Con questo articolo inizio le riflessioni sul volume Giulio Del Bon, 1943-1945. Vicende di guerra. La Carnia durante l’occupazione nazista, Associazione Culturale “Elio cav. Cortolezzis, 2018.

Il volume ha già nel titolo un grosso limite rappresentato dalla definizione del periodo preso in esame: 1943- 1945, quasi che fatti accaduti durante la resistenza  non avessero avuto un prima, e che la previsione di un poi non avesse influenzato alcune situazioni. La nuova moda storica, presente sicuramente dal 2000, ma che data ben più lontano, vede al centro del discorso non certo scientifico lo screditamento a tutto tondo dei partigiani, basandosi unicamente su opinioni di tizio e caio, sconvolgendo o meglio dimenticando i contesti, spezzettando, omettendo fatti, scrivendo con una precisa base ideologica antipartigiana, antislava ed anticomunista, in sintesi in un’ottica simil fascista. Ed anche il Del Bon, nella sua contestualizzazione e poi, non è scevro da alcuni di questi limiti; inoltre prende tutte le fonti per buone, non analizzandole, dimenticando l’uso politico della storia ed accreditando Marco Pirina, tanto per fare un esempio, come attendibile e, non conoscendo il mestiere dello storico, si basa principalmente su fonti orali e diari parrocchiali a queste assimilabili, spesso redatti o terminati, per il periodo resistenziale, a posteriori, quando, a guerra finita, il Vescovo chiese ai sacerdoti il rendiconto di quanto svolto in quel periodo, in particolare delle opere di carità. (Liliana Ferrari, Il clero friulano e le fonti per la sua storia, in: AA.VV., La Repubblica partigiana della Carnia e dell’Alto Friuli, IL Mulino ed., 2013, pp. 232-233). Ed i parroci scrissero dei resoconti in base a quello che sapevano allora, ed alla loro visione del mondo, in cui coloro che erano comunisti od in odore di comunismo venivano parificati al diavolo in persona. Ed i parroci erano persone, con le loro idee politiche, i loro limiti, le loro paure, la loro solitudine. (Per l’uso di fonti orali nella storia cfr il mio: L. M. Puppini. Lu ha dit lui, lu ha dit iei. L’uso delle fonti orali nella ricerca storica. La storia di pochi la storia di tanti, in: www.nonsolocarnia.info).

Il problema reale, però, è che testi scritti seguendo una chiave di lettura antipartigiana e dissacratrice del movimento partigiano, hanno trovato spesso, e non solo in Fvg, un editore e sono stati diffusi ‘urbi et orbi’ si fa per dire, con una scusa o l’altra.  (Cfr. i miei: ‘Mode storiche resistenziali e non solo: via i fatti, largo alle opinioni, preferibilmente politicamente connotate’, in: www.nonsolocarnia.info, e ‘Sull’uso politico della storia’, in: www.nonsolocarnia.info). Non da ultimo, il 1943 inizia con la ritirata anche nazista dalla Russia, (la battaglia di Stalingrado terminò il 2 febbraio 1943) che segna la grande sconfitta dei nazifascisti e l’inizio del loro declino. Ma chi scrive, compreso il Del Bon, di storia italiana e carnica in particolare, non ci narra della disfatta da cui il resto discese, compreso l’armistizio.

La resistenza ebbe luogo perché vi fu lo sfascio dell’esercito e dello Stato con la fuga del Re e di Badoglio, con altri al seguito, e la successiva occupazione nazista. Così mi diceva Bruno Cacitti, il partigiano osovano Lena, nel lontano 1978: «Senti, bambina: ci siamo trovati, il vot di …di settembre quarantatrei, abbandonati, soldati abbandonati: i capi, il re, Badoglio, andati al Sud, al Nord… e noi altri ci siamo trovati in un mare di fango. Per salvarci abbiamo dovuto andare in montagna. Se non si andava, ci aspettavano i lager tedeschi. Basta. Non fu una questione politica. Siamo scappati perché ci hanno abbandonato i capi – chiuso. Ma come si fa? Loro scappano, e noi … Ci hanno messo in una condizione … (…) Ci hanno lasciato in un mare di fango e di guai, abbandonati». Ma nella descrizione del contesto, il Del Bon dedica solo poche righe a questa immane tragedia per i soldati, di cui una parte si trovava all’estero.  Cefalonia fu una realtà, non una invenzione virtuale, come quanto accadde alla caserma di Tarvisio, ricordato dal Del Bon. Ed uso questo riferimento per introdurre l’argomento di questo mio testo.

