlamento salirono a sette. Dopo il dibattito in commissione Giustizia venne proposto e calendarizzato in aula un testo di legge unificato, il disegno di legge n. 4990 (Pecorella). Tutte le proposte puntavano stavolta a creare un reato autonomo di tortura, sia come reato proprio del pubblico ufficiale, sia in altri casi come reato comune, ma ancora una volta la discussione parlamentare non giunse mai a un approdo utile.

L’approvazione alla Camera di un emendamento al disegno di legge n.4990 che introduceva il requisito della reiterazione delle violenze e delle minacce perché si potesse parlare di tortura, sollevò le critiche di numerose Organizzazioni non governative, tra cui Amnesty International, perché l’introduzione di una figura di “tortura reiterata” nel codice penale italiano avrebbe rappresentato un unicum in materia di proibizione della tortura, non essendo il reato previsto in tale forma in nessun ordinamento democratico moderno. Il riconoscimento si sarebbe concretizzato in una sorta di “tolleranza” della tortura quando si fosse tradotta in un unico episodio, tolleranza inammissibile data l’inderogabilità del divieto di tortura sancito dagli strumenti internazionali. Le critiche spinsero il governo a demandare il progetto al Comitato dei nove, organo che aveva il compito di preparare l’istruttoria sul disegno di legge e di nuovo alla commissione Giustizia.

Nonostante gli impegni presi pubblicamente, il progetto rimase di fatto insabbiato per ben 11 mesi: successivamente i deputati esaminarono un nuovo testo unificato ma la commissione Giustizia stabilì di non poter procedere per motivi procedurali.
Durante la XV legislatura, vennero presentati in parlamento otto progetti sul reato di tortura: le proposte di legge presentate alla Camera n. 915 (Pecorella), n. 1206 (Forgione), n. 1272 (De Zulueta), n. 1279 (Suppa) e i disegni di legge presentati al Senato n. 324 (Biondi), n. 789 (Bulgarelli), n. 895 (Pianetta), n. 954 (Iovene).

Le quattro proposte di legge presentate alla Camera furono unificate in un unico testo, approvato dall’assemblea il 13 dicembre 2006. Tale proposta aveva lo scopo di introdurre nel codice penale due articoli. Il primo, contenente la norma incriminatrice, delineava la tortura come reato comune, con la previsione di un’aggravante se commesso da un pubblico ufficiale o da un incaricato di pubblico servizio, anche se non faceva riferimento a ipotesi di istigazione, complicità consenziente o mera acquiescenza rispetto alla commissione del crimine. La norma veniva collocata fra i delitti contro la persona, nell’ambito dei delitti contro la libertà morale, rimarcando così che la tortura si connotava non solo per la lesione dell’integrità fisica, ma anche e soprattutto per una forte componente di vessazione psicologica, sotto la grave forma della sistematica e preordinata umiliazione della vittima.

Si prevedeva che la violenza e le minacce dovessero essere gravi con conseguente intrinseca difficoltà di valutazione. Il disegno di legge è poi passato al Senato ma, dopo l’approvazione in commissione e la calendarizzazione, è arrivata la crisi di governo e la chiusura anticipata della legislatura.

La XVI legislatura ha visto 12 proposte di legge che miravano a introdurre il reato di tortura, ma nessuna è però giunta neppure al dibattito in uno dei due rami del Parlamento.

L’attuale legislatura, la XVII, ha visto sin da subito interessanti proposte di legge in tema di reato di tortura. La discussione dei diversi testi è iniziata al Senato il 22 luglio 2013 per poi dar vita a un testo unificato presentato il 17 settembre alla relativa commissione Giustizia e approvato definitivamente in assemblea il 5 marzo 2014 con voto quasi unanime.

Il testo, che ha visto come relatore il senatore Luigi Manconi, positivamente non contempla il requisito della necessaria reiterazione di atti di violenza o minaccia, seppur sia richiesta la loro “gravità” affinché si configuri il reato. Quanto invece alle criticità, anche stavolta il reato viene qualificato come reato comune, dunque imputabile a qualunque cittadino, pur prevedendo l’aggravante se commesso da pubblico ufficiale: il testo originario, prima degli emendamenti, qualificava invece il reato di tortura come reato proprio, oltre che specifico, punibile quindi soltanto se commesso da un pubblico ufficiale. Inoltre la norma attuale non contempla le condotte omissive e manca dell’iniziale previsione di un fondo nazionale per le vittime della tortura. Il testo è passato alla Camera e si trova attualmente in esame presso la commissione Giustizia». (“Il reato di tortura in Italia: sviluppi legislativi”, in: http://www.amnesty.it/).

Saremo finalmente giunti, in materia, ad uan svolta decisiva? Che penserebbe dell’Italia il buon Cesare Beccaria?

Laura Matelda Puppini

 

Laura Matelda PuppiniETICA, RELIGIONI, SOCIETÀPrendo spunto dall’articolo di Repubblica intitolato: «G8 Genova, Corte Strasburgo condanna l'Italia: 'Alla Diaz fu tortura, ma colpevoli impuniti», (Repubblica, 7 aprile 2015) per parlare di come, nel corso degli anni, l’Italia abbia evitato accuratamente di prendere posizione sul reato di tortura. Il fatto che riporta alle prime pagine detto...INFO DALLA CARNIA E DINTORNI