Giulio Del Bon, pasticciando fra l’altro con le date nella parte generale e dimenticandosi il viaggio di Mussolini a Berlino prima di creare l’R.S.I. ed altre quisquiglie di cui parlerò nel prossimo articolo dedicato a questo volume, si sofferma particolarmente sull’entrata di truppe germaniche a Tarvisio nell’agosto del 1943, dimenticando che si era in guerra ed anche prima dell’8 settembre truppe germaniche alleate si potevano trovare in Italia. In sintesi, il contesto descritto in poche righe dal Del Bon, è un immane pasticcio in racconti e datazioni (Giulio Del Bon, op. cit., pp. 15-16), ed essendosi soffermato in particolare su Tarvisio, che non è in Carnia,  dimentica uno fatto fondamentale: il convegno tenutosi il 6 agosto 1943 a Tarvisio tra tedeschi e italiani, sul quale riporto, qui, un pezzo pubblicato dall’Anpi di Lissone, ed una parte dal diario di Ivanhoe Bonomi. Da queste fonti si comprende bene la situazione creatasi dopo lo sbarco alleato nelle isole ed in Sicilia, e dopo il 25 luglio 1943, tra Italia e Germania. Eravamo ancora alleati dei nazisti, allora, e gli anglo americani bombardavano paesi e città, perché eravamo in guerra, uccidendo anche civili, come accade in ogni guerra, mentre l’Italia se da un lato confermava la sua fedeltà all’alleato nazista, dall’altro cercava in vario modo di trattare con gli anglo-americani, aspetto ben presente ai tedeschi.

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Il 9 luglio 1943 iniziava l’operazione Husky, (nome in codice degli anglo-americani per designare l’invasione della Sicilia), preceduta nel mese di giugno dall’occupazione delle isole di Lampedusa, Linosa, Lampione e Pantelleria, che cadde il 12 giugno, dopo aver subito forti bombardamenti, e venne occupata da reparti di una divisione britannica. Il 10 luglio 1943 avveniva lo sbarco degli Anglo americani in Sicilia. L’11 luglio l’8ª Armata occupava senza difficoltà Siracusa e Augusta, il 14 luglio gli Alleati congiungevano le loro teste di ponte e conquistavano Ragusa e Comiso. Probabilmente oramai sia Mussolini che i tedeschi sapevano che l’occupazione della Sicilia da parte anglo americana, era solo questione di tempo. E chi rallentò ancora una volta l’avanzata Alleata furono i tedeschi, che schierarono in Sicilia la veterana 29. Panzergrenadier-Division e l’eccellente 1ª Divisione paracadutisti del generale Richard Heidrich, trasferita d’urgenza dalla Francia meridionale. Quindi il comando di dette forze germaniche fu affidato al generale Hans-Valentin Hube, reduce dalla battaglia di Stalingrado. Il 3 settembre 1943, giorno in cui fu realmente firmato l’armistizio di Cassibile, in Sicilia, gli angloamericani iniziavano l’invasione della parte continentale della penisola italiana, sbarcando a Reggio Calabria. (https://it.wikipedia.org/wiki/Campagna_d’Italia_(1943-1945).

Nel frattempo, nella riunione iniziata il 24 luglio 1943, e conclusasi il 25 luglio 1943, il Gran Consiglio del Fascismo sfiduciava Mussolini, a causa della situazione bellica e dello sbarco anglo- americano in Sicilia e si formava il governo Badoglio. Ma l’Italia era ancora alleata con i tedeschi, e questo fu un periodo di intensi sforzi per gestire la situazione, mentre i germanici si fidavano sempre meno degli italiani.  E i nazisti incontrarono gli italiani anche a Tarvisio, per sapere che cosa intendessero fare e per porre le loro condizioni.

«Dopo il 25 luglio 1943 la sola ed esclusiva preoccupazione del re era che si verificasse una sollevazione di popolo che avrebbe ostacolato il pacifico trapasso dei poteri dal governo fascista al governo militare di Badoglio e quindi messo in pericolo le sorti della corona. Avvenne perciò che, alla folla in tripudio, si rispose con lo stato di assedio. Vigeva la legge marziale. L’ordine venne mantenuto al prezzo di 83 morti, 308 feriti e 1554 arrestati, per la quasi totalità operai scioperanti e dimostranti.

Questo rigore mascherava una profonda incertezza. Il maresciallo Badoglio, che col governo era passato al Viminale, circondava di mistero le sue intenzioni. Per le cose essenziali e la condotta della guerra, la liquidazione del fascismo, i rapporti con i tedeschi, agiva all’insaputa dei suoi ministri. La sua condotta era ambigua, anche nei confronti dei partiti antifascisti usciti dalla clandestinità.
Lo stato d’assedio ch’egli aveva imposto al Paese, con tutto il seguito di misure eccezionali e severissime, era una novità nella storia d’Italia degli ultimi trent’anni. Inutilmente i rappresentanti dei partiti, riuniti nel Comitato delle opposizioni presieduto da Ivanhoe Bonomi, avevano chiesto una maggiore libertà di stampa. I nuovi giornali continuavano ad essere vietati e i vecchi sottoposti a una severa censura.  E tuttavia gli antifascisti non avrebbero desiderato di meglio che collaborare, a patto che il governo avesse affrontato francamente il problema della pace. Su questo punto, pur comprendendo le difficoltà del maresciallo, erano irremovibili: volevano finirla con la guerra.  Badoglio si dichiarava d’accordo. Ma continuava a far da solo. Sembrava che non si fidasse di nessuno.

Dal canto suo il re aveva deciso di insistere (almeno per il momento) nell’alleanza con i tedeschi avendone bisogno per tenere il fronte quel tanto che fosse bastato – egli credeva – a negoziare l’armistizio. Al Viminale l’inquietudine cresceva. Mentre spediva diplomatici in Vaticano, a Lisbona, a Tangeri per conoscere le intenzioni degli Alleati, Badoglio si preoccupava dei tedeschi. Una sua richiesta a Hitler per un convegno, presente il re, al fine di studiare amichevolmente l’uscita dell’Italia dalla guerra, fu respinta. Allora, per non rivelare il suo animo, fu costretto ad accettare la controproposta del Führer per una conferenza fra i ministri e i capi militari.
La scelta dimostrava la reciproca diffidenza dei due alleati. In realtà il convegno di Tarvisio segnò la fine della collaborazione fra italiani e tedeschi. Ribbentrop e Guariglia, nuovo ministro degli Esteri italiano, guidavano le due delegazioni. Li accompagnavano il maresciallo Keitel e il generale Ambrosio. Ribbentrop chiese se il governo italiano avesse avviato i preliminari d’armistizio con gli anglo-americani. Guariglia rispose di no ed effettivamente i suoi tentativi di trattare con gli Alleati erano fino a quel momento falliti.
A sua volta Guariglia chiese il perché dei movimenti tedeschi in Italia; Keitel assicurò che le truppe inviate dovevano creare una riserva strategica. Più insolentemente, Ribbentrop aggiunse che le Divisioni tedesche servivano solo per combattere. Tutte le speranze di Badoglio si riponevano ora sul generale Castellano, partito per Lisbona il 12 agosto per un altro incontro con gli Alleati. Ma questi, messi in sospetto da tanti indugi, dettero ordine di riprendere i bombardamenti sulla penisola.

Su Milano la notte dal 12 al 13 agosto cadde una pioggia di bombe e di spezzoni incendiari che trasformarono il centro storico in un braciere. La Galleria e palazzo Marino furono semidistrutti. Anche la Scala andò in rovina. Si dovette al sipario metallico se il palcoscenico non fu devastato dalle fiamme. Torino fu anch’essa colpita nel centro, nei suoi quartieri più belli, carichi di ricordi e di storia. Il 13 agosto toccò di nuovo a Roma, che per fortuna subì danni soltanto nella periferia sud, adiacente alla zona degli scali ferroviari.
Gli Alleati erano decisi a finirla. A Quebec, dove in quei giorni si riunivano per stabilire le future operazioni in Europa, Churchill e Roosevelt insistettero per l’Italia sulla resa senza condizioni. Anche Stalin, che non partecipava alla conferenza, fece pervenire il suo benestare. (…).

Fino a un mese prima le Divisioni tedesche in Italia erano 8, quasi tutte concentrate al sud e nelle isole. Le Divisioni italiane erano 23, delle quali 10 in via di ricostituzione e perciò inutilizzabili. C’erano inoltre 14 Divisioni costiere disperse e male armate, quindi anch’esse inservibili. Ma dal 26 luglio 9 Divisioni e 1 Brigata germaniche si dislocarono nell’Italia settentrionale, in forma di vera e propria occupazione, disponendosi a ridosso dei reparti italiani. Un’altra scese presso Roma e le quattro che erano in Sicilia si unirono a quelle dell’Italia meridionale. La situazione si era così capovolta. Le 13 Divisioni italiane efficienti, più le 3 rientrate all’ultimo momento, col permesso dei tedeschi, ma ancora in viaggio, erano ora controllate da 18 Divisioni e una brigata germaniche, divise in due Gruppi di Armate. A nord il Gruppo d’Armata B fu affidato al Feldmaresciallo Rommel, mentre il comando supremo per il Sud andò al Feldmaresciallo Kesselring». (“Agosto 1943: il convegno di Tarvisio”, in: http://anpi-lissone.over-blog.com/article-agosto-1943-il-convegno-di-tarvisio-91888187.html).

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Così scrive Ivanhoe Bonomi, nel merito del convegno di Tarvisio, preceduto da quello di Feltre, il 19 luglio 1943, fra Hitler e Mussolini.

«7 agosto 1943. […] mi indugio con Orlando sul Convegno di Tarvisio” che è avvenuto ieri, e di cui non abbiamo ancora notizie ufficiali. Certamente a Tarvisio i rappresentanti dell’Italia e della Germania avranno ribadito: “La guerra continua”.  (…).  10 agosto 1943. Ho avuto fra ieri e oggi precisazioni sull’incontro di Tarvisio. (…). Ieri me ne ha parlato l’ex- ambasciatore, Cerutti, amico e collega del Ministro degli Esteri, e oggi me ne ha riferito a lungo De Gasperi che ha raccolte le notizie dalla bocca del Guariglia.

L’ incontro ha avuto sin dall’inizio e fin dai segni esteriori, aspetto non di intese fra pari, ma di intimidazione e di minaccia del più forte verso il più debole. I tedeschi sono arrivati in treno blindato, irto di mitragliatrici, con abbondanza di guardie armate e di personaggi in divisa militare. Gli italiani sono arrivati in treno comune, senza armi, con prevalenza di personaggi civili, con camerieri in bottoniera dorata e pochi Carabinieri dall’antiquata lucerna.
La delegazione tedesca, cappeggiata da Ribbentrop e da Keitel si è mostrata subito arrogante ed ostile. Ha rimproverato al Governo Badoglio di essere sorto sulle rovine del fascismo e facendo arrestare Mussolini, l’amico di Hitler. Ciò non poteva essere tollerato senza precise dichiarazioni ed esplicite assicurazioni.
Che se le une e le altre fossero apparse insufficienti, era intenzione tedesca di punire il Governo italiano e di ristabilire l’ordine turbato. Già alcune divisioni erano scese in Italia (da cui una distaccata da Hitler dal fronte russo di Orel ed inviata, in tutta fretta, a … vendicare il suo amico) e tali divisioni potevano convertire il loro proposito difensivo contro la temuta invasione anglo-americana in un proposito offensivo contro il Governo Badoglio e contro l’antifascismo italiano.

Naturalmente il Guariglia ha replicato rivendicando all’Italia – alleata e non subordinata della Germania – il diritto di risolvere i suoi problemi interni. Il rovesciamento del regime fascista era un problema interno, e la Germania non ha alcun legittimo diritto di immischiarsi in una vertenza che non la riguarda. La Germania e l’Italia sono legate da un patto di alleanza in una guerra che è diventata comune. Il Patto non è rotto, il patto sussiste, la guerra comune continua. Al di fuori dell’alleanza e della condotta della guerra, la Germania non ha nulla da chiedere all’Italia.

I delegati tedeschi, dopo avere (andando ostentatamente oltre il confine, telefonato al loro capo per riceverne istruzioni, hanno finito per accogliere le dichiarazioni italiane. E poiché tale accoglimento implicava il proseguimento della guerra, le conversazioni hanno continuato sui nuovi problemi militari imposti dalla situazione.
I tedeschi hanno confermato l’’antico proposito di difendere la valle del Po, per impedire un pericoloso avvicinarsi degli anglo-americani alle loro frontiere. La linea difensiva dovrebbe partire da Genova-Spezia, inoltrarsi sul crinale dell’Appennino a sud di Piacenza, di Parma, di Reggio, di Modena e di Bologna per raggiungere il mare intorno a Rimini. Per presidiare tale linea, alcune divisioni tedesche sarebbero scese dal Brennero ed altre sarebbero venute dalla Francia. Taluna di queste divisioni era già passata, rovesciando di viva forza il segno simbolico del nostro confine, ed era già oltre Trento, sulla via di Verona.

La delegazione italiana ha chiesto allora di potere avere almeno l’onore di difendere anch’essa la valle padana, ed a tal fine ha fatto istanza di ritirare quattro divisioni italiane dalla Francia. I tedeschi- rivelando così interamente la loro avversione per noi – hanno osservato subito che le divisioni italiane non avrebbero dato che uno scarso contributo giacché, come in Sicilia, avrebbero lasciato combattere i tedeschi ed avrebbero forse disertato in gran numero. Comunque essi hanno finito per accogliere la proposta italiana aggiungendo però che, ove l’ordine pubblico venisse compromesso da agitazioni popolari, i tedeschi si sarebbero immediatamente sostituiti al Governo Badoglio nella repressione, non potendo tollerare moti di alcun genere nelle loro retrovie.

Raccolte queste notizie ho chiesto, tanto all’ambasciatore Cerutti quanto all’amico De Gasperi, se avessero potuto cogliere il pensiero del Guariglia circa il suo atteggiamento verso gli Alleati.
Dalle abili risposte del Ministro nulla di certo è trapelato.  Il Guariglia – che è spirito sottile – ha detto di aver potuto facilmente impegnarsi sul suo onore di non trattare con gli Anglo – americani (l’impegno era richiesto solennemente ai tedeschi nel convegno di Tarvisio) giacchè con un nemico che chiede la “resa senza condizioni”, non si può, per la contraddizione che è nelle parole, “trattare”.  La risposta, dunque, esclude le trattative, ma non esclude i sondaggi. Ed è da credere che sondaggi ci siano, e che mirino ad aprire una vera trattativa».

(Ivanhoe Bonomi, Diario di un anno. 2 giugno 1943 – 10 giugno 1944, Castelvecchi ed., 2014, prima ed. 1947, in anteprima pagine non numerate).

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Non ci si può meravigliare, quindi, che in una situazione di questo tipo, truppe entrassero e fossero entrate in Italia anche prima dell’8 settembre 1943, ma non per occuparla, essendo ancora alleata. La storia della gloriosa resistenza all’occupazione della caserma Italia è altra storia, che si colloca dopo l’8 settembre 1943, data in cui venne reso noto l’armistizio di Cassibile.

E per ora mi fermo qui, rimandando il lettore che è giunto sino a questo punto al prossimo articolo sul volume da cui ha preso origine questa mia riflessione e ricordando, a chi voglia scrivere la storia dal 1943, che molti furono i fatti che accaddero dal primo gennaio di quell’anno.

Laura Matelda Puppini

L’immagine che accompagna l’articolo è tratta da: http://anpi-lissone.over-blog.com/article-agosto-1943-il-convegno-di-tarvisio-91888187.html, e ritrae Corso Vittorio Emanuele a Milano dopo un bombardamento anglo-americano, quando l’Italia era ancora alleata di Hitler.

 

 

 

 

 

 

 

 

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